| Fonti orali e di polizia 
                   È appena apparso in libreria il volume Voci di compagni. 
                  Schede di Questura. Considerazioni sulluso delle fonti 
                  orali e delle fonti di polizia per la storia dellanarchismo 
                  (C. Bermani, G. N. Berti, P. Brunello, M. Franzinelli, A. 
                  Giannuli, L. Pezzica, C. Venza, Quaderni del Centro Studi Libertari 
                  Archivio Pinelli, Elèuthera, Milano 2002, pp. 122) 
                  che presenta gli atti dei seminari organizzati dal Centro Studi 
                  Libertari  da anni impegnato nellopera di raccolta, 
                  catalogazione, conservazione di documenti relativi alla storia 
                  dellanarchismo  sullutilizzo degli archivi 
                  di stato e delle fonti orali nella stesura delle biografie di 
                  militanti anarchici. Gli incontri hanno coinciso con linizio 
                  dei lavori per il Dizionario biografico degli anarchici italiani, 
                  nellambito delle università di Trieste, Milano, 
                  Teramo e Messina. Le due aree tematiche del libro, curato da Lorenzo Pezzica, 
                  forniscono utili spunti di riflessione su strategie e metodologie 
                  di ricerca che consentono non solo di ottenere un allargamento 
                  quantitativo del patrimonio di dati biografici da un composito 
                  materiale documentario  in cui le testimonianze e la memorialistica 
                  dei protagonisti occupano un posto di primo piano , ma 
                  anche di apportare nuovi elementi di valutazione storiografica.
 Nella prima parte dellopera, dedicata alle fonti di polizia 
                  e di sicurezza (Note introduttive di Giampietro N. Berti; 
                  Sulluso (critico) delle fonti di polizia di Mimmo 
                  Franzinelli; Il trattamento delle fonti provenienti dai servizi 
                  di informazione e sicurezza di Aldo Giannuli), viene sottolineata 
                  lincidenza del controllo statale, culturale e politico, 
                  sulla conservazione e sulla trasmissione della memoria nazionale. 
                  Gli informatori e relatori ufficiali testimoniano uninnegabile 
                  abilità nel seguire e delineare con una certa precisione 
                  atteggiamenti ribellistici a carattere soprattutto individualistico, 
                  nellindicare nomi di delatori o infiltrati della polizia, 
                  nel dare informazioni su corrispondenti di personaggi importanti 
                  allinterno dellambiente anarchico, scontri fra gruppi, 
                  fonti di finanziamento, forme di lotta. Tuttavia, non sono, 
                  nella maggior parte dei casi, in grado di fornire percezioni 
                  delle ragioni profonde di quanto riferiscono, a causa dei pregiudizi 
                  ideologici di cui sono impregnati. Infatti, la pura registrazione 
                  dei fatti (anche se opera di professionisti) dice comunque poco 
                  rispetto alleffettiva trama di azione e dintenti 
                  che animava veramente i protagonisti (Berti, p. 16).
 A tutto ciò va aggiunto che gli informatori tendono spesso 
                  a seguire false piste, ovvero a tacere su fatti di una certa 
                  importanza, rischiando così di orientare gli studiosi 
                  verso direzioni di ricerca senza sbocco. Molte volte, la mancanza 
                  di rigore, di uniformità, nei criteri di distribuzione 
                  e inventariazione delle carte darchivio, lintrico 
                  delle stratificazioni, delle risistemazioni, i compositi modi 
                  di strutturazione e trasmissione costringono i ricercatori ad 
                  un arduo lavoro empirico, a misurarsi con materiale cronologicamente 
                  mal disposto o dal contenuto non in sintonia con il contesto 
                  in cui si trova inserito. In particolare, quando la ricerca 
                  si colloca in epoca fascista, accade che documenti relativi 
                  a questo periodo siano di difficile consultazione, come per 
                  quanto concerne una parte del Fondo sul confino politico, o 
                  addirittura inaccessibili, come nel caso dellArchivio 
                  Storico dellArma dei Carabinieri (Franzinelli).
 Complicazioni ancora maggiori intervengono quando si devono 
                  consultare gli archivi dei servizi di informazione e di sicurezza, 
                  che pure possiedono un notevole interesse documentario su temi 
                  quali la sovversione, il terrorismo, lo stragismo. I legami 
                  con i governi in carica, lessere di fatto totalmente svincolati 
                  dai controlli della magistratura inducono non solo a frequenti 
                  insubordinazioni nei confronti dellautorità politica, 
                  ma anche ad una presunzione di immunità, che si traduce 
                  a livello documentario in silenzi, omissioni, notizie false 
                  mescolate a notizie vere, ecc. Le lacune, i vuoti cronologici 
                  fanno ragionevolmente supporre che leliminazione di routine 
                  del materiale di questi archivi non venga compiuta conformemente 
                  alla normativa che presiede alla distruzione delle carte darchivio. 
                  Di qui, la necessità, da parte dei ricercatori, di particolari 
                  cautele nellautenticare il materiale, nel verificarne 
                  la coerenza amministrativa, nel compiere unanalisi del 
                  linguaggio, delle note in margine, ecc. (Giannuli).
 Le relazioni che vertono sulla produzione e uso delle fonti 
                  orali (Note metodologiche sulluso delle fonti orali 
                  di Claudio Venza; Potere, oralità e scrittura. Divagazioni 
                  sopra unintervista di Piero Brunello; Breve elogio 
                  della storia orale e militante di Cesare Bermani) mettono 
                  in evidenza come queste testimonianze debbano sempre essere 
                  valutate tenendo conto delle particolarità dei meccanismi 
                  psichici della comunicazione orale, delle forme e dei mutamenti 
                  della memoria culturale.
