|  Comunismo 
                  anarchico
 In seguito alla pubblicazione, sul n. 290, dellarticolo 
                  di Felice Accame Quel matto di Cafiero, 
                  al successivo intervento di Donato Romito con replica di Felice 
                  Accame sul n. 293, riceviamo dallo stesso Romito questo lungo 
                  brano di Carlo Cafiero, che pubblichiamo integralmente.  Il nostro ideale rivoluzionario è molto semplice: si 
                  compone, come quello di tutti i nostri predecessori, di questi 
                  due termini: libertà ed eguaglianza. Vi è solo 
                  una piccola differenza. Ammaestrati dallesperienza degli inganni commessi dai 
                  reazionari di ogni tipo e in ogni tempo per mezzo delle parole 
                  libertà ed eguaglianza, abbiamo ritenuto opportuno mettere 
                  a fianco di questi due termini lespressione del loro esatto 
                  valore. Queste due monete preziose sono state falsificate tanto 
                  sovente che noi vogliamo in via definitiva conoscerne e misurarne 
                  esattamente il valore.
 Affianchiamo dunque a questi due termini, libertà ed 
                  eguaglianza, due equivalenti, il cui significato preciso non 
                  può dar luogo a equivoci e diciamo: Vogliamo 
                  la libertà, cioè lanarchia, e 
                  leguaglianza, cioè il comunismo.
 Lanarchia, oggi, è lattacco; è 
                  la guerra a ogni autorità, a ogni potere, a ogni Stato. 
                  Nella società futura, lanarchia sarà la 
                  difesa, la barriera contro la restaurazione di qualsiasi autorità, 
                  di qualsiasi potere, di qualsiasi Stato: libertà piena 
                  e completa dellindividuo, che liberamente e spinto soltanto 
                  dai propri bisogni, gusti e simpatie, si unisce ad altri individui 
                  nel gruppo o nellassociazione; libero sviluppo dellassociazione 
                  che si federa con altre nel comune o nel quartiere; libero sviluppo 
                  dei comuni che si uniscono in federazione nella regione e così 
                  via, delle regioni nella nazione, delle nazioni nellumanità.
 Il comunismo, il problema che oggi ci interessa maggiormente, 
                  è il secondo termine del nostro ideale rivoluzionario.
 Il comunismo attualmente è ancora lattacco; 
                  non è la distruzione dellautorità, ma la 
                  presa di possesso in nome di tutta lumanità di 
                  ogni ricchezza esistente sulla terra. Nella società futura 
                  il comunismo sarà il godimento di tutta la ricchezza 
                  esistente da parte di tutti gli uomini, secondo il principio: 
                  da ciascuno secondo le sue facoltà, a ciascuno secondo 
                  i suoi bisogni, vale a dire: da ciascuno e a ciascuno 
                  secondo la sua volontà.
 Bisogna tuttavia notare  e ciò in risposta soprattutto 
                  ai nostri avversari, i comunisti-autoritari o statalisti  
                  che la conquista e il godimento di tutta la ricchezza esistente 
                  debbono essere, secondo noi, opera del popolo stesso. Non essendo 
                  né il popolo né lumanità degli individui 
                  che possano afferrare la ricchezza e tenerla tra le mani, se 
                  ne è voluto concludere, è vero, che per questa 
                  ragione bisogna istituire tutta una classe di dirigenti, rappresentanti 
                  e depositari della ricchezza comune. Ma noi non siamo di questo 
                  parere. Nessun intermediario, nessun rappresentante, che finisce 
                  sempre per rappresentare solo se stesso! Nessun moderatore delleguaglianza 
                  e nemmeno nessun moderatore della libertà! Nessun nuovo 
                  governo o nuovo Stato, per quanto possa definirsi popolare o 
                  democratico, rivoluzionario o provvisorio.
