|  Resistenza e amore di Alessio Lega con i Mariposa
 Parliamo tanto di me: l’autore alza la voce (e 
                  le pretese!) Pare ci si debba trasformare in un prodotto! Pare lo si debba 
                  proprio. Altrimenti non sei preso in considerazione. Devi essere 
                  smerciabile, acquistabile, vendibile, confezionabile.
 Bene! Sono prodotto. Mi chiamo Resistenza & Amore. Sono 
                  un disco (un CD, ovviamente!).
 
 Capitolo 1 - Come ci siamo arrivati Sono dieci anni suonati che suono questa chitarra e che 
                  canto di cuore… sono stato dappertutto, e dappertutto 
                  la stessa domanda: “Ma ce l’hai un disco?” 
                  E io: “No! Non mi serve, io ho me e mi canto quando voglio… 
                  quanto a voi, costo pochissimo, chiamatemi! Vengo sempre, anche 
                  solo per il rimborso” (qualche volta rimettendoci pure).
 E mi hanno chiamato (talvolta ci ho pure rimesso… qualche 
                  volta ci ho persino guadagnato!!!), però un po’ 
                  di condiscendenza nello sguardo c’era sempre, come se 
                  fossi un donchisciotte con chitarra. “E un disco? 
                  Non ce l’hai?”.
 Allora ho fatto il sito (www.alessiolega.it), 
                  e sul sito ci sono le mie canzoni (provini, prese dirette, singoli), 
                  tutto scaricabile a piacimento… non basta!
 E facciamo il disco. Sono dieci anni suonati che suono, 
                  in formazioni prefabbricate… nel senso che io sono autarchicamente 
                  pronto a far tutto voce & chitarra. Se Rocco può 
                  (e Rocco è un compagno d’onore, che se può 
                  lo fa anche gratis!), viene anche lui col basso. Se magari può, 
                  viene Marco Spiccio, il sommo pianista. Talvolta tutti e due. 
                  Da un annetto a questa parte si è aggiunta anche Isa, 
                  cantautrice di Sanremo/Torino (non ho mai capito bene).
 Isa suona e canta con me e fa qualche canzone sua. Alla fine 
                  applausi. “Ce l’hai un disco?”. “Io 
                  no, ma Isa sì” (lei ne ha fatto uno all’inizio 
                  dell’anno scorso). Cazzo! Isa vendeva i suoi dischi! Ai 
                  miei concerti! Rabbia e frustrazione… (forse dovrei fare 
                  un disco…).
 Capitolo 2 - Facciamo sto discoChe canzoni ci mettiamo? Boh, le solite direi! Più qualcuna 
                  un po’ meno solita. Canzoni d’amore che sembrino 
                  di rivolta. Canti rivoluzionari scritti nell’empito dell’amore. 
                  Canzoni d’amore, di rivolta e in rivolta d’amore. 
                  Canzoni sui cazzi miei, perché nemmeno mi mangio il fegato 
                  24 ore su 24 solo per l’anarchia, o forse l’anarchia 
                  è proprio questo: prendersela come sul personale per 
                  quasi tutto (gran cacacazzi gli anarchici!).
 (2 bis) Come le facciamo?
 C’erano due possibilità: fare le canzoni più 
                  o meno come le ho sempre fatte, ripulendole giusto un po’ 
                  di tutte le intemperanze del “live”, oppure giocare 
                  la carta della sperimentazione, stravolgerle, riscoprirle completamente 
                  diverse da come si erano cristallizzate. E che diamine… 
                  sono un cantautore rivoluzionario e poi mi metto a fare la conserva 
                  coi pomodori del mio orto? Rivoluzione sia (guerra alla società!).
 Capitolo 3 - E arriviamo ai Mariposa Qual è il gruppo più incontrollabile, linguisticamente 
                  rivoluzionario e geniale che conosca?
 Ma i Mariposa (of course!). Non conoscete? Andate sul loro sito 
                  (www.naufragati.com) 
                  a scaricarvi l’EP “Suzuki Bazuki”. “Ma 
                  come, non hanno fatto un disco?” Certo! Ne hanno 
                  fatti due e un fottio di altre cose… se preferite andate 
                  a comprarvele!
 Loro fanno una musica veramente difficile da definire… 
                  così, per fare il verso ai giornalisti musicali, si potrebbe 
                  dire: “Immaginate le partiture di Frank Zappa suonate 
                  da Goran Bregovic”, “Pensate a uno Stravinsky in 
                  acido capitato in un negozio di strumenti giocattolo”, 
                  “Collassate i classici del progressive rock sulla banda 
                  di ocarine di Cernusco Bombardone durante la fiera della salamella”
 Vi siete fatta un idea? Nooo? Colpa del giornalismo musicale!
 Insomma questo gruppo di geniali sciamannati ha intrapreso un 
                  confronto con le mie partiture (approfittandosi del fatto che 
                  io non le so leggere!). Un anno intero abbiamo battagliato.
