| Linsistenza sulla 
                  necessità della coscienza storica appare evidente se 
                  ricordiamo che linsurrezione del 1° gennaio si definisce 
                  «una guerra contro loblio, una lotta per la memoria». 
                  Per quanto riguarda la storia, non cè tema più 
                  frequente di questo: «La guerra cominciata il 1° gennaio 
                  1994 è stata una guerra per farci ascoltare, una guerra 
                  per la parola, una guerra contro loblio, una guerra per 
                  la memoria... La nostra lotta è per la storia e il malgoverno 
                  propone loblio... Lottiamo per parlare contro loblio, 
                  contro la morte, per la memoria e per la vita. Lottiamo per 
                  la paura di morire la morte delloblio» (1° gennaio 
                  1996). Sono così espresse con una stessa parola la causa 
                  e lobiettivo del movimento zapatista, al contempo sfida 
                  collettiva e motivazione individuale dei suoi membri, come suggeriscono 
                  le parole commoventi e piene di dignità che Marcos presta 
                  alla muta fotografia di un compagno morto nei combattimenti 
                  di Ocosingo: «Sono Álvaro, sono indigeno, sono 
                  soldato, ho preso le armi contro loblio» (12 maggio 
                  1995). Contro loblio, i ribelli possiedono larma della 
                  memoria e, con essa, tentano di conquistarsi un posto nella 
                  storia. Linsurrezione del 1° gennaio aveva un obiettivo 
                  militare e un obiettivo simbolico: «Lultima notte 
                  del 1993, siamo scesi da qui, dalle montagne tzotzil del sud-est 
                  messicano, per impadronirci della città di San Cristóbal 
                  e per conquistare il nostro posto nella storia del Messico» 
                  (12 giugno 1996). Questa metafora non ha certo come obiettivo 
                  la gloria di un riconoscimento nei libri di storia («Non 
                  abbiamo chiesto un posto speciale nella storia, non lottiamo 
                  per denaro, per una carica politica o per qualche riga nei libri 
                  di storia», 15 maggio 1994). Il suo uso così frequente 
                  può invece trovare spiegazione nel fatto che essa spazializza 
                  il tempo e offre una dimensione concreta e tangibile allastrazione 
                  storica («Sempre così grande è la povertà 
                  delle nostre terre e sempre così piccolo il nostro posto 
                  nella storia del Messico», 14 febbraio 1994). Pur facendo 
                  riferimento alle necessità indispensabili per lesistenza 
                  (la terra, lo spazio), queste formule reclamano soprattutto 
                  il riconoscimento dei popoli indigeni in quanto parte integrante 
                  della nazione messicana (poiché la storia, ancora e sempre, 
                  è sinonimo di nazione).
  La memoria e loblio
 La dualità memoria/oblio costituisce quindi una delle 
                  contrapposizioni fondamentali che strutturano il linguaggio 
                  zapatista, il che la pone in stretto rapporto con altre coppie 
                  come vita/morte, pace/guerra, verità/menzogna, parola/silenzio 
                  («Due campi: da un lato, loblio, la guerra, la morte; 
                  dallaltro, la memoria, la pace, la vita», 8 febbraio 
                  1996). Loblio è inoltre associato allemarginazione, 
                  allumiliazione e al disprezzo subiti dagli indigeni. Quanto 
                  alla memoria, essa è associata alle realtà materiali 
                  indispensabili alla stabilità dellesistenza umana, 
                  come la terra e la casa («La nostra lotta è per 
                  un tetto decoroso e il governo distrugge la nostra casa e la 
                  nostra storia... Vogliono toglierci la terra perché non 
                  ci sia più un suolo sotto i nostri passi. Vogliono toglierci 
                  la storia perché loblio uccida le nostre parole», 
                  1° gennaio 1996). La storia, fondamento e radice, strettamente 
                  legata agli antenati, è il terreno solido che permette 
                  agli uomini di avanzare, mentre loblio è un precipizio 
                  in cui rischiano di cadere: «Per noi è importante 
                  la bandiera che dichiara le fondamenta indigene di una nazione 
                  finora condannata alla disperazione... per noi è importante 
                  il suolo che ci sostiene nella storia e impedisce che cadiamo 
                  nelloblio di noi stessi» (12 ottobre 1995). Infine, 
                  la storia è in stretto rapporto con quel concetto fondamentale, 
                  materiale e simbolico insieme che definisce la possibilità 
                  di unesistenza veramente umana: il concetto di dignità. 