 Le analisi dei racconti e interviste di anarchici mostrano le 
                  difficoltà nel distinguere gli elementi che concernono 
                  lindividualità del militante da quelli che sono 
                  espressioni di una cultura collettiva; nel cogliere dalle singole 
                  storie dati informativi su ambiti più ampi. Inoltre, 
                  chi trascrive vicende riferite oralmente è inevitabilmente 
                  coinvolto nella loro rappresentazione, sia a livello simpatetico 
                  sia a livello immaginario. In effetti, la rielaborazione delle 
                  narrazioni comporta una lettura critica che non è esente 
                  da interventi personali. Pertanto, per comprendere a fondo i 
                  meccanismi di produzione di senso propri del linguaggio degli 
                  intervistati, appare indispensabile un attento esame dei meccanismi 
                  che alimentano i discorsi dellintervistatore. Se 
                  una buona storiografia deve cercare rapporti con la memoria, 
                  anche una buona memoria deve avere rapporti con la storiografia. 
                  Memorie e storiografie rappresentano punti di vista diversi 
                  sul passato, che devono integrarsi vicendevolmente (Bermani, 
                  p. 120).
 Ne discende lesigenza di unadeguata preparazione 
                  dello studioso sulla storia delle sensibilità, della 
                  capacità di considerare gli atteggiamenti e i comportamenti 
                  riferiti dagli intervistati, o trascritti nei loro racconti, 
                  come un aspetto del complesso sistema di scambi culturali esistenti 
                  in un determinato ambiente sociale. Con ciò si fa riferimento 
                  anche a quei fenomeni di circolazione culturale tra gruppi, 
                  attraverso cui si costruiscono e si modificano i modelli dellazione 
                  anarchica; ai modi di integrazione o di esclusione nellambito 
                  delle associazioni anarchiche. Lo studio delle forme in cui 
                  si articola o si trasmette nel tempo la memoria degli anarchici 
                  comporta un esame dei mutamenti dei modi di vedere il passato, 
                  in relazione al mutamento delle forme di esistenza individuali, 
                  di gruppo, di habitat geografico, ai processi dello sviluppo 
                  demografico, economico, culturale, linguistico, ecc. (Brunello).
 Questo carattere in un certo senso sempre in fieri della 
                  storia orale, che fa della dimensione del valore della persona 
                  il polo di riferimento essenziale, viene visto particolarmente 
                  congeniale ad una prospettiva storiografica di tipo libertario 
                  volta a cogliere i modi in cui le istanze individuali si integrano 
                  con le istanze collettive, salvaguardandoli da interpretazioni 
                  standardizzate o in qualche modo precostituite. Esso sollecita 
                  gli studiosi a tentare di riprodurre il dinamismo della storia, 
                  in cui si intrecciano fatti particolari ed eventi di carattere 
                  generale  penso, per fare solo un esempio, al progressivo 
                  ampliarsi della problematica concettuale ed operativa avviato 
                  dallintervista a Umberto Tommasini (Venza). Si può 
                  anche aggiungere che forse la storia orale, con la sua 
                  molteplicità di riferimenti metodologici e con la sua 
                  disorganizzazione intrinseca, è facilmente correlabile 
                  con una ricostruzione storica del movimento [anarchico] 
                  (Venza, p. 81).
 Per la ricchezza degli spunti e delle osservazioni, linteresse 
                  dei percorsi metodologici proposti, tesi ad evitare arbitrarietà 
                  e semplificazioni del giudizio storico, il libro costituisce 
                  uno strumento prezioso per la ricerca e la pratica biografica.
  Eva Civolani
   Quasi una recensione Il 5 novembre 2002 si è tenuta la presentazione del 
                  nuovo romanzo di M. Philopat, La Banda Bellini, 
                  Shake Edizioni, Milano 2002, pp. 192, € 12,00. Presentazione 
                  alla quale doveva partecipare anche Joe Fallisi, autore delle 
                  due e-mail che pubblichiamo e che formano uninsolita recensione 
                  del libro scritto da Marco Philopat. Caro Marco, ti prego di rettificare lannuncio che la Shake ha inviato: 
                  io non ci sarò alla presentazione de La Banda 
                  Bellini. Tu sai bene che, nel caso fossi venuto, lavrei 
                  fatto solo per amicizia nei tuoi confronti e di Gomma. Non ho 
                  alcun bisogno di pubblicità per nessun mio disco, tanto 
                  meno darò il mio appoggio a qualsivoglia apologia dello 
                  stalinismo. Come ti ricorderai, parlandomi a suo tempo del libro 
                  (di cui, fino a ieri, non mi era stato possibile leggere nulla), 
                  mi avevi detto che di quella banda il tuo romanzo 
                  avrebbe fornito una narrazione critica. Ma già 
                  dalla quarta di copertina ci si può rendere conto di 
                  quale sia il senso esattamente opposto del libro. Luomo 
                  che devessere ucciso è Andrea Bellini, biondo, 
                  capelli lunghi, alto un metro e novanta, un trench lungo fino 
                  ai piedi e limmancabile Ray-ban. Ma non hai provato 
                  vergogna scrivendo queste puttanate estetizzanti? E ti ha veramente 
                  commosso, entusiasmato, ti ha fatto sognare, lepos 
                  (!) di questo piccolo racket votato al controllo territoriale, 
                  al pestaggio, dieci contro uno  degni eredi di altri infami 
                  servizi dordine milanesi , di qualche 
                  tossico, di qualche fascista o, meglio ancora, 
                  di qualche compagno scomodo, che li vedeva per quel che erano, 
                  e perciò li combatteva a viso aperto?... Una 
                  banda di quartiere che ha scelto la strada della politicizzazione 
                  e della militanza, con lidea di non essere servi 
                  di nessuno e le immagini di Il mucchio selvaggio 
                  nella testa... Ma a chi lo racconti?...
