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                 Tierra y libertad!  
                In un suo recente libro, Ignacio Paco 
                  Taibo II ricostruisce le tracce biografiche di alcuni militanti, 
                  dal nome oggi quasi sconosciuto, che in ogni angolo della terra 
                  dedicarono e offrirono la loro esistenza alla lotta per lemancipazione 
                  delle classi subalterne (Arcangeli, Milano, Il Saggiatore, 
                  1998). Da questa galleria, coinvolgente e affascinante, emerge 
                  il singolare, eroico ritratto di un rivoluzionario ormai dimenticato 
                  anche da molti dei più attenti conoscitori della storia 
                  dellanarchismo, il messicano, anarchico e magonero, 
                  Librado Rivera.  
                  Quella della rivoluzione messicana, la prima delle grandi rivoluzioni 
                  del ventesimo secolo, è una vicenda del tutto particolare, 
                  poiché in essa si incontrano e si intersecano elementi 
                  propri sia delle società latino americane che della cultura 
                  europea. Allinterno, infatti, delle tensioni che nascono 
                  da una abnorme estensione del latifondo, dalla impunita prepotenza 
                  dei vari dittatori, dalla disperata esistenza degli indios, 
                  paria fra i paria nel proletariato messicano, si innesta con 
                  forza un afflato rivoluzionario che, muovendo dalle ideologie 
                  legate al marxismo rivoluzionario e allanarchismo del 
                  vecchio continente, sa coniugare con feconda dialettica le caratteristiche 
                  del Messico con le strategie dei movimenti rivoluzionari dei 
                  paesi europei.  
                  Molto è stato scritto sulla rivoluzione messicana e sui 
                  suoi protagonisti, ma ben poco sappiamo sullapporto, affatto 
                  secondario, degli anarchici e dellanarchismo a quegli 
                  avvenimenti. Accanto a nomi famosi come quelli di Porfirio Diaz, 
                  Venustiano Carranza, Francisco Madero, Emiliano Zapata e Pancho 
                  Villa, troviamo infatti personaggi meno noti ma altrettanto 
                  importanti, soprattutto per il ruolo che rivestirono nella caratterizzazione 
                  proletaria e contadina di un movimento altrimenti sostenuto 
                  solo dalla borghesia liberale. Tra questi, la figura più 
                  significativa è sicuramente quella di Ricardo Flores 
                  Magon che, assieme al fratello Enrique, fu un punto di riferimento 
                  fondamentale per tutto il movimento rivoluzionario messicano. 
                  Partito da una impostazione legata a un liberalismo radicale 
                  e fortemente progressista, Magon finì poi con lapprodare, 
                  nellacutizzarsi dello scontro, allanarchismo, consapevole 
                  che a un popolo affamato di terra sulla quale vivere e lavorare, 
                  non si potevano offrire, per quanto preziose, solo le libertà 
                  borghesi. Da questa intuizione, e da questa elaborazione teorica, 
                  prese forma il Partido Liberal Mexicano, una organizzazione 
                  rivoluzionaria che si trasformerà, via via, da partito 
                  strutturato in senso borghese (e come tale sostenuto da una 
                  parte della borghesia illuminata) in organizzazione di lotta 
                  radicalmente rivoluzionaria, che avrà come grido di battaglia 
                  Tierra y Libertad, le parole ricamate sulle bandiere 
                  di Villa e Zapata.  
                  Lanarchismo messicano di quegli anni, ispirato alle parole 
                  e allazione di Flores Magon, fu ricco di personaggi di 
                  grande rilievo, capaci di apportare alla lotta in corso non 
                  solo il necessario bagaglio di idee, ma anche lesempio 
                  di una grande dirittura morale. Dirittura che non fu mai piegata 
                  dalle feroci persecuzioni a cui tutti quei militanti furono 
                  ripetutamente sottoposti. Se Flores Magon morì assassinato 
                  nel carcere nordamericano di Leavenworth, se Praxedis Guerrero 
                  cadde in combattimento contro le truppe governative, il nostro 
                  ritratto in piedi di questo mese, Librado Rivera, morto in seguito 
                  a un incidente stradale, non ebbe una fine altrettanto «eroica». 
                  Eppure la sua vita, il suo coraggio, la sua abnegazione, la 
                  sua dedizione alla causa del popolo messicano, non furono inferiori 
                  a quelle dei suoi compagni. E così le sue sofferenze. 
                  Meno conosciuto degli altri, Rivera è però personaggio 
                  di importanza fondamentale perché fu lui, morti i suoi 
                  maestri e compagni di lotta, il continuatore e lanimatore 
                  di quello spirito libertario che apparteneva, nella sua più 
                  intima essenza, a tutto il movimento rivoluzionario messicano. 
                  E fu lui, con la sua opera instancabile e con la sua inflessibile 
                  condotta, che impedì al nuovo governo messicano di appropriarsi, 
                  stravolgendola, della eredità morale di Flores Magon. 
                   
