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                  Iene anemiche  
                 
                Sono duri, ma sciolti, come diceva Andrea Pazienza. Hanno studiato. 
                  Vogliono fare i giornalisti, andare per strada, vedere, parlare 
                  con la gente, scoprire altarini, raccontare, sui giornali e 
                  in tivù. Sembra una bella cosa, una buona idea. Sembra 
                  che abbiano capito tutto, che si stiano preparando a diventare 
                  dei veri professionisti dellinformazione. Finché 
                  non aggiungono: «Come il Gabibbo, come le Iene». 
                   
                  Eccoci serviti, ed il riferimento ai personaggi degli show televisivi 
                  di Mediaset è già un bel passo avanti rispetto 
                  alla media. Con buona pace di Indro Montanelli e i suoi reportage 
                  dalla Scandinavia durante loccupazione nazista, di Giorgio 
                  Bocca davanti ai cancelli della Fiat per «Repubblica» 
                  durante il terrorismo, di Camilla Cederna dell«Espresso» 
                  e le sue inchieste sulla famiglia del presidente della Repubblica 
                  Giovanni Leone, di Andrea Purgatori del «Corriere della 
                  Sera» e il suo lavoro di scavo su Ustica. Ed anche alla 
                  faccia di Bob Woodward e Carl Bernstein del «Washington 
                  Post», quelli dello scandalo Watergate che fece cadere 
                  il presidente americano Richard Nixon.  
                  Certo, con le dovute eccezioni la professione di giornalista 
                  non è mai stata granché. E chissà se si 
                  stava meglio quando si stava peggio, quando cera un telegiornale 
                  solo, governativo, e non si poteva dire merda, oppure casino, 
                  e neppure Fiat, ma «una nota fabbrica automobilistica 
                  torinese». Magari è un po meglio ora, anche 
                  se cè questo gran caos di notizie che si annullano 
                  luna con laltra, dove ad ogni strillo corrisponde 
                  un controstrillo, in un teatrino  quello in cui è 
                  maestro Silvio Berlusconi  che ficca nello stesso calderone 
                  premi nobel e politici, ladri e giudici, spettatori e sportivi, 
                  direttori di giornali e presentatori televisivi. Con tutti che 
                  fanno il lavoro degli altri.  
                  Quello che mi manca, fra questi due estremi, è la controinformazione, 
                  lo sforzo creativo, una certa spinta. Identifico tre cause della 
                  sua (quasi) scomparsa.  
                  La prima è il predominio del mercato, quel triangolo 
                  delle Bermuda ai cui vertici si trovano i mezzi di comunicazione, 
                  le aziende e la pubblicità, in cui sparisce linformazione 
                  come ricerca della verità probabile e come quarto potere, 
                  capace di tenere sotto controllo gli altri tre.  
                  La seconda è la massa crescente di informazione prefabbricata 
                  che si riversa su ogni redazione e su ogni giornalista. Le agenzie 
                  di stampa, gli uffici stampa e quelli di relazioni pubbliche 
                  propongono via fax, via pc, via Internet una quantità 
                  impressionante di informazioni che è sufficiente tagliare, 
                  cucire e mettere in pagina o leggere in video. Fax ed e-mail 
                  sono veicoli attraverso i quali arriva ai giornali tutto e il 
                  contrario di tutto. Sempre salvo eccezioni, non cè 
                  né tempo né modo per approfondire, per fabbricare 
                  autonomamente informazione, per dedicarsi ad altro che a smistare 
                  fogli e testi elettronici. Le tecnologie in questo non aiutano: 
                  ogni giornalista può confezionare più pagine più 
                  rapidamente, ma semplicemente cucinando incollato ad un video 
                  pietanze preparate da altri, limitando il proprio lavoro alla 
                  composizione di titoli, occhielli e sommari, alla scelta di 
                  foto (anchesse proposte elettronicamente) e alla stesura 
                  di didascalie, e alla correzione di bozze, alla ricerca di errori 
                  e refusi. Facendo così tre parti in commedia: redattore, 
                  poligrafico e correttore di bozze.  
                  La terza è lo strapotere degli editori, soprattutto di 
                  quelli medi e grandi, che si tengono la mano in un intreccio 
                  di interessi che omogeneizza ed omologa. Anche gli ultimi vecchi 
                  statuti dei giornali conquistati oltre ventanni fa, come 
                  quello del «Messaggero», che a parole garantivano 
                  lautonomia della categoria, sono già in archivio 
                  o in procinto di finirci. Terrorizzati di perdere il posto, 
                  la paga e soprattutto i benefit di un mestiere invecchiato, 
                  i giornalisti stanno chiusi nel loro ridotto, masticando pagine 
                  o minuti di video secondo le indicazioni dei loro direttori, 
                  che a loro volta seguono quelle dei loro editori, che a loro 
                  volta ascoltano pubblicitari, aziende, politici faccendieri 
                  e chi più ne ha più ne metta. Aspettano il giorno 
                  in cui faranno giornalismo come il capitano Drogo nella Fortezza 
                  Bastiani aspettava i Tartari, ma fa prima ad arrivare la pensione. 
                  Con laggravante dellautocensura, con la quale i 
                  giornalisti si flagellano per paura di beccarsi qualche querela, 
                  una smentita o una rettifica, ma soprattutto per mancanza di 
                  coraggio di fronte ai propri editori e direttori, in ogni caso 
                  per evitare grane. Di nuovo certe parole non si dicono, telefonate 
                  di controllo spiacevoli non se ne fanno, ricerche sul campo 
                  o darchivio men che meno. Così linformazione 
                  arriva ai lettori belle filtrata, tagliuzzata, ridotta 
                  a nulla o a men che nulla. Spettacolarizzata, magari  
                  e lo dico per tornare al Gabibbo o alle Iene  ma incolore, 
                  insapore e indolore.  
                  