                  «La dignità ha a che fare con la storia» 
                  (ottobre 1997), e questi due principi sono tanto intimamente 
                  connessi alla lotta zapatista quanto sono rinnegati dagli «uomini 
                  grigi che, dai luoghi del potere, tramano la svendita della 
                  dignità e loblio della storia» (19 settembre 
                  1996). I comunicati non sembrano preoccuparsi molto di distinguere 
                  la memoria, realtà sociale immediata, più limitata 
                  nella sua profondità temporale e spesso incline a mescolare 
                  dati reali ed elementi mitici, dalla storia che, pur alimentando 
                  la memoria collettiva (e alimentandosi di essa), si sforza di 
                  oltrepassare i limiti di questultima e di criticarne i 
                  cedimenti. Nella maggior parte dei casi, i termini storia e 
                  memoria sembrano utilizzati come sinonimi. Ma questa equiparazione 
                   legata alla trasmissione orale della memoria nelle comunità 
                  indigene  si realizza mediante unamplificazione 
                  del concetto di memoria, piuttosto che attraverso una limitazione 
                  della prospettiva storica alla sola dimensione della memoria. 
                  In questo modo, si attribuisce alla memoria una capacità 
                  di abbracciare passato, presente e futuro, cioè proprio 
                  quello che caratterizza una visione storica nel pieno significato 
                  del termine («La memoria che insiste a fondare e a fondere 
                  lumanità nel passato, nel presente e nel futuro», 
                  marzo 1998). Analogamente, in occasione del 25° anniversario 
                  del colpo di Stato militare in Argentina, Marcos afferma: «I 
                  nostri più grandi antenati ci hanno insegnato che la 
                  celebrazione della memoria è anche una celebrazione dellavvenire. 
                  Ci hanno detto che la memoria non è un modo di volgere 
                  la testa e il cuore verso il passato, un ricordo sterile che 
                  provoca riso o lacrime... La memoria guarda sempre al domani 
                  ed è questo paradosso a permettere che, in quel domani, 
                  gli incubi non si ripetano e le gioie, anchesse presenti 
                  nel repertorio della memoria collettiva, si rinnovino» 
                  (24 marzo 2001).
  Tempo senza tempo
 La memoria zapatista appare quindi come linsieme di più 
                  dimensioni. Essa include la storia (soprattutto la storia del 
                  Messico, insegnata dai meticci), la memoria trasmessa oralmente 
                  di fatti storici (per esempio quando il maggiore Moisés 
                  racconta lo sfruttamento dei suoi genitori nelle fincas) e le 
                  tradizioni relative allorigine del mondo e a quel «tempo 
                  senza tempo [dal quale] la parola giunge alle nostre voci», 
                  che i racconti del vecchio Antonio traducono nella forma scritta. 
                  Si tratta di una memoria attiva e combattente, che influenza 
                  lazione e promuove la lotta, perché questa memoria 
                  «immemore», legata al tempo che precede il tempo, 
                  è invocata, al pari del passato storico, come legittimazione 
                  della parola e dellazione ribelli. Gli antenati, presenti 
                  nella memoria dei vivi, attraverso la memoria reclamano rispetto 
                  e giustizia e incitano alla resistenza: «Abbiamo parlato 
                  con noi stessi, abbiamo guardato nel profondo di noi stessi 
                  e abbiamo guardato la nostra storia: abbiamo visto i nostri 
                  nonni soffrire e lottare, abbiamo visto i nostri antenati lottare, 
                  abbiamo visto i nostri genitori con la collera tra le mani... 
                  e i morti hanno visto che eravamo ancora nuovi e ci hanno chiamato 
                  di nuovo alla dignità e alla lotta» (1° febbraio 
                  1994). La memoria può anche incarnarsi nelle montagne 
                  in cui vivono i morti, oppure negli «scrigni parlanti», 
                  oggetti tradizionali della regione di Los Altos, ora recuperati 
                  per trasmettere non più, come un tempo, la parola dei 
                  santi, ma quella della storia e della dignità («La 
                  montagna ci ha parlato di prendere le armi per avere una voce... 
                  Ci ha parlato di conservare il nostro passato per avere un domani. 
                  Nella montagna vivono i morti, i nostri morti... Scrigni parlanti 
                  ci hanno raccontato una storia diversa che giunge da ieri e 
                  guarda a domani», 27 luglio 1996). Dunque, gli zapatisti 
                  occupano una posizione paradossale: si iscrivono in una memoria 
                  profonda, che attraversa i secoli della storia per giungere 
                  fino al «tempo senza tempo» degli avi e del mito; 
                  e al tempo stesso sono i dimenticati, le vittime dellamnesia 
                  imposta dai dominatori. Sono contemporaneamente coloro che mantengono 
                  i legami più stretti con la memoria e coloro che soffrono 
                  di più loblio. Memoria nascosta, radice negata, 
                  sono «il cuore dimenticato della patria», che la 
                  nazione può tuttavia ancora ricordare per ricordarsi 
                  di se stessa («Quando parla con il suo cuore indio, la 
                  patria si mantiene degna e conserva la memoria», 1° 
                  gennaio 1996). Proprio per questo la lotta zapatista è 
                  una rivolta contro loblio e una ribellione per la memoria. 
