| Succede ogni primavera 
                  a Bologna dal 2002, se ne parla per la strada e in cattedra 
                  universitaria, si organizza banchettando e si finanzia festeggiando, 
                  attraversa le strade della città petroniana con musiche, 
                  balli e carri rigorosamente senza motore coinvolgendo uomini, 
                  donne, anziani e bambini: è una vera e propria parata, 
                  come quelle del circo di una volta, ma organizzata da tutti 
                  e per tutti. Parata Partôt, campanilisticamente chiamata 
                  alla maniera bolognese, ma che dell’appartenenza geografica 
                  non si preoccupa. In quel Partôt (in dialetto bolognese: 
                  per tutti), infatti, si annida una riflessione che attraversa 
                  gli oceani delle ideologie e sbarca in quella terra di nessuno 
                  che è il concetto di democrazia. Di diritto protagonista indiscusso del corollario di valori 
                  che costituiscono la forma di governo democratica, il concetto 
                  di partecipazione oggi si ritrova costretto a aggrapparsi con 
                  le unghie alla propria poltrona, a seguito dei tentativi despodestanti 
                  di certe forme di rappresentanza che minano alla base proprio 
                  quel Kratos che, oggi solo olograficamente, è dato in 
                  mano al Demos. La tripartizione delle forme di governo possibili, 
                  di aristotelica memoria, vede oggi sbiadire i suoi confini, 
                  mentre meccanismi elettorali sottoscriventi deleghe di potere 
                  generano una bandiera democratica innalzata sul mondo intero, 
                  talmente in alto da far sfuggire alla vista il tarlo che ne 
                  corrode la fibra: la mancanza di partecipazione.
 Cercare forme di partecipazione oggi può essere un interessante 
                  gioco multidisciplinare, al fine di individuare reti di soggetti 
                  che si mettono in contatto per raggiungere uno scopo. Si intersecano 
                  il regno delle comunicazioni di massa, con quello del volontariato, 
                  l’universo dello sport, la babele dei movimenti politici, 
                  passando attraverso diverse modalità: un sms per sottoscrivere 
                  una donazione alla volta di una calamità naturale, o 
                  per esprimere la propria preferenza nei confronti di inquilini 
                  del Grande Fratello, la divisione in turni di assistenza civile, 
                  il rituale raduno all’interno di un campo sportivo, una 
                  rete di assemblee e di manifestazioni volte a far sentire la 
                  propria voce in termini di diritti umani.
 Guardando alla cultura è necessario risalire al 450 a.C. 
                  per trovare i teatri cittadini occupati da 17.000 persone, di 
                  tutti i ceti sociali, compresi gli schiavi, pubblico attivo 
                  e pronto a decretare in modo diretto, con fischi e applausi, 
                  il diritto di un attore o di un autore a occupare la skené. 
                  Si narra che Eschilo, per sfuggire alla furia degli spettatori 
                  dovette rifugiarsi presso l’altare.
 Un teatro che ben rispecchiava il concetto di democrazia: un 
                  rito sociale in cui ognuno partecipava attivamente all’approvazione 
                  o al rifiuto di un’istituzione pubblica quale era il teatro 
                  allora: bene comune, per tutti, Partôt.
 Un’idea ingenua: fare una parata cittadina, qualcosa di 
                  bello in cui l’artista diventa abitante e l’abitante 
                  diventa artista. Questa la missione della Parata Partôt 
                  bolognese, nelle parole di Francesco Volta e Francis Rigal, 
                  ideatori e organizzatori dell’evento.
 
  Cultura meticcia
 Com’è nata l’idea?  Francesco – L’idea è quella 
                  di riprendere il concetto della parata interculturale, sul modello 
                  della Zinneke Parade di Bruxelles, che dal 2000 riempie biennalmente 
                  la città, preferendo i quartieri abitati da stranieri 
                  in linea con il significato della parola Zinneke, che letteralmente 
                  si traduce, in un modo provocatoriamente ironico, bastardo: 
                  in realtà un inno alla cultura meticcia. Francis – Loro lavorano molto con gli 
                  immigrati. Con l’intento di mostrare alla città 
                  che anche nei quartieri sfavoriti si è capaci di fare 
                  delle cose.
 Francesco – Certo, Bologna ha tutt’altra 
                  interculturalità rispetto a Bruxelles, ma è una 
                  città in cui ci sono tanti canali paralleli che si incontrano 
                  poco, studenti, anziani, bambini… l’idea della parata 
                  è di far brillare le diversità. L’organizzazione 
                  è stata subito spontanea e veloce: si sono contattate 
                  diverse realtà, associazioni, gruppi di artisti. In poco 
                  tempo si è sparsa la voce.
 Nessuno all’inizio sapeva bene cosa sarebbe successo perché 
                  era la prima volta che a Bologna si organizzava un evento del 
                  genere, indipendente da qualsiasi patrocinio e finanziamento 
                  comunale.
 Francis – Non è nata dietro un 
                  discorso filosofico, ideologico. Solo per il piacere di fare 
                  una parata. Abbiamo coinvolto un po’ di gente, qua e là.
 Come si svolge?  Francesco – È una parata che 
                  percorre il centro di Bologna in un pomeriggio di primavera, 
                  con musica rigorosamente acustica e carri senza motore. La sfilata rappresenta l’esito di tanti laboratori realizzati 
                  due mesi prima dell’evento, in cui artisti, professionisti 
                  e non, mettono a disposizione i loro saperi gratuitamente a 
                  chiunque voglia imparare qualcosa di nuovo.
 Francis – La cosa più difficile 
                  e più importante è proporre una domanda: nelle 
                  manifestazioni spesso si vedono tante risposte: “casa 
                  per tutti”, “basta pagare tasse”. Ciò 
                  tende, a mio avviso, a separare le reazioni, limitando la scelta 
                  a due possibilità: sono d’accordo oppure no. In 
                  Partôt Parata, invece, si cerca di fare la domanda: c’è 
                  un problema di casa? Esponiamo, mettiamo in figura quel problema, 
                  tramite la musica e le arti, attraverso la creatività, 
                  nel modo di esprimere qualcosa e nella modalità di partecipare.
  