                  Redazioni & redattori (tratti da questo paragrafo) 
                   
                 
                Una forma tutta particolare di redattore è il cronista. 
                  I cronisti sono quei giornalisti che lavorano sul territorio 
                  nella località in cui ha sede il quotidiano, dovrebbero 
                  essere sempre giornalisti professionisti e si occupano di cronaca 
                   nera (delitti e incidenti), cronaca giudiziaria 
                  (processi e inchieste giudiziarie), politica, cronaca bianca, 
                  cioè tutto il resto, salvo lo sport che è seguito 
                  dai cronisti sportivi e gli spettacoli che sono seguiti 
                  dai critici (teatrale, cinematografico, eccetera).  
                  Qualcuno potrebbe essere tentato di chiamare i cronisti reporter, 
                  ma sbaglierebbe. Reporter è un termine anglosassone che 
                  da noi non si usa più. Nelle vecchie redazioni indicava 
                  quei giornalisti che limitavano il loro lavoro alla raccolta 
                  di informazioni da riferire ad un estensore, cioè a un 
                  redattore di bella scrittura, a sua volta incaricato di compilare 
                  larticolo. Potete invece usare la parola fotoreporter 
                  per indicare i fotografi della cronaca, qualche volta dipendenti 
                  del giornale o più spesso di agenzie specializzate.  
                  Il cronista, in sostanza, è colui che esce dalla redazione 
                  alla ricerca di notizie. Ha fra le sue fonti polizia, 
                  carabinieri, vigili del fuoco, procure e tribunali, Comune, 
                  Provincia, Regione, sindacati, uffici stampa aziendali, enti 
                  e organismi di ogni genere. Si muoverà anche per realizzare 
                  inchieste o interviste o assistere a eventi di vario genere, 
                  comprese le conferenze stampa, quegli incontri con i giornalisti 
                  in un luogo e unora prefissati che anche voi potreste 
                  essere tentati di organizzare e di cui riparleremo diffusamente 
                  più avanti.  
                  È quindi il cronista uno dei personaggi in cui vi sarà 
                  più facile incappare. Sappiate quindi che i cronisti 
                  dispongono di un certo potere nellambiente in cui si muovono, 
                  ma sono anche condizionati dalle loro stesse fonti. Il 
                  cronista di nera, per esempio, vivrà a stretto 
                  contatto con poliziotti, carabinieri e magistrati, rischiando 
                  così di diventare uno strumento consapevole o inconsapevole 
                  della strategia di comunicazione scelta dalle fonti stesse. 
                   
                  Tenuto costantemente sotto sterzo dalle sue fonti  che 
                  possono in ogni momento tagliarlo fuori dal gioco favorendo 
                  la concorrenza  scriverà quello che gli sarà 
                  concesso di scrivere: la versione dei fatti che leggerete sui 
                  giornali sarà quasi sempre quella fornita dalle questure, 
                  dai commissariati e dai comandi dei carabinieri. Raramente  
                  anche se capita  il cronista di nera verificherà 
                  le notizie diffuse dalle fonti ufficiali e andrà a sentire 
                  le altre voci, magari quelle fuori dal coro come le vostre. 
                   