 Poiché la ricchezza comune è diffusa su tutta 
                  la terra e appartiene di diritto allumanità intera, 
                  coloro che si trovano alla portata di questa ricchezza e in 
                  grado di utilizzarla la sfrutteranno in comune. Gli abitanti 
                  di un dato paese utilizzeranno la terra, le macchine, i laboratori, 
                  le case ecc., e se ne serviranno tutti in comune. Come parte 
                  dellumanità, eserciteranno di fatto e direttamente 
                  il loro diritto a una parte della ricchezza umana. Ma, se un 
                  abitante di Pechino venisse in questo paese, avrebbe gli stessi 
                  diritti degli altri: usufruirebbe, in comune con gli altri, 
                  di tutta la ricchezza del paese, cosi come avrebbe fatto a Pechino. 
                  [...].
 Ma ci viene chiesto: è attuabile il comunismo? Avremo 
                  prodotti a sufficienza per lasciare a ciascuno il diritto di 
                  prenderne a volontà, senza richiedere agli individui 
                  più lavoro di quanto ne vorranno fare?
 Rispondiamo: sì. Certamente, si potrà applicare 
                  questo principio: da ciascuno e a ciascuno secondo la sua 
                  volontà, poiché nella società futura 
                  la produzione sarà tanto abbondante che non ci sarà 
                  alcun bisogno di limitare i consumi, né di esigere dagli 
                  uomini più lavoro di quanto potranno o vorranno dare.
 Questimmenso aumento di produzione, di cui oggi non siamo 
                  nemmeno in grado di farcene unidea, può esser immaginato 
                  se esaminiamo le cause che lo provocheranno. Tali cause sono 
                  essenzialmente tre:
 1. Larmonia della cooperazione nei diversi rami dellattività 
                  umana, sostituita alla lotta attuale che si fa con la concorrenza.
 2. Lintroduzione su scala immensa di macchine di tutti 
                  i tipi.
 3. Leconomia considerevole delle forze di lavoro e delle 
                  materie prime, ottenuta con labolizione delle produzioni 
                  nocive o inutili. [...].
 Bisogna infine tener conto delleconomia immensa che si 
                  farà sui tre elementi del lavoro: la forza, gli strumenti 
                  e la materia, che oggi sono orrendamente sprecati poiché 
                  li si utilizza per la produzione di cose assolutamente inutili, 
                  se non addirittura dannose per lumanità.
 Quanti lavoratori, quanto materiale e quanti strumenti di lavoro 
                  sono usati attualmente per lesercito di terra e di mare, 
                  per costruire le navi, le fortezze, i cannoni e tutti quegli 
                  arsenali darmi offensive e difensive. Quante di queste 
                  forze sono impiegate per produrre oggetti di lusso che servono 
                  a soddisfare soltanto i bisogni della vanità e della 
                  corruzione!
 E quando tutta questa forza, tutte queste materie, tutti questi 
                  strumenti di lavoro saranno applicati allindustria, alla 
                  produzione di oggetti che essi stessi serviranno a produrre, 
                  quale aumento prodigioso della produzione vedremo realizzarsi! 
                  [...].
 Non è tutto affermare che il comunismo è una cosa 
                  possibile: possiamo affermare che è necessario. 
                  Non solo, si può essere comunisti: bisogna 
                  esserlo, a rischio di fallire lo scopo della rivoluzione.
 In effetti, se dopo la messa in comune degli strumenti di lavoro 
                  e delle materie prime mantenessimo lappropriazione individuale 
                  dei prodotti del lavoro, saremmo costretti a conservare il denaro, 
                  e, di conseguenza, unaccumulazione di ricchezza maggiore 
                  o minore a seconda del merito, o piuttosto dellabilità 
                  di ciascuno. In questo modo leguaglianza sparirebbe, poiché 
                  colui che giungesse ad avere ricchezze maggiori si sarebbe già 
                  elevato per questo stesso fatto sopra il livello degli altri. 
                  Non resterebbe che un passo da fare perché i controrivoluzionari 
                  restaurassero il diritto deredità. E, in effetti, 
                  ho sentito un socialista ben noto, proclamantesi rivoluzionario, 
                  sostenere lassegnazione individuale dei prodotti e finire 
                  col dichiarare che non vedrebbe alcun inconveniente se la società 
                  permettesse la trasmissione ereditaria di questi prodotti: la 
                  cosa, secondo lui, non avrebbe conseguenze. Per noi, che conosciamo 
                  da vicino i risultati raggiunti dalla società con questa 
                  accumulazione delle ricchezze e loro trasmissione ereditaria, 
                  non vi possono esser dubbi al proposito.
