|  Contro la logica del mercato capitalista
 Quello che segue è il testo del volantino del Gruppo 
                  di acquisto che si riunisce ogni mercoledì alle 18 ai 
                  giardini di via Locchi - Firenze Careggi, davanti alle macerie 
                  del Badaquà demolito (finché non si troverà 
                  una nuova sede…). Il Gruppo ha partecipato alla Fiera 
                  dell’autogestione di Modena (di cui riferisce 
                  Andrea Papi in questo numero). Devo aggiungere a quanto scritto:
 
                  Inoltre la scelta di riunirsi in un posto occupato non è 
                  casuale, ma fa parte di un nostro modo di pensare che rifiutiamo 
                  l’anarchismo-radicalchic di certi ambienti. In particolare 
                  il Badaquà per tutto quello che sta organizzando, è 
                  un posto fra quelli occupati, che sta nel cuore di tutti. In 
                  concreto, il risultato è che andiamo tutti di meno a 
                  fare la spesa al supermercato, ma non è solo questo, 
                  c’è molto di più. Leggete il testo sotto.che la scelta dei prodotti da comperare si basa su valori etici 
                  e di qualità, si preferiscono produttori e distributori 
                  compagni, comuni agricole, grossisti onesti, che praticano l’agricoltura 
                  biologica e biodinamica, prodotti senza OGM e senza sfruttamento 
                  di uomini e animali (un esempio è l’acquisto del 
                  caffè biologico di una cooperativa del Chiapas ispirata 
                  a Flores Magon);
                  che il discutere su cose semplici come l’acquisto dei 
                  prodotti sta rinsaldando legami d’amicizia o creandone 
                  di nuovi, quanto il discutere in astratto invece sovente li 
                  spezza e crea rarefazione nelle affinità; 
                  che si dedica qualche minuto al giorno in più a procacciarsi 
                  i cibi (ad es. la raccolta delle erbe officinali) o a cucinare 
                  (per produrre marmellate e altre cose che in genere si acquistano 
                  già pronte al supermercato), che si cerca di scambiare 
                  o regalare ciò che avanza “il superfluo”, 
                  interrompendo l’infame meccanismo consumista per cui tutto 
                  va buttato e nulla si può ottenere gratis per ridurre 
                  la gente a uno stato ancora più di bisogno; inoltre stiamo 
                  pensando di mettere su una piccola cassa di mutuo soccorso per 
                  i compagni della zona che si trovano in stato di necessità, 
                  tanto da pensare di ridefinire il nome del gruppo non solo in 
                  base agli acquisti, ma anche alla nostra scelta di solidarietà 
                  o “resistenza umana”. 
				     Pralina Ognuno di noi prova sempre maggiore disagio di 
                  fronte a un mercato dove si trovano prodotti di cui sappiamo 
                  poco rispetto alla qualità, alla provenienza, alle modalità 
                  di produzione; dove i profitti della produzione, distribuzione 
                  e commercializzazione sono sempre più concentrati fra 
                  pochi soggetti che se ne infischiano del benessere della comunità 
                  e del potere d’acquisto della gente. Spesso non si considera 
                  che attraverso le nostre azioni, quelle quotidiane, consuete, 
                  abitudinarie, apparentemente innocue, si sostengono proprio 
                  questi interessi. Ciò avviene principalmente perché 
                  le scelte quotidiane sono poste come “non scelte”, 
                  ovvero come soluzioni normali senza alternative, perché 
                  sono sottovalutate nella loro importanza. Ma se i criteri che ci vengono proposti come modelli sociali 
                  ci appaiono insostenibili, è necessario pensare che la 
                  loro modificazione potrebbe essere avviata concretamente dall’acquisizione 
                  di comportamenti diversi da quelli previsti e che vadano a incidere 
                  proprio sul lato debole della struttura: il mercato. I consumatori 
                  infatti, così come possono creare un mercato, lo possono 
                  distruggere. Ma, questo, molti sembrano non saperlo ancora. 
                  Non è necessario rimandare la ricerca e il raggiungimento 
                  del benessere a un mondo tutto da realizzare, diverso, successivo: 
                  un mondo cambiato dall’acquisizione del potere, da una 
                  vittoria elettorale o dalla rivoluzione sociale. Un altro mondo 
                  è possibile già da ora, semplicemente comportandosi 
                  in maniera diversa, dando così continuità tra 
                  l’oggi e il domani, lavorando nel presente, per il presente 
                  e non solo per il futuro, e riappropriandosi così della 
                  dignità delle proprie scelte e della libertà di 
                  compierle. Per far ciò non è possibile delegare 
                  ad altri o al futuro il compito, ma occorre divenire parte attiva 
                  attraverso il nostro, corretto agire. Vogliamo credere che si 
                  sia in molti a pensare che questo mondo non è più 
                  possibile, che non è giusto, che non può essere 
                  condiviso.
