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                  movimento Alla ricerca di nuove propositivitàdi Andrea Papi
   Creare una rete di situazioni, 
                    sperimentazioni sociali e aggregazioni rigorosamente autogestite. 
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                  Ci sono 
                    sostanzialmente due modi di vivere la tensione anarchica. 
                    Uno si incentra e concentra sulla lotta contro l’esistente, 
                    a ragion veduta identificato nel trionfo di un potere asservito 
                    e funzionalizzato al dominio, l’altro è proteso 
                    alla ricerca ed alla costruzione di modi altri, alternativi 
                    a quelli vigenti, di vivere e organizzarsi a livello sociale. 
                    L’uno privilegia strategicamente lo scontro, coi poteri 
                    costituiti, con lo stato, con le forze di polizia, con ogni 
                    struttura di sfruttamento e repressione, ritenendo che sia 
                    l’elemento primario e fondante, l’altro la sperimentazione, 
                    il bisogno della proposizione e della costruzione, l’allargamento 
                    delle coscienze. Entrambi partono da un identico rifiuto, 
                    radicale e inconciliabile, del presente stato di cose, mentre 
                    divergono sul che cosa fare e come tentare di pervenire alla 
                    preconizzata e desiderata situazione sociale anarchica. In verità sono perfettamente consapevole che questa 
                    è una semplificazione, una riduzione ad uno schema 
                    duale. Nella realtà del sentire dei singoli individui 
                    c’è una molteplicità estremamente ricca 
                    e frastagliata del sentirsi anarchici. So anche che nel tentare 
                    di schematizzarla si rischia non solo di sminuirne il valore, 
                    ma addirittura di tradirne la portata. Eppure sono del tutto 
                    convinto che la riduzione consapevole al mio schema duale 
                    non mistifichi affatto la realtà. Anzi aiuta a comprendere 
                    il senso delle cose in profondità, in quanto non si 
                    pone come lettura oggettiva di ciò che pretendo che 
                    sia, bensì come un riferimento atto alla riflessione. 
                    Arbitrariamente ho fatto due accorpamenti, identificando due 
                    filoni per me fondamentali in grado di accogliere ognuno modi 
                    diversi di vivere una comune tensione, ma in cui risaltano 
                    due differenti impostazioni di fondo.
 Non ho sottolineato questa differenza di tensione per puro 
                    piacere accademico, ma perché sono fermamente persuaso, 
                    me lo suggerisce il patrimonio di conoscenze acquisito dall’esperienza, 
                    che non sia affatto indifferente viverla o in un modo o nell’altro. 
                    Sono cioè convinto che comporti delle conseguenze rilevanti 
                    e rilevantemente differenziate, se non addirittura contrapposte, 
                    proiettarsi e concentrarsi verso la distruzione del potere 
                    nemico oppure invece verso il suo superamento rivoluzionario. 
                    Perché alla fin fine proprio di questo si tratta. Ed 
                    a tutti gli effetti è una questione di senso. Se cioè 
                    abbia senso impostare tutta la lotta (mezzi, azioni, pensieri, 
                    scopo, ecc.) nel tentativo costante di sconfiggere il potere 
                    dominante, anche e soprattutto militarmente, oppure, all’inverso, 
                    proiettarsi in una costante ricerca di soluzioni e sperimentazioni 
                    che contengano in sé i presupposti della nuova futura 
                    società fondata su basi libertarie e anarchiche, in 
                    grado di soppiantare l’assetto politico, militare ed 
                    economico esistente, fondato all’opposto su principi 
                    autoritari e gerarchici.
 Cerchiamo di capire ed analizzare quali sono le differenze 
                    sostanziali.
  Tensione contrappositiva
 La tensione contrappositiva, l’essere 
                    cioè innanzitutto contro, sopra ogni altra cosa identifica 
                    il nemico da abbattere ed annichilire e ritiene che questo 
                    sia lo scopo principale e fondamentale verso cui tendere tutti 
                    gli sforzi operativi e di propaganda. Il problema fondamentale 
                    che pone è come far la guerra al sistema nel tentativo 
                    permanente (vano, aggiungo io!) di abbatterlo definitivamente. 
