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 • 25 aprile 1945. I partigiani delle brigate anarchiche 
                  «Bruzzi-Malatesta» occupano la sede della RAI, allora 
                  EIAR, in corso Sempione a Milano. La Resistenza si fa Liberazione. 
                  O quantomeno così si pensa.  • Gli anarchici e la Resistenza. C’entrano, dunque? 
                  C’entrano eccome! C’entrano da molto prima della 
                  guerriglia partigiana del ’43-’45. C’entrano 
                  fin dal 1920, prima ancora che lo squadrismo si facesse governo 
                  e poi regime. Gli anarchici erano, all’epoca, una componente 
                  importante del movimento operaio. Il loro quotidiano, «Umanità 
                  Nova», tirava cinquantamila copie, non molto meno del 
                  socialista «l’Avanti» e del «Corriere 
                  della Sera». Influenzavano in modo determinante l’Unione 
                  Sindacale Italiana, che aveva centinaia di migliaia di iscritti 
                  ed il cui segretario era per l’appunto un anarchico, Armando 
                  Borghi. E anarchici erano molti leader sindacali dei marittimi, 
                  dei ferrovieri, dei metalmeccanici, dei braccianti.  • Nulla da stupirsi se gli anarchici hanno resistito 
                  o, meglio, se si sono attivamente opposti al fascismo fin dalle 
                  sue prime manifestazioni. Erano incompatibili. Libertari per 
                  definizione gli anarchici. Autoritario il fascismo. Egualitari 
                  gli anarchici, disegualitario e gerarchico il fascismo. Rivoluzionari 
                  gli anarchici, contro-rivoluzionario il fascismo. Gli anarchici: 
                  «Né servi né padroni». Il fascismo 
                  strumento di vecchi e nuovi padroni, ideologia di una servitù 
                  di massa.  • Gli anarchici resistono anche con le armi in pugno 
                  alla resistibile ascesa del fascismo. Gli Arditi del Popolo, 
                  ex combattenti organizzati per l’autodifesa popolare, 
                  sono essenzialmente appoggiati da anarchici e socialisti «massimalisti» 
                  e osteggiati ufficialmente dai partiti socialista e comunista. 
                  Gli Arditi si oppongono al terrorismo squadrista, spesso spalleggiato 
                  dai carabinieri. E più di una volta mettono in fuga carabinieri 
                  e fascisti. Come a Sarzana nel ’21. Come, sempre nel ’21, 
                  a Parma. A Parma l’insurrezione popolare contro i fascisti 
                  alza le barricate. Su una barricata, tenuta dagli anarchici, 
                  c’è anche un giovanotto di Carrara, Ugo Mazzucchelli, 
                  che ritroveremo vent’anni dopo a capo di una delle formazioni 
                  partigiane anarchiche. Non è l’unico nome che ritorna, 
                  in questa storia.  • Durante il ventennio continua senza tregua la lotta 
                  antifascista degli anarchici. Sia in Italia sia all’estero, 
                  in Francia soprattutto, dove emigrano a migliaia, per sfuggire 
                  alla repressione. In Italia testimonia della resistenza anarchica 
                  il numero dei loro confinati, ben superiore ai dati ufficiali 
                  perchè i tribunali fascisti tendono a etichettare gli 
                  anarchici come «comunisti».I libertari sono stati 
                  da un quarto ad un terzo di tutti gli antifascisti passati per 
                  il confino. Significativamente, gli anarchici non vennero mai 
                  ufficialmente liberati dal confino. Neanche dal governo Badoglio. 
                  Dal confino vennero dapprima liberati, nel luglio ’43, 
                  i «moderati», poi i socialisti e i comunisti. I 
                  più cattivi, gli anarchici, per lo più segregati 
                  nell’isola di Ventotene, vengono trasferiti nel campo 
                  di concentramento di Renicci d’Anghiari, in provincia 
                  di Arezzo, dove erano rinchiusi i prigionieri di guerra slavi 
                  e albanesi. L’otto settembre, tuttavia, i carcerieri se 
                  la squagliano e anche gli anarchici sono liberi. Direttore delle 
                  guardie a Ventotene è un certo Marcello Guida. Un’altro 
                  nome che ritorna. Nel dicembre 1969 è questore di Milano. 
