| Durato 21 giorni, lo scontro armato 
                  in Iraq è finito! In realtà la guerra continua, 
                  perché permane lo status guerrafondaio e perché 
                  ormai la guerra è uno strumento indispensabile della 
                  politica globale e globalizzata. È finita la serie delle battaglie campali, degli attacchi 
                  aerei, dei bombardamenti devastanti e dei cannoneggiamenti incessanti, 
                  insomma dello scontro diretto tra i due eserciti contendenti. 
                  Quello iracheno sembra essersi disgregato, metaforicamente liquefatto, 
                  lasciando sul campo ammassi di armi, divise abbandonate, macerie 
                  e pezzi di ferraglia. Mentre quello angloamericano, trionfante, 
                  si è insinuato nelle città. Per qualche giornata 
                  di troppo ha dovuto sbaragliare le inevitabili irritanti sacche 
                  di resistenza, poi per qualche attimo si è illuso di 
                  aver preso possesso del territorio e di riuscire a tenerlo, 
                  con qualche difficoltà prevista, ma sostanzialmente a 
                  dominarlo con la forza della sua superpotenza. Il regime di 
                  Saddam Hussein è finito, definitivamente annichilito, 
                  ma la pace è lontana dallessere a portata di mano, 
                  il terrorismo, soprattutto di matrice fondamentalista islamica, 
                  è lungi dallessere sopito, mentre la complessità 
                  del riassetto politico-istituzionale-strategico sta prendendo 
                  piede e contiene il rischio di diventare difficilmente controllabile.
 La polemica tra il concetto di liberatori, sostenuto dalla coalizione 
                  vincente e dai suoi alleati, e quello di occupanti-colonizzatori, 
                  sostenuto fin dallinizio da chi si è opposto a 
                  questa guerra, è del tutto irrisolvibile e per molti 
                  versi fuori luogo. Come sempre, dipende dallangolatura 
                  con cui si guardano le cose e dagli interessi di vario tipo 
                  che sono in campo. La congerie dei fatti li contiene entrambi. 
                  Da un lato è innegabile che gli angloamericani, con la 
                  loro aggressione militare, abbiano effettivamente liberato lIraq 
                  e il mondo intero da una delle più feroci tirannie conosciute 
                  dalla storia. Dallaltro è altrettanto innegabile 
                  che per farlo si sono appropriati con la forza delle armi di 
                  quel territorio e che ora da vincitori, occupandolo militarmente, 
                  si sentano del tutto in diritto di impostarlo politicamente 
                  come loro aggrada. Le cose non sono linde e nette come desidererebbero 
                  le opzioni ideologiche. Non lo permette lintreccio intricatissimo 
                  dei fatti, delle situazioni, delle volontà, delle intenzioni 
                  dichiarate e di quelle non dichiarate, degli interessi, delle 
                  spinte di parte; un amalgama estremamente contorto, districabile 
                  ai fini di potere, finora unica molla reale dei fatti storici, 
                  soltanto con limposizione e la vittoria della prova di 
                  forza.
