| Vorrei tanto sbagliarmi 
                  ma le prospettive della congiuntura politica italiana sono oscure 
                  e molti sono i motivi di preoccupazione per il futuro prossimo. 
                  L’elemento che costituisce la deriva italiana rispetto 
                  all’assetto degli altri paesi europei, in un momento in 
                  cui si tenta di reperire il bandolo di una matassa tanto ingarbugliata 
                  qual è quella dei precari equilibri internazionali, è 
                  la presenza di un governo non solo privo della pur minima cultura 
                  politica, ma frequentato da soggetti che hanno ormai tolto gli 
                  ormeggi alle imbarcazioni di salvataggio senza saltarvi dentro. 
                  Mi spiego meglio: la gran parte di ministri e parlamentari del 
                  partito di maggioranza relativa, Forza Italia, sa bene che, 
                  passata la imprevista e fortunata stagione attuale, affondata 
                  la carretta del Polo, non ha alcuna possibilità di riciclarsi 
                  in formazioni politiche che dovessero sostituire la compagine 
                  berlusconiana in una prossima legislatura.
 Sono soggetti che, identificandosi anche fisicamente (vedi i 
                  manifesti elettorali) con l’inquilino di Arcore, si sono 
                  tagliati i ponti alle spalle e l’azienda cui fanno riferimento 
                  non pare disposta a stipendiarli tutti una volta venuti meno 
                  gli appannaggi parlamentari che ne garantivano i servizi a costo 
                  zero.
 È così prevedibile che omini, ominicchi e quaqquaraquà 
                  faranno le umane e divine cose pur di non essere espulsi dal 
                  grande business. D’altro canto, se si togliesse la zavorra 
                  costituita da questi mercenari a buon mercato, Forza Italia 
                  si ridurrebbe ad un manipolo di postulanti senza prospettive 
                  e a qualche circolo femminile di adoranti senza idolo.
 Descritto così, lo scenario di un prevedibile crollo 
                  di consensi elettorali potrebbe apparire come il naturale epilogo 
                  di un colossale bluff che, pur avendo arrecato danni incalcolabili, 
                  arriva irreversibilmente al capolinea.
 Le cose, purtroppo, non stanno così. Intanto perché 
                  il cumulo di macerie che questi moderni lanzichenecchi si lascia 
                  alle spalle è tale che ci vorranno anni per smaltirlo 
                  Se si considera in aggiunta che sono state demolite le strutture 
                  stesse di un edificio che, per quanto brutto a vedersi, era 
                  pur sempre un condominio regolato ancora da alcune norme della 
                  decenza, si ha la misura completa del disastro.
 
   15 milioni di opuscoli Nel congresso-farsa tenutosi ad Assago dal 28 al 30 maggio 
                  scorso Berlusconi ha invitato gli italiani a votare per lui 
                  e solo per lui, ribadendo il concetto in una lettera ai tesserati 
                  e in un opuscolo inviato a 15 milioni di elettori (opuscolo 
                  che sarebbe bene respingere al mittente senza sconfezionarlo 
                  per non dover pagare il carico postale). Questo atteggiamento è stato da molti sottovalutato, 
                  attribuito spesso alla megalomania delirante che gli è 
                  consueta o ad una sottolineatura fuori misura della inessenzialità 
                  della presenza politica degli alleati, piccoli o grandi che 
                  siano.
 Certo è fuori discussione la sua propensione allo spettacolo, 
                  al monologo magniloquente davanti ad una platea che pende dalle 
                  sue labbra e, del resto, i suoi trascorsi di intrattenitore-animatore 
                  in contesti turistici più o meno a buon mercato confermano 
                  questa sua vocazione. Ma il discorso non si chiude lì.
 La verificata capacità di coinvolgere platee sempre più 
                  vaste deve averlo convinto di potersi spingere molto più 
                  in là, di poter esercitare il suo carisma sino a convincere 
                  se stesso e i suoi seguaci che è lui l’uomo nuovo 
                  della provvidenza, l’unto che può volare al di 
                  sopra di ogni convenzione, il messia che è chiamato ad 
                  esercitare il diritto-dovere di guidare il popolo verso la terra 
                  promessa.
 Che è la sua terra, beninteso, con confini da lui stabiliti 
                  e regole da lui dettate.
 L’identificazione con George W. Bush è perfetta 
                  e non deve affatto farci sorridere. Se si valuta il suo percorso 
                  da premier, al di là delle sortite folkloristiche che 
                  tentano di distrarre l’opinione pubblica dalla brutalità 
                  degli obiettivi perseguiti, si scorgerà il disegno lucido 
                  di fondo. Sin dall’inizio del suo mandato, quest’uomo 
                  ha aperto una conflittualità radicale nei riguardi dei 
                  poteri costituiti.
 Ha costantemente mortificato il potere giudiziario sino a ridurlo 
                  ad una difesa disperata, che ai più può apparire 
                  corporativa e, in quanto tale, difficile da condividere.
 Se riuscirà ad imporre la figura del Gran Procuratore 
                  con poteri assoluti sull’andamento dei lavori giudiziari, 
                  l’assoggettamento di questa figura al potere politico 
                  sarà cosa fatta e, per suo tramite, di tutto l’ordinamento.
 Il capo dello stato è stato ridotto ad un vecchio signore 
                  che attraverso i suoi discorsi o i suoi messaggi è n 
                  grado soltanto di testimoniare il livello della sua arteriosclerosi, 
                  senza alcuna speranza di esercitare alcuna influenza sull’esecutivo 
                  (vedi l’esito del suo intervento in merito alla legge 
                  Gasparri).