                  Lo stesso discorso vale per il cronista politico: anche a prescindere 
                  dalla posizione sua personale o della sua testata  che 
                  spesso non coincidono  a forza di frequentare i politici 
                  ne potrà diventare il confidente, lamico, lo strumento. 
                  Spesso, invece di limitarsi a osservare la partita e a farne 
                  la cronaca, vorrà mettersi a giocare: non è casuale 
                  che siano così numerosi i giornalisti che finiscono per 
                  entrare di persona in politica. Fra gli esempi più clamorosi, 
                  in questo campo, troviamo Giulio Andreotti, che non solo è 
                  stato giornalista ma ancora dirige un periodico, il mensile 
                  «Trenta Giorni», e Giovanni Spadolini, che è 
                  stato direttore del «Resto del Carlino» e del «Corriere 
                  della Sera». Eugenio Scalfari è stato deputato, 
                  così come lo è stata Sandra Bonsanti, ex inviata 
                  della «Repubblica» e ora direttore del «Tirreno». 
                   
                  Ancora una volta, la maggiore preoccupazione del cronista saranno 
                  i buchi dati o presi. Per questo, nelle città 
                  in cui sono presenti più mezzi di informazione e quindi 
                  teoricamente ci sarebbe maggior concorrenza, è facile 
                  che i cronisti si organizzino spontaneamente in pool, 
                  gruppetti che si danno una mano per tenere sotto controllo la 
                  situazione e non prendere buchi. Accade in luoghi come 
                  i tribunali e la procura della Repubblica (quindi in cronaca 
                  giudiziaria), nelle questure e nei comandi dei carabinieri (quindi 
                  in cronaca nera) o nei palazzi delle istituzioni come Comune 
                  o Regione (quindi nelle cronache politiche). Non è quasi 
                  mai questione di rapporti politici o economici fra giornali, 
                  ma di amicizie e alleanze fra gli stessi giornalisti. Così 
                  potrete trovarvi a parlare con il cronista di un quotidiano 
                  vicino alle vostre posizioni e scoprire il giorno dopo che quello 
                  che gli avete detto è stato riferito anche ad altri quotidiani 
                   i cui cronisti fanno parte di un pool  magari 
                  lontanissimi da voi e dal vostro modo di pensare. Se poi il 
                  giornalista che avrete incontrato lavora per unagenzia 
                  di stampa il problema non si pone neppure: quello che scriverà 
                  sarà trasmesso via computer o via telescrivente a tutti 
                  gli organi dinformazione abbonati allagenzia stessa. 
                  Se lagenzia è lAnsa, la maggiore agenzia 
                  di stampa italiana e una delle maggiori agenzie dEuropa, 
                  di proprietà di una cooperativa formata dagli stessi 
                  organi dinformazione italiana, lo stesso lancio 
                   lancio o flash è quel testo redatto dai 
                  giornalisti di agenzia trasmesso via telescrivente o via computer 
                   arriverà a tutti i giornali, le radio e le tivù 
                  abbonate, a prescindere dal loro modo di trattare la cronaca 
                  o dalla loro collocazione politica. Sarà poi il redattore 
                  incaricato di mettere in pagina il lancio di agenzia 
                  a decidere se lasciarlo tale quale o modificarlo più 
                  o meno profondamente.  
                  Il cronista, durante il suo lavoro, non risponde né a 
                  voi né a una ipotetica opinione pubblica, ma al proprio 
                  capocronista e di riflesso al proprio direttore. Parlerà 
                  di diritto di cronaca e dinformazione, si capisce, ma 
                  soprattutto vorrà fare bella figura allinterno 
                  dellorganizzazione giornalistica e consolidare il proprio 
                  ruolo, cercando nel contempo di evitare incidenti, cioè 
                  di non prendere querele né di incappare in rettifiche 
                  e smentite, alle quali comunque reagirà con stizza e 
                  aggressività: la categoria non brilla per capacità 
                  di ammettere di potersi sbagliare.  
                  Latteggiamento del cronista verso il proprio lavoro dipenderà 
                  anche dalletà e dallesperienza: il giovane 
                  appena entrato in redazione si darà da fare più 
                  possibile per entusiasmo, per farsi notare, nella speranza di 
                  fare carriera verso un posto da caposervizio o da inviato. I 
                  più anziani, spesso delusi nelle loro aspettative di 
                  fare carriera, si saranno probabilmente adagiati in un certo 
                  tran tran. Non sarà infrequente, durante giornate particolarmente 
                  impegnative, osservare i cronisti di un pool mettersi 
                  daccordo per rimandare la diffusione di una o più 
                  notizie al giorno dopo, evitando così di sovraccaricarsi 
                  oggi e garantendosi nel contempo il lavoro di domani.  
                  Fra i problemi che il cronista affronta quotidianamente ci sarà 
                  anche la competizione fra colleghi che regna allinterno 
                  delle testate giornalistiche. Il successo professionale e la 
                  relativa autostima di un giornalista, infatti, non dipendono 
                  solo dallassegnazione di particolari qualifiche  
                  caposervizio, caporedattore, inviato  ma anche dallimportanza 
                  degli argomenti che gli saranno assegnati, dalla posizione in 
                  pagina dei suoi articoli, dalla frequenza nella pubblicazione 
                  della firma: ci sono quotidiani in cui il numero dei giornalisti 
                  è così alto rispetto allo spazio disponibile in 
                  pagina che è difficile riuscire perfino a farsi assegnare 
                  servizi e articoli, rischiando di finire in uno spiacevole limbo 
                  professionale. È un problema qualche volta anche politico: 
                  i cronisti sgraditi alla direzione o alla proprietà corrono 
                  il rischio di finire in frigorifero, tristemente inutilizzati. 
                   