 A me no di certo.
 Joe
 Rettifica definitiva  Sono i miti che rovinano tutto  nascono dallignoranza 
                   bisogna studiare  conoscere le cose  applicarsi 
                   chiedersi i perché  avere spirito critico 
                  (M. Filopat, La Banda Bellini)  Caro Marco, come ti dicevo al telefono, devo fare unulteriore, definitiva 
                  rettifica, ma questa volta al mio stesso e-mail che ti ho inviato 
                  in un impeto, laltra sera. È il tono e anche lassunto 
                  del messaggio che ora ai miei stessi occhi risulta completamente 
                  sballato. Cerco di spiegarti cosè successo. Mi 
                  avevi portato La Banda Bellini di pomeriggio, ricordi, 
                  poi io ero dovuto subito andar via e solo la sera lavevo 
                  ripreso in mano. La prima cosa: leggo la quarta di copertina, 
                  NON mi piace quel ritrattino, estetizzante, mitizzante... incomincio 
                  subito a incazzarmi... sfoglio il libro dove capita e il caso 
                  vuole (un caso veramente sfortunato) che locchio mi cada 
                  sempre su frasi, periodi che non mi vanno, che mi confermano 
                  quella prima impressione... oh cazzo, mi dico, ma allora si 
                  tratterà di un incontro di reduci dellautonomia 
                  più tetra, di sprangatori di merda e vigliacchi, di rackettari 
                  abbrutiti, di stalinomafiosi che rimirano allo specchio 
                  le loro gesta di gloria, dentro sto libro... 
                  unapologia infervorata... In un istante mi tornano alla 
                  mente i miei nemici del Movimento Studentesco, quei lividi 
                  figli di papà adoratori della gerarchia, di tutti i regimi 
                  dove il proletariato era rimasto inculato, spolpato sino allosso, 
                  unimmensa ombra che suda, lavora e crepa in silenzio, 
                  e dove poteva solo impazzire o strisciare, perché era 
                  lui stesso, con la sua rivoluzione, ad aver innalzato sul piedestallo 
                  i maiali, i migliori, e una volta lassù... 
                  facce di marmo, satrapi sorridenti, piccoli Padri, tallone di 
                  ferro! inamovibili!... protetti da tutte le loro Cheke, Ghepeù, 
                  Kgb, da una rete grandiosa di burocrati e di spie, a passarsi 
                  le consegne e il bacio della morte, via una cariatide avanti 
                  laltra... Quei figli stalinisti di papà democristiani 
                  che si erano impossessati della Statale come del loro racket, 
                  della loro Lubianka, che se la pappavano, incubando le carriere 
                  di domani  dirigenti, amministratori, sindacalisti, consulenti, 
                  managers, quadri, creativi... per quando 
                  la pacchia sarebbe finita, la moda evaporata, come le grida, 
                  i lacrimogeni, gli spari... protetti-protési a ventaglio 
                  mobile dalla loro invenzione più riuscita, anzi lunica: 
                  il servizio dordine!... Spranghe, chiavi inglesi, 
                  mazze, catene, tutti i ferri del mestiere ben oliati, sempre 
                  allincanto... ai più sadici, ai più affidabili, 
                  nati sbirri, cani di Pavlov... ecco le truppe, dieci contro 
                  uno, sempre!, allassalto del fascista!... 
                  sangue che cola dai muri, cervello sul selciato... ancora, ancora!... 
                  La loro lotta antifascista, di loro, fascistissimi!... 
                  Una palla colossale, una diversione in piena regola... Tutti 
                  i problemi veri, cruciali, la critica del lavoro salariato, 
                  della merce, della religione, dello Stato, della società 
                  dello spettacolo, della vita quotidiana, la coerenza tra mezzi 
                  e fini, il rapporto  da reinventare  con le altre 
                  speci e la natura, la realizzazione dellarte... affanculo, 
                  ma figùrati!... come il sanscrito per un leghista!... 
                  Viva il Pensiero del Grande Timoniere, dagli al fascista!... 
                  Eh già, con una piccola avvertenza: sostantivo-aggettivo 
                  di grandi capacità, elasticissimo!... Adatto, soprattutto, 
                  a inghiottire i senza partito, gli anarchici, i refrattari alla 
                  caserma... Parola magica ben sperimentata dai loro maestri, 
                  di unefficacia ammirevole, su chiunque... E con effetti 
                  e contro-effetti, teorici e pratici, a lungo corso... Così, 
                  per esempio, proprio ora che sì, bisognerebbe essere 
                  antifascisti, alla grande  i fascisti sono al potere, 
                  sdoganati dal nano di Arcore, al governo della malavita!... 
                  di antifascismo, più nisba... Un fiorire di celebrazioni 
                  funeree doppie, Marzabotto-El-Alamein, torni pure qualsiasi 
                  cornuto Savoia!... Tutto scolorito, omologato, dissolto!... 
                  Chi se ne frega, a casa, a casa, immersi nel tubo catodico!... 
                  Fini, teschio in doppiopetto, vergogna dEuropa, sappresta 
                  a volare tra le braccia del massacratore di Sabra e Chatila, 
                  anche lui revisionista!... Fra un po vedremo 
                  Ciampi a Predappio...