 Lassegnazione individuale dei prodotti ristabilirebbe 
                  non soltanto la disuguaglianza tra gli uomini, ma anche lineguaglianza 
                  tra i diversi generi di lavoro. Vedremmo ricomparire immediatamente 
                  il lavoro pulito e il lavoro sporco, 
                  il lavoro nobile e quello spregevole; 
                  il primo sarebbe fatto dai più ricchi, il secondo sarebbe 
                  attributo dei più poveri. Allora, non sarebbero più 
                  la vocazione e il gusto personale a spingere luomo a darsi 
                  a un genere di attività piuttosto che a un altro: sarebbe 
                  linteresse, la speranza di guadagnare di più in 
                  una data professione.
 Rinascerebbero cosi la pigrizia e la diligenza, il merito e 
                  il demerito, il bene e il male, il vizio e la virtù e, 
                  di conseguenza, la ricompensa da un lato e la punizione 
                  dallaltro, la legge, il giudice, lo sbirro e la prigione.
 Vi sono socialisti che insistono nel sostenere questidea 
                  dellassegnazione individuale dei prodotti del lavoro basandosi 
                  sul sentimento di giustizia.
 Strana illusione! Col lavoro collettivo, impostoci dalla necessità 
                  di produrre in grande e di applicare su larga scala le macchine, 
                  con questa tendenza, sempre più accentuata, del lavoro 
                  moderno a servirsi del lavoro delle generazioni precedenti come 
                  si potrebbe determinare qual è la parte di prodotto delluno 
                  e quale dellaltro? E assolutamente impossibile, e i nostri 
                  stessi avversari lo sanno tanto bene che finiscono per dire: 
                  Ebbene, ci baseremo per la ripartizione sullora 
                  di lavoro; ma nello stesso tempo ammettono essi stessi 
                  che sarebbe ingiusto, poiché tre ore di lavoro di Pietro 
                  possono spesso valerne cinque di Paolo.
 Una volta ci dicevamo collettivisti per distinguerci 
                  dagli individualisti e dai comunisti-autoritari, ma in fondo 
                  eravamo semplicemente comunisti-antiautoritari, e, dicendoci 
                  collettivisti pensavamo di esprimere in questo modo 
                  la nostra idea che tutto devessere messo in comune, senza 
                  fare differenze tra gli strumenti e i materiali di lavoro e 
                  i prodotti del lavoro collettivo.
 Ma un bel giorno vedemmo spuntare una nuova setta di socialisti, 
                  i quali, risuscitando gli errori del passato, si misero a filosofare, 
                  a sceverare, a distinguere su questa questione.
 Ma affrontiamo finalmente la sola e unica obiezione seria avanzata 
                  dai nostri avversari contro il comunismo.
 Tutti sono daccordo che si va necessariamente verso il 
                  comunismo, ma ci viene osservato che, allinizio, non essendo 
                  sufficientemente abbondanti i prodotti, bisognerà stabilire 
                  il razionamento, la divisione, e che la miglior divisione dei 
                  prodotti del lavoro sarebbe quella basata sulla quantità 
                  di lavoro fatta da ciascuno.
 A questo rispondiamo che nella società futura, anche 
                  quando si fosse costretti a razionare i beni, si dovrebbe rimanere 
                  comunisti; cioè il razionamento dovrebbe esser fatto 
                  non secondo i meriti, ma secondo i bisogni.
 Prendiamo la famiglia, questo piccolo esempio di comunismo, 
                  di un comunismo autoritario piuttosto che anarchico, è 
                  vero, ma che daltronde non cambia nulla in questo caso.
