|  Non ci siamo – e me ne faccio una colpa! – 
                  ancora trovati a parlare, in questa rubrica, di cantanti donne, 
                  che pure non sono né poche né poco significative, 
                  fra i personaggi che c’interessano… me ne assumo 
                  la colpa e sono molto contento d’iniziare a riparare parlando 
                  di un personaggio che mi è carissimo:
 L’amica: Anne Sylvestre, l’antidiva L’atmosfera è sempre delle migliori. Fiducia e commozione sono già presenti in fila per entrare 
                  a vedere lo spettacolo di Anne Sylvestre.
 Un pubblico fedele, appassionato, ma lontanissimo da ogni percezione 
                  divistica del cantante che sarà in scena di lì 
                  a poco. Col pubblico di Anne si entra in una forma, poco frequentata, 
                  ma che ho sempre auspicato, dei possibili rapporti fra artista 
                  e spettatore: un legame di complicità, d’amore. 
                  La familiarità degli amici.
 Un’attesa senza tremolo e ansia precede il levarsi del 
                  sipario. E lei entra. Non si manifesta, né appare: semplicemente 
                  si fa avanti sulla scena e canta.
 Con semplicità raccolta, con emozione evidente, con una 
                  commozione che non deborda nella teatralità…con 
                  vera e sacrosanta rabbia, qualche volta, ma con una rabbia tutta 
                  contenuta e sincera e dolorosa, non interpretata per un pubblico: 
                  un’incazzatura per le storture di un mondo ancora saldamente 
                  attaccato alle sue guerre, alla sua violenza, al suo amore della 
                  morte.
 E sì che Anne Sylvestre le carte in regola per essere 
                  un’artista mitica ce le avrebbe tutte. Quarantacinque 
                  anni di palcoscenico, figura di riferimento assoluta per tutte 
                  le lotte di rivendicazione in qualche modo legate al movimento 
                  femminile dalla fine degli anni sessanta in poi, creatrice del 
                  modello di canzone per bambini in Francia (le sue “fabulettes”, 
                  un successo intramontabile, ammontano a una dozzina di dischi!), 
                  soprattutto penna finissima di scrittrice di versi cantati.
 Lionese per nascita, la nostra debuttò nel 1957 a Parigi, 
                  nel mitico cabaret “La Colombe”, lo stesso in cui 
                  nei medesimi anni debuttavano Ferrat, Perret o Guy Beart. La 
                  stima della critica si fece subito sentire alla sua maniera 
                  noiosa, affibiandole la definizione di “Brassens in gonnella”, 
                  definizione sicuramente lusinghiera, ma anche, come tutti i 
                  paragoni apodittici, poco vera e poco interessante. “Ti 
                  divertirebbe sentirti definire un Anne Sylvestre barbuto?” 
                  dice lei oggi, in memoria di quest’etichetta da cui si 
                  è staccata con grande fatica.
 Di Brassens senz’altro la Sylvestre possiede certo gusto 
                  per il rigore formale nella versificazione, come pure un amore 
                  per un linguaggio tinto di medievaleggiante desuetudine, ma 
                  al perfetto opposto del grande Sètois, lei ha 
                  manifestato nel corso degli anni un sempre più pressante 
                  interesse per i grandi temi civili e d’attualità: 
                  se in effetti, alle sue origini, abbondavano le ambientazioni 
                  arcadiche e le pastorelle in sabot, seppur trattate 
                  sempre con pennellate affatto stucchevoli, ecco che, fatto il 
                  suo apprendistato, Anne si volse ai temi, via via più 
                  scabrosi, della descrizione delle condizioni femminili, del 
                  rifiuto della guerra, delle scelte di libertà in amore, 
                  del divorzio, dell’aborto, fino a giungere a quel capolavoro 
                  di poesia e rivendicazione che è
 Una 
                  strega come le altre  Per favore, 
                  prova ad essere una piuma Sii come la piuma d’oca dei cuscini d’un tempo
 Non vorrei più essere il facchino
 Per favore fatti leggero, io non posso più andare avanti
 Ti ho portato 
                  vivo, ti ho portato bambino Dio, quant’eri pesante con tutto il tuo peso d’amore
 Ti ho portato ancora nell’ora della tua morte
 Ti ho portato i fiori, e il mio cuore fatto a pezzi
 Quando giocavi 
                  a far la guerra, io badavo alla casa Ho consumato con le preghiere le sbarre della tua prigione
 Quando morivi sotto le bombe ti cercavo urlando
 Eccomi come una tomba con tutto il dolore dentro
 Ed ero io
 Lei o io
 Quella che parla o che tace
 Quella che piange o è felice
 È Giovanna D’Arco o la Margot
 Figlia del mare o della fontana
 Ed è il mio cuore
 O forse il loro
 È la sorella o la sconosciuta
 È quella che non è venuta
 Quella che è arrivata tardi
 Donna dei sogni o del caso
 Ed è mia madre
 O la tua
 Una strega come le altre.
 Dovresti 
                  essere come il ruscello Come l’acqua chiara dello stagno
 Che riflette e aspetta
 Per favore guardami: io sono vera
 Per favore non inventarmi come hai già fatto troppe volte.
 Mi hai amata come serva, mi hai voluto ignorante
 Debole, mi disprezzavi, forte, mi combattevi
 Mi hai amata come puttana e coperta di gioielli
 Mi hai scolpito come una statua per avermi silenziosa.