 
  Lindifferenza del popolo iracheno 
 Cerchiamo didentificarne alcuni, quelli che consideriamo 
                  più rilevanti. Innanzitutto bisogna sottolineare che 
                  la liberazione dalla sanguinaria dittatura di Saddam Hussein 
                  non è stata richiesta, almeno per quello che ci è 
                  dato sapere, dal popolo iracheno, che da troppo tempo ormai 
                  sembrava rassegnato ad accettarla, quindi non può essere 
                  attribuita alla manifesta volontà popolare in loco. Il 
                  che non vuol dire che non sia ben accetta, come hanno dimostrato 
                  le immediate manifestazioni di giubilo a Baghdad. Detta liberazione, 
                  secondo la lettura delle contorte vicende politiche che hanno 
                  preceduto lattacco, è avvenuta soprattutto per 
                  scelta e per volontà degli USA, determinati a regolare 
                  una serie di conti sul piano internazionale. Ne consegue che 
                  la liberazione dellIraq, da parte degli Usa, è 
                  pretestuosa per giustificare una loro esigenza strategica di 
                  gestione dei destini del mondo, indipendentemente che in effetti 
                  abbiano fatto un gran piacere al popolo iracheno e, per quel 
                  che mi risulta, a tutto il mondo arabo e islamico. È significativo il fatto che, a parte qualche immediata 
                  manifestazione di esultanza nella capitale e in poche altre 
                  città, come a Bassora capitale del sud Iraq, dopo che 
                  si è avuta la certezza della caduta del regime di Saddam, 
                  non ci sia stata da parte della popolazione laccoglienza 
                  esultante e trionfale che i liberatori si aspettavano 
                  e sulla quale contavano. Addirittura in città importanti 
                  come Najaf e Kerbala, sacre per gli sciiti, per volontà 
                  degli imam nei primi giorni dopo la vittoria gli americani non 
                  sono neppure entrati. Non potevano e non dovevano occupare il 
                  suolo sacro dellIslam. Limpressione è che 
                  nella generalità dei casi il popolo iracheno sia rimasto 
                  indifferente, in alcuni casi ostile, davanti alla vittoria, 
                  tutto sommato veloce e chirurgica, delle forze alleate occidentali 
                  che pretenderebbero di essere i suoi liberatori.
 Su La Repubblica del 20 aprile, Leonardo Coen riporta 
                  la testimonianza estremamente significativa di un pellegrino 
                  sciita diretto a Kerbala: Vi sfido a trovare un musulmano 
                  che ami gli americani. Non ci hanno dato acqua, né elettricità, 
                  né sicurezza e quindi che se ne ritornino a casa. 
                  Il commentatore sottolinea che questo è il filo 
                  comune che lega le tre anime dellIraq: quella sciita, 
                  quella sunnita, quella curda. A sostegno il fatto che 
                  immediatamente dopo la presa di Baghdad, la capitale in particolare, 
                  ma anche altre importanti città, siano state abbandonate 
                  ai saccheggi, alle rapine, alle giustizie sommarie. Una vera 
                  e propria messa a ferro e fuoco. Probabilmente le truppe occupanti 
                  e vittoriose, oltre ad essere rimaste sorprese dalla violenza 
                  e dalla velocità del saccheggio generalizzato, hanno 
                  anche scelto di non intervenire con la repressione per non dare 
                  subito lidea di essere i nuovi padroni; in fondo i novelli 
                  distruttori erano gli stessi abitanti delle città liberate. 
                  Il clima che ne è derivato in pochissimi giorni è 
                  stato quello di un rifiuto generalizzato delle truppe vittoriose, 
                  chiaramente vissute come occupanti.
 In questo crescendo di tensione gli imam non ci hanno messo 
                  molto a propagandare il loro credo, cioè di cominciare 
                  ad instaurare nellIraq liberato da Saddam una struttura 
                  politica ispirata ai dettami del corano. In unintervista 
                  sul Corriere della Sera del 22 aprile Daniel Pipes, esperto 
                  dislamismo cui la Casa Bianca statunitense ha affidato 
                  lIniziativa speciale per il mondo musulmano, afferma 
                  che per prevenire in Iraq linstaurazione di un regime 
                  musulmano serve una fase di autoritarismo democratico 
                  di 5-10 anni, forse più, sul tipo del modello turco. 
                  Al di là dei tentativi del governatore Jay Garner, generale 
                  in pensione incaricato dallestablishment statunitense 
                  di amministrare il dopoguerra per un periodo di tempo non ancora 
                  determinato, non è difficile capire che gli iracheni 
                  in cuor loro stanno accettando la presa del potere da parte 
                  degli imam di ispirazione sciita, collegati al governo di Teheran, 
                  i quali hanno tutta la volontà di riuscire ad instaurare 
                  nellIraq desaddamizzato un regime teocratico. E non è 
                  passato molto tempo che, di fronte alle sempre più frequenti 
                  manifestazioni di popolo con sentimenti dichiaratamente antiamericani, 
                  i liberatori abbiano cominciato a perdere la testa. 