 Nella famiglia il padre guadagna, supponiamo, cento soldi al 
                  giorno, il figlio maggiore tre franchi, un ragazzo più 
                  giovane quaranta soldi, e il minore soltanto venti soldi al 
                  giorno. Tutti portano il denaro alla madre che tiene la cassa 
                  e dà loro da mangiare. Non tutti portano in modo eguale, 
                  ma a pranzo ciascuno si serve come vuole e secondo il proprio 
                  appetito: non vi è razionamento. Ma arrivano tempi brutti 
                  e lindigenza costringe la madre a non rimettersi più 
                  allappetito e al gusto di ciascuno per la distribuzione 
                  del pranzo. Bisogna dividere in razioni e, sia per iniziativa 
                  della madre, sia per tacito accordo, le porzioni di tutti vengono 
                  ridotte. Ma notate, questa ripartizione non vien fatta secondo 
                  i meriti perché sono soprattutto i ragazzi più 
                  giovani a ricevere la parte maggiore, e, per quel che riguarda 
                  il boccone migliore, è riservato alla vecchia che non 
                  guadagna proprio nulla. Anche durante la carestia si applica 
                  in famiglia questo principio del razionamento secondo i bisogni. 
                  Potrebbe essere altrimenti nella grande famiglia umana del futuro?
 È evidente che ci sarebbe altro da dire su questo argomento, 
                  se non lo trattassi davanti ad anarchici.
 Non si può essere anarchici senza essere comunisti. In 
                  effetti, la minima idea di limitazione contiene già i 
                  germi dellautoritarismo. Non potrebbe manifestarsi senza 
                  generare immediatamente la legge, il giudice, il gendarme.
 Dobbiamo esser comunisti, perché nel comunismo realizzeremo 
                  la vera eguaglianza. Dobbiamo essere comunisti perché 
                  il popolo, che non afferra i sofismi collettivisti, capisce 
                  perfettamente il comunismo, come gli amici Réclus e Kropotkin 
                  hanno già fatto notare. Dobbiamo essere comunisti, perché 
                  siamo anarchici, perché lanarchia e il comunismo 
                  sono i due termini necessari della rivoluzione.
 C. Cafiero, Anarchia e comunismo. Riassunto del discorso 
                  pronunciato dal compagno Cafiero al Congresso della federazione 
                  giurassiana, in Le Revolté, 13-27 novembre 
                  1880; ora in C. Cafiero, La rivoluzione per la rivoluzione, 
                  a cura di G. Bosio, Roma 1970, pp. 47-56.  Donato Romito(Pesaro)
    Propongo 
                  una lista
 Il 5-6-7 dicembre, Fiera dei Particolari. La mia idea ha trovato 
                  subito accoglienza dai ragazzi  per me lo sono  
                  del Leoncavallo che ha posizione e strutture in Milano tali 
                  da poter accogliere i miei vignaioli. So per esperienza quasi sessantennale del dissidio singolare 
                  che nasce per una sorte inesplicabile di spontaneità, 
                  in ogni persona che ha scelto, o comunque si obbliga a scegliere, 
                  il percorso personale verso il massimo possibile di libertà.
 Dovrebbe subito conseguirne  questo sì in modo 
                  del tutto chiaro e spontaneo  la considerazione che il 
                  massimo possibile di libertà proprio coincide con il 
                  massimo possibile di libertà dellaltro.
 Lho sentito asserire, innumerevoli volte, dagli uomini 
                  della sinistra. Purtroppo, pressoché subito, si smentivano 
                  con avversioni imbarazzanti, ripetute, infinite. Prese di posizione 
                  e di contrasto, dannosissime, con ogni iniziativa di quellaltro, 
                  anche se a conoscenza della sua volontà di favorire, 
                  comunque, la sinistra.
 Di politica so nulla di nulla. Al termine della guerra che non 
                  ho fatto per la giovane età (nel 1944 sino a mezzo 1945 
                  sono stato internato in un campo di lavoro della vicina Svizzera 
                  in cui avevo trovato rifugio) ho frequentato ogni luogo in cui 
                  presupponevo di apprendere politica, con varie esperienze di 
                  cui la più importante, dal 56, I Problemi 
                  del Socialismo editi con Lelio Basso. Ne uscii nel 1959, 
                  dopo un congresso in Napoli che aveva visto la vittoria di un 
                  Nenni che considerava compagno il giovanissimo Craxi.
