| La nazione 
                  musulmana deve combattere per la propria religione e rifiutare 
                  le trattative di pace in Medio Oriente
 Il suono raggelante 
                  della voce di Bin Laden, nel messaggio registrato in cassetta 
                  e trasmesso dalla televisione araba Al Jazira alla 
                  fine dellanno scorso, scandisce con determinazione le 
                  agghiaccianti parole che incitano tutti i musulmani del mondo 
                  alla sacra jihad, la santa guerra universale, nel nome 
                  ed in onore di Allah, contro gli infedeli, i crociati delloccidente, 
                  considerati i nemici storici del sacro verbo del profeta di 
                  Dio Maometto. Un messaggio inequivocabile, foriero di morti 
                  e distruzioni, che per lennesima volta, con maggior decisione, 
                  sancisce e decreta la dichiarazione di guerra totale allOccidente, 
                  lanciata con grandissima e sorprendente spettacolarità 
                  mediatica l11 settembre 2001. E se Bin Laden fosse stato lasciato fuggire? Se per calcolo, 
                  come successe alla fine della guerra contro lIraq del 
                  1991 (quando le truppe USA vittoriose, sorprendendo il mondo 
                  intero, ricevettero da Bush padre lordine di non abbattere 
                  il tiranno ormai irrimediabilmente sconfitto) né lui 
                  né il Mullah Omar appositamente non fossero stati catturati 
                  alla fine della guerra in Afghanistan di due anni fa? So che 
                  non è vero. Anzi, meglio, presumo di sapere che non è 
                  vero. E presumo di sapere che effettivamente il pericolo numero 
                  uno al mondo sia riuscito a farla franca con le proprie forze 
                  e continui a dirigere la terrificante guerra di religione contro 
                  tutti noi, considerati indiscriminatamente figli del satana 
                  occidentale e, senzappello, meritevoli di morte. Ma proviamo 
                  (per assurdo?) a supporre ciò che non è. Che cioè 
                  Bin Laden sia stato lasciato libero di muoversi, continuando 
                  a spargere morte ogni volta che gli riesce, perché la 
                  sua misteriosa presenza in qualche modo ritorna utile ai suoi 
                  nemici, costretti «masochisticamente» a difendersi 
                  senza sosta contro questo nemico invincibile, capace di colpire 
                  sadicamente quando vuole e come più gli piace.
 Di fronte a questa supposizione per assurdo, la prima domanda 
                  che viene spontanea è perché mai una simile eventualità 
                  sarebbe potuta avvenire. Quali interessi avrebbero gli americani, 
                  ma anche tutti gli stati dellOccidente del benessere, 
                  a lasciar libero di muoversi e di continuare a seminare morte 
                  un tal nemico dichiarato?
  Potenti strutture di controllo
 Per rispondere bisogna guardare con occhio disincantato ciò 
                  che ci sta succedendo attorno. Il mondo occidentalizzato sta 
                  predisponendo eccezionali misure di sicurezza con lo scopo dichiarato 
                  di prevenire e contenere al massimo attacchi terroristici continuamente 
                  minacciati. Usufruendo di tecnologie altamente sofisticate e 
                  quotidianamente sempre più aggiornate, gli apparati di 
                  potere stanno mettendo in opera unampia rete di potenti 
                  strutture di controllo, con competente accuratezza in grado 
                  di sorvegliare e schedare in archivi tenuti segreti i cittadini, 
                  a questo punto considerati veri e propri sudditi mentre si dichiara 
                  il contrario, per riuscire a tenerli costantemente docchio. 
                  Unopera gigantesca, in tendenza ogni giorno più 
                  capace di assicurare ai detentori del dominio un controllo effettivo, 
                  attento e meticoloso, su ogni essere umano ad essi sottoposto. 
                  Anche se in forma diversa da quella ipotizzata nel romanzo 1984, 
                  si sta realizzando una diffusa atmosfera dal gelido sapore orwelliano, 
                  dove al posto del Grande Fratello ci stanno anonime 
                  eminenze grigie, molto potenti e discrete, che a poco a poco 
                  simpadroniscono della conoscenza della nostra intimità 
                  e della sacrosanta segretezza della nostra vita, agendo nellombra 
                  e, a differenza del Grande Fratello, guardandosi bene 
                  dal farcelo sapere. Si sentono legittimati perché hanno 
                  la scusa che debbono salvaguardare la nostra sicurezza. In sostanza la campagna antiterrorista in atto che investe lintero 
                  globo e che, intendiamoci bene, usufruisce di un reale ed operante 
                  terrorismo sorto spontaneamente e terribilmente pericoloso ed 
                  assassino, da questo riesce a trarre un enorme beneficio perché 
                  ha unottima scusa per mettere in opera laumento 
                  di invadenza coattiva e repressiva da parte dei poteri costituiti. 