                  Le pagine nelle quali Taibo racconta la determinazione con la 
                  quale «il vecchio», uscito dal carcere in cui era 
                  morto Magon e rientrato in patria, continuò la sua opera 
                  di propaganda dellideale anarchico e di attacco allinvoluzione 
                  autoritaria che veniva assumendo la classe dirigente uscita 
                  dalla rivoluzione, formano un ritratto straordinario. E tanto 
                  più straordinario, quanto più questo Librado Rivera 
                  ci risulta sostanzialmente sconosciuto. Con la costanza dellintransigenza, 
                  con la lucidità della ragione, Rivera dedica gli ultimi 
                  suoi anni di «libertà» ad unopera di 
                  propaganda che, giorno dopo giorno, diventa sempre più 
                  intollerabile per il nuovo potere. Falliti tutti i tentativi, 
                  prima di addomesticarlo poi di comprarlo, saranno solo la repressione 
                  e, ancora, il carcere che ne limiteranno lazione. Ma non 
                  la volontà. Più volte sequestrato, torturato dai 
                  suoi stessi vecchi compagni di lotta, umiliato, ridotto in miseria, 
                  Librado Rivera continuerà, anche sul letto di morte, 
                  a mantenere quella ferma coerenza a cui tanto teneva, e che 
                  gli aveva reso così dura la vita. Ma anche così 
                  degna.  
                  Tutti i movimenti rivoluzionari annoverano personaggi quanto 
                  mai esemplari, le cui biografie comprendono mirabilmente in 
                  sé i valori che quegli stessi movimenti esprimono. E 
                  questo Arcangeli lo dimostra. Ma non è per spirito di 
                  parte che credo di poter affermare che il movimento anarchico 
                  in particolare ha saputo esprimere, in ogni continente ed in 
                  ogni epoca, tante figure luminose come quella di Librado Rivera. 
                  E altrettanto sconosciute anche a noi.  
                  
                  Massimo Ortalli 
                
                
                   
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                       Alcune 
                        informazioni bibliografiche  
                        Come già accennato, in italiano è uscito 
                        ben poco sul ruolo dellanarchismo nella rivoluzione 
                        messicana. Se si eccettuano alcuni brevi articoli usciti 
                        in occasione di ricorrenze particolari, o alcune citazioni 
                        in testi di carattere generale (ad es. nella cronologia 
                        che appare in D. Tarizzo, LAnarchia. Storia dei 
                        movimenti libertari nel mondo, Milano, Mondadori, 
                        1976), si possono citare solo due opere, entrambe di Pietro 
                        Ferrua, uscite in anni ormai lontani. Si tratta di Ricardo 
                        Flores Magon e la Rivoluzione Messicana, Catania, 
                        Anarchismo, s.d. (estratto dal n. 1 del 1975) e Gli 
                        anarchici nella Rivoluzione Messicana: Praxedis Guerrero, 
                        Ragusa, La Fiaccola, 1976, dai quali ho tratto alcuni 
                        brani qui presentati. Alla fine degli anni ottanta uscì, 
                        in Francia, un bel numero monografico della rivista «Itineraire», 
                        interamente dedicata ai fratelli Magon.  
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                Entusiasta 
                  ma perplesso  
                   di Pietro Ferrua 
                 