 Da allora sono tornato a riferirmi  quanto a politica, 
                  dico  alle parole delle lezioni ultime (debbo credere) 
                  tenute da Benedetto Croce in Milano nel palazzotto liberale 
                  di Corso Venezia, proprio di fronte ai Giardini Pubblici.
 Ci aveva insegnato, con espressioni di notevole impegno e facilissima 
                  comprensione, essere lanarchia  pura, armonica e 
                  razionale  il punto darrivo definitivo e finalmente 
                  gioioso del lungo percorso umano.
 Contraddiceva i teorici dellanarchismo sui tempi. Allanarchia 
                   pura, armonica e razionale  si sarebbe potuti arrivare 
                  dopo altri millenni di oppressione statale.
 Semplice, vero? La mia politica è tutta lì, con 
                  una convinzione: i mutamenti avvenuti con la fine del secondo 
                  millennio, per merito (sì merito) della globalizzazione 
                   per cui non ho mai scritto no-global ma new-global  
                  hanno abbreviato i tempi dellevenienza anarchica. Saranno 
                  meno  io mi auguro, molto meno  di millenni per 
                  giungere a quella che è unutopia. Vivan las utopias.
 Mi sono comportato, in ogni congiuntura ritenuta importante, 
                  in modo di favorire la liberazione.
 Certo, a volte ho sbagliato  faccio esempio nella scelta 
                  del voto per un partito politico  mai, proprio mai, con 
                  la volontà di sbagliare. Ho sempre considerato le opinioni 
                  degli altri che si dichiaravano, anche, per la liberazione (esclusi 
                  quindi, a priori, i fascisti e gli stalinisti) degne dinteresse 
                  e di discussione. Più ancora, degne dappoggio e 
                  daiuto anche se, in qualche misura, in contrasto o quantomeno 
                  in sospensione, rispetto allanarchia (o, più modesto, 
                  rispetto al mio pensiero di ciò che è o non è 
                  a favore dellanarchia).
 Ecco allora, in particolare, la mia adesione a ciascuna delle 
                  iniziative tese a soddisfare il progresso, appunto della liberazione 
                  umana: circoli sociali, centri anarchici, volontariato anche 
                  se marcato da fedi religiose, accoglienza immigrati, 
                  quantaltro.
 Ed ecco il mio convincimento  contro la decisione così 
                  dannosa da parte dei dirigenti dei movimenti anarchici di un 
                  distacco completo dal mondo politico e dalle sue evenienze  
                  di avere il maggior rapporto  ripeto: fatta esclusione 
                  per fascisti e per stalinisti  con ogni parte, così 
                  da portare avanti con discussioni dialettiche i problemi, anziché 
                  bloccarli, sino agli episodi, purtroppo a volte violenti, di 
                  ostilità. La società la cambi se la vivi, se ci 
                  sei dentro, se puoi operare con trattative continue allinizio 
                  per un mutamento sino  non ti spaventi il termine  
                  alleversione. Non ha nulla di antidemocratico. Quando 
                  condivisa dalla stragrande maggioranza della popolazione, è 
                  lapice della democrazia.
 Proprio nel ricordo delle parole di Benedetto Croce, la conferma 
                  del massimo errore commesso dai teorici dellanarchismo, 
                  del socialismo e del comunismo. Per più di due secoli, 
                  tutto lottocento e tutto il novecento, hanno teso a valorizzare 
                  le invenzioni della scienza per una non meglio identificata 
                  modernizzazione, anche a danno di ciò che era stato, 
                  nei millenni, a vantaggio delluomo, lagricoltura 
                  e lartigianato in primis. Ho già dichiarato la 
                  mia debolezza nellargomentare di politica  e più 
                  ancora nel farla  ma sino a oggi non ho avuto seria contrapposizione 
                  al mio ripetuto assunto essere stato il massimo degli errori 
                  lostacolo determinante ad un reale progresso.