                  Se i cronisti lavorano soprattutto nelle città, in provincia 
                  incontrerete molto più facilmente i corrispondenti, 
                  quei giornalisti che da una certa località scrivono articoli 
                   detti corrispondenze perché una volta venivano 
                  spediti per posta o fuorisacco, cioè lasciandoli fuori 
                  dei sacchi postali e affidandoli alle mani degli autisti dei 
                  pullman o dei macchinisti dei treni  per un giornale che 
                  ha sede da unaltra parte.  
                  I grandi giornali, come il «Corriere della Sera», 
                  «La Repubblica», «Il Sole 24 Ore», «La 
                  Gazzetta dello Sport», «La Stampa», «Il 
                  Messaggero» e via dicendo, ma anche le agenzie di stampa, 
                  la Rai e le radio più importanti hanno corrispondenti 
                  da tutte le parti, sia in Italia che allestero. I corrispondenti 
                  potranno essere sia professionisti che pubblicisti, potranno 
                  dedicarsi in esclusiva ad una testata o lavorare per 
                  più giornali, radio e tivù.  
                  È molto comune che gli stessi cronisti o redattori di 
                  quotidiani, agenzie, radio e tivù di una certa città 
                  abbiano in portafoglio una o più corrispondenze 
                  per testate di altre città. È un modo per arrotondare 
                  lo stipendio, ma anche per fare apparire la propria firma su 
                  una testata di maggior prestigio di quella per cui si scrive 
                  abitualmente, guadagnarsi una posizione di potere maggiore nel 
                  territorio in cui si opera, tenersi aperta una diversa opportunità 
                  professionale.  
                  Fare il corrispondente può essere un mestiere prestigioso, 
                  come nel caso di Tiziano Terzani, lautore del libro Un 
                  Indovino mi disse e del recente Lettere contro la guerra, 
                  per trentanni corrispondente della rivista tedesca «Spiegel» 
                  in Oriente. Ma può essere un lavoro triste e sottopagato: 
                  sono, infatti, corrispondenti anche coloro che spediscono ai 
                  quotidiani regionali o provinciali articoli e articoletti da 
                  qualche paesino, sempre sperando, come nel Deserto dei Tartari 
                  di Dino Buzzati (giornalista pure lui, fra laltro, ideatore 
                  del suo libro più famoso mentre passava lunghe notti 
                  di guardia alla cronaca del «Corriere della Sera»), 
                  che accada un fatto eccezionale dal quale trarre un momento 
                  di gloria. Che non ci sarà, perché quando quel 
                  fatto accadrà davvero il giornale per cui scrivono molto 
                  probabilmente preferirà spedire sul posto un inviato... 
                 