                Circa ventanni or sono, mi capitò fra le mani 
                  un libricino sbiadito edito a Città del Messico nel 1925. 
                  Il nome dellautore, Diego Abad de Santillan mi era assai 
                  noto, soprattutto per i suoi lavori di storiografia e bibliografia, 
                  non ché per la sua partecipazione eminente alla Rivoluzione 
                  Spagnola. Lopera era dedicata alla memoria di un anarchico 
                  messicano a me quasi sconosciuto. Fu quindi piuttosto il nome 
                  dellautore ad invogliarmi alla lettura. Debbo confessare 
                  che il contenuto mi entusiasmò ma mi lasciò alquanto 
                  perplesso. Non che dubitassi della fondatezza delle affermazioni 
                  del Santillan, ma temevo avesse un po esagerato limportanza 
                  del Magon, come pensatore e come rivoluzionario, mosso da un 
                  comprensibile spirito di partigianeria. La versione della Rivoluzione 
                  Messicana offertami dai manuali di storia (o dai corsi universitari) 
                  era ben altra.  
                  (...) nel 1968 potevo dedicare una prima conferenza agli anarchici 
                  nella rivoluzione Messicana, in un Teatro di Rio de Janeiro. 
                  Nel 1970, in una seconda conferenza per lUniversità 
                  dellOregon, potevo fare il punto e sostenere che non solo 
                  le affermazioni del Santillan nel suo schizzo biografico del 
                  1925 erano più che attendibili, ma che documenti venuti 
                  alla luce nel frattempo negli archivi giudiziari e diplomatici, 
                  aumentavano ancor più limportanza del nucleo di 
                  anarchici che avevano preparato e provocato lesplosione 
                  rivoluzionaria nel Messico dittatoriale di Porfirio Diaz.  
                  (...) Da allora, alternando la ricerca letteraria a quella storica, 
                  ebbi la fortuna di scovare molto materiale inedito e prezioso, 
                  consultando i documenti del Ministero della Giustizia, del Tribunale 
                  di Los Angeles, della Biblioteca Bancroft di Berkeley, degli 
                  Archivi Federali, ecc. I risultati di tali ricerche, in corso 
                  di elaborazione, faranno loggetto di vari volumi tendenti 
                  a dimostrare che agli anarchici che militavano attorno ai fratelli 
                  Magon, nelle file del Partito Liberale Messicano, spetta il 
                  merito di essere stati i primi a preparare, con proclami, scioperi 
                  e movimenti insurrezionali, la caduta della dittatura, oltre 
                  al fatto di essere lunico gruppo politico dotato di un 
                  programma rivoluzionario coerente e consistente. 
                 
                Tratto da: Pietro Ferrua, Ricardo Flores Magon e la Rivoluzione 
                  Messicana, Catania, 1975. 
                  
                Magon, 
                  un anarchico istruttivo 
                  di Pietro Ferrua  
                 