                   
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 |   Dominio etnico
 Molto spesso, loblio è posto in relazione con 
                  la situazione coloniale e postcoloniale subita dagli indigeni. 
                  È insieme la conseguenza e la causa  e perciò 
                  quasi un sinonimo  dellumiliazione e dello sfruttamento 
                  che sono stati loro imposti fino a oggi. In questa prospettiva, 
                  loblio è il risultato del dominio etnico e il suo 
                  principio trova origine nella storia della nazione messicana. 
                  Ma esiste unaltra lettura, accennata durante i preparativi 
                  dellIncontro intercontinentale del 1996 e pienamente sviluppata 
                  negli estesi comunicati del febbraio e del marzo 1998 (senza 
                  dubbio i più importanti e i più approfonditi per 
                  quanto riguarda la problematica storica). Così, il testo 
                  intitolato Il dialogo di San Andrés: tra loblio 
                  dallalto e la memoria dal basso, benché abbia per 
                  oggetto lanalisi della non-applicazione governativa degli 
                  accordi di San Andrés, spiega con chiarezza che loblio 
                  non è soltanto la conseguenza della dominazione subita 
                  dagli indigeni, ma è un fenomeno di cui soffrono tutti 
                  gli uomini immersi nella globalizzazione capitalista. In effetti, 
                  il principale fattore di amnesia ha un nome  «dalla 
                  parte delloblio si trovano le forze molteplici del mercato» 
                   e di conseguenza possiamo definire «la grande battaglia 
                  della fine del XX secolo come quella del mercato contro la storia». 
                  Qui il tema delloblio si amplifica e si apre a unanalisi 
                  molto più generale dei tempi storici: «Da un lato 
                  cè il mercato, il nuovo animale sacro. Il denaro 
                  e la sua concezione del tempo, che nega lieri e il domani. 
                  Dallaltro cè la storia (quella che il potere, 
                  sempre, dimentica). La memoria che insiste a fondare e a fondere 
                  lumanità nel passato, nel presente e nel futuro. 
                  Nel mondo della modernità il culto del presente 
                  è arma e scudo. Loggi è il nuovo 
                  altare sul quale si sacrificano principi, lealtà, convinzioni, 
                  pudori, dignità, memorie e verità. Per i tecnocrati 
                  che il nostro Paese subisce come governanti, il passato non 
                  è più un riferimento da assimilare e su cui crescere. 
                  Per questi professionisti delloblio, il futuro non può 
                  essere nientaltro che un prolungamento temporale del presente. 
                  Per vincere la storia, le si nega qualunque orizzonte che vada 
                  al di là del qui e ora neoliberista. Non 
                  cè un prima né un dopo, 
                  solo loggi. La ricerca delleternità è 
                  finalmente soddisfatta: il mondo del denaro non è soltanto 
                  il migliore dei mondi possibili, è lunico necessario» 
                  (marzo 1998). Nel mondo neoliberista, cioè sotto il regno autocratico 
                  della merce, «loggi è il nuovo tiranno» 
                  cui «si devono omaggio e obbedienza» e che, per 
                  meglio assicurare il proprio dominio, fa sparire il passato 
                  nelloblio e cancella ogni prospettiva di un futuro alternativo 
                  (febbraio 1998). Lesperienza del passato e la speranza 
                  dellavvenire  non assenti ma ogni volta più 
                  ristrette e ridotte a trompe-loeil  scompaiono a 
                  poco a poco a favore di un onnipresente che si manifesta in 
                  mille modi, con la dittatura dei tempi brevi e dei ritmi sincopati, 
                  con lideale di immediatezza e di istantaneità, 
                  come con la negazione del tempo che passa e la conseguente proibizione 
                  dellinvecchiamento decretata dai media. Si impone un eterno 
                  presente, fatto di istanti effimeri che brillano del prestigio 
                  di unillusoria novità, ma non fanno che sostituire, 
                  sempre più rapidamente, lidentico allidentico. 