 Per questo abbiamo voluto con semplicità riflettere criticamente 
                  sulla possibilità, attraverso comportamenti più 
                  consapevoli, di non essere strumenti di sostegno ad un modello 
                  che porta nel mondo miseria, sopraffazione, danni all’ambiente, 
                  alle comunità e alla salute.
 Un elemento importante per la realizzazione di un progetto del 
                  genere è la formazione di gruppi d’acquisto, ossia 
                  gruppi di amici, colleghi di lavoro, collettivi politici, case 
                  occupate, famiglie in grado di stilare ordinazioni collettive 
                  di autoconsumo direttamente ai produttori: evitando così 
                  gli innumerevoli passaggi intermedi che costano, sia in termini 
                  economici che di distruzione ambientale.
 Pensiamo che organizzarci collettivamente per affrontare una 
                  delle operazioni che quasi quotidianamente ognuno di noi compie, 
                  la scelta e l’acquisto delle cose di cui abbiamo bisogno, 
                  possa essere un piccolo passo verso un’alternativa che 
                  sia praticabile qui e ora.
 Siamo sempre più insofferenti di fronte al potere di 
                  chi pone i propri interessi al primo posto a danno di quelli 
                  della collettività e dell’ambiente. Non sopportiamo 
                  la logica del mercato capitalista, delle multinazionali e di 
                  tutte quelle imprese che sull’onda della globalizzazione 
                  non fanno altro che incrementare i propri margini di profitto 
                  all’ombra dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
 Siamo consapevoli che questa singola iniziativa non rappresenta 
                  che un granello in un deserto, ma crediamo che, unita a tante 
                  altre, possa essere un contributo utile al processo di trasformazione 
                  radicale della società.
   Gruppo d’acquisto solidale del Badaquà per contatti: pattydiamante@interfree.it
    Ricordando Sergio Costa
 Conoscevo Sergio Costa da poco meno di trent’anni e cioè 
                  da quando da studente liceale mi avvicinai al movimento anarchico. 
                  Tanti erano i compagni che con le loro qualità umane 
                  e di sapienza politica mi trasmettevano quello che io andavo 
                  a cercare loro. Tanti sono diventati esempi per me di etica 
                  anarchica, sapienza storica e politica e tra questi sono debitore 
                  anche nei confronti di Sergio Costa.
 Io allora lo vedevo come un compagno già adulto che parlava 
                  poco, ma quando parlava tutti lo ascoltavano con timoroso rispetto. 
                  Con gli anni ne ho apprezzato più di tante altre sue 
                  qualità quella della sua assoluta genuinità, risultato 
                  di idee chiare, di spiccata personalità e di capacità 
                  di passare dalle parole ai fatti.
 Sergio non aveva mai una doppia faccia, diceva quello che pensava 
                  e pensava quello che diceva e soprattutto faceva quello che 
                  diceva. Non è da tutti.
 Molti erano i compagni che lo amavano, ma tutti lo rispettavano 
                  proprio per questo modo di essere e cioè di vivere da 
                  anarchico in modo schietto e sincero: aperto con gli altri senza 
                  essere un “buonista”, generoso con tutti, ma con 
                  la consapevolezza di chi sa dove andare con uno o cento compagni 
                  di viaggio.
 Molti compagni in questi giorni hanno ricordato Sergio Costa 
                  come il direttore per antonomasia di Umanità Nova 
                  e cioè come il compagno anarchico che accetta il rischio 
                  di tutte le conseguenze legali di tale sua qualità senza 
                  assumersi né particolari onori né compiti censori 
                  nei confronti di coloro che con lui hanno sempre avuto la massima 
                  libertà nello scrivere sul periodico storico del movimento 
                  anarchico italiano.
 Ma questo è l’aspetto della vita di Sergio che 
                  sarà ricordato negli annali della storia del movimento 
                  anarchico. A me piace però anche ricordarlo dietro i 
                  fornelli a preparare da mangiare per decine di compagni o con 
                  la sua bicicletta con appesi i sacchetti della spesa con dentro 
                  i giornali che andava a distribuire durante le manifestazioni: 
                  era un direttore/diffusore responsabile.