                Non era ancora avvenuto, nel continente americano, un caso 
                  di permanenza al potere come quello di Porfirio Diaz nel Messico, 
                  non era neppure mai stato architettato un regime così 
                  solido, dispotico ed autocratico come quello di questo lugubre 
                  personaggio.  
                  (...) Contro questa mostruosità antigiuridica e antisociale 
                  cominciarono ad agitarsi alcuni giovani, in maggioranza studenti, 
                  applauditi da gente del popolo, che si dedicarono allapostolato 
                  della stampa e della parola, benché tale risorsa fosse 
                  stata anchessa debilitata e sottomessa al capriccio dei 
                  giudici e allarbitrio poliziesco.  
                  (...) Come lievito permanente di tale agitazione apparvero sin 
                  dalla prima ora i fratelli Flores Magon, Ricardo, Jesus e il 
                  minore di loro, Enrique. Dopo molte frustrazioni, nel 1900 sorge 
                  il giornale Regeneración nella capitale messicana, 
                  dapprima apparentemente come organo di critica al sistema giudiziario 
                  imperante, ma presto attaccando apertamente il regime porfirista. 
                  Le persecuzioni raddoppiarono, i redattori di Regeneración 
                  trascorrevano lunghi periodi nelle prigioni e non si piegavano 
                  né deponevano le armi. Il porfirismo decise allora che 
                  i Flores Magon non dovevano scrivere in nessun giornale del 
                  Messico, la loro parola doveva essere messa a tacere. Jesus 
                  Flores Magon, in procinto di laurearsi in legge, giudicò 
                  sterile il sacrificio e si ritirò dalla lotta. Ricardo, 
                  con Librado Rivera, Santiago de la Hoz, Camilo Arriaga, Juan 
                  Sarabia e molti altri, la maggior parte dei quali erano incarcerati, 
                  decisero di continuare dallestero la guerra al porfinismo 
                  che ormai non potevano più condurre nel loro paese e, 
                  nel 1904, attraversarono come meglio potettero la frontiera 
                  messico-americana.  
                  (...) Ricardo Flores Magon e i suoi compagni riprendono la pubblicazione, 
                  nel paese dei bravi e dei liberi dellorgano 
                  Regeneración, riorganizzano il Partito Liberale 
                  Messicano, stabilirono nel 1908 un programma di imperiose rivendicazioni 
                  (i cui postulati vennero poi accolti nella Costituzione messicana 
                  del 1917) e propagano la rivoluzione mediane la propaganda e 
                  lesempio. Il giornale è perseguitato dalle autorità 
                  americane, dalle agenzie private di investigazione al soldo 
                  del governo del Messico, con la complicità del servizio 
                  postale, che permette il controllo e il registro della corrispondenza 
                  sospetta. Ricardo e compagni vanno da un processo allaltro, 
                  da una prigione allaltra, fin quando Ricardo muore nel 
                  penitenziario di Leavenworth, nel Kansas, verso la fine del 
                  1922.  
                  (...) Ricardo, che era un anarchico istintivo, non tardò 
                  a dichiararsi tale coi suoi amici intimi, senza tuttavia allontanarsi 
                  un millimetro dalla realtà insopportabile del suo popolo. 
                  La rivoluzione messicana fu incarnata in Ricardo come simbolo, 
                  dentro e fuori del Messico. Ma non era solo, lo assecondavano 
                  e contribuivano al suo sforzo gigantesco molti altri oltre al 
                  fratello Enrique, oltre a Librado Rivera, oltre ad una pleiade 
                  magnifica di combattenti, fra i quali Praxedis G. Guerrero. 
                 
                Tratto da: Pietro Ferrua, Gli anarchici nella Rivoluzione 
                  Messicana: Praxedis G. Guerrero, Ragusa, 1976. 
                  
