Sono ancora vive, 
                    con tutto il loro terrificante realismo, le immagini della 
                    carneficina nella scuola di Beslan in Ossezia del 3 settembre: 
                    centinaia di corpi dilaniati, oltre la metà bambini. 
                    Quattro giorni dopo in Iraq, parte di una guerra senza fine 
                    frettolosamente dichiarata conclusa più di un anno 
                    e mezzo fa dallo stato maggiore USA, lo sconcertante rapimento 
                    delle due Simone, volontarie pacifiste dell’ONG “Un 
                    ponte per…”, vittime incolpevoli di una delle 
                    innumerevoli componenti dell’opposizione armata irachena, 
                    usate come immagine simbolo d’uno snervante terrorismo 
                    mediatico finito, fortunatamente, senza spargimento di sangue. 
                    
                    Ennesimi rapimenti ed ennesima azione terroristica, ai quali 
                    sono seguiti altri rapimenti con conseguente taglio della 
                    gola ripreso da telecamera, ai quali sicuramente ne seguiranno 
                    chissà quanti altri, falcidiando vite umane, distruggendo 
                    ed inducendo a distruggere. 
                    I fruitori dei media continuano a rimanere senza fiato, ogni 
                    volta ancora più confusi e allibiti. Come per il precedente 
                    rapimento più assassinio del giornalista di casa nostra 
                    Enzo Baldoni, come per tutti gli altri di diverse nazionalità, 
                    operai, giornalisti, volontari. Come dopo l’abbattimento 
                    delle Twin Towers dell’11 settembre 2001, o dopo l’11 
                    marzo 2004 in Spagna, i media della carta stampata anche in 
                    queste occasioni ci continuano a propinare fiumi di parole, 
                    più o meno colte e più o meno efficaci, complemento 
                    delle immagini televisive, che ci stravolgono e ci travolgono 
                    nell’immane cruento disastro umano. Sono due le parole 
                    che più di ogni altra esprimono il senso e i sentimenti 
                    reattivi davanti a tali spettacoli di devastazione: orrore 
                    e terrore. E dall’orrore e dal terrore, infatti, ci 
                    sentiamo avvolti, quasi serrati in una sacca orripilante senza 
                    vie di scampo, il cui unico scopo è quello di farci 
                    vegetare fino all’inevitabile estinzione. 
                   “Danni collaterali”
 
                    “Danni collaterali” 
                  Ciò che forse ci sconvolge maggiormente di fronte 
                    a questi fatti è che, nella loro cruda evidenza, fanno 
                    saltare completamente l’immaginario consolidatosi di 
                    che cosa debba essere una guerra. In qualche modo lo svolgimento 
                    delle battaglie cui nei millenni ci eravamo abituati, che 
                    abbiamo interiorizzato quasi fosse un valore, si dovrebbe 
                    svolgere tra contendenti che combattono perché sono 
                    addetti a farlo, cioè tra soldati di opposte fazioni. 
                    Gli altri, tutti gli altri, non a caso continuano ad essere 
                    chiamati civili, visti e considerati come esterni al conflitto, 
                    che quindi non dovrebbero essere coinvolti se non per errore 
                    o, come si usa dire eufemisticamente da qualche anno, per 
                    causa di “danni collaterali”. 
                    Nella guerra globale in atto, invece, sistematicamente questa 
                    regola non scritta di origine cavalleresca sta saltando giorno 
                    dopo giorno, mostrando la perversa nudità di una spirale 
                    impazzita, che, al di là dell’immaginario mistificante, 
                    tragicamente ci sta suggerendo quale sia il vero volto dell’essenza 
                    della guerra, di ogni guerra: l’orrore e solo l’orrore. 
                    