 A tutti gli appuntamenti del movimento bastava guardarsi un 
                  attimo intorno e lo si vedeva sempre. Quasi una sfinge. O come 
                  la montagna che non si sposta mai e che diventa punto di orientamento 
                  per coloro che guardano ad un compagno che si rispetta e che 
                  è sempre presente per individuare la direzione da prendere 
                  in momenti importanti.
 Quanti erano i compagni che si fermavano a parlare con lui, 
                  non a chiacchierare perché lui le parole le pesava e 
                  talvolta rimanevi perplesso perché usciva con delle espressioni 
                  così enigmatiche che ti costringevano sempre a pensare, 
                  magari non a quello che voleva dire lui in quel momento, ma 
                  comunque a farti ragionare da uomo libero.
 In questo senso lui era un maestro senza volerlo mai apparire.
 Il suo carattere era burbero, ma sempre di un burbero benefico.
 Amava stare con i compagni, ma senza compiacerseli, rispettava 
                  tutte le anime del movimento, nella consapevolezza di rappresentarne 
                  una parte significativa. Dava rispetto a tutti ed è per 
                  questo che sempre è stato rispettato. Le sue parole di 
                  critica erano accettate così come i suoi apprezzamenti 
                  perché entrambi erano sinceri e sgorgavano dal suo intimo. 
                  Potevi non essere d’accordo con lui e lui con te, ma da 
                  parte sua non vi erano mai né rancore né risentimento.
 Era un compagno rappresentativo, era schierato in modo inequivoco, 
                  ma non si comportava come un leader ed utilizzava la sua chiarezza 
                  politica per collaborare con tutte le realtà del movimento 
                  anarchico, scambiando esperienze e cercando sempre di trovare 
                  un comune denominatore.
 E così lo ricordano con affetto non solo i compagni della 
                  FAI, che gli sono stati sempre vicini, ma anche quelli del Torricelli, 
                  della Rivista Anarchica, dell’USI e di tutte 
                  le altre realtà libertarie, che hanno avuto modo di conoscerlo 
                  senza per questo averlo fra le loro fila, ma anche senza temere 
                  che dall’alto della sua esperienza egli potesse “mettere 
                  il cappello”.
 Un compagno vero che speri sempre di avere al tuo fianco e che 
                  quando ti lascia percepisci il vuoto che ha creato con la sua 
                  dipartita.
 È da tempo che l’immagine del gatto selvaggio è 
                  entrata a far parte di grafica e iconografia anarchica. Ed è 
                  così che a me piace vedere Sergio Costa: come un gatto 
                  di cui percepisci la presenza e sai che ti guarda, autonomo 
                  ed indipendente, che sa sempre dove andare e cosa fare. Anche 
                  quando si prepara a morire.
 Sergio Costa sapeva di morire ed ai compagni a lui più 
                  vicini aveva detto che avrebbe levato il disturbo entro agosto 
                  e, fedele come sempre alla correttezza e serietà che 
                  lo caratterizzavano, aveva pagato la sua quota fino a tutto 
                  il mese di agosto e non aveva mancato all’appuntamento 
                  con la morte.
 Non ha cercato pietismi perché amava essere ricordato 
                  come il compagno forte e coraggioso che tutti noi conoscevamo. 
                  E così, da uomo di vigore fisico e morale quale era, 
                  si è comportato fino all’ultimo suo respiro, impartendo 
                  un’ultima lezione di vita: saper morire con amore, dignità 
                  e rispetto per gli altri e per sé.
 Mi auguro che i compagni della FAI raccolgano ciò che 
                  Sergio ha scritto di più significativo e fotografie che 
                  lo ritraggono con i tanti compagni che lo hanno conosciuto e 
                  possano pubblicare questo materiale a ricordo di un pezzo del 
                  movimento anarchico milanese che è andato a raggiungere, 
                  tra gli altri, Antonio Pileggi, Otello Menchi ed “Anacleto”.
 Perché, dopo la sua la morte, Sergio Costa riviva nella 
                  memoria collettiva di tutto il movimento anarchico.
  Sergio Onesti
 
 A 
                  Sergio: bon voyage.