                    La strategia di riferimento che pone in campo, classica e 
                    consolidata storicamente, pur con una varietà di sfaccettature 
                    abbastanza ampia che va dal politico all’esistenziale 
                    all’estetico, è quella di lotte di tipo insurrezionale, 
                    sia vissute come rivolta individuale sia concepite come ribellione 
                    di massa. Ciò che conta è ribellarsi, quasi 
                    per principio, ed insorgere, in tutti i modi ritenuti più 
                    efficaci, contro ogni imposizione e contro ogni istituzione 
                    autoritaria, nella convinzione che sia l’unica maniera 
                    possibile per pervenire all’agognata liberazione dal 
                    sistema di cose presente. Dietro c’è la motivazione 
                    forte che soltanto con l’insurrezione si possa scalzare 
                    il potere costituito, in quanto questo non permetterà 
                    mai che prenda piede in modo indolore un assetto sociale che 
                    lo metta in crisi profonda. Per quel che mi riguarda trovo 
                    che tale assunzione, posta sempre con le caratteristiche dell’assolutezza, 
                    sia solo un assioma nient’affatto dimostrato, più 
                    corrispondente ad un atto di fede che ad una meditata e consapevole 
                    presa di posizione. Sono molteplici i motivi per cui la strategia insurrezionalista, 
                    intesa nel senso di finalizzare ogni scelta operativa ed ogni 
                    atto di rivolta ad essa, sia carente e rischi di diventare 
                    incoerente, ma in questo scritto mi soffermerò solo 
                    su due di essi, ritenendoli più importanti di tutti 
                    gli altri perché ne evidenziano in particolare la qualità.
 Dal punto di vista di una proposizione politica anarchica, 
                    teoricamente ha senso parlare d’insurrezione a patto 
                    che si rifugga da ogni logica e pratica elitaria o avanguardistica, 
                    in quanto sia l’una che l’altra sono fondate sul 
                    presupposto antianarchico di dirigere chi si ribella. Al massimo 
                    si può parlare di minoranza agente, con la consapevolezza 
                    però che chi agisce debba svolgere solo una funzione 
                    di stimolo, che abbia l’unico scopo di spingere le masse 
                    (per usare un brutto termine di uso comune di leniniana memoria) 
                    alla rivolta collettiva, per poi autogestire insieme ad esse 
                    la situazione che ne scaturisce. Ma perché ciò 
                    avvenga, l’esperienza ce lo insegna, bisogna che in 
                    qualche modo le stesse masse siano predisposte, in modo tale 
                    che l’azione della minoranza agente non debba esser 
                    altro che la scintilla che scocca su una situazione che non 
                    aspettava altro. Cosa estremamente rara, soprattutto se ci 
                    riferiamo ad insurrezioni capaci di abbattere il potere vigente.
 Parliamo dell’oggi, di questa fase storica, di quello 
                    che stiamo vivendo nei luoghi dove lo stiamo vivendo. Non 
                    credo si debbano spendere molte parole per affermare che la 
                    situazione in cui siamo immersi e ci sovrasta non vive una 
                    fase preinsurrezionale, che cioè le masse coinvolte 
                    non stanno manifestando in alcun modo la predisposizione ad 
                    insorgere, soprattutto se si auspica, come nel caso di cui 
                    stiamo parlando, una ribellione generalizzata tendente a sovvertire 
                    alle radici l’ordine esistente. Non ci sono segnali 
                    di nessun tipo che lo facciano supporre. Ci sono si, dislocati 
                    qua e là, momenti di ribellione, ma che hanno più 
                    l’aria di crescente insoddisfazione, dietro la quale 
                    non si agita certo la voglia di sovversione radicale, bensì 
                    la richiesta di ricevere ciò che si pensa ci spetti, 
                    in altre parole di essere governati meglio. E ciò accade 
                    soprattutto perché la cultura d’opposizione dominante 
                    e diffusa è stata imbastardita da decenni di controllo 
                    culturale di una sinistra che non agiva, e continua più 
                    che mai a non agire, per mettere in piedi una società 
                    nuova e diversa, ma per impadronirsi dell’esistente 
                    e gestirlo con un welfare più consono ai bisogni 
                    sociali collettivi. Non è diffusa una cultura alternativa 
                    che al contrario cerchi di soppiantare il presente ed istituire 
                    il nuovo.