                  È lambivalenza del potere, la dimostrazione della 
                  sua elasticità, della sua duttile capacità di 
                  mostrarsi vittima e al tempo stesso di imporsi come carnefice. 
                  Da una parte mostra la maschera di chi è colpito, di 
                  chi è bersaglio del male e dellingiustizia, dallaltra 
                  prende in mano gli attacchi che subisce, generati dalla sua 
                  stessa arroganza, e li usa e li trasforma in occasione di attacco 
                  di risposta, di reazione organizzata in grado di invertire a 
                  proprio vantaggio ciò che tendenzialmente sorge per contestarlo 
                  e per metterlo in ginocchio. Nellattaccarlo bisognerebbe 
                  perciò sempre tener conto di questa sua capacità 
                  di recupero e di trasformazione vantaggiosa per sé.
 Dietro questo agire che si sta diffondendo soffusamente con 
                  grande determinazione, ci sta una filosofia della gestione del 
                  potere che, nel tempo, dietro le quinte dei palazzi, ha acquistato 
                  sempre maggior forza. Corrisponde al bisogno, che nella pratica 
                  si traduce in volontà di, di tenere sotto controllo i 
                  cittadini, indistintamente tutti i cittadini che non rivestono 
                  incarichi di responsabilità istituzionale vicini a chi 
                  decide, perché il potere ha di essi unenorme paura. 
                  Al di là delle dichiarazioni formali ed ufficiali gli 
                  apparati di comando in realtà non si fidano di nessuno. 
                  Non vivono affatto lidilliaca sintonia simbiotica con 
                  la società che gestiscono come vorrebbero farci credere. 
                  Soprattutto ad ogni angolo di strada temono continuamente la 
                  disobbedienza alle loro prescrizioni, la resistenza alle loro 
                  imposizioni, la rivolta contro il loro operato. Così 
                  sotto sotto, ma neanche poi tanto, cè la determinazione 
                  di trasformare il territorio in unenorme caserma democratica, 
                  dove, più che dagli agenti in divisa, lesercizio 
                  di controllo sbirresco viene esercitato da macchinari discreti, 
                  mentre alla luce del sole viene mascherato da sorrisi convenienti 
                  e da una conclamata disponibilità a proteggerci, quindi 
                  desideroso e bisognoso del consenso dei controllati. Di qui 
                  la necessità sentita di aumentare senza sosta a dismisura 
                  la rete e gli strumenti di controllo, nellillusione paranoica 
                  di prevenire, di riuscire ad impedire che in qualsiasi modo, 
                  coi fatti e con la parola, i sottoposti si possano ribellare.
  Paura della ribellione
 Sappiamo che il potere incute paura ai soggetti e nello 
                  stesso tempo ne ha paura, perché è costretto ad 
                  imporsi con la forza e la forza non è mai sicura di ottenere 
                  lobbedienza, potendo molte volte provocare la ribellione 
                  (1). Già negli anni quaranta del 
                  secolo scorso il sociologo Guglielmo Ferrero, con la sua teoria 
                  de i geni invisibili della città, aveva identificato 
                  con grande chiarezza come la paura della potenziale ribellione 
                  dei suoi sottoposti sia una delle molle fondamentali che detta 
                  le azioni del potere per imporsi. Per esorcizzarla e per il 
                  perseguimento dei loro scopi i suoi detentori sono sempre disposti 
                  a mettere in atto qualsiasi cosa, per nefanda che possa essere, 
                  indipendentemente che venga attuata in modo chiaro alla luce 
                  del sole, o al contrario nellombra, alloccorrenza 
                  negata e mascherata. Ciò che per lor signori effettivamente 
                  conta più dogni altra cosa è il mantenimento 
                  del potere stesso che detengono, al limite cercando dampliarlo, 
                  ma mai, per nessuna ragione, accettando di lasciarlo diminuire, 
                  a meno che non vi siano costretti da eventi incalzanti ed obbliganti. 