                  È lui che, mentendo, dichiara suicida il defenestrato 
                  Giuseppe Pinelli.  • Testimonianza della lotta antifascista degli anarchici 
                  in Italia è anche la serie di attentati – purtroppo 
                  falliti – al «Duce». Anteo Zamboni, Michele 
                  Schirru, Angelo Sbardellotto, Gino Lucetti… Tutti uccisi. 
                  Lucetti era un giovane carrarino. Da lui prese nome la prima 
                  formazione partigiana libertaria attiva a Carrara.  • Anche nell’esilio i «fuoriusciti» 
                  anarchici continuano la lotta contro il fascismo, soprattutto 
                  a sostegno finanziario e logistico della resistenza interna. 
                  Ma è anche di straordinario rilievo la partecipazione 
                  di centinaia di esuli libertari italiani alla Guerra Civile 
                  spagnola del 1936. Tra i primi, con la colonna Rosselli, ad 
                  accorrere al richiamo della Rivoluzione sociale e della solidarietà 
                  internazionale antifascista.  • Nell’estate – autunno del ‘43 si 
                  formano in Alta Italia le prime formazioni partigiane contro 
                  i tedeschi e i loro alleati fascisti della Repubblica di Salò. 
                  È l’inizio della Resistenza intesa in senso stretto. 
                  Una parte degli anarchici italiani, una parte minoritaria ma 
                  consistente, non vi partecipa. Alcuni perchè non-violenti, 
                  altri perchè non vogliono partecipare come comparse a 
                  quella che ritengono una guerra tra potenze imperialistiche, 
                  altri ancora perché nutrono un’estrema diffidenza 
                  nei confronti di Fronti popolari e di formazioni militari a 
                  egemonia comunista, dopo la drammatica esperienza spagnola ed 
                  il suo scontro fratricida tra antifascisti.  • Al contrario, molti anarchici partecipano attivamente 
                  alla lotta partigiana, sia sulle montagne sia nelle città. 
                  Sono migliaia, ma per lo più in ordine sparso. Cioè 
                  in modo non coordinato, sia per oggettive difficoltà 
                  logistiche (dietro di loro non c’erano né gli Anglo-americani 
                  né l’Unione Sovietica) sia per divergenze di opinioni 
                  sulla strategia. Per la maggior parte gli anarchici aderiscono 
                  individualmente o in piccoli gruppi alle formazioni partigiane 
                  che facevano capo ai vari settori dell’antifascismo di 
                  sinistra: Partito socialista, Partito comunista, Partito Repubblicano, 
                  Giustizia e Libertà. Soprattutto confluiscono nelle Brigate 
                  Garibaldi, di cui alcuni anarchici furono, un po’ paradossalmente, 
                  comandanti. Ad esempio: Italo Cristofoli, detto «Aso», in Carnia, 
                  dove il primo nucleo della Garibaldi fu proprio costituito da 
                  anarchici di Prato Carnico. Aso è morto nel ’44, 
                  nel corso di un’azione partigiana contro le truppe tedesche. 
                  Un’altro esempio: Emilio Canzi, a Piacenza. Canzi è 
                  morto in uno strano incidente automobilistico qualche giorno 
                  dopo la Liberazione. E poi, Cesare Fuochi, curiosamente commissario 
                  politico a Imola.
  • Un caso a parte è la formazione «Silvano 
                  Fedi» di Pistoia, formazione autonoma e non caratterizzata 
                  politicamente in modo esplicito ma costituita in gran parte 
                  da libertari. La Fedi, che prendeva nome dall’anarchico 
                  Silvano Fedi, morto nel ’44 in un agguato dai risvolti 
                  non ancora chiariti, è la prima formazione partigiana 
                  ad entrare in Pistoia liberata.  • Ci furono, poi, due casi notevoli di formazioni partigiane 
                  dichiaratamente libertarie, seppure inquadrate in più 
                  ampie formazioni non-anarchiche.  • Un caso è quello di Carrara, dove le formazioni 
                  anarchiche (prima la «Lucetti», poi la «Schirru» 
                  e la «Elio») operano nell’ambito delle «Garibaldi», 
                  seppure con notevole autonomia. Sono le formazioni predominanti 
                  in Carrara e sulle Apuane. Principale esponente è quell’Ugo 
                  Mazzucchelli che già abbiamo visto sulle barricate di 
                  Parma.. Le formazioni libertarie carrarine non organizzano solo 
                  la Resistenza contro il nazi-fascismo, ma anche – prima 
                  e dopo la Liberazione – le strutture civili ed economiche 
                  di base.  