                  Così il 28 aprile a Falluja, a circa 70 km da Baghdad, 
                  provocate, le truppe americane hanno uno scatto di nervi e falciano 
                  con le armi la folla ostile: 13 morti, di cui più della 
                  metà bambini, e una settantina di feriti.
 La scelta dichiarata dei vincitori di indirizzare il nuovo Iraq 
                  verso una democrazia alloccidentale non è affatto 
                  scontata come riuscita. Non a caso le infiltrazioni dellintelligence 
                  iraniana per portare la situazione postbellica a proprio favore 
                  hanno creato da subito attriti, con minacce neanche tanto velate, 
                  tra il governo USA e la teocrazia di Teheran. Ma non è 
                  lunico motivo di tensione nella regione mediorientale 
                  e nel mondo. Con la Siria gli USA sono entrati in collisione, 
                  tuttora non risolta, subito dopo la vittoria per il pericolo 
                  giustificato che possa ospitare dei gerarchi di Saddam in fuga 
                  ed abbia nascosto delle armi irachene proibite. 
                  Con la Corea del Nord, che appena circa dieci giorni dopo la 
                  fine dello scontro bellico con lIraq ha ammesso ufficialmente 
                  di possedere armi a testata nucleare funzionanti, sfidando gli 
                  Stati Uniti con una dichiarazione beffarda del negoziatore nordcoreano 
                  Li Gun: Abbiamo la bomba atomica. Che cosa volete farci?. 
                  Ma soprattutto col problema endemico della Palestina. Subito 
                  dopo che con grande fatica e uno scontro di potere tutto interno 
                  con Arafat è riuscito ad instaurarsi il governo palestinese 
                  di Abu Mazen, le brigate Al Aqsa ed il FPLP hanno rivendicato 
                  lattentato vicino a Ramallah del martire di Allah Khatib. 
                  Lattentato kamikaze, che probabilmente è il primo 
                  di una lunga serie, è una chiara intimidazione nei confronti 
                  di Abu Mazen: lo avverte che la sua volontà di giungere 
                  ad un compromesso con Sharon, passando sulla testa dei militanti 
                  armati della nuova intifada, sarà sabotato con tutti 
                  mezzi.
  Una visione del mondo antitetica 
 Soprattutto incombe il costante pericolo, esteso allintero 
                  occidente, del terrorismo di matrice fondamentalista islamica. 
                  Bin Laden è il simbolo di uno scontro estremo, che trova 
                  il sostrato teorico in unescatologia della morte eroica, 
                  della guerra ai valori ed alla presenza della civiltà 
                  in cui sincarna il mondo occidentale. Trova il suo terreno 
                  fertile nelle enormi sacche di miseria e di disperazione di 
                  cui è costellato luniverso islamico, ma non ne 
                  è la causa. Le sue ragioni risiedono in una visione del 
                  mondo e della politica antitetiche a quelle in cui ci riconosciamo 
                  noi e sono a priori rispetto alle condizioni esistenziali. Per 
                  noi lobbiettivo e lo scopo risiedono nella conduzione 
                  dellesistente, cui tentiamo di dare risposte materialmente 
                  soddisfacenti e condizioni sociali fondate su principi di libertà. 
