Mentre scrivo, mancano 
                    pochi giorni allo svolgimento delle elezioni politiche in 
                    Germania. Le mie considerazioni, quindi, si basano sui dati 
                    che emergono dai sondaggi più aggiornati, la cui flessibilità, 
                    comunque, non è tale da lasciar prevedere significativi 
                    spostamenti di voto. Per sintetizzare, i dati degli analisti 
                    sono sostanzialmente i seguenti: la CDU-CSU di Angela Merkel 
                    non dovrebbe andare oltre il 40% dei suffragi, ai quali, ai 
                    fini della governabilità, vanno aggiunti i voti dei 
                    liberali, accreditati di un 6-7%; la SPD del Cancelliere uscente 
                    Schröder si attesterebbe tra il 29 e il 30%, la nuova 
                    sinistra di Lafontaine e Gysi godrebbe del 10-12% dei suffragi. 
                    
                    Se tali sondaggi risulteranno vicini all’esito reale 
                    del voto del 18 settembre, il problema della governabilità 
                    del sistema Germania sarebbe di difficile soluzione. La squadra 
                    dei ministri anticipata dalla Merkel nell’ipotesi, peraltro 
                    assai probabile, di una sua vittoria elettorale è di 
                    quelle che non lasciano margini ai futuri indirizzi di governo. 
                    
                    Agli Interni andrebbe Günther Beckstein, bavarese, considerato 
                    un uomo dal pugno di ferro, insofferente nei riguardi di ogni 
                    manifestazione di pensiero e di mobilitazione che contestino 
                    il così detto “ordine costituito”. Non 
                    è tenero con gli immigrati ed è stato uno dei 
                    maggiori oppositori dell’ingresso della Turchia nell’UE. 
                    Al governo dell’economia andrebbe Paul Kirchhof, meglio 
                    conosciuto come “il rambo delle imposte”, la cui 
                    riforma del sistema fiscale si ridurrebbe alla semplificazione 
                    del prelievo in due grandi categorie di contribuenti: quella 
                    al di sotto dei 20.000 euro annui, che verrebbe tassata dal 
                    15 al 20%; l’altra, al 25% secco così, sia che 
                    si guadagnino 20.000 + 1 euro, sia che si percepiscano 20 
                    milioni di euro l’anno, tutti avranno un’imposizione 
                    del 25%. 
                    È la semplificazione del sistema fiscale vagheggiata 
                    anche da noi dai liberal-liberisti, ai quali stanno a cuore 
                    le sorti dei ricchi, che si vorrebbero sempre più ricchi, 
                    a scapito dei redditi da lavoro. 
                    Naturalmente queste misure sarebbero farcite da dichiarazioni 
                    a favore delle famiglie e dei più poveri, ma la sostanza 
                    resta quella di un sistema che non consentirebbe più 
                    margini di sostegno per uno stato sociale, che, in effetti, 
                    come da noi, si vuole smantellare. 
                    Altra misura in programma sarebbe l’aumento dell’IVA 
                    dal 16 al 18 %; agli Esteri andrebbe Wolfgang Schäuble, 
                    numero due di Angela Merkel, il cui programma è molto 
                    vago: pare voglia contribuire a diminuire la conflittualità 
                    all’interno della UE e stabilire più stretti 
                    rapporti con gli USA: bei progetti che andranno poi sottoposti 
                    a verifica nel concreto dei comportamenti specifici; resta,infine, 
                    un mistero il destino (e le ambizioni) del leader bavarese 
                    della CSU, Edmund Stoiber, autore di clamorose gaffe contro 
                    i tedeschi dell’est, che, secondo lui, sarebbero “frustrati” 
                    indegnamente chiamati a decidere delle sorti dell’intera 
                    Germania. 
                    Ha dichiarato che si renderà disponibile a ricoprire 
                    un ruolo nel prossimo governo della Merkel solo dopo l’esito 
                    delle elezioni: può darsi che voglia a quel punto proporsi 
                    addirittura come alternativa alla leadership della Merkel. 
                    