                  Il perdurare della costante minaccia terroristica offre inoltre 
                  anche unaltra ghiotta opportunità di esercizio 
                  del dominio. Non dimentichiamoci che oggi le politiche dominanti 
                  non si svolgono più in ristretti ambiti territoriali 
                  nazionali, mentre si estendono allintero globo, galvanizzate 
                  dagli interessi indiscussi di ununica superpotenza, gli 
                  USA, attorno alla quale ruotano le altre potenze dellOccidente, 
                  appunto globalizzato. Per mantenere questa supremazia cè 
                  la continua necessità di aggiornare la capacità 
                  dinfluenza, dimporre le proprie scelte, di non subire 
                  pressioni ma di esercitarle. E per queste funzioni, quando gli 
                  strumenti tradizionali della politica risultano inefficaci, 
                  la guerra è uno strumento principe. Solo che in questo 
                  contesto, che si pretende ed ha bisogno di apparire democratico 
                  e aperto, non si possono condurre campagne belliche senza mettere 
                  in campo ragioni e giustificazioni che diano legittimità 
                  alle aggressioni armate. Lo richiedono il livello e la qualità 
                  delle relazioni internazionali. Allora la difesa, anche necessariamente 
                  preventiva e di attacco, contro un nemico così mortale, 
                  infido, diabolico e terrificante come il terrorismo, offre la 
                  giustificazione per eccellenza al fine di sferrare devastanti 
                  aggressioni belliche, per imporre linfluenza politica, 
                  militare ed economica necessaria allomeostasi del sistema 
                  di potere in atto.
 Viene spontaneo chiedersi quale sia il sistema di potere in 
                  atto. Cercherò di chiarire cosa intendo.
 Uso la parola sistema nel suo significato più classico, 
                  cioè connessione di elementi in un tutto organico. Ed 
                  oggi nel mondo cè, unico operativo a livello globale, 
                  un sistema dominante. La sua caratteristica si esplica attraverso 
                  il controllo dei sistemi economici e delle transazioni finanziarie, 
                  delle gerarchie politiche, degli apparati militari e della tecnologia 
                  informatica, mediatica, robotica e scientifica. Ha come finalità 
                  il dominio su tutto ed il controllo indiscusso su ciò 
                  che domina. La sua filosofia si fonda sul paradigma che la specie 
                  umana è la più intelligente e la più potente, 
                  almeno sulla superficie del globo terrestre, per cui i suoi 
                  dirigenti si ritengono in diritto ed hanno scelto di assoggettare 
                  ai propri bisogni ogni altra specie vivente e di annettersi 
                  tutte le risorse naturali, preoccupandosi soltanto dei livelli, 
                  calcolati con lutile economico, di benessere momentaneo 
                  che riescono a raggiungere.
  Struttura reticolare
 Non ha un centro decisionale, un comando centralizzato, una 
                  cupola centrale come si direbbe in linguaggio mafioso, da cui 
                  diramare decisioni e scelte ai terminali dei molti raggi a lui 
                  sottoposti. Ha invece una struttura reticolare, sebbene la sua 
                  rete non sia affatto ecosistemica, cioè fondata su una 
                  distribuzione paritaria ed integrata delle competenze e delle 
                  energie. Da questo punto di vista, classico gerarchico, è 
                  infatti policentrico, anche se allinterno delle sue svariate 
                  ramificazioni agiscono vere e proprie potentissime gerarchie 
                  di potere e daffari, non sempre istituzionalizzate. Il 
                  complesso della rete (multinazionali, strutture bancarie, finanziarie, 
                  burocrazie politiche, partitiche ed a volte anche sindacali, 
                  organismi amministrativi ed economici, apparati informatici, 
                  mediatici e militari, ecc.), è sovrastato da un insieme, 
                  compatto ed intrecciato allo stesso tempo, di enormi interessi, 
                  economici e di potere, che fanno si che ogni componente dellintreccio 
                  sia indissolubilmente legato ad essa e da essa dipenda, in modo 
                  tale che le decisioni, singole o comuni, siano sempre funzionali 
                  allinsieme stesso della rete. Il sistema dominante non è caratterizzato, né 
                  per principio vi si lega, da nessun sistema politico specifico. 
                  Per il raggiungimento dei suoi scopi gli è indifferente 
                  che a governare uno stato si trovi al potere una democrazia, 
                  una dittatura di destra o di sinistra, un regime teocratico. 