                  Nel mondo moderno, il tempo diventa una delle forme più 
                  sensibili delloppressione, imposta a esseri frettolosi 
                  e stressati, soggetti alla «tirannia degli orologi» 
                  (N. Elias) e alla coazione di sapere che ore sono. Così, 
                  inesorabilmente, si imprimono nei nervi tormentati degli individui 
                  le leggi inasprite della redditività e la loro lotta 
                  accanita contro il parametro temporale: massimizzazione del 
                  tempo disponibile e riduzione della durata di ogni operazione, 
                  flussi forzati e rotazione accelerata delle scorte prodotte, 
                  rapidità dei movimenti di capitale e profitti lampo della 
                  speculazione. La mercificazione del mondo è una guerra 
                  contro il tempo; la prima si misura con il secondo, per farlo 
                  arretrare sempre più fino a vincerlo. Il presente perpetuo 
                  è quindi semplicemente laltra faccia di quella 
                  virtù tipicamente capitalista che è la velocità. 
                  Fra loro esiste un legame necessario, che permette di mascherare 
                  limmobilizzazione nelleterno presente con unaccelerazione 
                  dei ritmi di attività, e di offrire un residuo di esperienza 
                  del tempo anche quando ogni visione di divenire storico sia 
                  stata abolita («Solo il trionfo universale del ritmo di 
                  produzione e di riproduzione meccanica garantisce che nulla 
                  cambi e che non accada niente di sorprendente», Th. Adorno 
                   M. Horkheimer). Dunque, la tirannia del presente perpetuo 
                  e il culto della velocità  associati per distruggere 
                  il tempo  si addicono perfettamente alla logica economica 
                  della mercificazione e del profitto e ai discorsi miopi e smemorati 
                  che le corrispondono.
  Dominatori eterni
 Nellidolatria dell«oggi» onnipotente, 
                  loblio trova le sue origini più evidenti e la storia 
                  le ragioni più profonde della sua negazione. Il dominio 
                  neoliberista tende contemporaneamente a distruggere la coscienza 
                  storica del passato e a chiudere gli accessi al futuro. Non 
                  cè più futuro, eccetto che nella menzogna 
                  o nella ripetizione del dominio presente. («La superbia 
                  aveva scelto di agganciare il suo futuro alla menzogna del Primo 
                  mondo [ma] il domani di Salinas non lasciava posto agli indigeni», 
                  30 giugno 1996). I dominatori credono e fanno credere nella 
                  loro eternità: «Il Potere si guarda allo specchio 
                  e si scopre eterno e onnipotente» (9 gennaio 1996). Questa 
                  analisi, particolarmente frequente nel corso del 1996, dà 
                  luogo a molteplici variazioni, da uno scenario scecspiriano 
                   che infila Salinas negli abiti di Macbeth e fa dei ribelli 
                  del 1° gennaio la foresta che avanza verso il suo palazzo 
                  per porre fine alla sua potenza illusoria  fino a riferimenti 
                  biblici che prestano al potere le parole della divinità 
                  giudaico-cristiana: «Io sono colui che è, la ripetizione 
                  eterna», o ancora: «Sono la migliore delle religioni, 
                  sintetizzo il nuovo dio e il suo culto, il mistero e latto 
                  di fede, il prete e il fedele, limmagine sacra e il tempio; 
                  non ho alcun bisogno di altri, neppure per venerarmi; per questo, 
                  ho a disposizione lo specchio offerto dalle statistiche del 
                  mio trionfo» (maggio 1996). Ma, a questo proposito, non 
                  cè mito più efficace di quello della fine 
                  della storia, cui le rovine del Muro di Berlino forniscono una 
                  scenografia impeccabile. La tematica della fine della storia 
                  trasforma il presente neoliberista in eternità e permette 
                  al potere di «vendere la versione di un futuro impossibile 
                  senza il suo dominio». Loggi divinizzato, loblio 
                  trionfante e il presente perpetuo sono tre espressioni di una 
                  stessa realtà: nel tempo dominato dal mercato globalizzato, 
                  non cè alcun passato da conoscere, alcun futuro 
                  da sperare. È proprio perché la logica neoliberista la nega 
                  che la storia è ogni giorno più necessaria. Ed 
                  è per questo che i testi zapatisti puntano sul recupero 
                  congiunto del passato e del futuro, cercando di ristabilire 
                  al tempo stesso la coscienza storica del passato e la visione 
                  innovativa del futuro. Questo comporta in primo luogo di smascherare 
                  la menzogna della fine della storia: la proposta dellEzln 
                  di realizzare, nella stessa Berlino, un Incontro europeo contro 
                  il neoliberismo aveva il solo obiettivo di rovesciare il simbolo 
                  della fine della storia per farne quello del suo nuovo inizio: 
                  «Sulla menzogna della nostra sconfitta, il potere ha costruito 
                  la menzogna della sua vittoria. Il potere ha scelto la caduta 
                  del Muro di Berlino come simbolo della sua onnipotenza e della 
                  sua eternità... Perché non cominciare col ritornare 
                  in quel luogo, in quello che il potere considera il simbolo 
                  della fine della storia e delleternità del suo 
                  mandato?» (30 gennaio 1996). Quindi, se la storia comincia 
                  a scrollarsi di dosso la stanchezza e a risvegliarsi, allora 
                  è possibile guardare di nuovo verso il futuro. Il domani, 
                  che si spera «migliore», «plurale», 
                  «di inclusione e di tolleranza», può tornare 
                  a far parte del lessico in uso, e gli zapatisti possono allontanare 
                  laccusa che viene loro rivolta di essere dei «professionisti 
                  della violenza» e definirsi «professionisti della 
                  speranza» (6 marzo 1994).
