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                 1. Se qualcuno cercasse oggi 
                  di sapere chi è stato linventore della fotocopiatrice, 
                  molto probabilmente, si imbatterebbe nel fisico americano Chester 
                  Carlson. Nel 1938, a quanto pare, Carlson riesce ad imprimere 
                  gli elementi scuri di un originale da riprodurre su una lastra 
                  di zinco caricata elettrostaticamente e ricoperta di zolfo su 
                  cui aveva cosparso polvere nera. Facendo aderire, poi, questa 
                  matrice ad un foglio di carta a contatto con una fonte di calore, 
                  otteneva la fissazione della polvere e la xerografia (dal greco 
                  «xeros», che stava per «secco») era 
                  fatta. Almeno un paio di dizionari delle invenzioni (cfr. K. 
                  Desmond, Dizionario delle invenzioni, Sperling & 
                  Kupfer, Milano 1993 e G. Rivieccio, Dizionario delle scoperte 
                  scientifiche e delle invenzioni, Rizzoli, Milano 2001), 
                  in proposito, la pensano così.  
                  E invece le cose sono andate diversamente. Nel 1762, Wilcke 
                   anticipando di poco Volta  costruì un elettroforo. 
                  La cosa non passò inosservata a Georg Christoph Lichtenberg, 
                  fisico di Gottinga, che, sviluppandolo per proprio conto, lo 
                  utilizzò nel 1777 per un suo esperimento. Fece in modo 
                  che una carica elettrica si distribuisse uniformemente su una 
                  lastra, che veniva successivamente esposta, attraverso unimmagine 
                  da riprodurre, ad una sorgente di luce. La carica variava, allora, 
                  a seconda del maggiore o minor grado di trasparenza delloriginale. 
                  Sulla lastra, quindi, Lichtenberg spargeva una polvere caricata 
                  elettricamente che si sarebbe andata a fissare soltanto nelle 
                  zone dove erano rimaste le cariche elettriche originarie. Così 
                  ottenne la prima rudimentale foto o xero copia che dir si voglia 
                  (cfr. Dragoni, Bergia e Gottardi, Dizionario biografico degli 
                  scienziati e dei tecnici, Zanichelli, Bologna 1999).  
                  Parrebbe, dunque, legittimo chiedersi perché Lichtenberg 
                  sia stato così liquidato in malo modo dalla storia. Me 
                  lo sono chiesto e nel dare la mia risposta ho dovuto sbattere 
                  il naso nei massimi sistemi.  
                2. Lichtenberg (1742 - 1799) 
                  ha insegnato fisica, ha scritto acutamente di matematica, di 
                  teoria della probabilità, di astronomia, di chimica e 
                  di biologia, di arti e di filosofia, ha guardato con occhio 
                  critico e privo di pregiudizi la società del suo tempo 
                  ed è stato sempre animato da una curiosità inesauribile. 
                  Si è professato ateo, ha disdegnato le convenienze e 
                  neppure ha mai nascosto le proprie pulsioni sessuali. Però 
                   dico «però»  non ha mai rotto 
                  lanima a nessuno con i suoi trattati. Non ne ha scritti. 
                  Non ha mai messo in forma sistematica una propria «visione 
                  del mondo» e si è accontentato di buttar giù 
                  alla rinfusa tutto il bello che gli passava per la testa. Nemico 
                  dellaccademia e amico della vita, detestava chi scriveva 
                  libri sui libri altrui e lo diceva apertamente.  
                  Ci è stato espropriato, dunque, anche per ragioni di 
                  forma. Perché non ha mai scelto la forma «giusta», 
                  quella ratificata dal consorzio degli intellettuali per ottenere 
                  il lasciapassare per la Storia. Non ha citato il Tale e il TalAltro 
                  per farseli complici, non ha messo in piedi conventicole, non 
                  ha fondato «movimenti», non ha inventato apparati 
                  terminologici con cui rendere nebulosa la comunicazione del 
                  proprio pensiero.  
                3. Stando così le cose 
                   aggiungendovi, poi, che i suoi contenuti non erano comodi 
                  per nessuno perché denunciava tutta la pochezza e la 
                  contraddittorietà della filosofia , è comprensibile 
                  come, soltanto qua e là, raramente, nei giorni che lhanno 
                  seguito, qualcuno si sia ricordato di lui. Qualcuno che ragionasse 
                  con la propria testa. Come Tolstoj che diceva come al suo confronto 
                  Nietzsche fosse un «feuilletoniste civettuolo». 
                  O come Josef Dietzgen, un altro dimenticato, che lo ricorda 
                  ne Lessenza del lavoro mentale umano (Feltrinelli, 
                  Milano 1953). O come Karl Kraus, che, nella Terza notte di 
                  Valpurga (Editori Riuniti, Roma 1996) lo ricorda per una 
                  sua ironica offerta laddove dice che sarebbe disposto a pagare 
                  «qualcosa» per «sapere con esattezza per chi 
                  sono state in effetti compiute le azioni che si dice siano fatte 
                  per il bene della patria».  
                4. Il destino di Lichtenberg, 
                  allora, ignorato nella sua totalità, è stato quello 
                  di venir macellato lentamente e proposto nei pezzi e nei bocconi 
                  dellaforisma. Il mio primo contatto con il suo pensiero 
                  avvenne grazie a due libri piuttosto esigui: Osservazioni 
                  e pensieri (a cura di Nello Sàito, Einaudi, Torino 
                  1966) e Libretto di consolazione (a cura di Anacleto 
                  Verrecchia, Rizzoli, Milano 1981). Mi furono comunque sufficienti 
                  per rendermi conto dellentità di una ricchezza 
                  che, con minor fortuna, mi sarei perso. Oggi, finalmente, è 
                  in libreria Lo scandaglio dellanima, curato con 
                  passione e competenza da Verrecchia. Si tratta della più 
                  ampia scelta, dagli «scartafacci» e dalle lettere 
                  di Lichtenberg, mai pubblicata in italiano. Si tratta di unoccasione 
                  doro, se non di risarcimento, di ricostruire la storia 
                  di un pensiero oppositivo che, da un momento allaltro, 
                  può tornarci utile  considerando anche il fatto 
                  che Lichtenberg stesso sosteneva che i suoi «piccoli pensieri 
                  e abbozzi» aspettassero «non tanto lultima 
                  mano quanto piuttosto alcuni raggi di sole» che li facessero 
                  «germogliare».  
                  
                  Felice Accame 
                P.s.: A proposito di risarcimenti. Oggi a Gottinga 
                  cè una statua dedicata a Lichtenberg da un privato 
                  cittadino. È di bronzo riciclato. Dalla statua di dodici 
                  metri eretta in Tirana al comunista Enver Hoxha. Nei casi di 
                  bancarotta, si sa, i curatori fallimentari cercano di ricavare 
                  il più possibile da checchessia.  
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