                    Purtroppo, nella percezione collettiva del mutamento delle 
                    modalità del modo di combattere cui stiamo assistendo 
                    c’è qualcosa che non funziona. Nel cambiamento 
                    in atto dell’immaginario bellico mi sembra di identificare 
                    un elemento di conservazione, che allontana dalla comprensione 
                    del senso reale della guerra e, magari inconsapevolmente, 
                    ristabilisce nelle coscienze l’accettazione della logica 
                    di guerra. Gli ultimi orrori, che quotidianamente ci bersagliano 
                    attraverso l’informazione mediatica, quelli che ci suscitano 
                    immediata sacrosanta ripulsa, appartengono ufficialmente ad 
                    una sola parte contendente. 
                    Quasi a suggerire che, suffragato proprio dai fatti sconcertanti 
                    da cui siamo partiti, nelle cose belliche persiste l’arcaica 
                    divisione tra buoni e cattivi. 
                    Da una parte, quella buona, l’esercito de “i nostri”, 
                    che combattono in modo tradizionale la guerra “leale”, 
                    nel rispetto delle regole e delle convezioni internazionali, 
                    spinti dalla necessità di combattere il terrorismo, 
                    presentato come il male assoluto. 
                    Dall’altra, quella cattiva, l’esercito degli irregolari 
                    e dei terroristi, identificati oggi nella galassia del terrorismo 
                    islamico, che non hanno rispetto alcuno per la vita e sono 
                    disposti a qualunque nefandezza umanamente orripilante pur 
                    d’infliggere perdite al nemico occidentale, considerato 
                    a loro volta specularmente il male assoluto. 
                   Come Gestapo e GPU
 