 Se vogliamo andare molto, molto avanti, dobbiamo tornare un 
                  passo indietro. Ho scritto e scrivo dei prodotti della terra 
                  non solo perché necessari alla sopravvivenza, soprattutto 
                  perché esemplari di come un uomo capace possa vivere, 
                  e far vivere i propri familiari, in condizioni di benessere. 
                  I prodotti  sostengo anche quelli dei luoghi più 
                  ostili, per la durezza delle condizioni ambientali  se 
                  portati a compimento nella loro terra, assumono in sé 
                  per sé, a causa dellinimitabilità, valori 
                  alti, che trovano collocazione ed acquisto alla sola condizione 
                  che siano proposti. Proprio da ciò scende laffermazione: 
                  le aziende agricole industriali, quelle che hanno 
                  puntato anziché sui contadini, sui mezzi, non hanno, 
                  nei fatti, ragione di esistere. Il mezzo, qualsiasi mezzo, che 
                  non abbia lassistenza fisica e intellettuale del singolo 
                  uomo, contadino, esperto, porta a un degrado, se non a un degrado, 
                  ad unomologazione in qualche modo dannosa.
 Lo stesso, identico, per ciò che riguarda la trasformazione 
                  dei prodotti della terra. Lindustria alimentare è 
                  un controsenso da che porta alla pressoché immediata 
                  decadenza delle valenze naturali. A parte il fatto che unindustria, 
                  per definizione, non può non tendere al profitto senza 
                  il purché minimo cedimento a ciò che è 
                  sentimentale. Il contadino e lartigiano, mettono 
                  certo in conto il profitto, senza il quale non avrebbero la 
                  possibilità di vivere e far vivere, ma ci aggiungono 
                  sempre, per ragioni storiche e culturali, inalienabili contro 
                  ogni tentativo, la volontà del ben eseguito e del coinvolgimento 
                  appunto sentimentale.
 Qui, da noi, può sembrare chio sia linventore 
                  o lo scopritore  fai tu  di una via nuova per la 
                  liberazione delluomo. Mi piace contraddirlo. I contadini 
                  del Chiapas, proprio con la via campesina, mi hanno, 
                  ci hanno, preceduto, con pene e sacrifici inenarrabili. I risultati 
                  migliori li hanno ottenuti, li stanno ottenendo, con linstaurazione 
                  di trattative e quindi con la rinuncia al solo mezzo delle armi, 
                  con le quali avrebbero corso il rischio  io penso la certezza 
                   dello sterminio e dellestinzione.
 Sono le trattative  intransigenti nei luoghi in cui lintransigenza 
                  è necessaria  con le autorità a portare 
                  attraverso modificazioni continue delle leggi, prima al miglioramento 
                  della situazione sociale, poi alleversione senza violenze 
                  di cui non abbiamo paura. Anzi e meglio: di cui nessuno deve 
                  e può avere paura.
 Io mi auguro che la Fiera dei Particolari milanese  nata 
                  sul successo clamoroso di Terra e Libertà/Critical Wine 
                  veronese  inneschi una serie di manifestazioni in ogni 
                  città italiana che dimostri agli ignari come sia iniziato 
                  il terzo millennio, da cui luomo cosciente e rispettoso 
                  della libertà propria ed altrui, si attende lanarchia 
                  pura, armonica e razionale.
 I mercati che verranno ad aprirsi  con la messa in evidenza: 
                  dei prodotti contadini e artigianali protetti dalle Denominazioni 
                  dorigine Comunale, garantite da Sindaci che debbono essere 
                  autorità amministrative e non politiche (non mi stancherò 
                  mai di ripetere laffermazione di Brunetto Latini, scrittore 
                  fiorentino del 200 di cui Dante riconosceva la maestria 
                  «Le uniche autorità cui è dovuto rispetto 
                  sono la madre, il padre e il comune»; ove per comune era 
                  certo intesa la comunità)  avranno condizioni di 
                  favore esponenziale nei confronti di ogni altro ed in primis 
                  dei supermercati delle multinazionali, con vantaggi appunto 
                  esponenziali a favore dei contadini, degli artigiani e dei cittadini. 
