|  Anarchia 
                  “totale”
 Alla redazione di Radio Popolare e.p.c. ad A rivista anarchica
 Da diversi anni ascolto la vostra/nostra radio ma è 
                  la prima volta che vi scrivo. Durante i giornali radio di una decina di giorni fa, nel trattare 
                  le tristi vicende di Haiti dopo la “fuga” di Aristide, 
                  avete spesso usato il termine “anarchia” per descrivere 
                  la situazione di caos, soprusi e uccisioni che quel paese, e 
                  in particolare Port-au-Prince, si trovava a vivere.
 Già in occasione della seconda guerra del Golfo, quando 
                  Baghdad era caduta in mano agli invasori, era successa la stessa 
                  cosa, e già allora alcuni ascoltatori, anche in diretta, 
                  vi avevano segnalato l’uso improprio del termine “anarchia”. 
                  In quell’occasione credo di aver notato una vostra attenzione 
                  a queste critiche perché da un certo punto in avanti 
                  non avete più usato il termine “anarchia” 
                  per descrivere la situazione di Baghdad.
 Adesso ci risiamo.
 Ritengo piuttosto grave che un organo di informazione come Radio 
                  Popolare aderisca acriticamente a luoghi comuni e faziosi, per 
                  non dire di più, che identificano l’anarchia con 
                  situazioni come quelle verificatesi a Baghdad e a Port-au-Prince.
 Propongo pertanto a tutta la redazione di approfondire questo 
                  tema. I riferimenti per contattare il movimento anarchico anche 
                  a Milano credo non vi manchino; in ogni caso sono a vostra disposizione 
                  per qualsiasi approfondimento o chiarimento.
 Un abbraccio
 Roberto Panzeri(Valgreghentino)
 P.s. – Sarebbe interessante anche approfondire perché 
                  slogan tipo “I comunisti mangiano i bambini” non 
                  siano passati nel “popolo di sinistra” mentre quello 
                  di “Anarchia=caos” sì.  Siamo concordi con quanto espresso da Roberto nella sua 
                  lettera a Radio Popolare. Ascoltando anche noi la radio, siamo 
                  rimasti incuriositi dal fatto che a fianco della parola (usata 
                  a sproposito) anarchia venisse utilizzato anche l’aggettivo 
                  “totale”. Che i redattori potessero usare il semplice termine di CAOS, 
                  parola che si presta egregiamente alla bisogna per la sua brevità 
                  e per il fatto di non dar adito ad interpretazioni ambigue, 
                  e non l’abbiano fatto può volerci dire una cosa 
                  molto importante, che stanno elaborando un nuovo concetto d’anarchia: 
                  l’anarchia totale da contrapporre all’anarchia parziale.
 Quello che non capiamo però è se quella totale 
                  sia negativa mentre quella parziale è positiva, o viceversa 
                  (o forse nessuna delle due!).
 Di fronte a questa sfida dialettica siamo rimasti senza punti 
                  di riferimento e ci farebbe piacere se qualche redattore di 
                  Radio Popolare, filosofo a tempo perso, ci ragguagliasse sull’arcano.
      “Revisionismo” 
                  libertario
 Cara Redazione, sottolineando il livello ottimo degli articoli del numero di 
                  marzo 2004 (era un po’ di tempo che invece, a fronte di 
                  contributi eccelsi, c’era un po’ sapore di raccogliticcio...) 
                  vorrei segnalare, oltre all’eccelso contributo 
                  di Felice Accame sul mancinismo (finalmente anche psicopedagogia 
                  e un po’ di pedagogia clinica su A!) e a quello di bella 
                  e preziosa inutilità (ma l’accento è sugli 
                  aggettivi, non sul sostantivo) di Fulvio 
                  Abbate sui “Ricordi” (e qui aggiungerei che 
                  la poesia e segnatamente la prosa poetica mancavano da un po’ 
                  su quella rivista così “seria” che è 
                  A...), quelli che credo i tre testi chiave di questo numero, 
                  e pour cause. Mi riferisco a Una 
                  scienza inutile di Francesco Robustelli, Il 
                  Grande Controllo di Andrea Papi, L’arma 
                  della memoria contro l’oblio di Jérôme Baschet.
 Robustelli integra il classico approccio di Paul Feyerabend 
                  sul “probabilismo” – sintetizzo in modo un 
                  po’ brutale, ma lo spazio lo impone – coinvolgendo 
                  la problematica sociale e del rapporto società-scienza-società 
                  (la triade si impone, per le reciproche ricadute), senza neo-dogmatismi 
                  à la Bogdanov né dogmatismi “antidogmatici” 
                  (lo scientismo della “morte della scienza”, per 
                  intenderci).