                    Come Gestapo e GPU 
                  C’è qualcosa che non funziona, perché 
                    la realtà si svolge in modo differente dalla percezione 
                    che inconsciamente facciamo collimare con l’immaginario 
                    consolidato. 
                    In verità, infatti, gli orrori sono perpetrati con 
                    costanza e perseveranza anche dalla parte dei “buoni”. 
                    Solo che suscitano un impatto emotivo diverso perché 
                    hanno una qualità di esecuzione diversa. 
                    Innanzitutto i “nostri” sono molto più 
                    ipocriti perché sistematicamente, ogni volta che ci 
                    riescono, tendono a nascondere i misfatti di cui sono responsabili, 
                    cosicché le loro atrocità non ci vengono sbattute 
                    brutalmente in faccia attraverso immagini mediatiche, come 
                    invece succede per le azioni dei “cattivi”. Quindi 
                    ne riusciamo a conoscere solo una parte, che presumibilmente 
                    non è certo quella più consistente. 
                    Anzi, finché riesce loro, i “nostri” tendono 
                    a negare le nefandezze che compiono, mentre, quando vengono 
                    scoperti e si trovano costretti ad ammettere le proprie responsabilità, 
                    chiedono scusa e ufficialmente dichiarano che si tratta di 
                    errori non voluti. 
                    In alcuni casi parlano di danni collaterali, com’essi 
                    amano definire per esempio i massacri calcolati di civili 
                    in seguito a bombardamenti devastanti. In altri casi, come 
                    per esempio le torture ai prigionieri iracheni che tanto scandalo 
                    fecero qualche mese addietro, non potendo più negare 
                    l’evidenza di prove ampiamente documentate, scaricano 
                    la colpa sulle responsabilità individuali di coloro 
                    che hanno commesso il fatto, tentando di mostrare che l’apparato, 
                    nel nome del quale i torturatori hanno agito, non c’entra 
                    nulla e tutto sarebbe avvenuto contro la volontà dei 
                    vertici militari. 
                    Ipocriti! E Guantanamo allora, il carcere speciale per terroristi 
                    a Cuba, dove, come documentano alcune testimonianze sfuggite 
                    alle strette maglie dei controlli, sistematicamente si perpetrano 
                    torture che nulla hanno da invidiare agli odiati sistemi della 
                    Gestapo nazista e della GPU staliniana? 
                    I “cattivi” al contrario non hanno questi problemi 
                    d’immagine. Rivendicano le loro orripilanti azioni e 
                    programmano di sbattercele brutalmente in faccia. Si mostrano 
                    per quello che sono senza neppure tentare di mascherarsi dietro 
                    formalismi burocratici o ipocrite disgustose menzogne. In 
                    tal modo ottengono di essere percepiti in tutta la loro concreta 
                    spietatezza e ci danno il messaggio che desiderano: riempirci 
                    di terrore, toglierci la sicurezza arrogante di continuare 
                    a vivere nel nostro arrogante benessere. 
                    Non potendo competere sul piano della tecnologia militare 
                    con la potenza nemica contro cui combattono, con grande disinvoltura 
                    usano i corpi, propri e altrui, come terrificante arma letale. 
                    A loro non interessa agire, o far credere di agire, per la 
                    salvaguardia della vita umana, per la dignità della 
                    persona, valori che invece per il nostro mondo sono alla base 
                    del senso stesso dell’esistenza. I corpi, le vite umane, 
                    gli individui non sono che strumenti d’azione e mezzi 
                    di riscossa, perché sono attratti molto di più 
                    dalla dignità della morte che da quella della vita, 
                    perché per loro la vita acquista senso con la morte 
                    e non viceversa. 
                    Orrore e terrore dunque da entrambe le parti, anche se con 
                    una qualità diversa nella volontà e nel senso 
                    dell’attuazione. Personalmente del resto, per quanti 
                    sforzi faccia, nella sostanza delle cose non riesco a vedere 
                    molta differenza tra gli orrori di cui finora ho parlato e 
                    i milioni di morti per fame, come di quelli per le malattie 
                    dovute all’indigenza ed alla miseria nera in cui quotidianamente 
                    vengono costretti miliardi di persone. 
                    Ma anche i milioni di bambini ogni giorno schiavizzati, seviziati 
                    e torturati. 
                    Ma anche l’immane distruzione delle specie animali in 
                    atto, accompagnata dal progressivo esponenziale inquinamento 
                    ambientale perpetrato con maniacale e criminale pervicacia 
                    dai gestori del potere e dell’economia, che incombono 
                    sulle nostre teste come perenni spade di Damocle. Siamo circondati 
                    dall’orrore ed immersi in esso, perché è 
                    orrendo il senso profondo della qualità del nostro 
                    rapporto col mondo e con e tra noi stessi. 
                    Del resto, se non fosse così, non avremmo messo in 
                    piedi e non continueremmo a conservare sistemi politici ed 
                    economici di conduzione dell’esistente che continuamente, 
                    quasi inevitabilmente, conducono sempre e comunque a situazioni 
                    generalizzate che sono marchiate da un ordinario fatto di 
                    squallore e, appunto, di orrore. 
                   L’annientamento del nemico
 
                    L’annientamento del nemico 
                  Per questo la guerra rappresenta simbolicamente l’estrema 
                    e conseguente sintesi della qualità delle relazioni 
                    di potere, perché esprime e manifesta la logica sistemica 
                    su cui si fonda la gestione imposta del vivere socialmente. 
                    
