|  Ricordando Bartolomeo Vanzetti 
 
 avrei forse speso la mia vita a parlare sugli 
                  angoli della strada a uomini che mi avrebbero deriso. Sarei 
                  forse morto senza essermi distinto in nulla, ignoto a tutti: 
                  un fallito. Ora non siamo dei falliti. Questa è la nostra 
                  carriera e il nostro trionfo. Mai vivendo lintera esistenza, 
                  avremmo potuto sperare di fare così tanto per la tolleranza, 
                  la giustizia, la mutua comprensione tra gli uomini, come adesso 
                  facciamo per un caso del destino. Le nostre parole, le nostre 
                  vite, le nostre sofferenze: niente! Il fatto che ci tolgano 
                  la vita, la vita di un buon operaio di calzaturificio e di un 
                  povero venditore ambulante di pesce 
 è tutto. Questo 
                  momento è nostro, questa agonia è la nostra vittoria!. 
                  Aveva ragione Tumlin Vanzetti e oggi, 75 anni dopo, la memoria 
                  delle vicende che lo videro protagonista insieme a Nicola Sacco 
                  è ancora viva e continua a ricordarci che la pena di 
                  morte esisteva ed esiste, che il razzismo esisteva ed esiste, 
                  che la giustizia borghese, oggi come allora, colpisce i più 
                  deboli. Ed è proprio di storia e del presente che si 
                  è parlato in occasione delle iniziative che si sono svolte 
                  nel settembre scorso a Villafalletto, il paese dove Vanzetti 
                  nacque l11 giugno 1888. Giornate intense e ricche di contenuti 
                  che hanno visto, forse per la prima volta dopo tanti anni, una 
                  partecipazione sincera e finalmente libera da pregiudizi, degli 
                  abitanti di questo tranquillo paese della campagna cuneese. 
                  Alcuni frammenti delle storie e dei commenti che si sono uditi 
                  nel corso delle serate organizzate dal Collettivo Vanzetti di 
                  Saluzzo e dalla Libera Associazione Culturale Villafallettese.
 In una sala affollatissima Michele Calandri, direttore dellIstituto 
                  Storico della Resistenza della Provincia di Cuneo ha presentato 
                  il film di Montaldo: Il film è uscito nel 1971, 
                  anni strepitosi quelli, in cui i movimenti si succedevano come 
                  onde una dopo laltra, scavalcando i partiti e scuotendo 
                  la società. E i riferimenti al presente, le chiavi di 
                  lettura, ci apparvero allora subito chiare. Nel 1969 con le 
                  lotte studentesche ed operaie, la borghesia capitalistica aveva 
                  messo in campo la reazione di sempre, la stessa degli Stati 
                  Uniti negli anni venti. La reazione aveva armato la mano dei 
                  fascisti ed iniziato la lunga serie delle trame nere, degli 
                  attentati indiscriminati, delle bombe. Dopo Piazza Fontana si 
                  cercarono subito i capri espiatori tra gli anarchici. I fatti 
                  sono noti: Pinelli volò da una finestra della questura 
                  di Milano ed il film ricorda il famoso precedente di Andrea 
                  Salsedo che aveva fatto la stessa fine negli Stati Uniti poco 
                  tempo prima dellarresto di Sacco e Vanzetti. 
                  Continua Calandri ricostruendo il clima di quegli anni: Lopera 
                  di Montaldo, proprio per i suoi rimandi allattualità 
                  ed il forte impegno civile, ebbe grande successo ed una enorme 
                  ripercussione sullopinione pubblica, soprattutto quella 
                  giovanile, anche perché intorno i segnali pesantemente 
                  negativi si susseguivano ininterrottamente: nel luglio 1970 
                  la rivolta dei boia chi molla a Reggio Calabria 
                  direttamente guidata dai missini, nella notte tra il 7 e l8 
                  dicembre il tentativo di colpo di stato di J. Valerio Borghese; 
                  e ancora la morte in carcere, il 7 maggio 1972, di Franco Serantini.
 Anche oggi il film mantiene una bruciante attualità, 
                  sostiene il direttore dellIstituto Storico della Resistenza 
                  di Cuneo: Guardate agli emigranti italiani negli Stati 
                  Uniti e guardate quanto avviene oggi in Italia, terra di immigrazione 
                  dopo aver visto partire milioni dei suoi figli. Nel film, ironia 
                  del caso, cè anche una scena in cui si prendono 
                  le impronte digitali! Ma avete seguito le vicende delle famiglie 
                  immigrate a Treviso e cacciate dalle case, con il sindaco che 
                  afferma che lui le case le deve solo a quelli di razza Piave? 