 I ricordi hanno poi un brusco salto... Vanno alla Milano della 
                  fine anni 70... La bomba di piazza Fontana e lomicidio 
                  di Pinelli, mio amico e compagno del cuore, era come se avessero 
                  chiuso unepoca, quella inaugurata dal Maggio, dove accanto 
                  a tutti i rigurgiti marxisti-leninisti, centomila 
                  speranze si erano aperte, un immenso rovesciamento di prospettiva... 
                  Adesso, latmosfera era di nuovo plumbea, i ruoli 
                  ri-definiti... Cera stato, sì, un trambusto dei 
                  giovani, qualche danza simil-Dadà nel 77, ma come copie 
                  di copie di un originale disperso... Risate amare, già 
                  televisive... Me ne stavo in disparte, in silenzio. (Troppi 
                  morti, troppi suicidi di amici, i più vicini, i più 
                  cari, Eddie Ginosa, Giorgio Cesarano, tanti altri... Io non 
                  avevo  non ho  da insegnare niente a 
                  nessuno.) Nellombra, i lottarmatisti, clandestini a se 
                  stessi, nati da quelle bombe di Stato, coi loro tribunali 
                  del popolo e la lingua di piombo-legno; alla luce del 
                  sole il movimento dellAutonomia, doverano confluiti 
                  molti fiumi, e molto diversi tra loro. Egemonica, 
                  una corrente, quella di Negri, che dal punto di vista teorico 
                  e filosofico era una chiavica, un rinculo totale, una corsa 
                  febbrile al recupero, sgraffignando a destra e a manca... il 
                  vecchio cadavere stalinista rivestito alla moda, giovanile, 
                  colleschimo, desiderante!... Modernista, sì 
                  certo, con iniezioni di Deleuze e di chiunque altro servisse 
                  a dare un qualche tono e lapparenza di un corpo che cammina... 
                  nichilista, estetizzante... Con due cardini ideologici: contropotere 
                  territoriale e autovalorizzazione... Non centri 
                  sociali di anti-potere, fluidi, mobili, creativi, imprevedibili 
                  (che anche cerano, per fortuna!), ma piccoli rackets tetri 
                  compatti con allinterno tutti i ruoli di sempre, e lillusione 
                  di avere unidentità come unazione in rialzo 
                  e una missione da imporre... Preti, come al solito, missionari, 
                  curati del popolo  e quanto ai metodi, gli stessi di v. 
                  Festa del Perdono [è la via dove sorge lUniversità 
                  Statale N.d.R.]... Ma il popolo non vi vuole, 
                  stronzi!... Vaccata per vaccata, preferisce il bla-bla della 
                  televisione, che almeno gli concilia il sonno, si annoia a morte 
                  alla vostre litanie!... Ci vuole ben altro per svegliarlo dal 
                  torpore... innanzi tutto occorre svegliarsi  e 
                  sognare*!... Sputare sulle mode, su ogni trend, 
                  rompere lo specchio mediatico, sregolare i sensi, 
                  avere sensi nuovi, agire, non reagire, fantasia, non fantasticheria, 
                  poeti, non artisti, delegare il meno 
                  possibile, non (s)vendere niente, senza capitalizzare 
                  niente, senza capi, senza illusioni!... Se siamo immersi in 
                  un sortilegio globale, è unopera grandiosa di contro-magia 
                  che occorre, materiale e spiritualissima, poesia in azione, 
                  niente di meno!... Autovalorizzazione?... Col cazzo!... La trappola, 
                  il busillis, sta proprio lì, nella costruzione 
                  della persona, una maschera dietro cui alla fine 
                  cè il nulla... è proprio questa la chimera 
                  spettacolare... Più la vita è per tutti diventata 
                  unimmagine astratta, un sostituto, un ricambio, una copia, 
                  un clone, un altro, la citazione di un film, un 
                  ricordo del Grande Archivio, più tutte le scelte fondamentali 
                  sono eterodirette, eteronome... più questo stesso 
                  individuo, che non esiste, deve potersi credere protagonista, 
                  un quantum particolare sul mercato dei desideri, liberissimo, 
                  circolante, in vendita, in concorrenza, in televisione, in corteo, 
                  in gioco, in guerra!... rimbalzato da mille specchi, produttore 
                  immateriale, puro valore che si valorizza  bit spettrale 
                  nella nebbia!... Ecco la Grande Frontiera!... globale, democratica!... 
                  Il miraggio, lEldorado per tutti!... È lAmerica, 
                  sempre lAmerica il faro, il destino agognato... LImpero!... 
                  ah che geniale trovata!... unapologia della globalizzazione 
                  senza vergogna, totale, delirante!...  Mentre questi pensieri mi attraversavano le meningi, ricevo 
                  messaggi di vecchi amici che mi dicono in sostanza Joe, 
                  ma sta banda Bellini, era una concorrente delle altre, 
                  solo un po più vanagloriosa e ciulla, la stessa 
                  roba avariata, i soliti bruti, picchiatori di piccoli spacciatori 
                  e di tossici... È la loro versione dei fatti  
                  quello che loro hanno vissuto, come lhanno vissuto... 