 Volerà ancora con la sua bicicletta
 portando i giornali in immediata fretta
 Stretti nel pacco dietro la dura sella
 Infaticabile nella continua e fiera corsa
 Il nostro compagno Sergio Costa
 Ogni settimana farà il completo giro
 Fra librerie, chioschi e metrò di Milano
 E imprecherà sino all’ultimo respiro
 Il traffico caotico, impossibile, a tutto spiano
 Per colpa del solito pirla di un vigile urbano.
 Lo 
                  aspetteremo insieme al “suo” settimanale Sicuri di vederlo sempre ridere e scherzare
 Per essere il solo, l’unico, direttore irresponsabile
 Di un giornale anarchico che, anche a nome suo,
 la memoria storica non potrà più cancellare:
 Umanità Nova. Il nostro giornale.
  Jules Èlysard
        Pena di morte
 A Occidente... Preston Hughes III si trova nel braccio della morte dal 17 maggio 
                  1989 in Texas: è un uomo innocente condannato 
                  a morte.
 Il 26 settembre 1988 due ragazzini (14 e 3 anni) sono stati 
                  trovati uccisi, accoltellati, intorno alle ore 21 (Preston conosceva 
                  la ragazzina uccisa, era come una sua sorella minore).
 Preston dalle 18.30 alle 22.30 di quel giorno ha testimoni chiave 
                  oculari che lui era da tutt’altra parte: 
                  non sono mai stati sentiti. Perché? In America a volte 
                  è più importante fermare “un” 
                  colpevole piuttosto che “il” colpevole 
                  per rabbonire l’opinione pubblica, si sa.
 Sette mesi prima del duplice e infame delitto, Preston andò 
                  a caccia e uccise con un coltello un coniglio: non lavò 
                  mai il coltello dalle tracce di sangue. La Polizia di Houston 
                  sequestrò questo coltello in casa sua senza alcun mandato 
                  di perquisizione, con abuso d’ufficio e di potere, e lo 
                  arrestò.
  Preston 
                  Hughes
 Vennero fatte le indagini chimiche di rito, e una volta pronte 
                  la giuria popolare venne fatta uscire 
                  dall’aula! Il perito chimico forense si pronunciò: 
                  coltello positivo a sangue animale e negativo 
                  a sangue umano! La giuria popolare venne fatta poi rientrare 
                  in aula e il p.m. esibì alla stessa il coltello come 
                  “arma del delitto”! Preston venne condannato a morte: 
                  per aver ucciso un coniglio! Se da oggi (06/08/2004) entro 3 mesi Preston non riesce a trovare 
                  75/100.000 $ per assoldare un avvocato e un investigatore che 
                  lo difendano veramente (non come quelli d’ufficio che 
                  gli sono stati affibbiati, perché senza soldi, che non 
                  hanno fatto nulla se non ratificare la condanna a morte), lo 
                  Stato del Texas fisserà la data di esecuzione 
                  verso ottobre/novembre di quest’anno e Preston sarà 
                  ammazzato come vittima di una cospirazione, senza aver fatto 
                  nulla!
 Quest’appello è rivolto a tutte le persone che 
                  sentono questa storia come una vergogna e un’onta per 
                  l’Umanità intera (pur essendoci purtroppo tantissimi 
                  casi simili): aiutateci a trovare questi soldi 
                  sennò Preston sarà vigliaccamente ammazzato da 
                  innocente!!!
 Grazie se ci aiuterete a salvare una vita umana!
 I tempi bruciano, anche un solo euro da parte vostra può 
                  fare la differenza tra la vita e la morte di una persona innocente!
 Associazione AMI.CA. (Amici dei Carcerati), c.p. 84 – 
                  31015 Conegliano (TV), tel. 347/04 65 271 – ccp 10881316 
                  (causale “Pro Preston Hughes III”).
  … e a Oriente  Esecuzioni di massa Un giovane uomo si inginocchia. Ha le mani ed i piedi legati, 
                  la testa china. Un soldato gli ordina di stare fermo. Uno sparo 
                  e l’uomo si raggomitola al suolo. Un momento dopo, un 
                  altro sparo ed un altro corpo raggomitolato. Ancora ed ancora 
                  fino a che dozzine di vite sono state stroncate a sangue freddo.
 La scena è quella di un’esecuzione di massa. Sono 
                  frequenti in Cina, dove migliaia di persone sono condannate 
                  a morte ogni anno. Alcune esecuzioni sono pubbliche. La maggior 
                  parte si svolgono in luoghi nascosti dopo che i prigionieri 
                  sono stati fatti sfilare per le strade nei cassoni dei camion.