                  Per loro lobiettivo è escatologico, finalizzato 
                  completamente allaldilà, mentre la conduzione dellesistente 
                  non è importante in sé, bensì asservita 
                  ad Allah, per cui non ha molta importanza la libertà 
                  individuale, mentre ne ha tantissima quella comportamentale 
                  secondo i dettami del Corano. Ne consegue che sul piano politico 
                  aspirano a governi impostati sul piano religioso. Non sono interessati 
                  alla democrazia, ma propugnano regimi teocratici. Insomma, la politica neoimperiale della democrazia esportabile 
                  ed imponibile con le armi fa acqua da tutte le parti. Vista 
                  dal punto di vista degli amanti veri della libertà cè 
                  qualcosa dinsano in questa fanatizzazione della democrazia, 
                  quale modello universale ritenuto unico vero metro di misura 
                  per giudicare se una strutturazione di gestione del potere sia 
                  giusta o da sostituire, per esempio con luso supposto 
                  legittimo della forza. E non tanto perché non sia giusto 
                  lasciare piena libertà di espressione, di riunione, di 
                  propaganda a tutti indistintamente, quanto perché da 
                  troppo tempo ormai tutto ciò rappresenta solo un paravento, 
                  un alibi per una gestione oligarchica del potere che ha ben 
                  poco a che fare con i presupposti conclamati. Da troppo ormai 
                  le democrazie operanti sono ridotte ad una pura finzione, in 
                  quanto, mentre la gestione democratica dovrebbe essere gestita 
                  dal basso, perché secondo dottrina in essa il potere 
                  dovrebbe appartenere al popolo, nei fatti nessuno che non detenga 
                  leve di comando politiche, economiche o militari ha la minima 
                  dignità decisionale, di decisioni che contano ovviamente. 
                  Ciò che si vuol esportare, fra laltro attraverso 
                  la cosa più antidemocratica come la guerra, non è 
                  perciò tanto la libertà propagandata, bensì 
                  un modello collaudato di potere, che per sussistere usufruisce 
                  dellipocrisia di procedure formali che si autodefiniscono 
                  garanti delle libertà, ma che nei fatti garantiscono 
                  soltanto la libertà di manovra dei potenti di turno.
 Siamo immersi in una fase di transizione. Noi, masse di individui 
                  esclusi dalle decisioni, stiamo subendo, assistendo impotenti, 
                  la ridefinizione e la ridistribuzione globali dei poteri per 
                  il dominio del mondo. Usciti giocoforza dallassetto bipolare, 
                  durante il quale lequilibrio politico planetario era assicurato 
                  dalle reciproche deterrenze militari delle due superpotenze 
                  USA e URSS, ora gli Stati Uniti, unica delle due rimasta, in 
                  un certo senso si trovano costretti a reimpostare gli assetti 
                  politici e militari, in modo tale da consentirsi di conservare, 
                  ancor più di prima, lo stato di superpotenza in grado 
                  di gestire e dominare il pianeta.
 Impostato in seguito alla vittoria degli alleati contro il nazifascismo, 
                  lassetto bipolare assicurava ad ognuna delle due superpotenze 
                  unequa spartizione dinfluenze politiche e militari 
                  tra le diverse aree mondiali. In qualche modo rappresentava 
                  una garanzia di equilibrio rassicurante. Ma mentre lUnione 
                  Sovietica è sempre stata soprattutto una superpotenza 
                  militare, ininfluente sul piano degli equilibri economici, gli 
                  USA invece hanno sempre rappresentato anche un riferimento planetario 
                  di enorme condizionamento ed accaparramento delle risorse economiche 
                  e finanziarie. Ad osservare con lo sguardo del dopo, oggi appare 
                  quasi ovvio e conseguente che limpero sovietico prima 
                  o poi dovesse crollare. Non a caso la sua rovina non è 
                  affatto avvenuta in seguito ad una sconfitta dopo un conflitto 
                  contro la superpotenza nemica, bensì perché non 
                  è stata in grado di sorreggersi e di portare avanti lalternativa 
                  concreta credibile che avrebbe dovuto far argine al continuo 
                  sopravanzare del capitalismo. Incapace di essere e di rappresentare 
                  ciò che pretendeva di propagandare, a un certo punto 
                  della sua storia è implosa per incapacità a sopravvivere.