                    È la logica di guerra in sé che contiene la 
                    propagazione dell’orrore, cioè la distruzione 
                    di cose ed esseri viventi, il dilaniamento dei corpi, l’eccidio, 
                    il massacro, la tortura dei prigionieri, dal momento che l’orrore 
                    e non altro rappresenta il modo di essere e di esprimersi 
                    della guerra stessa, il cui fine dichiarato e voluto è 
                    l’annientamento del nemico, o sottomesso o annichilito, 
                    per esercitare la supremazia totale e incontrastata della 
                    dominazione sull’altro. 
                    Chi sceglie la logica di guerra entra perciò in un 
                    tunnel terrificante cui, al di là delle sue intenzioni 
                    originarie e della sua volontà, non può e non 
                    riesce a sottrarsi. Metaforicamente è un’Idra 
                    di Lerna, mostruoso essere mitologico a più teste, 
                    cui ogni volta che ne veniva recisa una ne assumeva altre 
                    due, moltiplicando all’infinito la sua capacità 
                    aggressiva e distruttiva. 
                    Con la tecnologia attuale poi è definitivamente tramontato 
                    ogni eroismo nel combattimento. Il senso che sta dietro la 
                    costruzione delle armi è ormai indirizzato soltanto 
                    alla distruzione. Non si producono più strumenti, pur 
                    sempre più efferati, concepiti però per sostenere 
                    il combattimento, ma armi sempre più potenti che hanno 
                    come unico scopo l’efficacia della più completa 
                    distruttività. 
                    Il nemico non lo si affronta più, né ci si misura 
                    più con lui. Non c’è più bisogno 
                    di guardarlo in faccia per vederlo cadere sotto i colpi della 
                    propria abilità e destrezza. 
                    Non lo si vede nemmeno. I sensori ne identificano la posizione 
                    e, ben protetti, con missili o bombe si colpisce il luogo 
                    dove si trova, apportando sul posto colpito il massimo della 
                    devastazione che si riesce ad esprimere, in modo da esser 
                    sicuri che venga annientato assieme all’ambiente circostante 
                    con tutto ciò che vi si trova. Ciò che è 
                    considerato efficace non è né la determinazione 
                    né il coraggio, ma la supremazia tecnologica che si 
                    è in grado di mettere in campo. 
                    Paradossalmente, riusciamo ad identificare qualche traccia 
                    di eroismo nei kamikaze, per la scelta che fanno del sacrificio 
                    della propria vita, ma i quali in realtà, nel sacrificarsi 
                    colpendo indiscriminatamente nel mucchio, commettono una delle 
                    più grandi vigliaccherie, perché colpiscono 
                    chiunque si trovi alla portata della deflagrazione. 
                    La dimensione guerra è in sé devastante e non 
                    può mettere in moto nessuna risoluzione di nessun problema, 
                    mentre può solo creare ulteriori problemi ed ampliare 
                    quelli che già ci sono. Il tentativo di giustificarla 
                    da parte della folta schiera dei guerrafondai democratici 
                    di turno si risolve in una menzogna. 
                    Le loro argomentazioni vengono sistematicamente smentite dalle 
                    immagini che i loro mass-media ci propinano quotidianamente 
                    e dal susseguirsi dei fatti. Non mi è dato di sapere 
                    se essi sono effettivamente convinti di ciò che politicamente 
                    sostengono e non mi interessa occuparmi della loro buona o 
                    cattiva fede. 
                    So invece che la guerra pacificatrice, o la guerra umanitaria, 
                    come amano chiamare i loro interventi bellici e a cui sembrano 
                    voler ricorrere con sempre maggior frequenza, o il voler imporre 
                    la democrazia o attuare azioni di peacekeeping con mezzi militari, 
                    con grande sistematicità si risolvono nell’allargamento 
                    dei conflitti e in un aumento delle tensioni, che continuano 
                    a covare sotto la cenere. 
                    Tutte queste affermazioni, che hanno l’aria di essere 
                    soprattutto giustificazioni politicanti per l’opinione 
                    pubblica cui sentono di dover rendere conto, nei fatti non 
                    sono altro che un ammasso di sonore balle, smentite dai fatti 
                    stessi. 
                    Ormai siamo in tanti a dirlo: la guerra, qualsiasi motivazione 
                    si porti dietro, alimenta soltanto se stessa e, quando non 
                    si risolve in una oppressiva schiacciante e irreversibile 
                    vittoria sul nemico, tende per sua natura a dilatarsi, dilatando 
                    di conseguenza l’orrore e il terrore. 
                    Se si volesse veramente por fine a questa perversa spirale, 
                    che da millenni incombe annullando le nostre aspirazioni di 
                    pace, si troverebbe la maniera di neutralizzare ed annullare 
                    ciò che permette la sua perpetuazione, cioè 
                    le produzioni di armi e di tecnologie belliche ed il militarismo. 
                    
