| Una schiacciante maggioranza 
                  di deputati francesi (494 contro 36) ha approvato il 10 febbraio 
                  scorso, in prima lettura, una legge che vieta agli alunni di 
                  tutte le scuole, di esibire tutti i segni e i modi di vestire 
                  che manifestino ostentatamente la loro appartenenza religiosa. 
                  Niente più velo, niente più kippah, niente più 
                  crocifisso, niente più turbante: a scuola nessuno può 
                  indossare il segno più evidente e immediato della propria 
                  appartenenza religiosa.
 Questa legge ha aperto in Francia, ma anche negli altri paesi 
                  europei, una vivace e accesa discussione nella quale è 
                  difficile non trovare ragioni sensate e positive nei vari schieramenti 
                  creatisi e nei distinguo all’interno delle opzioni più 
                  generali che si affrontano sulla questione.
 Soprattutto è apparentemente impossibile non accogliere 
                  le istanze di eguaglianza e di emancipazione che provengono 
                  dallo schieramento a favore di questo provvedimento, ma è 
                  altrettanto difficile non accettare le tesi dello schieramento 
                  opposto, quando rivendicano il diritto all’appartenenza 
                  identitaria e al ruolo della donna nel processo di emancipazione 
                  (rimando alla lettura esemplificativa di due articoli apparsi 
                  su “Le 
                  Monde Diplomatique” del febbraio del 2004).
 In realtà il problema non si esaurisce nella trattazione 
                  delle ragioni espresse dai due schieramenti e dal tentativo 
                  comune di dimostrare come questo provvedimento sia positivo 
                  o negativo, avvicini o allontani, stimoli o reprima, il comune 
                  obiettivo dichiarato di maggiore libertà e più 
                  completa emancipazione dalla religione e dalla sua funzione 
                  oppressiva.
  Principi e valori
 Allora proviamo a isolare la discussione dalle sue argomentazioni 
                  più evidenti e immediate, dalla storia e dalla cultura 
                  francese, dalle difficoltà enormi che hanno non solo 
                  gli Stati ma anche le società di integrare popolazioni 
                  diverse in un mondo sempre più globalizzato, dall’influenza 
                  esercitata dal Vaticano e dalle pressioni delle altre comunità 
                  religiose, dalla volontà di rendere tutti uguali formalmente 
                  e asetticamente, dalle istanze di affermazione delle differenze 
                  e dalla spinta all’unificazione globale. Proviamo insomma a condurre la discussione su di un piano di 
                  principi e valori e di dare ad essa una lettura libertaria che 
                  possa servire a riflettere sulla natura stessa dell’anarchismo 
                  e sulle sue fondamenta.
 E qui risultano evidenti subito due chiavi di interpretazione 
                  abbastanza distinte che ripropongono ancora una volta la discussione 
                  sulle radici dell’anarchismo e sulla sua evoluzione storica.
 Ma, onde evitare fraintendimenti, un’ulteriore precisazione: 
                  leggere la realtà e astrarre poi da essa delle considerazioni 
                  e non viceversa mi pare un elemento fondamentale per non commettere 
                  il tragico errore di sovrapporre alla vita uno schema ideologico 
                  dentro il quale spiegare conseguentemente il mondo.
 Dietro alla questione sopra esposta possiamo esplicitare una 
                  serie di problematiche e di conseguenze che cercheremo di affrontare 
                  con una prospettiva libertaria. I problemi in evidenza sono 
                  parecchi ma il principale attiene al rapporto tra libertà 
                  individuale, neutralità sociale e dimensione comunitaria.
 Voglio dire che esiste innanzitutto il valore della libertà 
                  personale e di come questa libertà possa esprimersi concretamente 
                  ma anche di quale diritto abbia, e quanto possa, una società 
                  limitarne le manifestazioni. Parlo di società e non di 
                  Stato, in quanto considero quest’ultimo per definizione 
                  uno strumento oppressivo sia nella sua confessionalità 
                  che nella sua laicità.
 Intendo dire che non si può che essere contrari al fatto 
                  che sia un organismo estraneo alla libera associazione degli 
                  uomini e delle donne ad arrogarsi il diritto di imporre una 
                  religione o una ideologia agli individui.
 Quindi i termini della questione così come sono affrontati 
                  dai vari dibattiti che vedono nello Stato il punto di snodo 
                  della questione non mi interessano.
 Ma questo non significa che non esistano comunque delle questioni 
                  aperte e tendenzialmente, anche all’interno dell’anarchismo, 
                  interpretabili in modo diverso.