                Liberado 
                  Rivera (1864-1932) 
                Una pioggia 
                  infinita  
                  di fiori rossi 
                  di Paco Ignacio Taibo II 
                Il vecchio guardò a terra come se volesse 
                  essere certo di trovarsi sul suolo messicano, quindi volse lo 
                  sguardo indietro, verso i due agenti nordamericani che lavevano 
                  condotto in manette da Fort Leavenworth e che ora si addentravano 
                  di nuovo negli Stati Uniti del Nordamerica. Aveva vinto una 
                  guerra. Sospirò e sorrise. Era stata una piccola guerra, 
                  personale, ostinata. Una minima soddisfazione allinterno 
                  di unenorme disfatta.  
                  A mente, compose il suo primo manifesto in territorio messicano: 
                  Manifesto per i lavoratori del mondo, due punti e a capo: Sono 
                  il traditore ergastolano di Leavenworth, punto e di seguito. 
                  Sono linsopportabile, virgola, il perturbatore dellordine, 
                  puntini di sospensione [...] vengo deportato per non tornare 
                  mai più. Apertura dinterrogativo (perché 
                  adesso le macchine da scrivere avranno il punto interrogativo 
                  iniziale: oppure no?), e con ciò, chiuso linterrogativo. 
                  Anche questo mi onora davanti a voi, punto. Esclamativo: Lottiamo, 
                  fratelli! Sono pronto ad aiutarvi a continuare lopera 
                  interrotta...  
                  Infatti di questo si trattava, riannodare, riprendere la guerra 
                  sociale. Questo pensiero gli aveva impedito di morire di tristezza 
                  quando assassinarono Ricardo. Questo pensiero laveva tenuto 
                  in vita.  
                  Il vecchio (è un vecchio questuomo che ha compiuto 
                  un paio di mesi fa soltanto cinquantanove anni?) sa di dover 
                  abbandonare le vecchie storie. Non sono brutte storie, certo, 
                  ma si devono abbandonare, lasciar riposare nelle notti di sogni 
                  di gloria e incubi. Sarebbe un peccato sciupare quel poco 
                  di vita che mi resta in contemplazioni e lamenti, dice 
                  a se stesso.  
                  Nemmeno io ritornerò su quelle vecchie storie per raccontarle, 
                  lo ha già fatto a suo tempo James D. Cockroft e lo farà 
                  presto il mio amico Jacinto Barrera. Il vecchio e io siamo qui, 
                  oggi, settantanni dopo, riuniti su questi documenti, per 
                  raccontare una storia che inizia quando a un uomo di cinquantanove 
                  anni, sdentato, minato dalla malattia (Esco trasformato 
                  in un relitto umano; ammalato, vecchio e ormai senza denti), 
                  due agenti di polizia nordamericani tolgono le manette e lo 
                  lasciano alla frontiera. La storia inizia quando Librado Rivera 
                  ritorna in Messico dopo diciotto anni di esilio di cui undici 
                  e mezzo passati nelle prigioni nordamericane. Quando Librado 
                  torna nel suo paese per vivere lultima grande avventura, 
                  per dare forma e contenuto allallucinante saga di cui 
                  sarà protagonista nei prossimi nove anni.  
                  (...) Nellagosto 1918 Librado Rivera e insieme a lui Ricardo 
                  Flores Magon furono condannati a quindici anni di reclusione 
                  per reati di stampa negli Stati Uniti del Nordamerica. Il loro 
                  Manifesto ai lavoratori del mondo fu il pretesto, allinterno 
                  di una tremenda ondata repressiva che colpì tutta la 
                  sinistra radicale nordamericana, per arrestare i due messicani 
                  e chiudere il periodico Regeneración. La loro 
                  detenzione emarginava, in modo molto opportuno, lala più 
                  radicale della sinistra rivoluzionaria messicana. Quattro anni 
                  dopo, sconfitto Pancho Villa, assassinato Emiliano Zapata, con 
                  il trionfo dei settori moderati, con la rivoluzione in corso 
                  di istituzionalizzazione, i parlamenti degli stati si fecero 
                  portavoce delle richieste operaie e fecero pressioni sul governo 
                  degli Stati Uniti perché liberasse i magonisti detenuti. 
                   