 Rottosi il naturale equilibrio bipolare, in un certo 
                  senso, dal 1989 in poi gli americani si sono trovati loro malgrado 
                  orfani del bipolarismo e, rimasti unici interlocutori di se 
                  stessi nella possibilità di definire e di gestire le 
                  sorti del dominio nel mondo, si sono trovati tra le mani degli 
                  strumenti di gestione planetaria spuntati, nati come lONU 
                  per gestire un ormai superato bipolarismo, del tutto inadatti 
                  a portare avanti le necessarie ed impellenti ridefinizione e 
                  ripartizione dellassetto strategico, economico, politico 
                  e militare del mondo. In tal senso lattacco alle Twin 
                  Towers dell11 settembre 2001 ha funzionato da detonatore 
                  e da superacceleratore per la messa in moto di una strategia 
                  di riassetto politico e militare per la gestione del dominio 
                  globale e globalizzato. Questa è la ragione principale 
                  per le scelte degli attacchi prima allAfghanistan poi 
                  allIraq e di tutte quelle successive che verranno, indipendentemente 
                  che tali scelte abbiano lapprovazione, il consenso e la 
                  partecipazione dei rappresentanti governativi della cosiddetta 
                  Comunità Internazionale. Se devi vuoi, e 
                  puoi essere il padrone, non puoi permetterti di dipendere dalle 
                  minori esigenze dei tuoi sudditi, formalmente alleati e sostenitori.
  Unopposizione sempre più reattiva 
 Ci troviamo veramente tra lincudine e il martello. Da 
                  una parte abbiamo laumento del dominio mondiale di un 
                  sistema capitalista a gestione globale, che ha come gestori 
                  indiscussi gli USA accanto agli stati dellarea del cosiddetto 
                  benessere, dominato e impostato dallo strapotere delle multinazionali 
                  e delle lobbies finanziarie, causa permanente di un costante 
                  aumento delliniquità nella spartizione delle risorse, 
                  dellaumento delle sacche di povertà, della perdita 
                  di senso delle cosiddette libertà democratiche, dellinquinamento 
                  selvaggio che sta vieppiù depauperando e degradando le 
                  risorse naturali del pianeta. Il sistema di valori occidentale, 
                  al di là della propria autoreferenza, è perciò 
                  sempre meno credibile come riferimento salvifico e come possibilità 
                  concreta di realizzare un mondo a misura delle libertà 
                  dichiarate e di un benessere reale che non sia in conflitto 
                  col sistema ecologico integrato in cui la specie è collocata. 
                  Dallaltra parte invece prende sempre più piede 
                  il rifiuto totale delloccidente come sistema di valori, 
                  portato avanti da un fondamentalismo religioso, in particolare 
                  di matrice islamica, sorretto da un credo assiomatico e propugnatore 
                  di un mondo allinsegna di teocrazie assolutiste, intolleranti 
                  e totalitarie. Di fronte a tutto ciò come si pone lopposizione 
                  radicale che afferma di proporre lalternativa di unaltra 
                  società possibile? È unopposizione sempre 
                  più reattiva, sempre più consapevolmente invischiata 
                  nei meandri teorici ed operativi delle scelte pragmatiche del 
                  potere, forse sorretta dallantica illusione che il mondo 
                  altro, erede dellaltrettanto antica scelta rivoluzionaria, 
                  sia possibile aspirando ad agire allinterno dei palazzi 
                  dove quotidianamente si consuma lerosione del potere. 
                  Aspira sempre più a porsi come alternativa istituzionale 
                  nella gestione del potere in atto. Un movimento eterogeneo, 
                  sia teoricamente sia come componenti più o meno organizzate, 
                  tutto interno allarea del benessere, che finora sembra 
                  avere abbracciato un pacifismo puramente antibellicista, in 
                  particolare in chiave antiamericana, incapace di porre seriamente 
                  i problemi inerenti alla democrazia ed alla politica vigenti, 
                  dalla quale politica in auge, anzi, sembra farsi intrappolare, 
                  annullando in tal modo le spinte verso tipi di società 
                  non del dominio, realmente alternative, che pur ne hanno contraddistinto 
                  la genesi.
  Andrea Papi
 
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