 Così come mi pare evidente che la scuola non può 
                  esigere in ingresso nessuna dichiarazione di fede, né 
                  nessuna abiura alla propria fede e ai propri valori, mi pare 
                  altrettanto evidente che la stessa scuola, perlomeno quella 
                  che piacerebbe a me, non può esimersi, attraverso il 
                  confronto, dall’impedire che prendano piede forme organizzate 
                  di potere discriminante e oppressivo.
 Detto questo rimangono aperti i problemi veri, quelli per i 
                  quali non esistono sicuramente verità assolute, né 
                  soluzioni definitive, né tantomeno certezze dietro le 
                  quali nascondersi.
 L’anarchismo, nella sua costante tensione tra libertà 
                  individuale e dimensione comunitaria, tensione irrisolvibile 
                  e per fortuna mai compiutamente soddisfacente, può, proprio 
                  per questo, aiutarci a scandagliare i problemi e indicarci una 
                  via percorribile pur nella sua relatività.
 Il liberalismo e il socialismo, precisando la superiorità 
                  di un aspetto o dell’altro, hanno fallito sostanzialmente 
                  la risoluzione di questi problemi. Non possiamo, credo, accettare 
                  il relativismo etico (poiché tutto è relativo 
                  tutto è accettabile) né il dogmatismo identitario 
                  (questa comunità ha queste regole e a nessuno è 
                  dato modificarle o sopprimerle). E qui non si tratta solo di 
                  velo, ma di infibulazione, di negazione e oppressione delle 
                  diversità, ecc. ecc.
  Forza conservatrice
 Ma non si può neanche accettare l’assunto che 
                  libertà giuridica di scelta equivalga ad ammettere che 
                  in virtù di ciò tutti siano realmente liberi di 
                  scegliere. Il multiculturalismo, guidato dal postulato della tolleranza 
                  liberale che afferma il diritto di una comunità all’autoaffermazione 
                  e al riconoscimento pubblico delle identità, nasconde 
                  spesso una forza essenzialmente conservatrice e perpetuante 
                  le disuguaglianze (l’esempio più evidente è 
                  quello delle donne islamiche). L’oscenità morale 
                  viene spesso rivalutata come bellezza estetica di tipo culturale.
 Bisogna dunque distinguere tra una libera adesione individuale 
                  ad un’appartenenza (sempre rinegoziabile) con una scontata 
                  a priori appartenenza identitaria da cui discendono i contorni 
                  entro i quali esercitare la propria libertà individuale.
 Ciò che prima era giustificazione della disuguaglianza 
                  fondata sulla presunta minorità di alcune razze si trasforma 
                  in un’altra disuguaglianza, teorizzata ed espressa dal 
                  diritto alle diversità di esprimere la propria specificità.
 Insomma non possiamo rinunciare, in quanto anarchici, all’esaltazione 
                  della diversità e al contempo abdicare ad alcuni valori 
                  fondanti la nostra identità e la nostra ragione d’essere.
 Non posso accettare, in pratica, che in nome della propria cultura, 
                  tradizione, religione, storia, alcuni esseri umani perpetuino 
                  una violenza e una sopraffazione ai loro simili, ma non posso 
                  neanche impedire a queste varietà culturali di esprimersi. 
                  La nostra concezione della libertà non può naufragare 
                  né dentro l’uguaglianza forzata del socialismo, 
                  né dentro l’estremizzazione senza valori del liberalismo.
 La nostra indispensabile identità non può mai 
                  essere un ostacolo alla nostra individuale libertà di 
                  sperimentazione ma neppure la nostra irrinunciabile libertà 
                  può trasformarsi in limitazione di quella altrui.
 Voglio dire, tornando al pretesto storico e attuale di queste 
                  riflessioni, che nessun anarchico può ragionevolmente 
                  contestare a nessun uomo o donna di esprimere la propria religiosità 
                  in modo individuale e pubblico fin tanto che questa pratica 
                  non rappresenta una minaccia per gli altri e non si trasforma, 
                  da scelta libera e consapevole di ogni individuo, in automatica 
                  e deterministica definizione identitaria.
 In ogni caso nessuna legge dello Stato può mai risolvere 
                  la libertà individuale e sociale. Solo la ragione e il 
                  confronto possono promuovere una pluralistica comunità 
                  di essere liberi e uguali.
 Si badi bene che non sto parlando di fredda e asettica tolleranza 
                  ma ancora una volta di necessaria meticizzazione e non penso 
                  pertanto ad un pluralismo di diversità contrapposte ma 
                  di sempre nuove e il più possibile eterogenee comunità.
 Così come non si esporta con la violenza la democrazia 
                  tantomeno non si impone con la violenza neanche l’anarchia. 
                  Ma soprattutto non si amplia la libertà negando e contestando 
                  quelle forme, pur relative e sempre più spesso minacciate 
                  di approssimazione alla libertà che desideriamo.
  Francesco Codello
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