  Rivoluzione senza lettera maiuscola
 Sappiamo poco sul futuro sperato dal movimento zapatista, se 
                  non che si propone essenzialmente di dare consistenza alla dignità 
                  umana. Questa è una conseguenza della rottura con quella 
                  concezione di avanguardia storica che presumeva di conoscere 
                  in anticipo la destinazione finale verso la quale guidare il 
                  popolo (presupposto che costituiva la base ideologica della 
                  sua legittimità a dirigerlo). Ed è anche conseguenza 
                  della riformulazione del concetto stesso di rivoluzione che, 
                  come abbiamo visto, gli zapatisti si sono impegnati a liberare 
                  della lettera maiuscola. Certo, qualche testo degli anni 1994 
                  e 1995 permette ancora di cogliere qualche traccia di marxismo 
                  ortodosso. Oltre allinfelice lettera ad Adolfo Gilly, 
                  un comunicato del 6 maggio 1994 profetizza che il futuro sperato 
                  «nascerà da scienza certa», continuando a 
                  fare appello alle presunte leggi della storia che condurrebbero 
                  lumanità verso un futuro ineluttabile. Tuttavia, 
                  negli anni successivi, questi riferimenti scompaiono e lasciano 
                  il posto a un futuro desiderato ma privo di certezze, diverso 
                  ma imprevedibile, possibile ma solo ipotetico. In una parola, 
                  un futuro aperto: nel pensiero immaginifico del vecchio Antonio 
                  questo significa che il cammino che hanno di fronte non è 
                  tracciato (senza che per questo sia proibito intraprenderlo). 
                  La possibilità di un altro futuro, o meglio di altri 
                  futuri, esiste, ma non si può conoscerli prima di avventurarcisi. 
                  Collegata a questa concezione aperta del futuro, unaltra 
                  caratteristica della grammatica zapatista dei tempi storici 
                  è la relazione stabilita fra passato e futuro. Questultima 
                  si manifesta con efficacia e in modo abbastanza sorprendente 
                  in una formula singolare che propone di «avanzare allindietro» 
                  o, un po meno paradossalmente, di «guardare indietro 
                  per poter andare avanti». Espressioni simili si incontrano 
                  almeno quattro volte, in forme diverse, fra i mesi di gennaio 
                  e di luglio del 1996, e il fatto che siano associate a vari 
                  personaggi potrebbe suggerire qualche indicazione sulle modalità 
                  di scrittura dei comunicati. Dopo una prima enunciazione, a 
                  proposito di una citazione di Lewis Carroll («Così 
                  come Alice scopre che per raggiungere la Regina Rossa deve camminare 
                  allindietro, anche noi dobbiamo volgerci verso il passato 
                  per poter avanzare ed essere migliori. Nel passato possiamo 
                  scoprire delle strade verso il futuro», 30 gennaio 1996), 
                  in una frase già citata Marcos afferma: «Abbiamo... 
                  lo sguardo rivolto allindietro per poter andare avanti» 
                  (4 aprile 1996). Poi, Durito trae un insegnamento morale da 
                  una storia di «granchi, molluschi e parenti degli scarabei, 
                  i quali sanno che il miglior modo di avanzare è a ritroso» 
                  (5 luglio 1996), e infine il vecchio Antonio dissipa i dubbi 
                  di un subcomandante smarrito nella foresta del pensiero indigeno:
 «Perché mi hai detto che quando uno non sa che 
                  cosa ha davanti, deve guardare indietro? Non è per trovare 
                  la strada del ritorno?» ho chiesto. «No», ha risposto il vecchio Antonio... «Voltandoti 
                  per guardare indietro, ti rendi conto di dove sei arrivato... 