                  Gli importa invece che, qualsiasi sia la forma di guida politica 
                  istituzionale, questa risulti funzionale ed omologata al raggiungimento 
                  degli obbiettivi del controllo di dominio che intende continuare 
                  a tenere saldamente nelle proprie mani. Ogni volta che uno stato 
                  od unorganizzazione, qualsiasi siano le ragioni che li 
                  spingono, in qualche modo oppongono resistenza o si dimostrano 
                  non funzionali, mettendo in pericolo la supremazia del suo controllo, 
                  si adopera in ogni maniera per renderlo inoperante e, al limite 
                  se gli riesce, per annientarlo.
 Pur nascendo e proliferando allinterno del mondo e della 
                  cultura occidentali, dove a tuttoggi trova il suo punto 
                  di forza, il sistema dominante è trasversale ed agisce 
                  a livello globale sullintero pianeta, perché la 
                  sua natura totalitaristica (tendente cioè ad occupare 
                  il tutto) lo porta a gestire la globalità terrestre. 
                  Gli affari e lesercizio del dominio non hanno nazione 
                  né territorio specifico, mentre hanno bisogno di esercitarsi 
                  sia sulluna che sullaltro.
 Non è un sostituto dello stato e dei governi nazionali, 
                  non tende cioè ad essere lo stato e il governo del mondo 
                  che deve e vuole soppiantarli. Non glinteressa né 
                  gli serve. Ciò che invece gli è utile e funzionale 
                  è la capacità dinfluenzare, condizionare 
                  ed omologare la politica e leconomia degli stati e dei 
                  governi già esistenti, rendendoli ostaggi della propria 
                  politica, pragmatica e non istituzionale, fondata sui propri 
                  interessi e sulle proprie scelte trasversali. Se non ci riesce 
                  tende ad abbatterli, o attraverso campagne militari condotte 
                  da governi e stati perfettamente omologati, o attraverso ricatti 
                  e sanzioni economiche di respiro internazionale, capaci di mettere 
                  in ginocchio interi paesi ed intere popolazioni.
  Metamorfosi strutturali
 Il sistema dominante tende ad essere assoluto, non ammette 
                  cioè di subire limitazioni, restrizioni, o condizioni 
                  alle proprie scelte ed alle proprie attribuzioni. Qualsiasi 
                  cosa o entità rappresenti un pericolo al suo operato 
                  ed alla sua influenza deve essere resa inoperante o, se del 
                  caso, annientata. In questo senso è rigido, mentre risulta 
                  estremamente elastico e duttile quando ritiene gli convenga. 
                  Cioè, ai fini del raggiungimento dei propri scopi di 
                  dominio e di controllo, è disponibile a mutare scelte, 
                  ad adattare i propri metodi, a mettere in atto metamorfosi strutturali; 
                  ma solo nel caso che gli ritorni utile e funzionale. Ciò 
                  gli è possibile perché non è sorretto da 
                  spinte ideali, da moralistici imperativi categorici, da assunti 
                  ideologici, da filosofiche o religiose visioni del mondo. Tutto 
                  va bene, purché risulti funzionale ai suoi interessi 
                  ed ai suoi scopi. In questo senso e per questi obbiettivi è 
                  essenzialmente ed estremamente pragmatico ed indifferente a 
                  finalità e finalismi ideologici, morali, religiosi, o 
                  filosofici che di volta in volta gli possono essere attribuiti. 
                  Se li ritiene utili e funzionali ai propri obbiettivi li incamera, 
                  altrimenti li respinge. Per le ragioni sopra esposte, il sistema dominante è 
                  del tutto conservatore, è cioè intrinsecamente 
                  bisognoso di conservarsi così comè, impenetrabile 
                  ad ogni modificazione di senso. Anzi tende a rafforzare il proprio 
                  stato ed il proprio assetto allennesima potenza, mai ad 
                  indebolirlo o a regredire. Ecco perché non è disponibile, 
                  anzi è completamente indisponibile, ad essere messo in 
                  crisi o in discussione. Non ne ha né la capacità, 
                  né la volontà, né tantomeno la tendenza. 
                  Proprio qui sta la sua sostanziale rigidità, per cui 
                  è del tutto impermeabile ad ogni trasformazione strutturale, 
                  ad ogni possibilità di riforma che ne metta in crisi 
                  il senso fondativo: la finalità del dominio su tutto 
                  ed il controllo indiscusso su ciò che domina.