                  Che tristezza! Ma il problema più grande sollevato dal 
                  film di Montaldo è, a mio avviso, quello delle regole 
                  che la democrazia borghese si dà, in particolare quelle 
                  sulla giustizia. Ecco, quelle regole valgono solo fino ad un 
                  certo punto, valgono solo per qualcuno. Il garantismo, in campo 
                  nazionale ed internazionale, vale solo finché fa comodo 
                  ai padroni del vapore. Quando si mette in discussione 
                  il potere le regole diventano un inutile ingombro. 
                  Calandri conclude con una nota di simpatia per noi anarchici 
                  che stupisce il folto pubblico presente in sala: E 
                  lasciatemi dire che sono proprio gli anarchici a mettere in 
                  discussione le regole e ad affermare il valore delle leggi naturali 
                  del rispetto degli altri, del rifuggire le guerre, della costruzione 
                  di una società ideale non sopraffattrice. È vero: 
                  lanarchia è unutopia, ma lutopia, lo 
                  sappiamo dalla storia, anticipa sempre la realtà.
 Dal racconto scritto in dialetto piemontese da un altro villafallettese 
                  illustre scomparso nel 1989, Tavio Cosio, farmacista ma soprattutto 
                  acuto osservatore e divulgatore della cultura popolare del suo 
                  paese dorigine e delle vallate occitane cuneesi.
 Am contava pa 
 Mi raccontava papà 
                  che mano a mano che il tempo dellesecuzione si avvicinava 
                  e la speranza di salvare i due giovani si spegneva poco alla 
                  volta, la gente di Villafalletto e dei dintorni si ritrovava 
                  nella piazza grande la mattina di buonora e si strappava 
                  i giornali di mano, andavano sotto le finestre di casa Vanzetti 
                  in silenzio ad attendere notizie, a chiedere cosa diceva Tomlinot 
                  (Bartolomeo) nellultima lettera. Ma lassù, le persiane 
                  restavano chiuse su un dolore sopportato con garbo da una famiglia 
                  dignitosa. Una lettera diceva che Tomlinot avrebbe voluto ancora 
                  vedere una delle sorelle prima di morire. Mentre Censina (Vincenzina) 
                  e Etorot (Ettore), ancora bambini, restavano a casa accanto 
                  al povero padre, Vigina (Luigina), la sorella più giovane, 
                  è partita sola soletta, ha viaggiato per Parigi con un 
                  cartello sulla schiena sul quale era scritto:  Salvate 
                  mio fratello che è innocente , poi si è 
                  imbarcata per andare a chiedere la grazia per Tomlinot, ma là 
                  a Boston il suo pianto ha trovato soltanto cuori più 
                  duri della pietra. Una mattina dei primi di agosto il giornalaio 
                  di Villa, Rico dla Bragheisa, passando con un mucchio di giornali 
                  sotto il braccio da un uscio allaltro diceva con voce 
                  di pianto: Gente, hanno rifiutato la grazia a Nicola e 
                  Tumlinot, tutto è finito 
. Sulle piazze, 
                  nelle contrade, sulle soglie delle case la gente rimase attonita 
                  alla notizia, qualcuno non ci voleva ancora credere. Ma, dai 
                  tempi della guerra, mai tanti fazzoletti erano usciti dalle 
                  tasche, diceva mia madre che era andata a messa. Quel giorno 
                  papà ha sbattuto il cappello contro un muro come faceva 
                  quando qualcosa andava storto, e ha avuto delle parole di dura 
                  condanna contro la giustizia americana. Ancora una lettera di 
                  Tumlinot che diceva: Non piangete la mia morte. Io sono 
                  innocente, posso tenere alta la fronte, la mia coscienza è 
                  pulita, poi il 24 agosto la notizia sui giornali: Sacco 
                  e Vanzetti sono stati giustiziati ieri notte a Charlestown.
 Dopo due settimane è tornata Vigina con tutto ciò 
                  che restava del fratello: un pugno di cenere nascosto dentro 
                  unurna. Tanti ricordi sono restati di Tumlinot a Villafalletto, 
                  ma soprattutto resta in tutti la convinzione che Sacco e Vanzetti 
                  fossero innocenti.