  
 Esecuzione 
                  a Chengdu, capitale della provincia del Sichuan, 8 luglio 1989 
                 La morte in cifre Le autorità cinesi usano molto la pena di morte per creare 
                  paura. La paura dovrebbe fermare i crimini. Non lo fa. Eppure, 
                  vengono giustiziate più persone in un anno in Cina che 
                  in tutto il resto del mondo. In molti casi, la pena di morte 
                  viene applicata arbitrariamente senza garanzie contro errori 
                  giudiziari. La Cina continua ad allargare il numero di reati 
                  per cui è prevista la pena di morte. A tutt’oggi, 
                  68 reati sono punibili con la morte, e sempre più persone 
                  vengono giustiziate per crimini non violenti. Gli standard internazionali 
                  stabiliscono che la pena di morte dovrebbe essere applicata 
                  solo in caso di “crimini molto gravi”.
 Quasi ogni aspetto del modo in cui la pena di morte viene applicata 
                  in Cina è caratterizzato da violazioni dei più 
                  basilari diritti umani. Ondate di esecuzioni spesso precedono 
                  i principali festival o eventi internazionali e solitamente 
                  accompagnano annunci ufficiali di campagne anticrimine.
 La pena di morte è stata largamente applicata durante 
                  le repressioni dell’opposizione. Decine di cittadini sono 
                  stati giustiziati sommariamente a Pechino e nel resto del Paese 
                  dopo la protesta del 1989 a favore della democrazia. Nazionalisti 
                  musulmani sono stati giustiziati nello Xinjiang in questi anni 
                  per supposto coinvolgimento in gruppi d’opposizione clandestini 
                  o attentati dinamitardi.
 Un numero crescente di persone è giustiziato per reati 
                  relativamente modesti. Nel 1994 due contadini sono stati messi 
                  a morte nella provincia di Henan per aver rubato 36 mucche e 
                  macchinari agricoli del valore di 9.300 dollari. Una legge del 
                  1983 permette processi sommari in casi che prevedano la pena 
                  di morte. Tali processi sono particolarmente frequenti durante 
                  campagne di “pulizia”. Ad esempio, durante manifestazioni 
                  pubbliche nella provincia di Guangxi nel giugno 1995, 34 persone 
                  sono state condannate per spaccio di droga ed immediatamente 
                  giustiziate.
 Gli imputati possono essere processati senza un avvocato e senza 
                  conoscere l’accusa fino al momento di entrare in tribunale. 
                  I verdetti sono spesso decisi prima del processo per via di 
                  pressioni politiche. Alcune persone sono condannate solo in 
                  base alle loro confessioni, a volte estorte sotto tortura. Le 
                  esecuzioni possono avere luogo entro pochi giorni dalla sentenza. 
                  Gli appelli sono formalità e raramente hanno successo. 
                  I prigionieri condannati a morte sono incatenati dal momento 
                  della sentenza fino all’esecuzione e spesso vengono esposti 
                  al pubblico prima dell’uccisione.
 Reati punibili con la morte In Cina lo stato uccide per:
 avvelenamento di bestiame – omicidio – tentato omicidio 
                  – omicidio colposo – uccisione di una tigre – 
                  rapina a mano armata – rapina – stupro – ferimento 
                  – assalto – furto ripetuto – furto – 
                  intrusione – rapimento – traffico di donne o bambini 
                  – organizzazione della prostituzione – sfruttamento 
                  della prostituzione – organizzazione di spettacoli pornografici 
                  – pubblicazione di materiale pornografico – teppismo 
                  – disturbo dell’ordine pubblico – esplosioni 
                  provocate – distruzione o danneggiamento della proprietà 
                  pubblica o privata – sabotaggio controrivoluzionario – 
                  incendio – traffico di droga – corruzione – 
                  truffa – concussione – frode – usura – 
                  contraffazione – rivendita di ricevute IVA – evasione 
                  fiscale – furto o costruzione illegale di armi – 
                  possesso o vendita illegali di armi e munizioni – furto 
                  o contrabbando di tesori nazionali o reliquie culturali – 
                  spaccio di denaro falso – ricatto.