 
  Ribellione elitaria
 Ne consegue che se qualcuno ha l’ardire, 
                    del tutto illusorio, di agire, animato da tutte le buone intenzioni, 
                    per diventare una minoranza agente e si mette a far botti 
                    di qua e di là ed isolate piccole azioni di disturbo 
                    e di sabotaggio che, data l’attuale situazione, difficilmente 
                    possono trovare il terreno adatto per esser considerate patrimonio 
                    di lotta collettivo, si trova del tutto isolato, non capito, 
                    rifiutato, dileggiato e con gran facilità considerato 
                    nemico. Non può che fare una ribellione elitaria che, 
                    dato che rifiuta per principio la logica avanguardistica tipica 
                    del leninismo perché non vuole dirigere ma stimolare, 
                    lo costringe nolente nel mondo dei banditi, non tanto per 
                    la polizia che è scontato, ma per le stesse masse che, 
                    incoraggiate, si vorrebbe che insorgessero, mentre c’è 
                    il rischio che gli si rivoltino contro. Una tale logica non 
                    fa altro che relegare chi la persegue in un limbo elitario, 
                    escluso dal dibattito collettivo e dalla comprensione di chi 
                    vorrebbe stimolare e, sopra ogni altra cosa, esposto alla 
                    repressione del potere che, ironia della sorte, trova anche 
                    il consenso di coloro che dovrebbero sollevarsi. Insomma, 
                    un perfetto tempismo politico. Sento già le sirene contrarie sottolineare gridando 
                    da tutte le parti che non si può mai saper prima quando 
                    scoppierà un’insurrezione, perché non 
                    è programmabile. Che può scoppiare quando meno 
                    te l’aspetti per cui devi esser preparato ad affrontarla 
                    e ad impostarla in qualsiasi momento. Che niente niente che 
                    prenda piede può sboccare in una qualsiasi situazione 
                    nuova e prenderti la mano, per cui non ha senso aspettare 
                    che sorga inermi e attendisti, mentre bisogna prepararsi ed 
                    esercitarsi per quel momento, quando arriverà. Perché, 
                    continuo a sentir le sirene, questa volta determinatamente 
                    deterministe, quel momento prima o poi arriverà ed 
                    allora lo gestirà chi sarà pronto, quindi bisogna 
                    esser pronti. E bla! bla! bla!… Ciò che per me 
                    non ha senso invece è aspettare, vivere od agire in 
                    funzione di essa, quasi a considerarla religiosamente la panacea 
                    taumaturgica di tutti i mali.
 E qui veniamo al secondo motivo riguardante le carenze e le 
                    incoerenze insurrezionaliste.
 L’insurrezione di per sé non conduce ad una situazione 
                    sociale riconoscibile in qualche modo nei principi anarchici. 
                    Non è in sé una garanzia di realizzazione libertaria. 
                    Quando ci riesce, e rare volte si è verificato, anche 
                    se a dir il vero quelle rare volte sono sempre state altamente 
                    significative, è in grado di abbattere il regime politico 
                    dominante. Ma, non a caso, storicamente non è mai successo 
                    che l’insurrezione in quanto tale sia stata portatrice 
                    di libertà, tanto meno di anarchia. Semmai, sempre 
                    storicamente parlando, le insurrezioni vittoriose hanno offerto 
                    l’occasione a nuove gerarchie politiche di prendere 
                    il potere e, con grande facilità, d’instaurare 
                    regimi repressivi, se non addirittura sanguinari e militaristi. 
                    E ciò si spiega, perché il popolo non insorge 
                    come una furia spinto da un progetto o da un’idea, ma 
                    dalla disperazione e giustamente travolge chi considera causa 
                    della propria disperazione, avendo al momento questo chiaro 
                    bisogno sopra ogni altro. Sarà poi chi, furbescamente, 
                    ha le idee chiare ad approfittare della situazione e ad indirizzare 
                    gli avvenimenti come più gli aggrada.
 L’insurrezione in quanto tale è del tutto inaffidabile 
                    quale mezzo di autentica liberazione e lo è ancor meno 
                    per la realizzazione anarchica.