                  Nellaprile 1922 il parlamento dello Yucatán presentò 
                  unistanza alle autorità nordamericane e nellarco 
                  di due mesi si espressero nello stesso senso i parlamenti di 
                  San Luis Potosi, Durango, Sonora, Coahuila, Querétaro, 
                  Hidalgo, Aguascalientes e Messico. Alliniziativa ufficiale 
                  si aggiunsero migliaia di lettere di organizzazioni sindacali, 
                  spesso accompagnate da mobilitazioni, serrate e manifestazioni 
                  davanti ai consolati nordamericani in Messico. La pressione 
                  non fu sufficiente. Erano detenuti e per il momento tali sarebbero 
                  rimasti. Solo detenuti? Il 16 novembre 1922 Ricardo Flores Magon 
                  muore in circostanze molto strane. Il medico della prigione 
                  stende un certificato in cui attribuisce la morte a un attacco 
                  di angina. Librado Rivera è costretto a comunicare all 
                  esterno la notizia senza poter esprimere i suoi dubbi. Che sia 
                  morto per mancanza di cure mediche è evidente: ma non 
                  cè nientaltro? In carcere circola la voce 
                  che sia stato strangolato da un guardiano. Giorni dopo, un detenuto 
                  messicano uccide il presunto assassino. Tutto rientra nellombra. 
                  Si impedisce a Librado non solo di investigare, ma anche di 
                  informare lesterno (Mi rammarico di non poterti 
                  accennare a nulla che si riferisca al nostro comune fratello, 
                  non ho la libertà di farlo).  
                  (...) Di che cosa viveva Librado? Pare che trattenesse una piccola 
                  parte delle entrate del periodico per il suo lavoro di tipografo, 
                  ma questa non bastava nemmeno a coprire le minime spese della 
                  vita miserabile che conduceva. Pochi altri spiccioli gli provenivano 
                  dalla vendita di materiali del Gruppo Ricardo Flores Magon, 
                  che Nicolas T. Bernal gli faceva arrivare da Città del 
                  Messico. A sessantanni, Librado vendeva da ambulante, 
                  alle porte di fabbriche e officine, sulle barche che attraversavano 
                  il fiume per portare gli operai alle raffinerie, testi di Magon, 
                  di Reclus, di Praxedis Guerrero, biografie di Bakunin ...  
                  Limmagine del vecchio anarchico cominciò a diventare 
                  popolare in assemblee, scioperi, comizi ed eventi culturali. 
                  I suoi articoli, due o tre in ogni numero, comparivano nelle 
                  pagine di Sagitario e in Alba anarquica di Monterrey, 
                  in Horizonte libertario di Aguascalientes e in Nuestra 
                  Palabra Verbo rojo, che venivano pubblicati nel Distrito 
                  Federal.  
                  (...) Sono stato arrestato il 19 febbraio; mi hanno fatto 
                  uscire dalla cella di notte per portarmi negli uffici del generale 
                  Eulogio Ortiz, capo della guarnigione militare del porto di 
                  Tampico; mi è stato chiesto con tono autoritario:  
                  «Quindi lei è nemico del governo?»,  
                  «Di tutti i governi» ho risposto.  
                  Rivolto al suo segretario, quello ha ordinato perentoriamente: 
                   
                  Domani mi porti un verbale dettagliato sulle dichiarazioni 
                  di questo vecchio cornuto [...]  
                  La mattina del 20 sono stato nuovamente condotto negli uffici 
                  del generale Eulogio Ortiz che stava passeggiando nella sala 
                  tenendo in mano Avante. Mi ha dato una sedia e ha cominciato 
                  linterrogatorio.  
                  «Chi ha scritto questo articolo intitolato Attentato 
                  dinamitardo?»  
                  «Lho scritto io.»  
                  «Lo legga per ricordare bene quello che dice.»  
                  Dato che mi sono rifiutato di farlo, essendo ben sicuro del 
                  suo contenuto, il generale infuriato e rabbioso si è 
                  avventato su di me, dicendomi: «Attento, vecchio cornuto; 
                  adesso lei mi dice tutta la verità!» «Ogni 
                  volta che ho voluto dirla» gli ho risposto «lho 
                  detta, e la dirò sempre, anche se farlo mi costasse la 
                  vita.»  
                  Questo contraddittorio è finito con due pugni formidabili 
                  sulla mia faccia, e subito dopo, presa in mano una cintura di 
                  cuoio, ha assunto un atteggiamento minaccioso. «Perché 
                  porca puttana chiama parassita il presidente della Repubblica, 
                  vecchio cornuto?»  
                  La domanda fu accompagnata da forti cinghiate sulla testa.  
                  «Ritengo che il mio criterio nelluso di quella parola 
                  sia molto diverso dal suo. Io chiamo parassita colui che vive 
                  del lavoro altrui» gli ho risposto.  
                  «Allora anche lei è un parassita perché 
                  vive alle spalle di coloro che le inviano del denaro per pubblicare 
                  il suo giornale!» ha argomentato lo sbirro.  
                  «Non troverà nessuna somma di denaro destinata 
                  a me. I lavoratori che spediscono denaro per pubblicare il loro 
                  giornale lo fanno per amore delle idee e per contribuire alleducazione 
                  del popolo, al fine di diffondere e portare la luce nelle menti 
                  dei loro compagni sfruttati.»  
                  «Ebbene, portatemi la frusta per sistemare questo vecchio 
                  cornuto!» ha detto Ortiz a quelli che gli stavano intorno. 
                  Si presenta immediatamente un aiutante che porta un dizionario: 
                   
