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                 Non so se, allinizio di questo 
                  novembre, avete visto anche voi, sui banconi dei fruttivendoli, 
                  le zucche di Halloween. Non si trovavano dappertutto, eh: a 
                  Milano le si trovava solo presso i più distinti mercanti 
                  di ortaggi del centro e i chioschi più raffinati, quelli 
                  usi a spacciare soprattutto tartufi e porcini, ma, dove cerano, 
                  era difficile non notarle. E non si trattava, badate, di volgari 
                  cucurbitacee, come quelle che altrove si vendono a pezzi per 
                  farci il minestrone o il risotto, ma di eleganti kit in cartone 
                  serigrafato, che contenevano, come si leggeva sulletichetta, 
                  una zucca di rispettabili dimensioni, un coltellino, un lumino 
                  e le necessarie istruzioni per luso. Il tutto al prezzo 
                  di quindici euro, che non mi è sembrato pochissimo per 
                  un articolo che finora, economicamente parlando, sembrava appartenesse 
                  piuttosto ai ranghi bassi del regno vegetale. Tanto di cappello, 
                  quindi, a quei sagaci imprenditori agricoli che hanno saputo 
                  riciclare alla grande un genere finora piuttosto debole sul 
                  mercato e possa la loro azienda accrescersi e prosperare.  
                  La novità, certo, non era assoluta. Era da un pezzo (da 
                  quando, per ragioni di ordine non strettamente spirituale, ci 
                  si sforza di introdurre anche dalle nostre parti lantica 
                  festa celtica dei defunti) che le zucche, più o meno 
                  intagliate in foggia di mascherone, infestavano a fine ottobre 
                  negozi e vetrine. Ma si trattava, finora, di zucche artificiali, 
                  di manufatti industriali in plastica, gomma, cartone, cartapesta 
                  e altre sostanze eterogenee. E questo, a occhio e croce, mi 
                  è sempre parso abbastanza adeguato alla circostanza, 
                  nel senso che lesporre una zucca artificiale di plastica 
                  restava, tutto sommato, il mezzo più idoneo per celebrare 
                  una festività artificiale, che nel nostro paese non affondava 
                  le radici in alcuna credenza diffusa e in alcuna tradizione 
                  riconosciuta, se non in quella della pedissequa imitazione di 
                  usi e costumi della potenza dominante.  
                  Ma adesso, sia pure a un livello di consumo piuttosto su, sono 
                  arrivate le zucche vere, che cosa sarà successo? Suppongo 
                  che buona parte degli acquirenti, dopo due o tre tentativi malriusciti 
                  (a quindici euro luno) saranno riusciti, seguendo in un 
                  modo o nellaltro le istruzioni accluse, a produrre unaccettabile 
                  lanterna antropomorfa in cui inserire il lumino. E poi, che 
                  cosa ne avranno fatto? Lavranno affidata ai loro bambini 
                  perché la portassero, travestiti da spettri e folletti, 
                  in processione per le vie della città? Ne dubito: i recenti 
                  episodi di cronaca dovrebbero aver sconsigliato il più 
                  sventato dei genitori di mandare i propri bimbi in processione 
                  nei quartieri suburbani, con o senza lusbergo di una zucca 
                  intagliata. Lavranno esposta allora nellorto, per 
                  attirare gli spiriti benevoli e allontanare i fantasmi maligni, 
                  propiziando i futuri raccolti? Impossibile: a Milano, e nelle 
                  altre città della nostra bella penisola, qualche orto, 
                  magari abusivo, a saperlo cercare, si trova, ma basta il livello 
                  dellinquinamento atmosferico medio per escludere la possibilità 
                  di raccogliervi qualsiasi cosa. E allora, ripeto, che cosa ne 
                  avranno fatto? Facile: lavranno esposta, malinconicamente, 
                  in un angolo del salotto, dove la sua luce sarà stata 
                  sopraffatta e mortificata da quella del televisore. E non si 
                  saranno neanche potuti consolare utilizzando la polpa come ingrediente 
                  per una sana risottata o un piatto di tortelli fatti come si 
                  deve, perché, come avvertiva una scritta sulla scatola, 
                  si trattava inesorabilmente di prodotto non commestibile.  
                  Il fatto è che la funzione delle zucche di Halloween, 
                  nellimmaginario mitico e rituale dei popoli che si sono 
                  tramandati fino a oggi la ricorrenza, è proprio e soltanto 
                  quella di venire esposte negli orti e di essere portate in processione 
                  da quei cortei di bambini che mimano e simboleggiano il ritorno 
                  dei defunti su questa terra nel giorno in cui ci si illude che 
                  le barriere tra il loro e il nostro mondo siano, almeno provvisoriamente, 
                  rimosse. Il che presuppone, naturalmente, oltre a una qualche 
                  forma di fede nel mondo ultraterreno, unorganizzazione 
                  sociale per piccole comunità agricole, dove ogni casa 
                  ha il suo orto, in cui, a fine ottobre, sarebbe difficile trovare 
                  altri vegetali da offrire agli spiriti dei trapassati. Ma, anche 
                  a prescindere dalla fede, di piccole comunità agricole 
                  se ne trovano sempre meno e non cè spazio, nelle 
                  città in cui ci siamo ammassati, per quei riti.  
                  Ci si limita, così, a comprare le zucche, non importa 
                  se dal fruttivendolo o dal cartolaio, e a pagarle a carissimo 
                  prezzo, e senza lamentarci, perché quello di estrarre 
                  il portafoglio è lunico vero rito in cui oggi ci 
                  è concesso di credere e lunica tradizione davvero 
                  diffusa nella nostra società è quella che ci vede 
                  condannati, in ogni possibile circostanza, allesborso 
                  di somme piccole e grandi in cambio di oggetti di cui non abbiamo 
                  assolutamente bisogno.  
                  
                  Carlo Oliva 
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