                  
                 
                  
                  Il silenzio è doro  
                 
                Può darsi che il vostro istinto vi dica di mandare al 
                  diavolo i giornalisti appena arrivati fino a voi. Il loro atteggiamento 
                  potrebbe farvi venir voglia di prenderli, molto semplicemente, 
                  a calci. Potete provarci  lo fanno le star dello spettacolo 
                  e quelle dello sport (ricordate Alberto Tomba e le sue aggressioni 
                  a cronisti e fotografi?), lo hanno fatto i poliziotti e i carabinieri 
                  a Genova, perché voi no?  ma ricordate che aggiungerete 
                  benzina al fuoco, del vostro gesto si parlerà, se ne 
                  scriverà proprio sui giornali dei cronisti che volevate 
                  allontanare a forza. Magari quel calcione sarà ripreso 
                  da fotografi e teleoperatori, proprio mentre la rabbia vi contrae 
                  il volto, facendo il gioco di chi vuole danneggiare limmagine 
                  vostra e del gruppo di cui eventualmente fate parte.  
                  Inoltre non pensate di trovare sempre scarsa resistenza. Soprattutto 
                  i fotografi al lavoro nelle grandi città come Roma e 
                  Milano, che devono difendere attrezzature che valgono migliaia 
                  di euro e devono per professione esporsi maggiormente, sono 
                  preparati a rispondere alle aggressioni. Ogni bravo fotoreporter 
                  di cronaca ne ha subita più duna ed è deciso 
                  a reagire. Badate: una macchina fotografica impugnata dalla 
                  cinghia e fatta roteare in aria diventa unarma di una 
                  certa efficacia.  
                  Comunque, violenze (che disapprovo) a parte, il silenzio verso 
                  la stampa può essere una scelta politica, oppure essere 
                  dettato da un legittimo desiderio di riservatezza, specie quando 
                  la situazione in cui vi trovate è delicata o il gruppo 
                  di cui fate parte lavora con soggetti particolari (minori, handicappati, 
                  emarginati eccetera). Ancora più semplicemente, potete 
                  non fidarvi dei mezzi di comunicazione e dei suoi rappresentanti. 
                  È un vostro diritto restare in silenzio, come dicono 
                  i poliziotti dei film americani, e se questa è la strada 
                  che intendete imboccare la vostra lettura di questo manuale 
                  potrebbe anche finire qui. Salvo seguirmi per il tempo necessario 
                  a precisare qualche dettaglio:  
                   se non volete parlare non fatelo, ma tutti i membri del 
                  vostro gruppo devono cucirsi la bocca. Un articolo o un servizio 
                  radio o tivù basato su mezze parole, qualche frase incontrollata, 
                  indiscrezioni e chiacchiere potrebbe rivelarsi veramente dannoso. 
                  Tanto per fare un esempio: se avete un centralino telefonico, 
                  magari presidiato da volontari, tutti devono sapere che non 
                  si devono fare né dichiarazioni né commenti;  
                   non barate. Se avete annunciato che fino a domani non 
                  ci saranno dichiarazioni, fino a domani state zitti con tutti 
                  i giornalisti, a meno che non vi diverta farvi dei nemici: ricordate 
                  il problema dei buchi dati e presi che affligge i cronisti, 
                  gli inviati e i corrispondenti;  
                   non rimandate inutilmente la scelta. Se avete già 
                  deciso di non parlare non annunciate dichiarazioni che non ci 
                  saranno. Non dite: parleremo fra unora per poi mancare 
                  lappuntamento. Ricordate il problema dei tempi di chiusura 
                  e le preoccupazioni di tutta la catena giornalistica, dal collaboratore 
                  che aspetta le vostre parole per scrivere il suo articolo, fino 
                  al caporedattore che vuole chiudere le pagine per mandarle 
                  in tempo in tipografia;  
                   non tirate immotivati colpi bassi. Se non cè 
                  una ragione ben precisa, per esempio una discriminante politica, 
                  non dite di no ad alcuni giornalisti e sì ad altri. Non 
                  tagliate fuori i piccoli, i giornalisti alle prime armi o di 
                  mezzi di comunicazione di scarso rilievo. Non fatevi affascinare 
                  dai nomi delle grandi testate, dai microfoni e dalle telecamere. 
                  Trattate tutti i giornalisti con lo stesso metro: lo sgarbo, 
                  il buco dato al collaboratore di una piccola testata 
                  potrebbe provocarvi la sua eterna inimicizia. Immaginate il 
                  ragazzino di oggi quando sarà arrivato a un posto di 
                  comando dal quale potrà influenzare in negativo la comunicazione 