                  Cioè puoi vedere il cammino che hai fatto sbagliando... 
                  È servito perché così abbiamo capito che 
                  non serviva, e allora non lo prenderemo di nuovo... e possiamo 
                  prenderne un altro che ci conduca dove vogliamo» (6 luglio 
                  1996).
 La formula sembra dunque esser stata suggerita dalla lettura 
                  di Lewis Carroll e poi variamente modificata da Marcos e dai 
                  suoi compagni immaginari per collegare in modo più articolato 
                  i due elementi: guardare indietro e andare avanti.  
 Jérôme 
                  Baschet  Futuro aperto
 Tali enunciazioni non implicano un ritorno al passato, e le 
                  spiegazioni del vecchio Antonio eliminano ogni equivoco a questo 
                  riguardo. Esse non fanno dellavvenire una ripetizione 
                  del passato, ma suggeriscono invece lidea di un futuro 
                  aperto (espresso dallimmagine del cammino non ancora tracciato), 
                  che di conseguenza rinuncia a pensare la storia come un eterno 
                  ritorno. Certo, i comunicati attestano anche una percezione 
                  ciclica del tempo, che fa ritornare continuamente allo stesso 
                  punto, creando una contraddizione con la speranza di un avvenire 
                  diverso. Tuttavia, ognuna di queste concezioni si manifesta 
                  in contesti differenti: la ripetizione ciclica si manifesta 
                  quando si confronta la situazione presente con il passato, mentre, 
                  se si guarda dal presente verso il futuro, si apre la speranza 
                  che la lotta possa risvegliare la storia. Per questo la credenza 
                  in uninvincibile ripetizione storica è tipica delle 
                  parole ingannatrici che i potenti rivolgono agli insorti: «Ribelli 
                  di tutto il mondo unitevi nelle disfatte! Non cè 
                  alcuna vittoria nel vostro passato... Prendete il vecchio riciclato, 
                  imitatemi, sono quello di sempre appena ritoccato, sono il vecchio 
                  rinnovato, lincubo di sempre ma con il vantaggio di essere 
                  ora globalizzato... Non tentate nulla di nuovo, ripetete il 
                  vecchio» (3 maggio 1996). La storia come pura ripetizione 
                  è unarma dei dominatori, destinata a scoraggiare 
                  tutti coloro che si sforzano di inventare un mondo nuovo. Ma come intraprendere una positiva alleanza fra passato e futuro 
                  che non induca a riprodurre domani il vecchio di ieri? I testi 
                  zapatisti indicano parecchie prospettive. In primo luogo, lidea 
                  di guardare indietro per andare avanti deve essere intesa come 
                  un intervento a favore della conoscenza del passato, indispensabile 
                  per ampliare le nostre prospettive e le nostre aspettative nei 
                  confronti del futuro. Le spiegazioni del vecchio Antonio, sottolineando 
                  la necessità di guardare la strada già percorsa, 
                  costituiscono una magnifica difesa della coscienza storica. 
                  Nei suoi commenti, si coglie soprattutto la critica degli errori 
                  passati, la preoccupazione di individuare le difficoltà 
                  e la coscienza del fatto che una parte del cammino è 
                  servita proprio per rendersi conto che non è servita 
                  a nulla! La conoscenza del passato è dunque utile per 
                  distaccarsene e allontanarsene; è una condizione necessaria 
                  per non ripeterlo ed evitare di esserne nuovamente vittime. 
                  Analogamente, in una formulazione più «modernista», 
                  il comunicato che propone la riunione di Berlino rileva: «Noi, 
                  come voi, non abbiamo aspirazione più grande del futuro. 
                  Per questo il passato è importante. Se nasce qualcosa 
                  di nuovo, è perché muore qualcosa di vecchio. 
                  Ma nel nuovo perdura il vecchio e può divorare il futuro 
                  se non lo definiamo, se non lo conosciamo, se non ne parliamo 
                  e non lascoltiamo, insomma se continuiamo ad avere paura 
                  di lui».
  Alleanza tra passato e futuro
 Ma nei comunicati possiamo anche trovare unidea opposta 
                   più complementare che contraddittoria  che 
                  riconosce nel passato alcuni elementi positivi (se con questa 
                  espressione non intendiamo forme di vita o di pensiero che andrebbero 
                  riprodotte tali e quali, ma elementi ispiratori, punti di partenza 
                  per una critica presente e un progetto futuro). Questa caratteristica 
                  è chiaramente legata alla dimensione indigena dellinsurrezione, 
                  in quanto il passato rivalutato è associato alla cultura 
                  dei popoli indigeni, discendenti dei primi abitanti delle terre 
                  americane: «Il passato è la chiave del futuro. 