 Papi tratta il tema del terrorismo in modo intelligente e non 
                  aprioristico il tema del controllo (informativo, informatico 
                  e di pura gestione del Potere, intelligence compresa ma in modo 
                  non onnivoro), senza dar ragione né a Hardt-Negri (Empire) 
                  né a Crisso-Odoteo (“barbari”), cioè 
                  a dire: né la necessità che i movimenti si rapportino 
                  con l’Impero né la tesi del ritiro apoditticamente 
                  “antagonista” dal rapporto con esso.
 Baschet, dal canto suo, in questo terzo capitolo della sua riflessione 
                  sul Chiapas mostra a sua volta che non esiste “futuro 
                  prevedibile”, non ci sono “magnifiche sorti e progressive” 
                  (Leopardi, do you remember?) della storia.
 Contro il “marxismo ortodosso”, dunque, in tutti 
                  e tre i testi, ma anche contro i cascami di una vulgata anarchica 
                  che dopo l’11 settembre 2001 e l’11 marzo 2004 sarebbe 
                  solo grottesco... Non per questo credo (pur se non mi dispiacerebbe, 
                  confesso) un “revisionismo” in senso libertario.
 “A” non “deve” diventare “Libertaria”, 
                  ma la direzione di marcia (orribile espressione, che uso solo 
                  per comodità) è questa, non quella trionfalistica, 
                  che a tratti riaffiora altrove nella rivista.
 Cari saluti
 Eugen Galasso(Bolzano)
    Rileggere 
                  Malatesta e Zaccaria
 Cari compagni, voglio ringraziare di cuore Nico Berti, autore 
                  del volume Errico Malatesta e il movimento anarchico italiano 
                  e internazionale. 1872-1932 (Franco Angeli editore, Milano 
                  2003) per il suo straordinario contributo alla conoscenza del 
                  pensiero malatestiano. Pensiero non ideologico, umanista, pieno 
                  d’amore verso l’umanità, estremamente tollerante 
                  e mai debole, diffidente sulle certezze, a meno che non si trattasse 
                  della volontà, intellettuale onestissimo, che ha avuto 
                  il grande merito di non aver mai avuto bisogno di interpreti, 
                  tutt’alpiù di diffusori del suo pensiero: tanta 
                  era la chiarezza del suo pensiero e soprattutto dei suoi scritti. 
                  A leggere Malatesta, ti viene voglia di distruggere la penna, 
                  il calamaio ed il computer... ti sembra che tutto sia già 
                  stato detto e scritto, e nel migliore dei modi possibili, così 
                  non ti resta che il tentativo di migliorare te stesso il più 
                  possibile, altrimenti di startene tranquillo in pace… 
                 
                   
                    |  |   Mi ricordo i tempi della rifondazione della FAI, 
                  1963/64, il dibattito verteva sulla necessità di organizzare 
                  meglio la nostra azione, la nostra presenza nella società. 
                  Nel nome di Malatesta ci dividemmo: gli organizzatori da una 
                  parte, gli antiorganizzatori dall’altra (FAI e GIA)! Ognuno 
                  pensava di interpretare al meglio la lezione di Malatesta. Ovvero, 
                  neppure gli antiorganizzatori ne mettevano in discussione l’autorità 
                  morale, non nascondendo comunque il pericolo di autoritarismo 
                  insito nell’affermare la necessità di un versamento 
                  fisso ma volontario, per il mantenimento dell’organizzazione! 
                  Il mondo stava cambiando, eravamo agli albori della contestazione 
                  del ‘68, e noi stavamo ancora discutendo sul sesso degli 
                  angeli! Anche questo treno passò, la nostra divisione 
                  si tradusse in estrema debolezza, e noi eravamo, ancora una 
                  volta, rimasti senza biglietto! Conosciamo le tre fasi del pensiero malatestiano, manca la quarta, 
                  la previsione in sociologia, idea mai compiuta, perché 
                  come lui diceva, c’è sempre qualche cosa di più 
                  importante da fare...
 A mio giudizio manca la fase che avrebbe potuto toglierci dalla 
                  paralisi, che avrebbe potuto insegnarci a sporcarci le mani 
                  con la realtà quotidiana, a commettere degli errori ma 
                  stando insieme alla gente, a trasformare la volontà anche 
                  in impegno politico, come avevano fatto prima i compagni messicani, 
                  e come faranno poi i compagni spagnoli. Non fu sufficiente agire 
                  all’interno dei sindacati, con i Comitati di Difesa Sindacale, 
                  come lui pensava, furono stritolati dalla preponderanza stalinista, 
                  cosicché perdemmo visibilità anche in quel movimento 
                  e diventammo degli emarginati, così accadde anche per 
                  la società civile, dove, la nostra pretesa purezza ci 
                  faceva perdere di vista e sottovalutare il problema delle alleanze, 
                  la necessità delle alleanze.