                  su di voi.  
                  Aggiungo che non cè un solo tipo di silenzio. Fra 
                  le frasi «non abbiamo niente da dire» e «no 
                  comment» cè una bella differenza. Secondo 
                  le regole non scritte della comunicazione, «no comment» 
                  non vuole dire veramente no, ma è una dichiarazione a 
                  tutti gli effetti, pubblicabile, e vuole dire «probabilmente 
                  è vero, ma per ora non possiamo confermarlo». Immaginate 
                  di sentire questo dialogo alla «Domenica Sportiva»: 
                  «È vero che il vostro allenatore si è dimesso?» 
                  «No comment». Voi cosa capite? Che lallenatore 
                  magari non si è ancora dimesso, ma sta per farlo. Quindi 
                  se volete dire solo «no» dite no e nientaltro. 
                  Meglio ancora: non aprite quella porta, con i giornalisti non 
                  parlateci proprio.  
                  Anche il silenzio stampa è una cosa diversa dal 
                  silenzio puro e semplice. Il silenzio stampa è una richiesta 
                  tipica delle famiglie dei rapiti che chiedono alla stampa di 
                  non interferire con le indagini. Si parla di silenzio stampa 
                  anche nel campionato di calcio: lo adottano le società 
                  calcistiche o i giocatori che per un motivo qualsiasi sono arrabbiati 
                  con i giornalisti. In altri termini, il silenzio stampa è 
                  unazione ben precisa verso la stampa, rappresenta un «tagliare 
                  i ponti» intenzionale, linizio di un braccio di 
                  ferro per fare cambiare opinione o atteggiamento ai giornalisti. 
                  Se volete usarlo, fatelo, ma con cognizione di causa, pensando 
                  che prima o poi potreste rimettervi a parlare.  
                  Concludo questa parte del mio discorso avvertendo che stare 
                  zitti non impedirà la stesura degli articoli o dei servizi 
                  radio e tivù, se il caso in cui siete coinvolti è 
                  davvero interessante. Avete presente i diversi profili professionali 
                  dei giornalisti? Li unifica la necessità di concludere 
                  il lavoro, di portare comunque in redazione un risultato. Così 
                  non stupitevi se leggerete descrizioni dei luoghi in cui vi 
                  trovate, di voi stessi o delle persone che sono insieme a voi, 
                  oppure fra virgolette qualsiasi frase abbiate pronunciato, anche 
                  solo: «Andatevene, non abbiamo niente da dire», 
                  magari con precisazioni sul tono che avete usato, sul vostro 
                  accento, sul fatto che siate uomo o donna, sui vostri abiti 
                  o il taglio dei capelli. Tutti i cronisti sono in grado di trasformare 
                  il niente in un articolo di cinquanta o cento righe. Senza contare 
                  quelli più cinici che, se siete soggetti abbastanza deboli, 
                  sono semplicemente capaci di inventarsi di sana pianta una vostra 
                  dichiarazione: è successo a personaggi illustri dello 
                  spettacolo o dello sport, figurarsi se non può succedere 
                  a voi. Daltra parte ditemi come verificare se è 
                  stata davvero pronunciata una frase attribuita a «un giovane 
                  del centro sociale» o a «un membro dellassociazione» 
                  o a «un conoscente della famiglia».                    
                  Cristiano Draghi 
                 
                  
                     
                      |  
                         Cristiano 
                          Draghi  
                          Nato nel 1955 a Firenze, è arrivato al giornalismo 
                          nel 1980 dopo la laurea in pedagogia, indirizzo psicologico. 
                          È di formazione politica libertaria, pacifista 
                          e ambientalista. È stato cronista in varie città 
                          e collaboratore di grandi quotidiani come il «Corriere 
                          della Sera» e «La Stampa». È 
                          lattuale direttore responsabile dei quotidiani 
                          locali il «Corriere di Firenze» e il «Corriere 
                          di Lucca». Scrive per i maggiori periodici italiani 
                          specializzati in giornalismo, editoria e comunicazione, 
                          il mensile «Prima Comunicazione» e il trimestrale 
                          «Problemi dellInformazione». È 
                          consigliere nazionale dellOrdine dei Giornalisti 
                          ed è spesso chiamato a tenere lezioni e seminari 
                          da università, master e scuole di specializzazione. 
                       | 
                     
                   
                 
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