                  Nel nostro passato esistono pensieri che possono esserci utili 
                  per costruire un futuro in cui ci sia posto per tutti, senza 
                  essere oppressi come oggi ci opprimono coloro che vivono in 
                  alto. Il futuro della patria lo troveremo guardando verso il 
                  passato, verso coloro che per primi ci hanno animato, verso 
                  coloro che per primi ci hanno pensato, verso coloro che per 
                  primi ci hanno fatto» (9 gennaio 1996). Laffermazione 
                  di unalleanza necessaria tra passato e futuro è 
                  semplicemente un altro modo di rivendicare lintegrazione 
                  dei popoli indigeni nella nazione messicana: «La nobile 
                  nazione messicana riposa sulle nostre ossa. Se ci distruggono, 
                  lintero Paese crollerebbe e comincerebbe a vagare senza 
                  radici né direzione. Prigioniero delle ombre, il Messico 
                  negherebbe il suo futuro negando il suo passato», perché 
                  «un Paese che dimentica il suo passato non può 
                  avere futuro» (17 marzo 1995; 12 ottobre 1995). Qui la 
                  cronologia diventa geologia, e «i primi abitanti di queste 
                  terre» sembrano costituire il sottosuolo simbolico del 
                  Messico. Sono la parte presente del suo passato, proprio per 
                  questo indispensabile alla stabilità futura dellintera 
                  nazione. Tuttavia sarebbe errato confinare i popoli indigeni in unidentità-col-passato, 
                  perché la relazione passato/futuro qui stabilita vuole 
                  distruggere lillusione di una tradizione immobile e oppressiva. 
                  Gli stessi zapatisti scherzano sulla folklorizzazione degli 
                  indigeni e sui politici ufficiali che li trasformano in pezzi 
                  da museo («Sono esseri viventi, e non i fossili che la 
                  propaganda del potere globale si augurerebbe», maggio 
                  1996; «Ci offrivano un bel posticino nel museo della storia», 
                  17 marzo 1995). Gli zapatisti rifiutano lequiparazione 
                  degli indigeni con il passato, una trappola delloblio 
                  manipolata dallalto: «Il potere vuol relegare nella 
                  nostalgia la lotta indigena attuale... Si tenta di confinare 
                  la lotta degli indios nei limiti del passato, qualcosa come 
                  il passato ci raggiunge con i suoi debiti da pagare. 
                  Quasi che pagare quei conti potesse essere il solvente efficace 
                  per cancellare quel passato e far regnare senza problemi loggi, 
                  oggi, oggi, diventato la battuta emblematica del presidente 
                  Fox (12 marzo 2001). Ma qui si sta parlando di popoli legati 
                  a un passato vivo, presente, senza alcun rapporto con il passato 
                  morto del museo. Se le comunità non sono la manifestazione 
                  incontaminata di un passato precapitalista, a maggior ragione 
                  le lotte contadine non sono una reazione di rifiuto inevitabilmente 
                  passatista, o addirittura reazionaria, nei confronti della modernità 
                  capitalista. Questa visione classica è stata ampiamente 
                  criticata e ormai possiamo riconoscere la capacità diniziativa 
                  delle comunità contadine per resistere e adattarsi al 
                  tempo stesso (N. Harvey), e per ammettere il potenziale rivoluzionario 
                  di cui sono capaci, in determinate condizioni, coloro che E. 
                  Hobsbawm chiama, con unespressione che la sua penna considera 
                  benevola, i «ribelli primitivi». Sarebbe però 
                  altrettanto errato contraddire completamente il punto di vista 
                  corrente, per esaltare la modernità delle comunità 
                  indigene, capaci di rompere con la tradizione, di aprirsi e 
                  di innovare a tal punto da essere perfettamente in sintonia 
                  con il mondo globalizzato. È forse più ragionevole 
                  rinunciare a entrambe queste visioni estreme e considerare che 
                  le comunità indigene non sono, per natura, né 
                  reazionarie né rivoluzionarie, né primitive né 
                  moderne.
  Ricaricare lorologio
 Le comunità indigene formano un mondo presente che si 
                  mescola e si confronta con le realtà più attuali. 