                  «Anarchia» dice «è lassenza di 
                  qualunque governo, disordine e confusione per mancanza di autorità.» 
                   
                  «Questa è la definizione degli scrittori borghesi, 
                  e non lanarchia che io diffondo su Avante, dove 
                  si vede lazione violenta dei governi confermata dai fatti. 
                  A ogni modo, desidero conoscere il nome di chi mi ha oltraggiato 
                  in modo così infame» ho replicato al generale Ortiz. 
                   
                  «Suo padre, cornuto» ha risposto lo sbirro.  
                  «Mio padre non era così bestia.»  
                  «Che cosa ha detto?»  
                  E si è scagliato su di me propinandomi varie frustate 
                  accompagnate da nuovi insulti.  
                  «E quale opinione ha dellesercito?» mi ha 
                  domandato.  
                  «Lesercito serve per sostenere i governi al potere.» 
                   
                  «Lesercito serve per difendere la patria e le sue 
                  istituzioni» ha detto Ortiz.  
                  «Lesercito, inoltre, è il piedistallo su 
                  cui poggia ogni tirannia e ritengo che i giudici che mi stanno 
                  giudicando ora siano i miei nemici più feroci.» 
                   
                  E siccome ho sentito che il sangue mi scorreva lungo le tempie, 
                  mi sono alzato indignato chiedendo al mio carnefice che mi uccidesse 
                  con un colpo di pistola, ma che non mi colpisse in modo così 
                  vile. E in un momento in cui non me laspettavo, quel mostro 
                  ha estratto il suo revolver e ha sparato un colpo. Per un attimo 
                  ho creduto di essere stato ferito alla testa, perché 
                  per lintontimento della sordità causata dal colpo 
                  non sentivo nulla. Ma passato qualche secondo ho capito che 
                  cercava solo di tormentarmi per provocare in me un qualche sintomo 
                  di vigliaccheria o di pentimento.  
                  (...) Il primo marzo 1932 Librado Rivera muore.  
                  Dopo nove anni di unallucinante guerra personale contro 
                  lo stato, una guerra vissuta molte volte in solitudine, allinterno 
                  di una cella, una guerra in cui la caparbietà e lo stile 
                  sono sempre state le sue armi migliori, Librado Rivera riposa. 
                   
                  Il 3 marzo esce lultimo numero di Paso!. Stampato 
                  anonimamente, riporta ancora sulla testata: Direttore 
                  Librado Rivera e il numero della sua casella postale nel 
                  DF, il 1563. Il periodico pubblica un solo articolo, Librado 
                  Rivera è morto, e invita gli operai di Città 
                  del Messico ad accompagnare il cadavere dal locale della Federacion 
                  de Trabajadores, ultima roccaforte dellanarcosindacalismo, 
                  fino al Panteon de Dolores. Larticolo termina con una 
                  frase il cui accento ricorda la lirica rossa dellepoca: 
                  Che sulla sua tomba cada una pioggia infinita di fiori 
                  rossi.  
                  Lultimo magonero esce di scena.  
                  Rimane il vuoto.  
                  Non esistono più uomini così. I migliori fra noi 
                  sono pallide ombre in confronto al vecchio Rivera.  
                  Almeno dovremmo coprire quella tomba, oggi scomparsa, quella 
                  tomba inesistente, con una pioggia infinita di fiori rossi. 
                   
                  Per fortuna rimane la storia.  
                  Per fortuna rimane la memoria.  
                   
                  Tratto da: Paco Ignacio Taibo II, Arcangeli, Milano, 
                  1998.  
                
                
                   
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