                    Una società che sceglie di far a meno della guerra 
                    come strumento di relazione politica non ha bisogno di esercito, 
                    non sa che farsene di apparati militari e di continue forniture 
                    di strumenti di morte e distruzione sempre più avanzati. 
                    Una società che sceglie di dedicarsi al proprio benessere 
                    mette insieme i mezzi funzionali a rafforzare le relazioni 
                    pacifiche, coltiva e rafforza la solidarietà e la reciprocità, 
                    si occupa soprattutto dei bisogni di tutti i suoi componenti 
                    approntando strumenti efficaci per aiutare i più deboli. 
                  
                   
 
                  
                   Basta con la prepotenza militare
 
                    Basta con la prepotenza militare 
                  Gli anarchici, che sono tali perché vogliono una libertà 
                    autentica e per questo propugnano una società fondata 
                    sull’autogoverno in assenza di strutture gerarchiche, 
                    rispetto a questo problema hanno sempre proposto il rifiuto 
                    della logica militarista. 
                    Dicono no agli eserciti, agli apparati militari ed alle strutture 
                    di comando, mentre sostengono il principio antiautoritario 
                    della gestione collettiva e libertaria di tutto ciò 
                    che ci riguarda. Bisogna smettere di produrre armi, di venderle 
                    e di usarle, di ragionare in termini di supremazia e di permettere 
                    ai pochi, ricchissimi e pieni di potere, che sono riusciti 
                    ad avere in mano le sorti di tutti noi di continuare a decidere 
                    per tutti e ad imporsi. 
                    I conflitti eventuali, che guarda caso oggi sono sempre generati 
                    da interessi economici e politici di parte, non debbono più 
                    essere risolti con la prepotenza militare degli stati, perché 
                    alla violenza prepotente si resiste e si cerca di rispondere 
                    come si può con le armi che si hanno a disposizione, 
                    prolungando di conseguenza le guerre verso esiti incontrollabili. 
                    Bisognerebbe propagare una pratica di costante ed efficace 
                    solidarietà, praticando il dialogo, il confronto e 
                    dov’è possibile l’accordo, all’interno 
                    di una visione di accettazione e valorizzazione reciproche 
                    delle diversità. 
                    Ma per far ciò bisogna crederci e predisporsi a realizzarlo. 
                    È evidente che l’aumento e il perfezionamento 
                    continui degli apparati bellici di distruzione non possa certamente 
                    portare a intraprendere la strada del confronto e della ricerca 
                    della reciprocità. 
                    Purtroppo, da sempre, noi anarchici continuano ad essere inascoltati 
                    e derisi. Eppure, anche a livello intuitivo, non è 
                    difficile capire che se il mondo continua ad esser governato 
                    attraverso i sistemi di potere vigenti non potranno che permanere, 
                    se non aumentare, il degrado, l’infelicità, la 
                    sofferenza, nonché le devastazioni cui assistiamo quotidianamente. 
                    
                    Se proprio non ci si vuole ascoltare perché considerati 
                    fuori dalla realtà, almeno si tentassero altre strade 
                    ufficiali, che contino veramente, che però, a differenza 
                    di ora, siano all’insegna di un mutamento alle radici, 
                    chiaro ed evidente, capace di invertire la rotta devastante 
                    che il mondo sta percorrendo con sconcertante noncuranza. 
                    
                    Il fatto è, mi sembra, che a livello di senso è 
                    difficile identificare altre strade, perché la causa 
                    di una tale degenerazione risiede innanzitutto nella voracità 
                    di dominare, di possedere e di prevaricare che, con costanza 
                    e sempre di più, è la molla che determina le 
                    scelte desolanti che distinguono i potenti di turno. 
                    Per quanta buona volontà e buona fede ci possano mettere, 
                    i dominatori del mondo, per la natura stessa delle cose che 
                    vogliono conservare, debbono, oltre a volerlo, usare strumenti 
                    che in qualsiasi maniera portano irrimediabilmente ai risultati 
                    che sono sotto i nostri occhi e che non vorremmo.