  Tensione propositiva
 Differentemente da quella contrappositiva, la 
                    tensione volta a sperimentare costruzioni sociali alternative 
                    è proiettata piuttosto sulla ricerca degli aspetti 
                    propositivi. È più preoccupata del come superare 
                    e sostituire l’esistente che del come abbatterlo. Si 
                    propone come proposta innovativa e non come negazione. Dice 
                    prima di ogni altra cosa che cosa vuole e lo ritiene più 
                    importante di che cosa non vuole, di conseguenza è 
                    più preoccupata del che cosa d’altro si va a 
                    mettere in piedi che di quello che deve essere abbattuto, 
                    senza, e questo è fondante, rinnegare, anzi affermandolo, 
                    che il presente stato di cose deve essere rivoluzionato alle 
                    radici. Anch’essa alla fin fine è contro, ma 
                    lo è finalisticamente invece di esserlo innanzitutto, 
                    lo è cioè di conseguenza al fatto che ciò 
                    che propone e ricerca non riesce e non può essere compatibile 
                    con l’esistente, di cui nega comunque la validità. 
                    L’anarchia si definisce come immaginario utopico, cioè 
                    non vigente ma da realizzarsi, perché il presente che 
                    si subisce è perennemente fonte di ingiustizie, sfruttamento, 
                    oppressione, imposizioni. A differenza di ogni altra visione 
                    politica e sociale si pone dichiaratamente ed inequivocabilmente 
                    nel versante antiautoritario, fondando il suo essere sulla 
                    realizzazione di tutta la libertà possibile in ogni 
                    campo inerente alla vita sociale, in particolare dal punto 
                    di vista economico, politico e della giustizia. Si distingue 
                    perché propone la valorizzazione ed il rispetto pieni 
                    di ogni individuo, forme organizzative orizzontali ed antigerarchiche, 
                    decisioni collettive attraverso strumenti basati sulla parità 
                    e la reciprocità in assenza di ogni comando dall’alto, 
                    l’autogestione come fondamento di relazione e decisionalità 
                    in seno alla convivenza sociale.
 Certamente nasce come rifiuto del presente stato di cose, 
                    quindi si pone contro l’esistente. Ma in questo non 
                    è sola. Quando prese forma come pensiero e poi come 
                    movimento organizzato era in buona compagnia: i vari socialismi, 
                    il comunismo, il repubblicanesimo, per citare i più 
                    noti. Come i suoi compagni di strada abbracciò pure 
                    la rivoluzione insurrezionale come mezzo per raggiungere l’emancipazione. 
                    In tutto ciò non risalta però la sua originalità, 
                    la sua specifica innovazione. Ciò che veramente la 
                    distingue e, a differenza dei suoi originari compagni di strada, 
                    l’ha fatta rimanere l’unica autenticamente ed 
                    irriducibilmente rivoluzionaria, è la proposizione 
                    autogestionaria quale fondamento politico della gestione collettiva 
                    della società. In questa irriducibile assunzione sta 
                    la sua vera forza e la sua vera possibilità.
 Ecco allora che sopraggiunta la consapevolezza, data in buona 
                    parte dalla disillusione, che la preminenza strategica insurrezionalista 
                    difficilmente, molto molto difficilmente, possa risultare 
                    funzionale ad una concreta emancipazione, con sempre maggior 
                    forza prende piede spontaneamente la tensione sperimentale 
                    autogestionaria, quale strada maestra per tentarne la realizzazione. 
                    Al livello delle coscienze, penso che stia avvenendo, dovrebbe 
                    avvenire, deve avvenire, un passaggio fondamentale ed allo 
                    stesso tempo fondante: dall’attacco allo stato ed ai 
                    poteri costituiti si sta passando, si dovrebbe passare, si 
                    deve passare alla costruzione sperimentale rivoluzionaria, 
                    non più per l’abbattimento, bensì per 
                    il superamento sempre dello stato e dei poteri costituiti.
 Bisognerebbe attivare con costanza e con frequenza dei processi 
                    di autentica autogestione, che sia vera ed inconfondibile 
                    nei suoi presupposti. E sottolineo processi al plurale, non 
                    tanto per evidenziarne una ipotetica quantità, quanto 
                    per cogliere l’importanza della molteplicità 
                    differenziata. Sarebbe infatti limitante e ingabbiante partire 
                    dalla supposizione di cercare un unico modello di riferimento, 
                    considerato principe, per applicarlo tout-court a tutte le 
                    situazioni. Il riferimento non può né deve essere 
                    un modello né una procedura tipo, considerati campione 
                    o prototipo, da riprodurre pari pari, bensì i principi 
                    e i presupposti fondanti che danno senso all’autogestione: 
                    assenza di gerarchie, decisionalità orizzontale, parità 
                    e reciprocità dei rapporti. La coerenza rispetto a 
                    questi presupposti in un certo senso è il metro di 
                    misura, la cartina di tornasole che permette di comprendere 
                    la vera autenticità ed il valore dell’esperimento. 