 Tessera di appartenenza della 
                  staffetta partigiana Giuseppe Pinelli, all'epoca sedicenne • L’altro caso notevole è quello di Milano. 
                  Qui si formano ed operano le Brigate «Bruzzi-Malatesta», 
                  inquadrate nelle formazioni socialiste Matteotti. Malatesta 
                  è ovviamente il più famoso anarchico italiano, 
                  morto al domicilio coatto nel 1932. Pietro Bruzzi è un 
                  anarchico milanese, già volontario in Spagna, fucilato 
                  dai tedeschi nel ‘44. Le brigate Bruzzi-Malatesta, forti 
                  di un paio di centinaia di combattenti, operano sia a Milano 
                  sia nel Pavese sia nelle valli bresciane. Hanno un ruolo di 
                  rilievo in diverse clamorose azioni partigiane, come la liberazione 
                  dei prigionieri di Villa Triste, centro di detenzione e tortura 
                  della famigerata «banda Koch», talmente crudele 
                  da essere invisa perfino a tedeschi e repubblichini. Nel frattempo si organizzano anche scioperi nelle fabbriche 
                  cittadine.
 Il 25 aprile del ’45 le Bruzzi-Malatesta occupano le fabbriche 
                  Carlo Erba, per impedirne la distruzione da parte dei tedeschi 
                  in fuga; prendono sotto controllo il raggio politico del carcere 
                  de S. Vittore e partecipano all’occupazione dell’EIAR 
                  (la RAI di oggi) in corso Sempione.
 Anche Giuseppe Pinelli, allora sedicenne, fa parte, come staffetta 
                  partigiana, delle Bruzzi-Malatesta. Ventiquattro anni dopo... 
                  Vi ricordate il 15 dicembre del ’69? Vi ricordate del 
                  prefetto Marcello Guida? Il fascismo non è finito nel 
                  ’45.
 
                  
                    | Gli 
                        anarchici nella Resistenza 1943 – 1945  
 (VHS, 
                        colore, 42 minuti, 14,00 Euro)  Quando 
                        nella primavera del 1945 l’insurrezione dilaga in 
                        tutto il Nord Italia, gli anarchici, già protagonisti 
                        nei primi anni Venti della resistenza popolare a uno squadrismo 
                        che sta per farsi regime, poi del confino, del «fuoriuscitismo» 
                        e della tragica esperienza della rivoluzione spagnola, 
                        sono ancora una volta armi in pugno contro il fascismo. 
                        Dopo l’8 settembre 1943 in tutto il centro-nord 
                        si costituiscono le prime bande, poi diventate formazioni 
                        autonome in alcune aree o parte integrante delle organizzazioni 
                        militari costituite dalle varie forze antifasciste: Brigate 
                        Garibaldi, Matteotti, Giustizia e Libertà… 
                        Questo ventennio di resistenza, che parte dagli Arditi 
                        del Popolo e arriva a quei partigiani che non si sono 
                        fermati il 25 aprile 1945, viene così raccontato 
                        attraverso immagini e filmati d’epoca (come un comizio 
                        di Errico Malatesta del 1920 o l’entrata dei partigiani 
                        a Milano nell’aprile 1945) e attraverso le testimonianze 
                        originali di partigiani anarchici attivi in diverse regioni 
                        del Nord Italia. Un racconto collettivo da cui emerge 
                        chiara la passione che ha mosso questi uomini e queste 
                        donne, per i quali la lotta partigiana era vissuta non 
                        come una semplice opposizione armata a un regime liberticida 
                        ma come l’inizio di una rivoluzione sociale.
 La 
                        videocassetta è ancora disponibile e la si può 
                        richiedere tramite c/c postale n. 14039200 intestato al 
                        Centro Studi Libertari, C.P. 17005, 20170 Milano |  |