                    Questi sono, quindi, i numeri e gli uomini che supporteranno 
                    Angela Merkel nella conquista del cancellierato e nella gestione 
                    della Germania per la prossima legislatura. Il problema che, 
                    come dicevamo, incombe è adesso quello della reale 
                    governabilità. 
                    Se il quadro dei suffragi elettorali sarà realmente 
                    quello prefigurato dai sondaggi, una maggioranza parlamentare 
                    andrà contrattata e, in questo caso, l’unico 
                    interlocutore della Merkel non può che essere l’SPD 
                    del Cancelliere uscente Schröder, perché a destra 
                    della CDU-CSU non c’è nulla e, a meno di grosse 
                    sorprese, dalle elezioni non dovrebbe emergere alcuna forza 
                    politica che riesca a superare lo sbarramento del 5% stabilito 
                    per accedere alle istituzioni parlamentari. 
                    D’altra parte, la nuova sinistra e i verdi sono lontani 
                    anni luce dalle linee programmatiche enunciate dalla Merkel. 
                    
                    Resta quindi l’ipotesi, insistentemente prospettata 
                    anche dalla stampa moderata, di una Grande Coalizione che 
                    veda i democristiani uniti ai socialdemocratici per tentare 
                    il varo di un governo coeso, che riesca a guidare la Germania 
                    in una transizione difficile, e della politica economica e 
                    dei rapporti internazionali. 
                   Una 
                    intensa espressione di Angela Merkel
 Una 
                    intensa espressione di Angela Merkel
                    Espulsione senza alternative
 
                    Espulsione senza alternative 
                  La Germania soffre attualmente di una disoccupazione pari 
                    all’11,5% della sua forza lavoro. Si tratta di oltre 
                    cinque milioni di lavoratori, in maggioranza allocati nell’est 
                    del Paese, i quali non solo sono privi di lavoro, ma con scarse 
                    possibilità di trovarlo nel prossimo futuro. Anche 
                    la Germania, naturalmente, subisce quel processo, che è 
                    generale nell’Occidente industrializzato, di un aggiornamento 
                    tecnologico, che espelle risorse umane senza offrire alternative, 
                    e di una concorrenza spietata che cancella i soggetti più 
                    deboli. Si calcola che ogni anno circa quarantamila imprese 
                    siano costrette a portare i libri contabili in Tribunale, 
                    per l’incapacità di reggere il confronto col 
                    mercato. 
                    Ad aggravare il contesto, c’è la profonda disparità 
                    delle condizioni economico-produttive tra le due Germanie, 
                    quella dell’Est, che deve recuperare un gap di sviluppo 
                    risalente alla gestione del governo comunista e terminata 
                    solo nel 1989 con la caduta del Muro; e l’altra, quella 
                    dell’Ovest, che ha viceversa goduto in pieno – 
                    e di cui, per molti versi, è stata protagonista – 
                    dell’epoca del benessere generalizzato che ha caratterizzato 
                    l’Occidente dagli anni Sessanta agli anni Novanta, salvo 
                    alcune parentesi buie poi superate. 
                    A rendere difficile il raggiungimento di un equilibrio, che 
                    non faccia gravare sull’Ovest del Paese tutto il peso 
                    di una ristrutturazione del sistema produttivo dell’Est, 
                    c’è il mutamento profondo della fase internazionale, 
                    che, intanto, non è più in grado di reggere 
                    l’accelerazione impressa allo sviluppo nel trentennio 
                    sopra ricordato, poi ha costretto i singoli Stati europei 
                    a impiegare risorse per tenere in ordine i conti di una spesa 
                    corrente e di un disavanzo pubblico crescenti. C’è 
                    – e non soltanto in Germania – l’illusione 
                    di poter superare le difficoltà erodendo quello che 
                    comunemente va definito lo stato sociale. Si tratta di un 
                    calcolo miope perché queste fasi difficili dell’economia 
                    di un paese possono essere superate se, accanto a misure che 
                    riescono a razionalizzare la spesa, si allarga la base dei 
                    consumi. Non è quindi togliendo risorse al mondo del 
                    lavoro, ai pensionati o a quanti non possono soddisfare esigenze 
                    vitali; non è riducendo le salvaguardie sociali, l’assistenza 
                    sanitaria, l’efficienza dei servizi di assistenza, non 
                    è azzerando queste voci che si può venire a 
                    capo dell’intricato problema dell’equilibrio dei 
                    bilanci. 
                    Occorrono ben altre misure, che limitino lo strapotere delle 
                    diverse lobby, che regolino l’esercizio del credito, 
                    impedendo la costituzione di capitali di rapina che alterano 
                    i mercati e soffocano lo sviluppo. Occorrono misure di lungo 
                    periodo per rilanciare la ricerca, creare infrastrutture, 
                    aggiornare il patrimonio produttivo e sottrarlo ai giochi 
                    tutt’altro che trasparenti della politica di corto respiro. 
                    