 Alberto Gedda, autore del libro Bartolomeo Vanzetti, autobiografia 
                  e lettere inedite uscito per Vallecchi nel 1977 ed in 
                  attesa di una doverosa ristampa, ha ricordato la famiglia Vanzetti 
                  attraverso le lettere e la conoscenza diretta di Vincenzina, 
                  sorella più giovane di Bartolomeo e tenace custode di 
                  una imponente documentazione donata allIstituto Storico 
                  della Resistenza di Cuneo dopo la sua morte. Scriveva Vanzetti 
                  il giorno prima della sua esecuzione: Mia cara sorella, 
                  che gioia rivederti e intendere le tue dolci parole damore 
                  e dincoraggiamento. Ma io credo che sia stato uno sbaglio 
                  terribile quello di averti fatto attraversare loceano 
                  per vedermi qui. Tu non puoi capire quanto io soffra di vederti 
                  assistere alla mia agonia e di vederti costretta a vivere le 
                  sofferenze che io devo affrontare. Quando ti sarai riposata 
                  e quando avrai ritrovato la forza necessaria, ritorna in Italia, 
                  presso i nostri cari, come i nostri buoni e fedeli amici tu 
                  porterai il mio messaggio di amore e di riconoscenza. Che importa 
                  se nessun raggio di sole, se nessun lembo di cielo penetra mai 
                  nelle prigioni costruite dagli uomini per gli uomini? Io so 
                  che non ho sofferto invano. Ecco perché porto la mia 
                  croce senza rimpianto. Presto i fratelli non si batteranno con 
                  i loro fratelli; i bimbi non saranno più privati del 
                  sole e allontanati dai campi verdeggianti; non è più 
                  lontano il giorno nel quale vi sarà un pane per ogni 
                  bocca, un letto per ogni testa, della felicità per ogni 
                  cuore. E questo sarà il trionfo della vostra azione e 
                  della mia, o miei compagni e amici. Affettuosamente. Bartolomeo.
 Ancora una volta, attraverso parole semplici ma commoventi, 
                  lanarchico di Villafalletto, afferma la sua fede in una 
                  umanità nuova e affida a chi verrà dopo di lui, 
                  a noi oggi, il compito di continuare la costruzione di una società 
                  più giusta.
 
                   
                    | Allora 
                        come oggi... 
                        
 Alcuni passaggi tratti dagli scritti di Vanzetti pubblicati 
                        su LAdunata dei Refrattari; uno spunto per 
                        lanalisi di quanto sta succedendo anche oggi nel 
                        mondo sindacale. Il buon senso ci assicura che i sindacati esistevano 
                        nelle spente, ignorate e semi ignorate società 
                        del passato remoto. Perché essi sono il prodotto 
                        spontaneo ed inevitabile degli antagonismi di classe e 
                        dindividui; antagonismi propri di ogni irrazionale 
                        società umana la quale non sa, o non vuole, armonizzare 
                        il benessere e linteresse dellindividuo con 
                        quello della collettività; ed in cui ciascuno e 
                        tutti cercano il proprio benessere non nella solidarietà 
                        e nelluguaglianza, ma nel potere e nello sfruttamento. 
                        (
) Si può quindi affermare che il sindacato 
                        proletario è sempre esistito sotto diverse forme 
                        ed aspetti (
) e questo non significa affatto che 
                        il sindacato abbia in sé le virtù di risolvere 
                        i problemi che assillano i suoi membri; tuttaltro
 LAdunata dei Refrattari, 24 febbraio 1923
 Tutte le unioni operaie degenerano creando un 
                        esercito di mestieranti che costituisce una nuova classe 
                        parassitaria, unelite privilegiata di lavoratori 
                        che diventa infine nemica della classe operaia e che, 
                        attraverso i contratti di lavoro e i regolamenti, favorisce 
                        e facilita spesso i calcoli dei capitalisti. Nelle mani 
                        di questa classe, di questa elite, lassociazione 
                        operaia diventa uno strumento di dominio in più 
                        sulle spalle dei lavoratori stessi, che sono considerati 
                        esclusivamente merce di lavoro LAdunata dei Refrattari, 12 maggio 1923
 |   Lele Odiardo
 
 Bartolomeo 
                  Vanzetti e Nicola Sacco in copertina dell'ultimo numero della 
                  rivista ApARTe° (cfr. Tamtam) 
                    Grandi e piccoli editori 
 Delle mie frequentazioni di eventi editoriali del 2002 due 
                  immagini opposte mi hanno indotto a qualche riflessione. Prima immagine. Ottobre, fiera del libro a Francoforte. Latmosfera 
                  è in generale alquanto depressa, la stampa registra importanti 
                  defezioni, soprattutto dagli Stati Uniti, e un calo del numero 
                  degli espositori. Impressiona soprattutto laria che si 
                  respira tra gli stand francesi. Il fatto è che in coincidenza 
                  con la fiera è arrivata la notizia che il gruppo Vivendi, 
                  in grave sofferenza per una crisi finanziaria che lo attanaglia 
                  e che ha portato alle dimissioni del suo capo e fondatore, ha 
                  deciso di ritirarsi dal settore editoriale e ha ceduto tutte 
                  le case editrici che possedeva al gruppo concorrente, quello 
                  di Hachette. Per le sorti del libro in Francia è un terremoto; 
                  il nuovo colosso controllerà ben più del cinquanta 
                  per cento della produzione libraria nazionale e ne condizionerà 
                  pesantemente le sorti. Per dare unidea, è come 
                  Mondadori acquisisse lintero pacchetto delle case editrici 
                  del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera. In giro, nel padiglione 
                  6 della Buchmesse, si vedono facce tese e sguardi vacui: i dirigenti 
                  delle case editrici assorbite sanno che si troveranno a dover 
                  convivere con sigle editoriali che il giorno prima erano dirette 
                  concorrenti, con cataloghi specularmente simili, e che questo 
                  vuol dire una sola cosa: teste che cadono, tagli di budget, 
                  riduzione di personale, ridimensionamento dei programmi editoriali. 