 Quand’ero 
                  vecchia e brutta mi gettavi fra i rifiuti Mi rifiutavi la mano quando non servivo più
 Quend’ero bella e sottomessa, mi adoravi in ginocchio
 Eccomi come una chiesa con tutta la vergogna dentro
 Ed ero io
 Lei o io
 Quella che ama o che ti ignora
 Quella che regna o che si batte
 È Josephine o la Dupont
 Nata dalla conchiglia o nel cotone
 Ed è il mio cuore
 O forse il loro
 Quella che aspetta stando in porto
 Quella del monumento ai caduti
 Quella che danza fino a morire
 Donna di strada o figlia dei fiori
 Ed è mia madre
 O la tua
 Una strega come le altre.
 Per favore, 
                  che tu sia come ti ho sognato da tanto tempo Libero e forte come il vento
 Libero, certo, guardami io sono libera
 Imparami non aver paura
 Io ti conosco a memoria
 Ero quella 
                  che aspettava, ma posso camminare davanti Ero il ciocco e il fuoco, l’incendio se mi vuoi
 Ero la dea madre, ma non ero che polvere
 Ero il suolo sotto il tuo passo e non lo sapevo ancora
 Ma un giorno la terra si apre e il vulcano non ne può 
                  più
 Il suolo rompendosi scopre ricchezze sconosciute
 Il mare a sua volta esplode di violenza insospettata
 Eccomi come l’onda che non ti vuole annegare
 E sono io
 Lei o io
 È la nonna o la bambina, quella che cede o che resiste
 È Gabriella o Eva, ragazza in amore o in guerra
 Ed è il mio cuore
 O forse il loro
 Quella che vive la sua primavera, quella che nessuno più 
                  aspetta
 È la brutta o la bella, ragazza di bruma o cielo chiaro
 Ed è mia madre
 O la tua
 Una strega come le altre (1974).
 Un certo tono trobadorico persiste effettivamente nelle sue 
                  corde, ma proprio questo tono, in origine percepito come un 
                  limite, fa della Sylvestre ben più che una cantante 
                  impegnata, e il distacco del c’era una volta 
                  colloca in una dimensione atemporale anche canzoni come Non, 
                  tu n’a pas de nom, scritta e cantata, con un notevolissimo 
                  coraggio, nel 1969, quindi diversi anni prima della legge sull’aborto. 
                  Tale canzone potrebbe apparire oggi, per fortuna, superata dagli 
                  eventi, invece proprio la profondità poetica fa, di questa 
                  straziante ninna nanna, un grande testo di libertà e 
                  d’amore.  …È 
                  una battaglia sfinita Che mi lascerà tracce
 Ma di tracce sono fatta
 Di ferite e di disfatte. (1969)
 Il coraggio, spesso e purtroppo, si paga: ben presto a fronte 
                  del suo repertorio, che si faceva via via più evidentemente 
                  impegnato, la cantante vide chiudersi in faccia sempre più 
                  porte, trovandosi all’inizio degli anni ’70 emarginata 
                  da radio e televisione e senza più l’appoggio delle 
                  grandi case discografiche, che pur l’avevano supportata 
                  sin dall’inizio, ricevendo peraltro riconoscimenti unanimi 
                  di critica e pubblico. Poco male: contando sul successo intramontato della sua opera 
                  per l’infanzia, la cantante pazientò un paio d’anni, 
                  fino a crearsi la sua propria etichetta nel ’73, e tornare 
                  alla carica con le canzoni sempre nuove di una fonte creativa 
                  che ancora oggi si mostra fresca e rigogliosa… il suo 
                  album più recente è del 2003, e ancora una volta 
                  affronta temi come la guerra in Iraq o il razzismo.
 
 Anne 
                  Sylvestre  L’impegno della Sylvestre non è però solo 
                  indirizzato nei confronti di grandi temi politico-sociali: instancabilmente 
                  esplora ogni angolo recondito della vita, dal punto di vista 
                  di una donna che si confronta col proprio corpo in divenire 
                  (Marie Geographie, o la bellissima Carcasse), 
                 …Ho 
                  cominciato a indovinarti, verso i quindici o sedici anni A sentire un certo disagio, come un disaccordo permanente
 Ci siamo sempre contrastati: tu eri ingorda, io frugale
 E nutrivo i tuoi appetiti, mentre sognavo di volare.
 Un brutto giorno ho scoperto il tuo gran naso, che orrore!
 Ma tu mi hai detto, “zucca vuota, guardati in faccia, 
                  hai gli occhi verdi”
 Carcassa!
 Ti spiavo davanti allo specchio
 Io avevo le paure, tu le audacie, e finivamo per non far niente
 Insomma
 Io diffidavo degli uomini
 E tu li desideravi come una gran vela al tuo veliero… 
                  (1981)
 ironizzando sui luoghi comuni del piccolo maschilismo d’ogni 
                  giorno o dei corrispondenti vezzi femminili, che prende la misura 
                  degli affetti, degli amori e delle passioni. È un’inesausta ricerca sospesa a mezza strada fra 
                  lei e noi, una luce di totale sincerità che fa perdonare 
                  anche la ripetitività delle sue – pur belle – 
                  melodie e l’intonazione un po’ incerta.
 L’ambiente dei suoi spettacoli è quello ideale: 
                  un incontro fra amiche e amici, un pubblico non vastissimo, 
                  ma di tutte le età, non necessariamente a prevalenza 
                  femminile, gente venuta a sentire non un divo che distilla verità 
                  dall’alto della sua leggenda, bensì una vecchia 
                  conoscenza nei confronti della quale si pone una fiducia, una 
                  simpatia e una stima che sono la splendida conquista di 45 anni 
                  di fedeltà ai propri principi.
  Alessio Lega alessio.lega@fastwebnet.it
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