| Leggendo, molti anni 
                  addietro, i taccuini di Monatte (1) mi 
                  ha colpito un appunto sulla polemica condotta dai compagni d’orientamento 
                  antisindacale che accusavano i sindacalisti anarchici di essere 
                  “topi che avevano trovato il formaggio nel quale acquattarsi”. 
                  Con una punta di, comprensibile, amarezza Monatte notava che 
                  all’età in cui egli scriveva suo padre aveva tutti 
                  i capelli rossi mentre lui li aveva grigi anche per la durezza 
                  di un impegno che certo non gli garantiva privilegi di alcuna 
                  specie. Nel caso di Pierre Monatte che aveva fatto del “refus 
                  de parvenir” la sua parola d’ordine come nel caso 
                  di molti altri militanti sindacali di orientamento libertario 
                  la polemica astiosa ed unilaterale che alcuni settori del movimento 
                  conducevano contro i sindacalisti era palesemente sbagliata.
 Eppure, se si guarda alla stesa vicenda di Monatte non dal punto 
                  di vista della moralità e del rigore ma da quello della 
                  deriva politica, il suo impegno sindacale da un certo momento 
                  in poi tende a divenire totalizzante e lo allontana dalle posizioni 
                  anarchiche dalle quali ha preso le mosse. Il sindacalismo operaio 
                  diviene per lui, e non solo per lui, non tanto uno strumento 
                  di emancipazione quanto un orizzonte non trascendibile. Il sindacato, 
                  del quale pure denuncia l’integrazione, a volte la corruzione, 
                  la mancanza di radicalità, la subordinazione ai partiti 
                  parlamentari gli sembra l’unico terreno efficace di azione 
                  sia nel senso della costruzione del sindacato stesso che in 
                  quello della riduzione della propria azione politica alla battaglia 
                  interna all’apparato ed al corpo dei militanti sindacali.
 Sempre nei suoi appunti, appare evidente il rimpianto per la 
                  ricchezza dell’elaborazione dei gruppi anarchici di orientamento 
                  classista ed operaista nei quali si è formato e la percezione 
                  del livello non eccelso della formazione generale dei militanti 
                  sindacali.
 
   Difesa immediata Una sensazione simile a quella che mi dà la lettura 
                  di vecchie carte di questo genere la provo sovente ragionando 
                  sull’impegno degli attuali militanti sindacali libertari 
                  impegnati in un lavoro quotidiano sovente non facile e in un 
                  tentativo problematico di far vivere una dimensione libertaria 
                  all’interno di strutture sindacali concentrate in un’attività 
                  di difesa immediata dei diritti dei lavoratori e nel garantire 
                  la propria sopravvivenza in un situazione certamente non favorevole. 
                  In una recente lettera uno dei compagni che più seriamente 
                  si spendono sul terreno sindacale e del quale, per evidenti 
                  motivi di discrezione non posso fare il nome, definiva se stesso 
                  e gli altri compagni di orientamento sindacalista come “i 
                  manovali dell’anarchismo”. Un’immagine forse 
                  eccessiva ma che rende bene una percezione delle questioni che 
                  si affrontano.
 Vi si intrecciano l’orgoglio di chi svolge un lavoro quotidiano 
                  duro ed oscuro che ritiene essenziale come verifica della verità 
                  pratica di una tensione rivoluzionaria che rischia di diventare 
                  astratto discorso e la percezione dei suoi limiti e delle sue 
                  contraddizioni.
 Credo, di conseguenza, che valga la pena di ragionare su una 
                  questione che, dal punto di vista libertario, è, con 
                  ogni evidenza, centrale. Mi riferisco al fatto che la tendenza 
                  alla burocratizzazione del sindacalismo, anche di quello che 
                  si vuole “di base”, “alternativo”, “indipendente” 
                  è decisamente forte. La vera domanda che è bene 
                  porsi è se sia vero che, al di fuori di una fase storica 
                  rivoluzionaria, ogni organizzazione stabile delle classi subalterne 
                  non possa che oscillare fra l’integrazione e l’irrilevanza.
 Non ho usato a caso il termine stabile. È, infatti, perfettamente 
                  evidente che degli organismi di lotta che si sviluppano su questioni 
                  specifiche possono mantenere per qualche tempo una forma organizzativa 
                  non burocratica ma il vero problema è la tenuta nel tempo 
                  di organizzazioni costituite non da militanti rivoluzionari 
                  ma da lavoratori, magari combattivi, ma non disponibili a dedicare 
                  il loro tempo all’impegno sindacale e politico e più 
                  che disponibili a delegare le funzioni organizzative ad una 
                  minoranza di funzionari e militanti.
 L’esperienza italiana dell’ultimo ventennio è, 
                  da questo punto di vista, a mio avviso interessante. Il sindacalismo 
                  alternativo, infatti, ha raggiunto dimensioni e capacità 
                  di iniziativa non marginali ed è presente in molte aziende, 
                  aree geografiche e categorie di lavoratori come una forza discreta. 
                  Se ne può, di conseguenza, ragionare a partire da elementi 
                  di giudizio tutt’altro che limitati.
