| Un anno. Questo è il tempo 
                  trascorso da quando Bush e soci hanno annunciato la guerra preventiva 
                  contro lIraq. In tutto il pianeta rispose la mobilitazione 
                  preventiva pacifista. Fu un movimento grandioso: milioni e milioni 
                  di uomini e donne scesero in piazza contro la guerra. Senza 
                  se e senza ma. Quando la furia bellica si scatenò contro 
                  una popolazione stremata da dieci anni di embargo e guerra a 
                  «bassa intensità» le piazze continuarono 
                  a riempirsi di gente decisa a testimoniare la propria opposizione, 
                  il proprio no allorrore che si stava compiendo. «Non 
                  in mio nome!» gridavano i cartelli mentre bandiere arcobaleno 
                  coloravano i balconi delle città italiane. Oggi, a più di otto mesi dallinvasione dellIraq, 
                  mentre una sorda ribellione miete ogni giorno vittime tra occupanti 
                  che solo una becera propaganda può descrivere come «liberatori», 
                  le piazze tacciono, le bandiere arcobaleno scoloriscono alle 
                  finestre. Eppure la guerra sta continuando: un autorevole centro 
                  di ricerche americano calcola che le vittime civili del conflitto 
                  siano state sinora intorno alle 15.000. Ed il bilancio è 
                  destinato a crescere: a Baghdad i bambini giocano tra i rottami 
                  di carri armati distrutti dai micidiali proiettili alluranio 
                  impoverito: cartelli in inglese avvertono del pericolo giornalisti 
                  e truppe di occupazione. Basta osservare le terribili menomazioni 
                  che hanno colpito i figli dei reduci statunitensi della prima 
                  guerra del Golfo per avere uno specchio del destino che attende 
                  questi bambini senza futuro. Ogni giorno le cronache registrano 
                  morti ammazzati tra folle la cui protesta è repressa 
                  a fucilate.
  Rumoroso silenzio 
 Nel nostro paese, dove le manifestazioni raggiunsero cifre 
                  degne della miglior finale di Coppa Campioni o dellultima 
                  serata del festival di San Remo, il silenzio dei pacifisti è 
                  divenuto fragoroso. Altrove, sia pur con minore intensità, 
                  la presenza di piazza non è mai venuta meno: in Gran 
                  Bretagna e negli stessi USA ancora alla fine di ottobre si sono 
                  svolti cortei imponenti. La lotta contro loccupazione 
                  si è accompagnata alla denuncia delle ormai palesi menzogne 
                  con le quali è stata malamente coperta unoperazione 
                  neocoloniale. In Italia, lunica manifestazione di una 
                  certa rilevanza, la rituale Perugia Assisi, ha mostrato un movimento 
                  piegato su se stesso, incapace della semplice radicalità 
                  con la quale anche i settori moderati avevano affrontato la 
                  mobilitazione pacifista dei mesi precedenti. Lopposizione 
                  «senza se senza ma» ha ceduto il passo ai se ed 
                  ai ma: la mediazione ONU è tornata a far parte del carnet 
                  rivendicativo dei pacifisti nonostante lorganizzazione 
                  guidata da Kofi Annan, dopo aver a lungo rifiutato di fornire 
                  copertura allavventura bellica angloamericana, con la 
                  risoluzione votata il 16 ottobre si sia riallineata con la superpotenza 
                  USA. Nellecumenico pacifismo alla melassa della Perugia 
                  Assisi un ben noto guerrafondaio come DAlema è 
                  riuscito a guadagnare il proprio passaggio televisivo senza 
                  neppure un accenno della contestazione che lo aveva investito 
                  in altri anni, quando lindignazione per i bombardamenti 
                  in Serbia e Kossovo voluti dallallora presidente del consiglio 
                  non si era ancora sopita. La memoria di certi settori pacifisti 
                  è corta, cortissima. Nonostante il buon DAlema 
                  ed il suo partito continuino a dar prova del proprio mai sopito 
                  spirito bellicoso non facendo in nessun caso mancare il proprio 
                  sostegno alle operazioni militari in Afganistan e in Iraq, la 
                  capacità di perdono di una sinistra piccina piccina pronta 
                  a spiccare il volo verso la prossima tornata elettorale si dimostra 
                  inesauribile. Intanto le due operazioni belliche dello Stato italiano in Iraq 
                  ed in Afganistan continuano senza soste ad essere foraggiate 
                  con nuovi stanziamenti e rinnovato invio di truppe. Anche la 
                  Finanziaria 2003, non diversamente da quelle emanate dal governo 
                  negli anni precedenti, non ha mancato di registrare un incremento 
                  della spesa bellica a scapito di quella sociale. Il welfare 
                  ha ormai stabilmente ceduto il passo al warfare. Nel discorso 
                  del presidente della Repubblica in occasione della festa delle 
                  forze armate del 4 novembre, la data in cui, sin dal 1918, si 
                  celebra un massacro spaventoso, ciò è emerso in 
                  modo inequivocabile. Lesercito italiano, cui le «missioni 
                  di pace» allestero e il ruolo in occasione di calamità 
                  naturali conferiscono un compito intermedio tra langelo 
                  custode e le Giovani Marmotte, necessita di «un generale 
                  miglioramento e ammodernamento dei mezzi e delle tecnologie». 