                    Non uniformità quindi ad un modello considerato magari 
                    perfetto, ma molteplicità e pluralità di esperienze 
                    che si trovano accomunate dagli stessi intenti e dagli stessi 
                    principi fondativi.
 Le modalità e la tipologia realizzative vengono definite 
                    e improntate concordemente di volta in volta sul campo da 
                    coloro che sono coinvolti e sono determinate dal contesto 
                    territoriale, dalla situazione specifica e dalla concomitanza 
                    delle caratteristiche culturali individuali. Ciò che 
                    però conta veramente alla fin fine è la comunanza 
                    di intenti, che lega e affratella, e la chiarezza condivisa 
                    di quello che si deve andare ad attuare. Centri sociali, comuni, 
                    scuole libertarie, comitati municipali, collettivi di lotta 
                    contro obiettivi specifici, federazioni sindacali libertarie, 
                    gruppi di azione e cultura alternativi, luoghi di aggregazione 
                    anticonformisti ed antisistema, cooperative di produzioni 
                    di qualità federate per un mercato non liberista, banche 
                    di mutuo soccorso, e quant’altro venga pensato ed attuato 
                    creativamente rispondente ai presupposti di riferimento. Una 
                    rete di situazioni, sperimentazioni sociali e aggregazioni, 
                    molteplici e plurali rigorosamente autogestite, possibilmente 
                    federate per esercitare e sperimentare l’alternativa 
                    libertaria in grado di lottare per prendere piede ed espandersi. 
                    Una specie di società nella società insomma, 
                    che propugni il chiaro intento di pervenire al superamento 
                    rivoluzionario del sistema di cose presente.
  Riferimenti da cui prendere spunto
 A un primo sguardo può sembrare che mi 
                    riferisca a situazioni già esistenti. È vero 
                    solo in parte, in minima parte. Molte delle tipologie alternative 
                    esistenti, infatti, in realtà non hanno caratteristiche 
                    e funzionamenti che le possano far riconoscere in una logica 
                    e in una coerente tensione autogestionaria, ma, impostate 
                    e strutturate in origine da militanti impestati da mentalità 
                    ed ideologie autoritarie, al loro interno, magari inconsapevolmente, 
                    riproducono metodi e procedure gerarchiche ed autoritarie. 
                    Per cui, al di là della forma e delle motivazioni dichiarate, 
                    non possono rientrare nella molteplicità progettuale 
                    di costruzione e di lotta per una società libertaria 
                    come sto auspicando. Tanto per capirci, ho presenti quali 
                    riferimenti da cui prendere spunto situazioni tuttora vigenti 
                    come Libera di Marzaglia vicino a Modena, la comune 
                    Urupia nel Salento, la FMB di Spezzano Albanese 
                    in Calabria, o la cooperativa IRIS nel cremonese. 
                    Situazioni libertarie in atto che nel tempo si sono consolidate 
                    ed hanno acquistato spessore. Bisognerebbe impegnarsi per 
                    moltiplicarle ed arricchirle, aumentando l’influenza 
                    e l’irradiazione libertaria e rivoluzionaria nella società 
                    circostante che continua e continuerà ad opprimere. 
                    Un’ultima breve considerazione che ritengo estremamente 
                    importante. È probabile, purtroppo quasi sicuro, che, 
                    se veramente prendesse piede una società nella società 
                    come auspica il mio immaginario, il sistema di potere vigente 
                    non se ne starebbe con le mani in mano e ci costringerebbe 
                    ad una specie di scontro finale. In verità mi piacerebbe 
                    molto di più che si verificasse una situazione sociale 
                    diffusa come quella che nel 1989 affossò in modo incruento 
                    l’impero bolscevico dell’est che si estinse per 
                    implosione. Nel caso del non desiderabile scontro finale non 
                    ci sottrarremmo ed insorgeremmo. Ma sarebbe tutta un’altra 
                    cosa rispetto al vacuo e residuale insurrezionalismo dell’attacco 
                    allo stato. Voglio dire che non ritengo saggio né realistico 
                    essere per principio contro la risposta insurrezionale, in 
                    quanto questa fa parte del patrimonio di rivolta per l’emancipazione. 