 Cosa fare allora per combattere un tal sistema di potere? Per 
                  chi ha a cuore le sorti umane e del pianeta ed anela a forme 
                  realizzate di libertà, giustizia, uguaglianza sociale 
                  e solidarietà tra le genti, bisognerebbe senzaltro 
                  trovare la maniera di bloccarlo, in modo da sostituirvi forme 
                  di convivenza sociale libertarie, autogestionarie e non fondate 
                  sullutile finanziario e sul dominio. Anche chi usa il 
                  terrorismo, qualsiasi sia la matrice ideologica e le motivazioni 
                  per cui lo fa, lo usa dichiaratamente per annientare il sistema 
                  di potere vigente. Ma sicuramente, se non in illusori rarissimi 
                  casi, non lo fa per realizzare società libertarie, bensì 
                  illudendosi di sostituirvisi al comando, portando cioè 
                  avanti una lotta per la presa di quel potere che ora sostiene 
                  di combattere.
 Parliamo di terrorismo riferendoci a tutti quei fenomeni e quegli 
                  atti che usano la violenza delle armi protetti dallanonimato 
                  e dalloscurità dellimprevedibilità, 
                  colpendo senza preoccuparsi di seminare morte, quasi sempre 
                  indiscriminatamente, perché allobbiettivo prescelto 
                  si può sacrificare qualsiasi vita. Il terrorismo si chiama 
                  così proprio perché è fondato sul presupposto 
                  di spargere e seminare innanzitutto terrore: lavversario 
                  va annichilito ed inchiodato alla propria paura e se per farlo 
                  si debbono sacrificare persone a caso lo si fa senza scrupoli, 
                  perché lo scopo principale rimane quello di dare un saggio 
                  concreto e indelebile della propria potenza, della propria forza, 
                  della propria determinazione a colpire.
  Rifiutare le logiche di guerra
 Ma chi lo usa e chi lo teorizza commettono la leggerezza di 
                  non pensare, o di tralasciare di sapere, che bombe e terrorismo 
                  sono le armi privilegiate del sistema di potere che pretendono 
                  di combattere. Usarli, ed usarli sistematicamente, vuol dire 
                  in sostanza fare la guerra agli specialisti ed ai padroni della 
                  guerra. Vuol dire scendere sul loro terreno e misurarsi sul 
                  loro stesso piano, assumendone in pieno la qualità e 
                  il senso. Perché la guerra, la violenza che annichilisce, 
                  luso indiscriminato delle armi, lassassinio senzappello 
                  quale condanna giustizialista non legalizzata, sono lelemento 
                  naturale del dominio e del sistema di potere contro i quali 
                  ci si rivolta. Quando vince, chi vince attraverso luso 
                  di sistemi e mezzi fondati sul terrore, vince perché 
                  ha annientato lavversario, eliminandolo o rendendolo impotente, 
                  assoggettandolo alla supremazia della propria forza e del proprio 
                  volere. Per mantenere la supremazia conquistata, al di là 
                  della volontà, si trova allora costretto a continuare 
                  a dimostrare la propria capacità di mantenere luso 
                  della forza. Gli assoggettati non cambiano opinione, cambiano 
                  solo padrone, per cui devono avere la certezza che la nuova 
                  forza cui devono obbedire è in grado di proteggerli e 
                  di costringerli, altrimenti si rivoltano e cercano il riscatto 
                  alla loro condizione. La libertà e la giustizia non si conquistano con le aggressioni 
                  armate, bensì rifiutando la logica e la supremazia della 
                  guerra, eliminando le strutture del potere dimposizione 
                  e lingiustizia che questo genera, andando oltre la guerra, 
                  qualsiasi guerra, le sue logiche e il suo senso, fondati su 
                  chi conquista la vittoria e chi la subisce perché costretto. 
                  Dove ci sono libertà e giustizia non ci sono costrizioni 
                  di sorta, non ci sono più forti che simpongono 
                  sui più deboli. Certo! Dalle prepotenze ci si difende 
                  in modo anche deciso, ma non si eliminano né terrorizzando 
                  né imponendo la propria forza aggressiva, bensì 
                  offrendo ed organizzando situazioni ed opportunità contrarie 
                  ad ogni tipo dimposizione.
  Andrea Papi
 1. Guglielmo Ferrero, Potere, 
                  Sugarco Edizioni, Milano 1981, cap. V, pag. 26. |