                    Serve, insomma, una visione strategica in grado di prefigurare 
                    gli scenari futuri, visione che è offuscata da una 
                    dinamica del capitalismo, che, nel suo stadio attuale di accumulazione 
                    fine a se stessa, non riesce a trarsi fuori dall’impasse 
                    in cui si è cacciata se non con l’espediente 
                    della produzione bellica e di una politica imperialistica 
                    priva assolutamente di ogni fondamento. 
                   Chissà 
                    cosa avranno da brindare Schröder e Chirac
 Chissà 
                    cosa avranno da brindare Schröder e Chirac
                   Stanco pachiderma
 
                    Stanco pachiderma 
                  Bene, questi nodi vengono al pettine nel più ristretto 
                    ambito della politica del futuro governo di Angela Merkel. 
                    Le sue ricette per governare sono più o meno quelle 
                    di un capitalismo temperato da tracce di un liberalismo sociale 
                    difficilmente sopprimibile nel quadro di una consolidata tradizione 
                    tedesca. 
                    Adesso occorrerà aspettare la risposta della SPD, sempre 
                    che dai democristiani venga la proposta di una cogestione 
                    del potere. Si lascerà coinvolgere in un’operazione 
                    che contraddice alcuni fondamenti del pensiero socialdemocratico? 
                    Come potranno convivere le posizioni di un Fischer con quelle 
                    di Schäuble? L’avvicinamento all’America 
                    di Bush, inscritto nel programma di quest’ultimo, è 
                    in netto contrasto con la politica socialdemocratica che certamente 
                    non vuol sottrarsi al confronto con gli americani, ma salvaguardando 
                    la prospettiva di un’Europa che rivendichi un ruolo 
                    autonomo nel consesso dei popoli e si proponga come alternativa 
                    credibile alla politica di potenza e neocolonialista dei neocon 
                    d’oltre Oceano. Su questo terreno lo scontro è 
                    duro anche oltre le apparenze di prospettive mediatrici avanzate 
                    dal ministro ombra democristiano. Si tratta di alterare equilibri 
                    faticosamente raggiunti dalla comunità europea dopo 
                    la tragica avventura irachena. Si tratta anche della ricerca 
                    di un ruolo nei futuri assetti di un pianeta che marcia inesorabilmente 
                    e con paura verso uno scontro non incruento tra potenze emergenti 
                    (asiatiche), i poveri della terra alla ricerca di riscatto 
                    (Africa ed America Latina) e lo stanco pachiderma dell’occidente 
                    industrializzato. 
                    Per non essere irrevocabilmente coinvolta nel declino, l’Europa 
                    ha bisogno di ricorrere a tutte le sue risorse di intelligenza 
                    e, soprattutto, di cultura. Ha bisogno di mettere ordine al 
                    suo interno, prima di tutto. Un panorama europeo in cui prevalgano 
                    l’incultura della destra, la sua miopia politica, il 
                    suo revanchismo demenziale è proprio il panorama che 
                    occorre esorcizzare. E la vittoria della Merkel in Germania 
                    non va purtroppo in questa direzione.