   Gli Unni a Bologna Come ha reagito la gente durante la prima parata?  Francesco – Sembravamo gli Unni alla 
                  conquista di Bologna. Monia Guarino, per la sua tesi di laurea 
                  in architettura partecipata, durante la parata ha fatto delle 
                  interviste chiedendo alle persone che cosa ne pensavano di ciò 
                  che stava succedendo. A parte il 6% degli intervistati scocciati del fatto che non 
                  arrivasse l’autobus, erano tutti molto contenti e lo diventavano 
                  tutti molto di più quando venivano a conoscenza del fatto 
                  che la parata era organizzata dai cittadini stessi, senza l’intervento 
                  del comune.
 Qual è il vostro rapporto con le istituzioni? 
                   Francesco – Non ci siamo mai posti in 
                  netto contrasto con le istituzioni, anzi. All’inizio si 
                  è chiesto un finanziamento minimo per l’organizzazione 
                  al comune, alla provincia. Ma non abbiamo ottenuto nulla e questo 
                  non ci ha scoraggiato. Prezioso invece è stato l’aiuto 
                  dei quartieri che hanno fornito materiali e luoghi. Il rapporto 
                  della parata con le istituzioni deve essere gestito in modo 
                  intelligente: si tratta di intersezioni economiche, istituzionali 
                  e di potere. È importante che la parata rimanga di tutti, 
                  che non diventi la parata del comune di Bologna perché 
                  l’ha fatta la gente e tale deve rimanere. Essa si svolge 
                  in modo aperto, coinvolgendo un sacco di luoghi della città, 
                  Xm24, Villa Serena, Piazza Grande, Scuola di Musica Ivan Illich. 
                  Si tratta di luoghi estremamente diversi tra di loro: dal centro 
                  sociale occupato alla sede di quartiere fino alla grande cooperativa. 
                  L’associazione culturale Oltre fornisce le attrezzature 
                  logistiche: un ufficio, il telefono, per il resto tutto viene 
                  autofinanziato attraverso feste. Francis – Per ora, infatti, sul volantino 
                  non compare nessun logo.
 Francesco – Ci sono mille modi per aiutare, 
                  per sovvenzionare un evento e quello economico non è 
                  necessariamente il più fertile. Si può aiutare 
                  la parata offrendo degli spazi, degli strumenti, del materiale.
 Potrà in futuro la parata creare del reddito? 
                   Francesco – Questo è un nodo 
                  molto complicato. Secondo me no. Diventare reddito di uno, di 
                  molti, di pochi, non è nell’anima del progetto. 
                  Il progetto si è configurato nell’ottica della 
                  cittadinanza attiva e alla fine è riuscita a creare la 
                  propria energia dal fatto che nasceva dal basso. Se tanta gente 
                  ha voglia di fare questa cosa significa che ha voglia di partecipare 
                  e di essere protagonista in qualche modo. La parata permette 
                  agli artisti di essere protagonisti di un percorso culturale. 
                  Non c’è nessuno che fa la regia dall’alto. 
                  Potrebbe essere un esempio di cultura partecipativa. Francis – È comunque un processo 
                  lento: solo quest’anno si comincia a vedere tra i partecipanti 
                  ai laboratori, qualche madre di famiglia, qualche persona insomma 
                  che non sia il solito studente. La cosa importante è 
                  l’energia che si crea tra la gente che partecipa, tutta 
                  gente che è disponibile a lavorare, che offre il proprio 
                  lavoro gratuitamente, in parte professionistico, in parte no, 
                  comunque prezioso. Quest’anno sono stati attivati 26 laboratori: 
                  musica, teatro, danza… il motivo della partecipazione 
                  di questi artisti alla parata è duplice: sia un interesse 
                  di crescita professionale personale, sia un desiderio di completa 
                  adesione all’evento. Le persone che tengono i laboratori 
                  operano solitamente a Bologna. Si tratta di professionalità 
                  molto diverse che si mettono in gioco la propria arte nel momento 
                  dell’insegnamento: per loro è una buona occasione 
                  di fare esperienza.
     
  Intercultura e cuscus
 Il 29 marzo avete organizzato, all’università 
                  di Bologna, un Simposio a cui avete invitato ricercatori universitari 
                  e studiosi: qual è la necessità di questo approfondimento 
                  teorico?  Francesco – Abbiamo voluto portare all’interno 
                  dell’università un apparato teorico che comunque 
                  ci è sempre appartenuto Ci si è sempre domandati 
                  che cosa significa fare intercultura a Bologna. Spesso intercultura 
                  viene considerato sinonimo di etnico, quello di chi mangia il 
                  cuscus. No, intercultura significa un’altra cosa: abitanti 
                  diversi che si incontrano. La città è un meraviglioso 
                  coacervo di differenze. Quello della cittadinanza attiva, della 
                  partecipazione è un discorso che potrebbe essere esteso 
                  a un molte realtà. La realizzazione della Parata Partôt 
                  è molto legata a una riflessione sullo spazio cittadino 
                  Francis – Durante il simposio è 
                  stato detto: parate di tutto il mondo untevi! È un modo 
                  scherzoso per promettersi a vicenda uno scambio in laboratori, 
                  di idee.
 
 Per saperne di più: www.fest-festival.net 
                  Elisa Fontana Elisa451@virgilio.it
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