Carnevale a Gaza
sketch d'occasione
                  1.
non so più dove sia la Palestina: era
  nel cuore di tutti – ora non più, era
  nelle bocche di tutti che scesi in strada
  gridavano Palestina rossa! – ora non più, era
  nei kibbutz e nella mia vocetta di cucciolo, allora,
  che sussurrava Israele rosso, perché il comunismo
  se una volta c’è stato veramente nella vita
  fu nelle Comuni di socialisti e bundisti
  nel nord della Galilea cacciati dall’Europa verminosa – ora non 
  più, ora più solo restano i vermi, qui in Europa, vermi a norma 
  comunitaria, grassi d’usura
2.
non sono i crimini della premiata ditta degli 
  Imbianchini* riuniti Barak&Hamas a farmi
  scrivere, né gli ulivi in fiore sradicati,
  e nemmeno gli sfollati corsi a rifugiarsi in una scuola
  delle Nazioni Unite e centrati da un tank di Tsahal
– tutto questo mi 
  dà noia, come una mosca sullo
schermo del televisore che nemmeno schiaccio 
  ma
scaccio cortese perché cortesi noi aguzzini di pace
siamo, e lo sputo 
  di sangue da dentro lo schermo
non raggiunge le nostre bocche, né ci 
  sarebbe
posto, se mastico, se sazi nei doponatali
  vi ringraziano gli schiavi,**
  e resta lì a colare, lo sputo, la striscia grumosa che
non va via, da 
  dentro il cristallo d’una piatta
  superficie al plasma
3.
non sono le tregue violate, gli scarni 
  comunicati con cui segnalano il raggiungimento
  degli obiettivi del giorno che di volta in volta sono
  rampe di razzi di Hamas oppure
  tunnel per i rifornimenti d’armi oppure
  testoline di vecchi con i volti
  risucchiati in rughe-calanchi oppure
  macchioline di cinici bambini che s’ostinano
  a farsi massacrare da artigianali droni
  e da preistoriche fionde di F-16 oppure
  madri bambine d’infanti più grandi
  di loro, presto parlanti come Gesù nel Corano
  incoronati di stelle di schegge che nessuno estrae,
  regalità perenne – no, non è questo
4.
che mi fa parlare, e non è la procurata fame, 
  etterna maladetta fredda e greve
  come la pioggia nel canto sesto dell’Inferno,
  né il blocco che spranga e la giustizia
  che annienta a colpi di risoluzioni alla nuca
  le verità più infeste, fatte allineare inginocchiate
  e bendate, e infine non uccise ma, liberate e
  mandate in giro a chiedere la turpe carità alle
menzogne fattesi ovunque 
  Stato rabbioso
criminale, ovunque cerimonie di riti d’ecatombi
mutati 
  in ordinamenti ipermoderni di teocrazie
assassine o in costituzioni limpide 
  scritte da sniper
democratici
5.
a farmi scrivere è solo la speranza,
  etterna maladetta fredda e greve
  come la pioggia nel canto sesto dell’Inferno,
  ch’io possa nel tempo che mi rimane 
  vedere trascinati in strada tutti i Prìncipi incatenati
potenti i Prìncipi 
  potenti cuoi
  prìncipi unghie di marmo**
  di questo mondo tutto trascinati negli asfalti
  sdruciti o nella dura sabbia che si dirada al loro
puzzo già sfigurati 
  da una folla razionale e
prudente di testoline di vecchi senza volti
  macchioline di cinici bambini
  madri bambine di bambini già adulti
6.
che li acchiappi, la folla luminosa, e ne controlli
pulci e dentatura, come 
  a un Saddam scovato, poi
ne strappi le zampette ne sfili l’unghiette e 
  le bave
ne spacchi e l’alette con asce con spiedi con forconi,
e pinzette 
  falcette, poi l’attacchi con colla e saliva o
l’infilzi con spilli 
  negli album oppure che al culo gli
appenda petardi l’accenda e li lanci 
  trottanti col
pelo stradritto di qua e di là per le vie dei borghi
tra 
  l’allegria
  etterna sorridente desta e lieve
  della folla attenta a non sporcarsi
  l’abito della festa né i cellulari con cui riprende
  la scena dei notabili che picchiano con vanghe
  le teste delle statue giù nel fango speranti 
  mentecatte che finisca il Carnevale Maiale
7.
e questo vorrei accadesse a Gaza
  non lontano da Iosafat dove si riunirà
  il Carnevale Universale, 
  e che fosse l’Evento del secolo, con sponsor
  e inviati tv, così che dalle colline attorno con
binocoli non vedremmo 
  più la perfezione della
nostra avanzata ma il numero dei sovrani appesi 
  moltiplicarsi all’infinito: non più gli schiavi di
Spartaco ad 
  alberare vie ma i Prìncipi di tutti noi 
  e gli Imbianchini riuniti, tra roghi e sputi – così
  con la mia vocetta smentita, ora,
 grido!
 grido!
    grido!
    
      due popoli nessuno stato!
      due popoli nessuno stato!
      due popoli nessuno stato!
     con la mia vocetta lisa
      con la mia vita lisa
      con la mia illesa
      Vanità
                  
                  Gianluca Paciucci
                  * “Imbianchino”, così Brecht chiamava Hitler, pittore fallito. Questo vuol dire che Barak e Hamas sono nazisti? No, sono molto peggio, sono uomini d’oggi.
                  ** Questi versi sono tratti da “Ringraziamenti di Santo Stefano” di Franco Fortini.