                  Soprattutto per la riduzione massiccia dei prezzi dovuta alla 
                  pressoché totale scomparsa dellintermediazione.
 I politici  allinizio entusiasti della mia proposta 
                  1999 per una legge diniziativa popolare che imponesse 
                  le De. Co.  hanno tradito proprio nel momento (ma forse 
                  scriverei meglio proprio per il momento) in cui la legge costituzionale 
                  n. 3 del 2001 ha nei fatti anticipato la necessità delliniziativa 
                  popolare col passaggio del potere di legislazione (e di modifica 
                  della legislazione) dallo Stato  non alle Regioni, non 
                  alle Province  diretto al Comune; si sono infatti accorti 
                  che quella legge, in quel dispositivo, era anarchica (sindigni 
                  pure chi pensa che legge e anarchia siano in contrasto; o meglio 
                  legga Reclus).
 Il successo  sono disposto a scommettere  clamoroso 
                  ed eversore dei mercati sociali, proposti in ogni città, 
                  convincerà  ed è proprio lora 
                  gli anarchici ad abbandonare lassenza nelle istituzioni 
                  e quindi anche dal voto.
 Propongo infatti, da cittadino e non da politico, che già 
                  nelle prossime elezioni europee siano presenti liste con simbolo 
                  non equivoco i centri sociali, cui concorrano solo gli appartenenti 
                  in giovane età dei centri sociali appunto, dei circoli 
                  anarchici, del volontariato e delle associazioni di immigrati.
 Per quanto scandalo possa aggiungere, fu interdizione  
                  ahinoi, intelligente  da parte dei conservatori più 
                  maliziosi, laver convinto: sarebbe stato meglio, in base 
                  alle loro teorie, che gli anarchici fossero assenti dalle elezioni. 
                  Io  che non farò mai parte di una lista per la 
                  sola ragione delletà  dichiaro: fu vero e 
                  proprio autolesionismo; ci è costato troppo caro.
 Luigi Veronelli(Bergamo)
     
                    
                     
                      |  I 
                          nostri fondi neri 
                            |   
                      |  
                           Sottoscrizioni. Andrea Della Bosca (Cosio Valtellino) 20,00; Aurora 
                            e Paolo (Milano) ricordando Amelia e Alfonso Failla, 
                            500,00; Davide Foschi (Gambettola) 15,00; Roberto 
                            Di Giovannantonio (Roseto degli Abruzzi) 5,00; Alberto 
                            Ciampi (San Casciano Val di Pesa) ricordando Gianni 
                            Furlotti, 30,00; Daniele Rosati (Modena) 2,00; Giuliano 
                            Galassi (Monteprandone) 5,00; Fausto Franzoni (Pianoro) 
                            5,00; Massimo Bellini (Riola) 5,00; Maurizio Pastorino 
                            (Torino) 5,00; Dario Cercek (Lecco) 15,00; Andrea 
                            Catalano (Palermo) 5,00; Giampiero Manuali (Perugia) 
                            16,00; Silvia Golino (Cornedo allIsarco) 6,00; 
                            Patrizio Quadernucci (Bobbio) 11,00; Marco Breschi 
                            (Pistoia) ricordando Aurelio Chessa, 150,00; Antonio 
                            Abbotto (Sassari) 5,00; Massimo Bianchi (Codognè) 
                            100,00; Antonio Mencarelli (Villaggio Prenestino) 
                            4,00; Giuseppe Zanlungo (Mentana) 4,00; Andrea Ferrari 
                            (Reggio Emilia) vendita libri di Alfonso Failla, 20,00; 
                            Alessandro Natoli (Cogliate) 20,00; Simona Biancucci 
                            (SantElpidio a Mare) 5,00.
 Totale euro 968,00.
 Abbonamenti sostenitori. Marco Breschi (Pistoia) 100,00; Fabrizia Golinelli 
                            (Carpi), 150,00; Zelinda Carloni e Adriano Paolella 
                            (Roma) 100,00; a/m Alfredo Gagliardi, Ida Gagliardi 
                            (Ferrara) 100,00.
 Totale euro 415,00.
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