                  Dovrei sentirne delle altre, non cè dubbio  
                  col senno di poi... Reagisco come un bufalo... che cazzo centra 
                  la Ballata del Pinelli con sta gente? che 
                  cazzo centro io?... non ci andrò mai!... scrivo 
                  di getto le-mail che hai ricevuto... è fatta. Passano 
                  le ore. Il tuo libro è rimasto su un cumulo di altri, 
                  è lì che mi guarda. Rivedo i tuoi occhi brillanti 
                  e generosi... Di notte finalmente decido... Vabbè che 
                  negli ultimi tempi sei più fuori del solito, una molla 
                  ardente, ma tu Bellini e i suoi compagni non li hai mai conosciuti 
                  di persona... e se quello che hai scritto non fosse vero, o 
                  così esagerato da essere falso?... E poi, cristo dun 
                  dio, se critichi un libro dovrai pure averlo letto, tutto!... 
                  o no?... Certo. Quindi lo riprendo in mano, questa volta comincio 
                  dallinizio. E vado avanti fino allultima pagina, 
                  rimanendo così, in piedi, per ore... Prima di tutto, è BELLO, e questo già dovrebbe 
                  bastare, perché per me bello vuol dire scritto con la 
                  mente e col cuore... La penna funziona alla grande, morde e 
                  non fugge, va diritta, rabbiosa e sincera fino in fondo. Quel 
                  che mi aveva fatto incazzare, la mitizzazione, i tratti estetizzanti, 
                  si perde dentro il corpo della narrazione, come una foglia morta 
                  che scivola via... E poi la storia che racconti, che sei riuscito 
                  a raccontare benissimo, con una capacità di identificazione 
                  eccezionale, tu che ai tempi eri un bambino, non nasconde nulla, 
                  con onestà; ma, appunto, lessenziale della loro 
                  esperienza non si può ridurre a quei comportamenti 
                  che avevo definito nel mio messaggio... Anzi, tuttaltro... 
                  Certo alieni dalla riflessione teorica, confusi  mezzo 
                  maoisti, mezzo libertari , sempre (troppo) pronti a menar 
                  le mani, narcisi, prigionieri di un ruolo... ma infamie, porcate 
                  di quelle che ti rimane un marchio nellanima... nessuna!... 
                  da questo punto di vista molto più differenti 
                  che simili rispetto ad altre bande di allora... 
                  anzi con episodi di generosità, di umanità e di 
                  coraggio che me li rendono semmai simpatici, pur con tutto quello 
                  che ci poteva separare... Allinizio, per esempio, quando 
                  racconti di Andrea che al liceo si butta nel mucchio e salva 
                  dal linciaggio un... fascista!** ...
 I pentiti mi hanno sempre fatto schifo, e tutta lideologia 
                  penitenziale, tutti gli avvoltoi che si precipitano, i turiboli 
                  che ansimano, quella puzza di chiesa, i gemiti, le confessioni, 
                  i tradimenti, i mea culpa, il piacere di umiliarsi e umiliare, 
                  tutta la riduzione dellessere a croce, a polvere, a sputo... 
                  Gli scricchiolii delle ginocchia che si piegano al mio orecchio 
                  hanno lo stesso suono delle catene... No, niente pentirsi, 
                  mai! meglio morire, meglio andarsene!... Noi siamo, anche, il 
                  nostro passato, che lo si voglia o no. Si può solo guardarlo 
                  intrepidi, con piacere a volte, ma anche con orrore, senza far 
                  quadrare i conti barando, senza ricucirsi alla meglio 
                  il vestito, e, se ne abbiamo la forza, fare meglio. Questo 
                  è quello che conta, nientaltro. Quel tanto di ingenua mitizzazione che cè ne La 
                  Banda Bellini è in fondo solo un omaggio al meglio 
                  della loro esperienza. E forse proprio il tuo libro, così, 
                  solleva Andrea e i suoi amici da un ruolo, e dai ricordi peggiori. 
                  Ora possono andare avanti, togliere làncora, ripartire 
                  per lignoto. Quanto alla morte, è lunica 
                  cosa sicura, per tutti.
 Con affetto e stima:
 tuo
 Joe
  Joe Fallisi
 * Da lungo tempo Cavallo Pazzo stava attendendo loccasione 
                  di cimentarsi in battaglia con le Giacche Blu. In tutti quegli 
                  anni, dal combattimento di Fetterman a Fort Phil Kearny, aveva 
                  studiato i soldati e il loro modo di combattere. Ogni volta 
                  che si recava sui Black Hills per avere visioni, aveva chiesto 
                  a Wakantanka di dargli magici poteri così egli avrebbe 
                  saputo come condurre gli Oglala alla vittoria se gli uomini 
                  bianchi fossero venuti di nuovo a fare la guerra al suo popolo. 
                  Sin dalla giovinezza Cavallo Pazzo sapeva che il mondo in cui 
                  vivono gli uomini è solo unombra del mondo reale. 
                  Per entrare nel mondo reale doveva sognare e quando vi si trovava 
                  ogni cosa sembrava ondeggiare o saltare: questo avveniva perché 
                  si chiamava Cavallo Pazzo. Egli aveva appreso che se sognava 
                  se stesso nel mondo reale prima di partecipare a un combattimento, 
                  avrebbe potuto sopportare qualunque cosa. (Dee Brown, 
                  Seppellite il mio cuore a Wounded Knee, Oscar Saggi Mondadori, 
                  Milano 1977, p. 305) ** Laitante fascistello rimane lì  
                  mezzo morto  gli vanno addosso tutti quanti  ricucendo 
                  sulla carneficina le divisioni e le lacerazioni politiche... 
                  Siccome a me fa schifo vedere il linciaggio di un povero cristo 
                  svenuto e sanguinante  mi metto di mezzo a urlare più 
                  forte di tutti che questa è una vigliaccata  Non 
                  si spara sui feriti  non si può mica farlo fuori 
                  cazzo!  È un poveraccio  un ragazzo 
                  giovane  come si fa a massacrarlo così (...) 
                  (M. Filopat, La Banda Bellini, Shake, Milano 2002, p. 
                  55)   Scena prima. 