 Il parlamento – è sotto gli occhi di tutti – 
                  è ridotto ad una piazza d’armi, dove soldati ben 
                  schierati rispondono agli ordini di un solo generale, senza 
                  alcuna possibilità neppure di uscire di un passo fuori 
                  dalle file.
 Il progetto, esplicitato da Berlusconi nel congresso già 
                  citato, di reiterare senza limiti di decenza il voto di fiducia 
                  per fare approvare le sue riforme, avvia un processo plebiscitario 
                  che è ben lontano da qualsiasi sistema democratico.
 In questo contesto la Corte Costitu-zionale, poi, può 
                  blaterare quanto vuole, tanto nessuno la prende sul serio, come 
                  dimostra l’inessenzialità delle sue sentenze sul 
                  conflitto d’interesse e sulla destinazione al satellitare 
                  di Rete 4.
 Per quel che riguarda lo scenario della repressione, esercitata, 
                  minacciata o potenziale, sappiamo tutti che le cosiddette forze 
                  dell’ordine, per definizione, sottostanno agli organi 
                  di governo.
 Ma vi è in questo ambito una prospettiva che dovrebbe 
                  aggiungere preoccupazione a preoccupazione, ed è la trasformazione 
                  da esercito di leva ad esercito di professionisti già 
                  in avanzato stadio di attuazione in Italia.
 Per tradizione, un esercito di professionisti tende a farsi 
                  casta e ad assumere una certa non rassicurante autonomia decisionale.
 Non è un rischio immediato, ma è bene non perdere 
                  di vista il processo.
 
  L’arroganza di un uomo
 Infine (ma non ultimo), il tasto drammatico dell’informazione. 
                  Ormai non vi è più limite all’arroganza 
                  di un uomo e di un regime che non tollerano di essere contraddetti. 
                  Il tratto tipicamente fascista di una cultura omologata, imposta 
                  a tutti i mezzi d’informazione, è evidente e non 
                  si avverte neppure la necessità o la decenza di mascherarlo. 
                  Il conflitto di interessi tra un presidente del consiglio che 
                  detiene la proprietà di due terzi degli strumenti di 
                  comunicazione di massa e controlla politicamente i rimanenti 
                  è solo un aspetto dell’anomalia italiana: l’altro, 
                  di gran lunga più inquietante, è il disegno di 
                  oscurare sistematicamente le notizie per far crescere l’isolamento 
                  del nostro paese dal resto del mondo. Anche su questo versante, 
                  quindi, pochi dubbi sul progetto autoritario e liberticida di 
                  Berlusconi e dei suoi accoliti. Se questo quadro dovesse confermarsi (e l’esito delle 
                  elezioni europee potrebbe imprimere un’accelerazione del 
                  processo), rischieremmo tutti di essere colti in mezzo al guado. 
                  L’opposizione istituzionale non costituirebbe argine, 
                  come non lo costituì nella transizione tra il governo 
                  Facta e l’avvento di Mussolini, nel 1922: dapprima tenterebbe 
                  un improbabile compromesso, poi si dissolverebbe, integrandosi 
                  più o meno acriticamente nel nuovo regime. Resterebbero 
                  gli irriducibili ai quali si aprirebbero le strade obbligate 
                  dell’esilio o della clandestinità.
 Per gli anarchici si ripeterebbe il calvario che hanno già 
                  storicamente conosciuto sotto ogni regime autoritario.
 Possiamo far poco per impedirlo, ma questo ci assolverebbe solo 
                  in parte.
 Dovremmo convincere e convincerci di aver fatto in tempo quanto 
                  era nostra facoltà fare, senza sottovalutazioni colpevoli 
                  e senza illuderci che, insorta la malattia, si troverebbero 
                  automaticamente i rimedi.
 Debbo confessare che capto in giro scarsa consapevolezza dei 
                  rischi che si nascondono nella attuale congiuntura della politica 
                  italiana. Trovo che gli stessi compagni che avvertono il pericolo, 
                  esitano a denunciarlo con la dovuta insistenza e determinazione, 
                  forse timorosi di drammatizzare troppo gli eventi o, peggio, 
                  di innescare procedure di clandestinizzazione delle lotte, oggi 
                  assolutamente improponibili e controproducenti.
 Ma una cosa è demonizzare l’attualità, tutt’altra 
                  cosa è attuare semplici misure di sicurezza che affranchino 
                  l’intero movimento libertario dai rischi delle provocazioni 
                  e dell’inquinamento. Un minimo di controllo del territorio 
                  e di coordinamento delle informazioni non limiterebbe la libertà 
                  di nessuno e tornerebbe utile a tutti.
 Come è evidente, tutto questo non ha nulla a che vedere 
                  con il nodo irrisolto di un’organizzazione libertaria, 
                  nodo che ha costituito nel passato motivo di separazioni, di 
                  sospetti e di indebolimento dell’intero fronte anarchico 
                  di fronte alle insidie dei tempi.
 Il dilemma molto più complessivo è se intendiamo 
                  continuare ad essere una forza rivoluzionaria ben ancorata alla 
                  contemporaneità o ci basti rappresentare una suggestiva 
                  prospettiva per un futuro che i fatti che incombono rende quanto 
                  mai remoto.
  Antonio Cardella
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