                  E prima ancora che dallalto piovano direttive in questo 
                  senso, si adeguano. Non si parla più di acquisizione 
                  di diritti, di nuovi progetti di creatività, ma solo 
                  di come limitare i costi, magari ripescando e riciclando vecchi 
                  titoli. Negli occhi di molti redattori, autori e illustratori 
                  puoi leggere la frustrazione di chi non ha più la possibilità 
                  di poter svolgere con passione e professionalità un lavoro 
                  così bello come comè quello di chi fa libri.
 Seconda immagine. Roma, fine novembre, Palazzo dei Congressi 
                  dellEUR. Seconda giornata di Più libri più 
                  liberi. Fiera della piccola e media editoria. Nei giorni 
                  che hanno preceduto linaugurazione ci sono state polemiche 
                  perché molti editori si sono iscritti in ritardo e gli 
                  spazi disponibili erano esauriti. Qualcosa si è recuperato 
                  collocando gli stand anche nei corridoi laterali. Gli stand 
                  sono tutti montati con lo stesso modulo e non esiste quindi 
                  una gerarchia, come si vede per esempio al Salone di Torino 
                  dove gli editori più ricchi e potenti affittano grandi 
                  spazi e creano allinterno delle mega-librerie e costringendo 
                  tutti i partecipanti a sforzi finanziari eccessivi per conquistarsi 
                  una certa visibilità. Qui a Roma un pubblico numeroso, 
                  attento e desideroso di conoscere, può visitare gli stand 
                  uno a uno, parlando direttamente con gli editori e con molti 
                  autori, può scoprire lesistenza di numerosi cataloghi 
                  pieni di titoli interessanti e che in libreria restano invisibili, 
                  sepolti come sono sotto tonnellate di sedicenti best-seller 
                  e sotto la pigrizia e lignoranza di molti sedicenti librai. 
                  Lidea che si ricava smentisce tanti luoghi comuni, prima 
                  di tutto quello secondo cui gli italiani non leggono. 
                  E, nonostante qualche confusione sul piano organizzativo e logistico, 
                  risulta evidente come la congiuntura economica difficile abbia 
                  spinto tante case editrici piccole e medie a fare 
                  sempre più ricorso allingegnosità e alla 
                  ricerca di titoli validi, ad avanzare nuove proposte, a creare 
                  nuove collane. Esattamente il contrario di quanto avviene nei 
                  grandi gruppi.
 Al vostro modesto cronista di vicende editoriali è sorto 
                  a questo punto un dubbio. Probabilmente quello che avviene nellindustria 
                  libraria non ha molti punti di analogia con certi fenomeni che 
                  si riscontrano in tanti altri settori della vita sociale in 
                  tutto il mondo. Leconomia globalizzata mostra oggi tutti 
                  i suoi limiti: crisi finanziaria, recessione economica, stabilimenti 
                  che chiudono, lambiente che si deteriora, gli spazi di 
                  democrazia che si restringono, venti di guerra, prospettive 
                  politiche che mancano. Un quadro del genere non può che 
                  indurre al pessimismo più nero. Se non che, forse, se 
                  ribaltiamo la nostra prospettiva, possiamo vedere come non solo 
                  nel piccolo universo secondario di che produce libri, nascano 
                  oggi, al di là delle ideologie e della coscienza soggettiva 
                  che se ne ha, nuove e vitali prospettive che ci confermano che 
                  un altro mondo è possibile.
  Guido Lagomarsino
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