                  Arrivo di Fanelli. Azione La nuvola di fumo del locomotore che trasporta Giuseppe Fanelli 
                  in una non specificata stazione di Barcellona apre in maniera 
                  del tutto inusuale il primo volume di un corposo e ambizioso 
                  progetto editoriale partorito dagli studi di Francisco Madrid 
                  Santos e Claudio Venza. LAntología documental del anarquismo español 
                  (Francisco Madrid Santos, Claudio Venza (a cura di), Antología 
                  documental del anarquismo español. Volumen 1. Organización 
                  y revolución: De la Primera Internacional al Proceso 
                  de Montjuic (1868-1896), Madrid, Fundación de Estudios 
                  Libertarios Anselmo Lorenzo, 2001, 483 pp., € 17,00) vuole 
                  rispondere alla necessità di riposizionare 
                  lo studio storiografico sullanarchismo in Spagna alla 
                  luce delle fonti. E di una raccolta di fonti si tratta; o, per 
                  meglio dire, di un viaggio attraverso le elaborazioni ideologiche, 
                  i dibattiti, le autorappresentazioni degli anarchici spagnoli, 
                  guidato attraverso un efficace apparato critico che comprende 
                  la ricostruzione storica delle varie scansioni temporali e i 
                  profili biografici dei più importanti nomi che compaiono 
                  in calce ai documenti.
 Si tratta di articoli comparsi sulla  precaria ma diffusa 
                   stampa di movimento dellepoca, di documenti ufficiali 
                  prodotti dalle organizzazioni, di interventi apparsi in opuscoli 
                  e libri.
 Lutilità di questa enciclopedica fatica, concepita 
                  in sei volumi che usciranno al ritmo di uno allanno, sta 
                  nel recuperare in prossimità ciò che è 
                  stato il movimento anarchico in Spagna. Nel tentativo di oltrepassare 
                  da una parte sia le letture ideologiche della storiografia classica 
                  di stampo marxista e liberale, con la loro tendenza allappiattimento 
                  del significato e della presenza dellanarchismo nella 
                  Penisola Iberica sulle categorie di arretratezza, ingenuità, 
                  millenarismo, sia il permanere inconscio di alcuni 
                  di questi comodi modelli esplicativi in ricerche successive, 
                  e dallaltra evitando allo stesso modo una lettura ideologica 
                  speculare tendente allapologetico.
 Ai curatori preme sottolineare un altro aspetto importante, 
                  ovvero il tentativo di fermare lattenzione sullanarchismo 
                  in senso specifico e plurale, oltre la prospettiva tipica che 
                  vuole per la Spagna un occhio di riguardo per limportante 
                  affermazione storica dellanarcosindacalismo.
 Le linee principali scelte per la selezione dei testi sono di 
                  tre tipi: le forme di lotta, i modelli organizzativi e le posizioni 
                  teoriche dibattute. Accanto a queste chiavi di lettura compaiono 
                  filoni specifici come il ruolo della donna, la questione ecologica, 
                  lantimilitarismo, lanticlericalismo, il campo educativo, 
                  la proposta federalista rispetto alle questioni nazionali e 
                  regionali.
 La partizione cronologica segna la divisione in volumi: il primo, 
                  che abbiamo oggi fra le mani, parte dalla nascita dellInternazionale 
                  per chiudersi con il Processo di Montjuic (1868-1896), il secondo 
                  affronterà il nuovo secolo fino alla rottura rappresentata 
                  dalla Rivoluzione Russa, il terzo si occuperà del periodo 
                  della dittatura di Primo de Rivera, gli anni del pistolerismo 
                  e della clandestinità, il quarto del breve ma intenso 
                  periodo della Seconda Repubblica e il quinto del classico e 
                  problematico binomio rivoluzione sociale-guerra civile per gli 
                  anni 1936-1939. Un sesto volume dovrebbe infine comprendere 
                  una panoramica storiografica dei modelli interpretativi, una 
                  bibliografia ragionata e gli indici.
 Un prezioso strumento, insomma, per gli studiosi del tema. Un 
                  punto e a capo per comprendere più a fondo 
                  le radici e le ragioni dello sviluppo dellanarchismo nelle 
                  terre del Mediterraneo occidentale.
  Andrea Dilemmi
   Negras tormentas 
                  e altre storie di Alfonso Font Viene giusto dallessere pubblicato un interessante libro, 
                  che, in una splendida edizione perfettamente rispettosa del 
                  tratteggio coscienzioso, come dei segni graffianti, come dellammirabile 
                  tecnica dei neri, raccoglie tre storie disegnate dal catalano 
                  Alfonso Font e sceneggiate rispettivamente, oltre che dallautore 
                  stesso, da Juan Antonio de Blas e Victorio Mora. Sono tre storie non «casuali», come denuncia già 
                  il titolo «Negras tormentas» famoso incipit della 
                  più famosa (insieme a «Hijos del pueblo») 
                  canzone anarchica cantata nel periodo della rivoluzione del 
                  36/39: linno noto come «A las barricadas», 
                  recentemente inserito anche in unemozionante sequenza 
                  del film «Terra e libertà» di Ken Loach.
 Sono tre storie nemmeno precisamente definibili di spirito libertario, 
                  anche se lo sguardo che si rivolge agli anarchici è ovviamente 
                  carico di una certa simpatia. Sono tre storie che appartengono 
                  al fumetto, diremmo, «classico davventura», 
                  lontano da sperimentalismi formali e narrativi, frutto di un 
                  sapiente artigianato che mira a raccontare in modo secco e obbiettivo 
                  una realtà. Sono tre storie importanti, perché 
                  come «un bengala nel buio», aprono gli occhi su 
                  luci ed ombre di un periodo troppo celebrato per essere realmente 
                  conosciuto.