 Capitolo 4 - Il discografico L’editore, il discografico, il boss è un sogno 
                  fatto di gessato, sigaro, divani e segretarie, perduto nelle 
                  biografie di Charles Aznavour. Attualmente è estinto. 
                  Stinto il gessato, svanito il sogno.
 Chi potrebbe, visto che non c’è una lira, stampare 
                  questo disco fin qui autoprodotto?
 Ci sarebbe quest’etichetta indipendente di Udine, la “Nota”, 
                  che ha un catalogo di 500 titoli fra cui tutto Lino Straulino, 
                  un sacco di dischi di Giovanna Marini, gli ultimi lavori di 
                  Gualtiero Bertelli, il disco di Isa, e, pare, dopo vent’anni, 
                  il disco del ritorno di uno dei miei eroi preferiti: Fausto 
                  Amodei (di prossima uscita). Il pazzo che la dirige si chiama 
                  Valter Colle.
 Chissà. Al primo contatto le mie canzoni gli piacevano 
                  (è pazzo!). Torno qualche mese dopo a fargli sentire 
                  un provino degli arrangiamenti dei Mariposa: egli aggrotta le 
                  sopracciglia (che sia rinsavito?), io mi sento di merda e maledico 
                  il momento in cui sono entrato in sala d’incisione. “Che 
                  bisogno c’è di complicare delle cose che sono molto 
                  più belle nella loro semplicità?” dice 
                  lui secco. Io vorrei scoppiare a piangere ma tengo duro e oppongo 
                  tutto il terrorismo culturale che mi trovo a disposizione, facendo 
                  il nome di Kurt Weill, Alain Bashung, Bob Dylan passato alla 
                  chitarra elettrica, Topolino nella parte dell’apprendista 
                  stregone e De André con la PFM. Me ne vado meditando 
                  il suicidio e la cessione del Friuli alla Slovenia. Il giorno 
                  dopo una mail di Valter recita testualmente: “Approvo 
                  tutte le scelte di arrangiamento. Mandi” (quest’ultima 
                  parola io l’ho presa come l’invito a spedirgli al 
                  più presto il master, invece pare sia un saluto in friulano).
 Dopo di ciò son cominciate le vere peripezie, fra me, 
                  che ho preso un’intossicazione da caffeina facendo le 
                  foto per il libretto in tutti i bar storici di Torino, Valter 
                  Colle che, tranne rarissimi momenti in cui appariva per dirmi 
                  che ero in ritardo, risultava trasferitosi nella quarta dimensione 
                  e totalmente irreperibile nelle tre consuete.
 Capitolo 5 - Il disco Ormai c’è. Ha la forma di un libretto (ci tenevo 
                  molto) con una prefazione che Robert Desnos, sublime poeta surrealista, 
                  morto in campo di concentramento, resistente e visionario, ha 
                  scritto sognando 70 anni fa. Ha dentro nove canzoni: 3 esistenziali, 
                  3 d’amore e 3 politiche, ma non è detto che si 
                  sia tutti d’accordo su quali siano queste e quali quelle.
 Ha dentro molte dell’emozioni che mi hanno fatto come 
                  sono: l’eco delle diecimila persone che, tre anni dopo, 
                  chissà come, conoscevano e cantavano in coro Dall’ultima 
                  galleria, la mia testimonianza personale dei fatti di Genova 
                  2001, e che meritavano un nuovo più rabbioso arrangiamento, 
                  visto che non c’è da archiviare nulla, tanto meno 
                  se stessi. Una dedica alle donne libere e indipendenti (quelle 
                  che prima o poi ti lasciano, ma finché non ti lasciano 
                  sei sicuro che ti scelgano). Una canzone che si chiama Rachel 
                  Corrie, e che quindi non c’è nient’altro 
                  da dire. Il mio testo più anarchico: un’ode alla 
                  bicicletta che ho recitato andando in bicicletta intorno a due 
                  microfoni.
 Su tutto c’è il mio orgoglio nel sentire un impasto 
                  di parole e musica, sonoro e sensuale, diverso da ogni cosa 
                  fatta prima. Diverso persino da se stesso al suo interno, il 
                  mio disco ha un solo stile: la libertà dagli stereotipi. 
                  La libertà formale che abbraccia dall’ouverture 
                  ariosa di Straniero al gaglioffo cabarettismo di Parigi 
                  val bene una mossa, dai martellanti riff elettronici di 
                  Rachel Corrie alla semplice chitarra classica di Vigliacca!
 Capitolo 6 - Dediche Alla fine questo disco è solo la testimonianza di un 
                  sogno modesto e folle: essere utile a qualcuno. Agli sfruttati, 
                  agli abbandonati, agli oppressi. Alle orecchie dei solitari 
                  e di chi non ha idee preconcette su come debba suonare un cantautore, 
                  su che canzoni debbano cantare i gruppi di musica rock. A chi 
                  crede che la musica possa cambiare almeno chi la fa, o, tanto 
                  per restare coi piedi per Terra, il mondo.
  Alessio 
                  Lega alessio.lega@fastwebnet.it
 
 
                  Alessio 
                    Lega e Marco Spiccio |