   Fatti evidenti Ora, una serie di fatti è assolutamente evidente e proverò 
                  a riassumerli in una forma, per certi versi, brutale e persino 
                  eccessiva:  1. i militanti del sindacalismo alternativo, 
                  di norma, non hanno affatto elaborato un’identità 
                  comparabile a quella dei sindacalisti d’azione diretta 
                  dell’inizio del secolo scorso in particolare per quel 
                  che riguarda la critica del parlamentarismo e del ceto politico. 
                  Si potrebbe far rilevare che lo stesso sindacalismo d’azione 
                  diretta era, da questo punto di vista, contraddittorio ma è 
                  bene tener presente che la visione generale della questione 
                  sociale che caratterizza la parte più consistente dei 
                  “sindacalisti alternativi” è, al massimo, 
                  welfarista radicale e che la rottura con i sindacati istituzionali 
                  verte principalmente sul fatto che questi ultimi sono completamente 
                  subalterni alle politiche statali e padronali;  2. le organizzazioni sindacali alternative 
                  che hanno tenuto bene e sono cresciute si caratterizzano per 
                  la presenza di un numero, certo limitato in assoluto e in proporzione 
                  rispetto ai sindacati istituzionali ma discreto, di funzionari 
                  e distaccati. Vi è, in altri termini, una piccola ma 
                  consolidata burocrazia che si è stabilizzata e consolidata 
                  nel tempo. Uso, in questo caso, il termine burocrazia non in 
                  un’accezione polemica ma per indicare un dato di fatto 
                  ed un gruppo sociale i cui membri possono essere persone di 
                  grande onestà e capacità di lavoro ma che hanno, 
                  inevitabilmente, un modo di affrontare i problemi che parte, 
                  in primo luogo, dalla necessità di crescita organizzativa; 
                 3. la stessa attività quotidiana di 
                  tutela individuale e collettiva che i sindacati alternativi 
                  garantiscono non potrebbe esservi senza questo piccola apparato. 
                  I lavoratori che si organizzano con un sindacato, con qualsiasi 
                  sindacato, si attendono, almeno, la tutela legale, la consulenza 
                  sul salario, le tasse, la previdenza, la malattia ecc. e questo 
                  lavoro, superata una certa consistenza, richiede competenze 
                  specialistiche e una disponibilità di tempo che non è 
                  facile richiedere a militanti che spendono la loro giornata 
                  in produzione. Naturalmente quanto dico non esclude che molta 
                  di questa attività possa essere garantita da lavoratori 
                  e delegati aziendali ma il volontariato in primo luogo deve 
                  esservi e deve caratterizzarsi per una certa competenza e, in 
                  secondo luogo, ha dei limiti;  4. l’apparato tende a controllare l’organizzazione 
                  che lo ha prodotto. I suoi membri possono dedicarsi a tempo 
                  pieno al lavoro sindacale, conoscono la situazione, sono in 
                  relazione con i collettivi aziendali, possono orientare la discussione 
                  e le decisioni, posseggono informazioni che non sono a disposizione 
                  degli iscritti e dei militanti.  Sulla base delle precedenti affermazioni, che potrebbero essere 
                  ampiamente documentate, sembrerebbe evidente che i militanti 
                  sindacali libertari sono condannati ad un ruolo di coscienza 
                  critica all’interno di organizzazioni sostanzialmente 
                  burocratiche ed autoritarie.   Individuare soluzioni diverse
 Se, però, partiamo dalla considerazione che la rete 
                  dei militanti sindacali combattivi che anima il sindacalismo 
                  alternativo è un interlocutore importante del movimento 
                  anarchico e che la burocratizzazione non si combatte con denunce 
                  di tono moralistico ma individuando soluzioni diverse ed efficaci 
                  qui ed oggi alle esigenze che legittimano la burocrazia, è 
                  evidente che si deve iniziare un percorso di riflessione sui 
                  punti accennati e quindi sulla capacità nostra di produrre 
                  una proposta politica generale capace di interessare e coinvolgere 
                  i militanti sindacali, sui modi che si possono trovare per garantire 
                  tutela, informazione, formazione senza costruire apparati autoperpetuantesi, 
                  sui meccanismi organizzativi che realisticamente possono garantire 
                  circolazione dei ruoli e delle responsabilità e decentramento 
                  delle decisioni. Io sono convinto che un modello libertario di organizzazione 
                  sia, dal punto di vista della lotta di classe, e non solo, il 
                  più efficace ma sono altrettanto convinto, mi si passi 
                  il gioco di parole, che questo convincimento vada argomentato, 
                  dimostrato, verificato sul campo.
 In particolare i libertari hanno molto da dire, e da fare, sul 
                  terreno delle forme di lotta, nella produzione di un sapere 
                  critico, nella costruzione di reti di informazione.
 Sarebbe interessante, a mio avviso, che su questi temi si sviluppasse 
                  una discussione approfondita e senza troppi pregiudizi.
  Cosimo Scarinzi
 nota:
 1. Sindacalista rivoluzionario francese di formazione anarchica 
                  particolarmente noto in Italia per la polemica che sostenne 
                  con Errico Malatesta al congresso anarchico di Amsterdam del 
                  1907 appunto sul sindacalismo. Animatore di diverse ed importanti 
                  riviste quali “La Vie Ouvriere” e “La Revolution 
                  Proletarienne”.  |