 La prima, che dà appunto titolo al volume, fa un meritorio 
                  lavoro di scavo nel «clima» in cui si andavano addensando 
                  queste «nubi nere»: il tempo era propizio a bruschi 
                  cambi di scena politici, a dittature militari, come quella di 
                  Primo de Rivera, con la precisa intenzione di affondare il colpo 
                  nelle solide organizzazioni anarchiche, CNT in testa, in via 
                  di proliferazione troppo significativa e quindi preoccupante 
                  per le «forze dellordine».
 Il «clima» era quello della nascita degli stati 
                  totalitari che insanguinarono la storia europea del primo dopoguerra, 
                  delle formazioni di pistoleri, sicari e assassini, che non proprio 
                  legalmente ma assai ben tollerate, sul modello della famigerata 
                  Pinkerton nordamericana, venivano assoldate dal padronato per 
                  «mazziare» i protagonisti della progressiva sindacalizzazione 
                  di una classe operaia allora quasi egemone nel mondo del lavoro.
 Un brutto clima dunque, nel quale Font costruisce questintricata 
                  Spy story barcellonese, con per protagonista un intraprendente 
                  giornalista, con un passato di rivoluzionario al seguito di 
                  Pancho Villa e Nestor Machno, che si trova ad indagare su uno 
                  sporco traffico, verso la Germania, di armi destinate al partito 
                  nazista non ancora al potere.
 Fra le comparsate più nobili, accanto a numerosi compagni 
                  anonimi, per la verità qui non sempre simpatici, fa la 
                  sua parte persino un accigliato Durruti.
 La seconda e la terza storia sono invece due brevissimi squarci 
                  aperti sulla miseria della condizione umana nel corso della 
                  guerra, persino di una guerra che palmo a palmo difendeva le 
                  conquiste della revolucion. Sono due frammenti trascurati 
                  di unepopea esaltante, ma che, come tutte le guerre, ha 
                  avuto anchessa il suo carico di necessarie separazioni, 
                  di terribile degradazione della vita a mera sopravvivenza, di 
                  riduzione del corpo a dolente pezzo di carne in fuga fra una 
                  bomba e una speranza impossibile di sazietà.
 La linea dellautore è nervosa senza essere problematica, 
                  grottesca senza mai sacrificare troppo del realismo che ne è 
                  un tratto saliente. I bianchi e neri curati in un buon equilibrio 
                  di esigenze della grafica e dei pesi e convinto rispetto della 
                  plausibilità naturalistica. Le tavole costruite, per 
                  lo più, su una solida impostazione a strisce uguali, 
                  a rimarcare le esigenze squisitamente oggettivanti e narrative 
                  di Alfonso Font.
 Il volume, ripeto, molto ben curato dal punto di vista grafico 
                  (lamentiamo giusto un lettering un po affrettato 
                  e deficitario dal punto di vista della revisione delle bozze), 
                  è notevolmente arricchito dalle ampie introduzioni ad 
                  ognuno dei racconti, approfondite e utilissime ad inquadrarli 
                  nella loro cornice storica, come anche a fare il punto sullarte 
                  e sul talento dellautore; tali introduzioni sono di Claudio 
                  Venza per la parte storica e, per il resto, dellimportante 
                  e noto studioso di fumetti Graziano Frediani.
  Alessio Lega
 Il volume è richiedibile ad ApARTe°/Fabio 
                  Santin, casella postale 85 succ. 8  30171 Mestre (Ve). 
                  Il costo è di 15,00 euro a copia da versarsi sul conto 
                  corrente postale N. 12347316.   Questurini e 
                  Anarchici Nella storia del conflittuale rapporto fra gli organi di repressione 
                  dello stato e i movimenti sovversivi, e nella fattispecie quello 
                  anarchico, tutto ciò che raggiunge gli onori della cronaca, 
                  come le perquisizioni, gli arresti, i teoremi accusatori, i 
                  processi e così via, non è altro che il punto 
                  di arrivo di un lungo, sotterraneo e silenzioso lavoro precedente. 
                  Un lavoro paziente e organico, finalizzato alla raccolta di 
                  quelle informazioni che permetteranno poi, alle questure e ai 
                  comandi dellArma, di intervenire, se del caso, con gli 
                  strumenti repressivi che ben conosciamo. Al tempo stesso, però, 
                  lopera degli informatori e degli infiltrati, lattenta 
                  lettura dei giornali e dei documenti, luso delle più 
                  aggiornate tecnologie per lintercettazione e il controllo 
                  telematico, fanno sì che il funzionario del Ministero 
                  degli Interni venga formando, a fianco del materiale dindagine, 
                  un apparato documentale di indiscutibile valore storico. Infatti, 
                  se sul momento le informazioni raccolte vanno ad esclusivo beneficio 
                  dellinquisitore e dei suoi intenti repressivi, queste 
                  stesse informazioni, una volta che siano state archiviate, diventeranno 
                  un utile strumento dindagine per lo storico. E paradossalmente, 
                  alla fine dei conti, ad utilizzare i dati sarà, con tutta 
                  probabilità, un ricercatore intenzionato a ricostruire, 
                  con oggettività e rigore scientifico, la storia reale 
                  del nostro movimento. Ribaltando così, alla faccia del 
                  voyeurismo questurinesco, il lavoro organizzato e finanziato 
                  dal Ministro degli Interni. Sempre interessate, anche se con una doverosa diffidenza, a 
                  questa miniera di documenti, puntigliosamente raccolti e conservati 
                  dallo spione di turno, oggi tutte le scuole storiografiche, 
                  a differenza di un passato contraddistinto dalla ostilità 
                  degli storici «di sinistra» e dalluso spregiudicato 
                  e strumentale di quelli «di destra», compiono nuove 
                  riflessioni sulle carte di polizia, interrogandosi non solo 
                  sulla validità scientifica del loro utilizzo, ma anche, 
                  e soprattutto, sulla possibilità di filtrarne i contenuti 
                  per depurarli dalle inevitabili scorie lasciate dallostilità 
                  degli estensori. In pratica, su come rendere asettiche, e non 
                  inquinate, tali informazioni (1).