                  Cosa questo significhi è chiarito da un provvedimento 
                  preso in sordina durante lestate. Il governo con apposito 
                  decreto ha deciso di procedere allacquisto di materiali 
                  darmamento «idonei a determinare danni alle popolazioni 
                  o agli animali, a degradare materiali o a danneggiare le colture 
                  e lambiente...». Si tratta di «giocattolini» 
                  quali gas letali e armi biologiche che hanno nomi tristemente 
                  famosi: Sabrin, Soman, Tabun e, dulcis in fundo, lagente 
                  Orange. Sì avete capito bene: stiamo parlando del più 
                  noto dei prodotti della famigerata multinazionale americana 
                  Monsanto (oggi Pharmacia). Grazie a questo defoliante, a trentanni 
                  di distanza dalla fine della guerra del Vietnam, in quel paese 
                  continuano a nascere bambini privi degli arti. Dora in 
                  poi anche i «nostri ragazzi» avranno mezzi adatti 
                  ai loro compiti. Con buona pace per le coscienze dei tanti, 
                  troppi pacifisti che pensano che sia possibile e giusto opporsi 
                  alla guerra senza opporsi allesistenza stessa degli eserciti 
                  che la fanno. Per non parlare degli stati di cui sono i gendarmi 
                  armati.
  Resistenza sempre più debole 
 Assistiamo al paradosso che, mentre in Iraq ed Afganistan le 
                  truppe degli Stati Uniti e dei loro alleati vanno incontro a 
                  crescenti difficoltà, le politiche guerrafondaie, specie 
                  in Italia, incontrano una resistenza sempre più debole. 
                  In entrambi i paesi vittime della guerra infinita proclamata 
                  dai neoconservatori statunitensi alla facile vittoria nella 
                  guerra guerreggiata non è seguito un altrettanto facile 
                  dopoguerra. Lincapacità di controllare i territori 
                  conquistati e le preziose risorse di cui dispongono nel caso 
                  dellIraq, così come il mancato accesso a importanti 
                  vie di comunicazione per quel che concerne lAfganistan 
                  costituiscono un costante smacco per la superpotenza USA. Le 
                  statistiche parrebbero dimostrare che il consenso alla politica 
                  estera dellamministrazione Bush così come del governo 
                  laburista in Gran Bretagna è in costante diminuzione: 
                  la guerra sta assorbendo più risorse di quante non sia 
                  riuscita ad acquisirne ed il quotidiano stillicidio di vittime 
                  tra i soldati di stanza nei due paesi non contribuisce certo 
                  ad accrescere la popolarità delle operazioni in corso. 
                  Un sintomo inequivocabile dei crescenti ostacoli che si levano 
                  di fronte agli angloamericani è la fuga dal paese tra 
                  il Tigri e lEufrate della Croce Rossa, di varie ambasciate 
                  e persino dei rapaci funzionari del Fondo Monetario e della 
                  Banca Mondiale. La partenza di questi ultimi dimostra, se mai 
                  ce ne fosse bisogno, che laffare Iraq non è al 
                  momento dei più redditizi. Daltro canto i continui 
                  sabotaggi a raffinerie ed oleodotti fanno sì che gli 
                  statunitensi siano ancora lontani dal controllare loro 
                  nero iracheno. Sul fronte afgano il governo fantoccio di Hamid 
                  Karzai amministra, grazie agli americani, a malapena la capitale. 
                  Fuori Kabul la fanno da padroni i feroci signori della guerra 
                  che si dividono territori ed aree di influenza mentre i numerosi 
                  attacchi subiti dagli americani in questi mesi dimostrano che 
                  quelle talebane sono ben più che sacche di resistenza. 
                  Gli Stati Uniti non paiono più abili degli inglesi le 
                  cui ambizioni imperialiste subirono più di una sconfitta 
                  tra le ardue vette di quel Paropamiso che indusse persino Alessandro 
                  Magno a preferire la trattativa alla guerra.   Autonomia dallistituito 
 In questo contesto il movimento contro la guerra potrebbe giocare 
                  un ruolo cruciale se riuscisse a recuperare parte della lucidità 
                  e della chiarezza con la quale era sceso in campo un anno fa. 
                  Non sarà facile. Allora i movimenti pacifisti erano innervati, 
                  anche se non profondamente pervasi, da significative istanze 
                  antimilitariste. Il pacifismo che scendeva in piazza era frutto 
                  dellonda lunga del movimento no-global e riusciva a esprimere 
                  autonomia dallistituito così come dalle sirene 
                  della sinistra moderata e, alloccorrenza, guerrafondaia. 
                  Oggi i processi di burocratizzazione di questo movimento paiono 
                  approfondirsi e, nonostante levidente crisi dei vari social 
                  forum, non sembrano riemergere significative capacità 
                  di autonomia politica. La ritualità spettacolare delle 
                  manifestazioni in occasione dei vertici dei potenti sta cominciando 
                  a mostrare la corda, mettendo in luce la necessità di 
                  una prassi radicale capace di aprire spazi di libertà 
                  nella quotidianità vissuta di reti capillarmente diffuse 
                  di resistenza e progetto. Sappiamo peraltro che, nella sua tumultuosa 
                  carsicità, questo movimento che attraversa le generazioni 
                  e le culture politiche, in questi anni ci ha stupito più 
                  volte riemergendo vitale ed imprevedibile. Agli antimilitaristi più coerenti il compito di aprire 
                  orizzonti di critica e occasioni di intervento radicali capaci 
                  di inceppare la macchina bellica della guerra infinita. Ma bisogna 
                  fare in fretta. Altre nubi si profilano allorizzonte. 
                  Se nuovi fuochi si accenderanno in Medio Oriente le loro fiamme 
                  potrebbero divampare sino ad innescare un incendio difficile 
                  da controllare.
  Maria Matteo
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