  Amnesty International Ripreso dal sito: www.amnesty.it/campaign/cina/b_pdm.htm
    “Speranza” e tradimento
 In una Milano sempre più multietnica è possibile 
                  che dodici lavoratori egiziani e una eritrea restino senza lavoro 
                  dopo ben tredici anni di servizio per il semplice fatto di essere 
                  extracomunitari? Parrebbe di sì. L’Istituto Leone 
                  XIII ha disdetto il contratto di appalto per le pulizie alla 
                  “Interservice” per affidarlo alla ditta “Speranza”: 
                  il fatto non costituisce reato e sarebbe dunque poco degno di 
                  nota se non fosse che la ditta subentrante, la “Speranza”, 
                  violando tutte le norme di legge e di contratto non si fosse 
                  rifiutata di assorbire gli addetti che già lavoravano 
                  presso il “Leone XIII”. Guido Trifiletti, segretario regionale CUB ha contattato la 
                  "Speranza" per capire le ragioni e Massimo Manfredini, 
                  uno dei dirigenti della ditta che ha il nuovo appalto ha fornito 
                  come unica spiegazione il fatto che “la dirigenza della 
                  scuola non vuole quei lavoratori”.
 “Ho naturalmente contattato il Leone XIII e chiesto più 
                  volte di parlare con il dottor Gulinatti per capire se questa 
                  affermazione di Massimo Manfredini corrispondesse a verità, 
                  ma non mi hanno mai risposto – afferma Guido Trifiletti 
                  – e quindi la FlaicaUniti CUB, insieme ai lavoratori, 
                  ne deduce che le possibilità sono due: o questa è 
                  una scusa messa in campo dai rappresentanti dell’Impresa 
                  ‘Speranza’ per non farsi carico del destino di 13 
                  lavoratori e la dirigenza dell’Istituto non è coinvolta, 
                  o si tratta di puro e semplice razzismo”.
 La FlaicaUniti CUB insieme ai lavoratori chiede alla dirigenza 
                  del Leone XIII di smentire l’affermazione di Massimo Manfredini 
                  e di risolvere in modo positivo la vicenda dei 12 lavoratori 
                  egiziani e della lavoratrice eritrea ingiustamente finiti sulla 
                  strada dopo 13 anni di servizio. I lavoratori, insieme alla 
                  FlaicaUniti CUB, stanno in questo momento (a partire dalle ore 
                  15) presidiando l’Istituto per protestare e ottenere maggiori 
                  informazioni e chiarimenti sulla vicenda.
 Per informazioni: Guido Trifiletti cell. 338 4713789 – 
                  Fabia Caporizzi 349 1937558.
    A proposito di un Festival
 Nei giorni del primo week-end di agosto si è tenuto 
                  a Carrara, e precisamente nel bel Parco della Padula, un festival 
                  intitolato “UrlaPadula” organizzato da Contatto 
                  Radio, radio locale che fa parte del circuito Popolare Network. 
                  Numerose le iniziative, i concerti, le presentazioni, i dibattiti 
                  – tra cui anche una simpatica presentazione del nostro 
                  doppio Cd mille papaveri rossi. Tanta gente, nessun problema 
                  particolare, insomma un bel successo. Sulla prima pagina de Il Sole-24 Ore del 30 agosto, però, 
                  è comparso un articolo a firma di Luca Paolazzi dal significativo 
                  titolo “Quei marmi d’autore feriti da ‘urla’ 
                  e vandali”. In realtà i danni subiti da alcune 
                  delle opere artistiche di marmo disseminate nel Parco erano 
                  tutti stati realizzati da ignoti vandali nei mesi precedenti 
                  il Festival, come testimonia anche la documentazione fotografica 
                  realizzata dai promotori del Festival. Lo spiega bene un lungo 
                  comunicato di Contatto Radio, in cui si ricostruisce la storia 
                  del Parco della Padula e si accusano le autorità cittadine 
                  di incuria e disinteresse. È lo stesso articolo del quotidiano 
                  confindustriale ad ammetterlo, in palese contrasto con il titolo 
                  “terroristico”.
 Ma tant’è. A livello locale si è scatenata 
                  la polemica e l’indicazione lanciata da lor signori è 
                  precisa: basta concessioni della Padula ai rockettari. Nel 2005 
                  niente UrlaPadula.
 Peccato che, come sottolineano giustamente i promotori del Festival, 
                  la salvezza del Parco della Padula stia proprio in una sua riappropriazione 
                  da parte della gente, che lo porti ad essere sempre più 
                  “vissuto” e sentito come proprio, sottraendolo così 
                  a vandali, tossicomani e all’inedia di chi dovrebbe curarsene.
 Intanto, dopo UrlaPadula, è sceso in campo UrlaPadrone..
  P.F.
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