                  È questo presente che dobbiamo prendere in considerazione 
                  in primo luogo, pur riconoscendo che a partire da esso profonde 
                  radici affondano nel passato, mentre si costruiscono progetti 
                  di futuro talvolta ambiziosi. Nella prospettiva zapatista, lapertura 
                  al futuro e il desiderio di trasformazione acquistano un ruolo 
                  fondamentale: «La lotta indigena messicana non viene a 
                  rallentare lorologio [della storia]. Non si tratta di 
                  ritornare al passato e di declamare, con voce ispirata e commossa, 
                  che ogni tempo passato era migliore. Credo che questo 
                  lo avrebbero tollerato e persino applaudito. No, noi popoli 
                  indigeni veniamo per ricaricare lorologio e garantire 
                  così che giunga il domani includente, tollerante e plurale 
                  che, sia detto en passant, è il solo domani possibile... 
                  Insomma, noi indigeni non apparteniamo a ieri, apparteniamo 
                  a domani» (12 marzo 2001). Dopo questa rivendicazione 
                  del futuro si può dare un senso alla forte percentuale 
                  di passato che le comunità indigene manifestano. Per 
                  quanto, come diremo, non riproducano affatto limmagine 
                  di una comunità originaria, esse fanno tuttavia conoscere 
                  delle forme di organizzazione sociale che il capitalismo ha 
                  in genere eliminato ogniqualvolta sono venute a trovarsi sulla 
                  strada del progresso e della modernizzazione. Pur senza rappresentare 
                  il persistere di un mondo precapitalista miracolosamente preservato, 
                  le comunità indigene, attraverso le sfaccettature delle 
                  loro incessanti trasformazioni, permettono di cogliere i bagliori 
                  di quel passato (come testimonia in particolare la loro esperienza 
                  del tempo e dello spazio, della natura e delle relazioni collettive). 
                  Nel presente incessantemente ricreato delle comunità 
                  esiste quindi una componente precapitalista che, se funzionerà 
                  la miscela alchemica fra la reinvenzione dellesperienza 
                  e il recupero di un futuro nuovo, potrebbe costituire una situazione 
                  adatta per radicare una solida resistenza e sviluppare una ribellione 
                  creativa.   Sfida alla disillusione
 Tuttavia, la proposta di una nuova alleanza fra passato e futuro 
                  non riguarda solo i popoli indigeni, ma lintera umanità 
                  nella misura in cui si fonda sulla critica del tempo dominante 
                  nel mondo neoliberista. Se il presente perpetuo costruisce la 
                  sua tirannia sulloblio del passato e sulla negazione del 
                  futuro, la storia, nella sua lotta contro il mercato, deve sforzarsi 
                  di ristabilire contemporaneamente la memoria del passato e la 
                  possibilità del futuro. Rifiutare il regno delloggi 
                  neoliberista presuppone una coscienza storica del passato indispensabile 
                  per spezzare lillusione della fine della storia e riaprire 
                  la prospettiva di un avvenire che non sia la ripetizione del 
                  presente. «Le cose sono sempre state così»: 
                  non cè veleno distillato nel clima dei nostri tempi 
                  che sia più utile ai fini delloppressione. La storia, 
                  invece, risalendo il tempo e scoprendo lesistenza di mondi 
                  passati diversi dal nostro, dimostra che ciò che oggi 
                  consideriamo inevitabile, necessario, naturale, è sempre 
                  una costruzione recente, verosimilmente non meno transitoria 
                  delle realtà precedenti («Il nostro sogno già 
                  rivela che i monumenti che il neoliberismo erige a se stesso 
                  non sono che future rovine», 12 marzo 2001). Possiamo 
                  quindi constatare che nei testi zapatisti lidentificazione 
                  del presente perpetuo del mercato trionfante come avversario 
                  fondamentale induce a proporre unalleanza fra passato 
                  e futuro. Di fronte al presente divinizzato, diventato eternità 
                  e sinonimo di oblio e disperazione, una strategia critica non 
                  può essere altro che lesatto rovesciamento della 
                  funesta grammatica dei tempi storici. Per questo linsurrezione 
                  zapatista può definire se stessa come una ribellione 
                  che «ha sfidato la disillusione presente mettendo un piede 
                  nel passato e laltro nel futuro» (maggio 1996). 
                  Jérôme Baschet
 
                   
                    | Jérôme 
                        Baschet  LA 
                        SCINTILLA ZAPATISTA insurrezione india e resistenza planetaria
 204 pp. / euro 16,00
 Lautore, Jérôme Baschet, professore 
                        associato alla École des hautes études en 
                        sciences sociales di Parigi, è anche docente nellUniversità 
                        di San Cristóbal de Las Casas, nel Chiapas. Nel 
                        2000 ha pubblicato, con Gallimard, Le Sein du père, 
                        Abraham et la paternité dans lOccident médiéval.
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