 Non voglio dire che il pensiero malatestiano, nella sua completezza, 
                  si riveli al fine come una “forza” paralizzante, 
                  ma è pur sempre un tentativo di interpretare la società 
                  e tentare di individuare gli strumenti più adatti per 
                  la sua trasformazione, quindi si tratta di riflessioni che vanno 
                  di volta in volta adattate e modificate, soprattutto, quando 
                  ci si accorge di essere vittime di uno stallo oramai sfibrante.
 Malatesta non avrebbe voluto assistere a tutto questo, e ce 
                  lo insegna la maturazione delle sue riflessioni durante la sua 
                  lunga militanza: consegnarlo come un pensiero compiuto, alto 
                  ed immodificabile, sarebbe come dogmatizzarlo, proviamo semmai 
                  a prefigurarne i possibili sviluppi. Tentativi ce ne sono stati, 
                  basta rileggersi bene Camillo Berneri e Cesare Zaccaria.
 Voglio chiudere con una proposta: rileggere insieme anche Cesare 
                  Zaccaria. Cosa ne dite?
 Alfredo Mazzucchelli(Carrara)
    FIAT 
                  e pena di morte
 La Sezione Italiana di Amnesty International: furgoni Fiat 
                  per eseguire condanne a morte in Cina  I “boia itineranti” sono la nuova scoperta di Pechino 
                  e girano su furgoni FIAT adattati allo scopo. Lo ha denunciato 
                  oggi la Sezione Italiana di Amnesty International, chiedendo 
                  all’azienda torinese di non rendersi complice di una violazione 
                  del fondamentale diritto umano, quello alla vita. Da quando la Cina ha adottato il metodo di esecuzione dell’iniezione 
                  di veleno, le autorità hanno sollecitato i tribunali 
                  locali a dotarsi di camere di esecuzione mobili, onde poter 
                  accelerare i tempi ed evitare di dover trasferire i condannati 
                  da una città all’altra.
 Secondo Amnesty International, la pena di morte in Cina continua 
                  a essere applicata in modo esteso e arbitrario, spesso influenzata 
                  da interferenze politiche. Negli ultimi quattro anni, con il 
                  lancio delle cosiddette campagne “Colpire duro”, 
                  è aumentato considerevolmente il numero dei condannati 
                  a morte anche per reati di lieve entità, in precedenza 
                  puniti con il carcere. All’indomani dell’11 settembre 
                  2001, inoltre, la Cina ha intensificato la repressione contro 
                  la minoranza uigura del Xinjiang, eseguendo condanne a morte 
                  per reati politici. I dati di Amnesty International, che riguardano 
                  solo i casi accertati, parlano di 1.060 condanne a morte eseguite 
                  nel corso del 2002. Secondo altre fonti, il numero delle esecuzioni 
                  potrebbe essere fino a dieci volte superiore.
 Nei giorni scorsi, il “Beijing News” ha pubblicato 
                  la notizia dell’acquisto di un furgone da parte dell’Alta 
                  corte della Provincia di Liaoning, nella Cina nord-orientale, 
                  subito attrezzato per diventare “camera della morte” 
                  itinerante. La notizia è stata poi confermata da un funzionario 
                  di polizia della stessa Alta corte, addetto alle esecuzioni, 
                  il quale ha dichiarato alla “France Presse” che 
                  altri tribunali (diciassette, secondo fonti ufficiali cinesi), 
                  stanno procedendo all’acquisto dei furgoni.
 Si tratta di furgoni Iveco, del gruppo Fiat, prodotti a Nanchino 
                  e che costano 400.000 yuan, circa 40.000 euro.
 Il presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, 
                  Marco Bertotto, in una lettera indirizzata alla FIAT ha ricordato 
                  le responsabilità che l’azienda, capogruppo della 
                  Iveco, si assume con questa fornitura al governo cinese. Di 
                  fatto, un veicolo normalmente utilizzato per effettuare servizi 
                  di trasporto merci o persone, e quindi utile alla comunità 
                  civile, diventa parte essenziale di un apparato omicida puntato 
                  alla nuca della comunità stessa.
 La Dichiarazione universale dei diritti umani, nel suo Preambolo, 
                  richiede a tutti gli individui e a tutti gli organi della società 
                  di fare la propria parte per garantire il rispetto di tutti 
                  i diritti umani in ogni parte del mondo.