 È di questi giorni un interessantissimo libro di Giorgio 
                  Sacchetti, ricercatore al dipartimento di storia alluniversità 
                  di Teramo, stimato studioso dei movimenti sovversivi e militante 
                  della Fai (Giorgio Sacchetti, Sovversivi agli atti. Gli anarchici 
                  nella carte del Ministero dellInterno, Ragusa, La 
                  Fiaccola, 2002) nel quale lautore, oltre ad aggiungere 
                  un nuovo tassello alla storia del movimento anarchico italiano 
                  del novecento, e in particolare di quello del secondo dopoguerra, 
                  si interroga su come le carte di polizia possano effettivamente 
                  aiutare il lavoro dello storico. I periodi presi in considerazione 
                  sono due: il primo, descritto al capitolo «Anarchici e 
                  pubblica sicurezza (1921-1943)» affronta i duri momenti 
                  della sconfitta del movimento proletario seguiti alla occupazione 
                  delle fabbriche, concretizzatisi poi nel buio periodo dellesilio 
                  e della clandestinità; il secondo, «Attenzione 
                  Gabinetto Ministro dellInterno (1944-1966)», tratta 
                  un periodo ancora poco frequentato dalla ricerca, vale a dire 
                  gli anni della cosiddetta ricostruzione, allorché il 
                  movimento anarchico riannoda i fili di quel percorso militante 
                  che va dalla nascita della Federazione Anarchica Italiana alla 
                  sua drammatica scissione nella seconda metà degli anni 
                  sessanta (2).
 Sacchetti, fin dalla introduzione, spiega le coordinate del 
                  suo lavoro, informandoci che «oggetto di questa ricerca 
                  sono gli anarchici visti attraverso i documenti 
                  prodotti dalle strutture di controllo e repressione dello Stato». 
                  E attraverso questa particolare chiave di lettura, così 
                  esplicitata e dichiarata, la narrazione viene ad assumere un 
                  angolo di visuale del tutto particolare, laddove a fianco della 
                  interpretazione dello storico si offre puntualmente la citazione 
                  della nota questurinesca, anche se questa raggiunge, non di 
                  rado, effetti di involontaria, paradossale, comicità 
                  («Failla ha sostenuto che soltanto nellUnione Sovietica 
                  esiste un sistema di governo che si avvicina alla concezione 
                  anarchica della società e che tutela gli interessi degli 
                  operai [...]»), ogni volta che la foia indagatrice o il 
                  desiderio di ben figurare dellinfiltrato di turno stravolgono, 
                  più o meno volutamente, il più elementare buonsenso. 
                  Il fatto, del resto, che nonostante la necessità di raccogliere 
                  notizie veritiere e utili per il lavoro di controllo e repressione, 
                  spessissimo le informazioni raccolte risentano palesemente di 
                  pregiudizi ideologici, di paranoie complottistiche, di deformazioni 
                  professionali, perfino del desiderio di offrire al superiore 
                  notizie tanto più clamorose e importanti, 
                  quanto false, obbliga lo storico attento e coscienzioso, e lironico 
                  Sacchetti è senzaltro da annoverare fra questi, 
                  a compiere un ulteriore lavoro di verifica delle fonti. Ma se 
                  lautore ne è ben consapevole, e non a caso compare 
                  come esergo la citazione di Nico Berti «[...] in 
                  conclusione per lo storico dellanarchismo le fonti di 
                  polizia sono indispensabili per ricostruire la cornice dei fatti. 
                  Quasi mai per interpretare il quadro esistente entro tale cornice», 
                  il risultato sarà particolarmente prezioso, perché, 
                  oltre ad aggiungere un tassello alle nostre informazioni su 
                  come lavora il nemico, ci permetterà anche di approfondire, 
                  con una nuova «fonte di fonti», la conoscenza della 
                  nostra storia.
  Massimo Ortalli
 note: (1) Vd. la recente pubblicazione Voci di compagni Schede 
                  di questura. Considerazioni sulluso delle fonti orali 
                  e delle fonti di polizia per la storia dellanarchismo, 
                  Milano, Quaderni del Centro Studi Libertari Archivio Pinelli, 
                  2002, che raccoglie le relazioni presentate da Bermani, Berti, 
                  Brunello, Franzinelli, Giannuli, Pezzica e Venza ai seminari 
                  tenutisi a Milano nel gennaio e nellaprile 2002.
 (2) Le fonti prese in considerazione, conservate presso lArchivio 
                  Centrale dello Stato, sono, per la prima parte, la Serie annuale 
                  del fondo Direzione Generale della Pubblica Sicurezza categoria 
                  K1-A (anarchici), i fondi «Stampa sovversiva e clandestina», 
                  «Associazioni», «Confino Politico» e 
                  il fascicolo Guelfi Giuseppe fu Oreste, intestato a un anarchico 
                  confidente della polizia; per la seconda, la «Busta 78» 
                  che raccoglie le informative sul movimento anarchico sottoposte 
                  allattenzione del ministro dellInterno fra il 1944 
                  e il 1966.
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