                    Ciò cui sono sempre più contrario è invece 
                    il vivere, pensare ed agire esclusivamente in funzione della 
                    logica insurrezionale, trascurando e tralasciando, di fatto, 
                    l’elemento progettuale e sperimentale di costruzione 
                    della nuova società che si vuole proporre, quasi considerando, 
                    con grande e pericolosa superficialità, che tutto è 
                    rimandato al dopo, ammesso che ci sia un dopo, e che si risolverà 
                    tutto d’incanto da solo, in modo spontaneamente taumaturgico, 
                    come se in fondo il problema risiedesse soprattutto nell’eliminazione 
                    del sistema di potere vigente.
  Andrea Papi
 
                     
                      | Alla 
                          Fiera dell’Autogestione  Spinto 
                          dalla curiosità, sono stato presente alla Fiera 
                          dell’Autogestione che si è svolta nello 
                          spazio autogestito di Libera, nel modenese, dal 17 al 
                          20 giugno 2004. Siccome ne sono rimasto colpito con 
                          grande positività, ho pensato di scrivere quattro 
                          righe per la rivista. Non farò in alcun modo 
                          un resoconto, anche perché non ho partecipato 
                          metodicamente a tutto, ma mi limiterò ad esternare 
                          le mie impressioni di primo acchito, a stimolare qualche 
                          piccola riflessione. In tutto qualche centinaio di persone presenti con pacatezza 
                          e voglia di ascoltarsi reciprocamente. Più che 
                          di fiera vera e propria si è trattato di incontro/confronto, 
                          in cui i protagonisti sono stati coloro che hanno scelto 
                          esistenzialmente di vivere situazioni collettive di 
                          autogestione, con la loro testimonianza andando oltre 
                          la fase molto più diffusa del semplice propagandarla 
                          e proporla. Tutto si è svolto con grande sentimento 
                          di libertà, in un clima gradevole, accattivante 
                          e stimolante, capace di trasmettere la sensazione che 
                          avesse senso esserci.
 Gli incontri programmati hanno sempre trovato un pubblico 
                          attento e partecipante, ma sono stati molti anche gli 
                          incontri nati lì per lì, non programmati, 
                          seguiti con partecipazione ed intenso interesse, in 
                          cui c’è stato scambio di informazioni di 
                          vario tipo, dai semi biologici, all’orto sinergico, 
                          o sulle varie modalità di fare il pane o il formaggio, 
                          o come fare andare il diesel con olio di semi ed altro 
                          ancora. Spirito di ricerca, curiosità, voglia 
                          di ascoltare, attenzione. Quello che insomma a tutti 
                          gli effetti si può definire un clima costruttivo.
 Ciò che mi ha colpito in particolare è 
                          che la qualità del dibattere è stata generalmente 
                          buona, perché il tutto si è mosso spontaneamente 
                          al di là dello scontato e completamente al di 
                          fuori di ogni trionfalismo. C’era voglia di vera 
                          ricerca sperimentale e di analisi sincera e concreta 
                          di comprensione della realtà. Lo spirito critico, 
                          in grado di evidenziare difetti e carenze, non si è 
                          fatto desiderare, ma ciò che ha caratterizzato 
                          l’insieme è stata la costante consapevolezza, 
                          comune e diffusa, di voler realizzare comunque sempre 
                          qualcosa che fosse coerente con le realizzazioni di 
                          libertà sociale e con i principi autentici dell’autogestione.
 È mancata una cosa fondamentale, indispensabile 
                          se si vuol proseguire su questo cammino: gettare le 
                          basi per forme permanenti di coordinamento, confronto, 
                          scambio e, soprattutto, promozione. Se non si riesce 
                          a metterle in piedi, ogni momento, per quanto bello 
                          e costruttivo possa occasionalmente essere, è 
                          destinato a rimanere frammentario ed a cadere nel dimenticatoio, 
                          regalando al potere che si vuol eliminare il godimento 
                          dell’esaurimento di ciò che potrebbe metterlo 
                          in discussione.
  Andrea Papi
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