 Le imprese, soprattutto se grandi, transnazionali e potenti 
                  come la FIAT, essendo organi importanti della società 
                  internazionale, non possono sottrarsi a questo obbligo.
 La Sezione Italiana di Amnesty International chiede alla FIAT 
                  di:
 – porre fine alla vendita o alla consegna, se non ancora 
                  effettuata, dei furgoni alle autorità cinesi;
 – intervenire presso le autorità cinesi per pretendere 
                  l’abolizione della pena di morte e la commutazione in 
                  pena detentiva delle sentenze già emesse;
 – dare istruzioni ai propri dirigenti e a quelli della 
                  sua controllata Iveco, in Cina come in ogni altra parte del 
                  mondo, affinché non siano effettuate forniture di veicoli, 
                  parti di ricambio o attrezzature FIAT che potranno essere utilizzate 
                  per compiere violazioni dei diritti umani;
 – informare l’opinione pubblica, con una propria 
                  comunicazione ufficiale, sulle iniziative assunte affinché 
                  questo commercio di morte cessi, e con esso il sostegno anche 
                  indiretto a qualunque governo o gruppo armato che usi veicoli, 
                  parti di ricambio o attrezzature FIAT per compiere violazioni 
                  dei diritti umani;
 – fornire ampie assicurazioni che non effettuerà 
                  ulteriori forniture di veicoli, parti di ricambio o attrezzature 
                  FIAT destinate a funzioni che siano in palese violazione dei 
                  diritti umani;
 – aderire e dare attuazione alle Norme delle Nazioni Unite 
                  sulla responsabilità delle aziende, approvate il 13 agosto 
                  di quest’anno dalla Sottocommissione ONU per la promozione 
                  e la protezione dei diritti umani;
 – adottare e attuare rigorose politiche e comportamenti 
                  di responsabilità sociale nelle proprie attività 
                  quotidiane, facendo sì che queste politiche vengano trasmesse 
                  dal top management a tutti i dipendenti di tutte le imprese 
                  dalla FIAT direttamente o indirettamente controllate, impegnandosi 
                  attivamente affinché siano accettate e messe in pratica 
                  da tutti.
 – dare seguito ai pronunciamenti e ai principi internazionali 
                  espressi nelle numerose risoluzioni del Parlamento Europeo in 
                  materia di responsabilità sociale delle imprese e di 
                  traffico di armi, nel Global Compact e nelle Linee Guida dell’OCSE.
 Amnesty International, pur ritenendo che spetti ai governi la 
                  responsabilità principale di rispettare e far rispettare 
                  i diritti umani, ritiene che le imprese come la FIAT possano 
                  e debbano usare la propria influenza per intervenire sui governi 
                  a garanzia del rispetto dei diritti umani, e non possano sottrarsi 
                  a questa responsabilità, morale e legale, adducendo ragioni 
                  economiche oppure semplicemente tacendo. Di fronte a gravi violazioni 
                  dei diritti umani, come nel caso della pena di morte, il silenzio 
                  dei potenti interessi economici non può essere considerato 
                  neutrale.
 Roma, 23 dicembre 2003
 Per ulteriori informazioni, approfondimenti 
                  e interviste:Amnesty International Italia – Ufficio stampa
 Tel. 06 4490224 – cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it
 (ripreso dal sito di Amnesty 
                  International sezione comunicati) 
     
                    
                     
                      |  I 
                          nostri fondi neri 
                            |   
                      |  
                           Sottoscrizioni. Associazione culturale “Attilio Bortolotti”, 
                            3.124,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia 
                            e Alfonso Failla 500,00; a/m Paolo Finzi e Marco Pandin, 
                            raccolti durante le due giornate su Fabrizio De Andrè 
                            a Marcon (Venezia) il 7-8 febbraio, 320,00; Antonino 
                            Pennisi (Acireale) 12,00; Stefano Giaccone (Torino) 
                            20,00; Marcella Caravaglios (Messina) 36,00; Ernesto 
                            De Liperi (Pisa) 4,00; Tommaso Bressan (Forlì) 
                            100,00; Francesco De Crescenzo (Lacco Ameno) 20,00; 
                            Giampaolo Pastore (Milano) 20,00; Francesco Alioti 
                            (Genova) 40,00; Vito Mario Portone (Roma) 20,00; Giampiero 
                            Manuali (Perugia) 15,50.
 Totale euro 4.231,50.
 Abbonamenti sostenitori. Maurizio Guastini (Carrara) 200,00; Fabrizia Golinelli 
                            (Carpi) 100,00.
 Totale euro 300,00.
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