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                  Luomo in rosso e nero 
                   
                    
                  Aristide Bruant: il grande iniziatore 
                 
                Nella Francia di fine 800 esiste già, 
                  come forse è noto, una canzone di protesta di matrice 
                  popolare, che accompagna le rivoluzioni o il lavoro, comè 
                  già esistito un importante verseggiatore anticonformista 
                  e raffinato, che ha raggiunto una grandissima popolarità 
                  nella prima metà dello stesso secolo: Pierre-Jean de 
                  Béranger. Ci sono poi i grandi autori dei canti della 
                  Comune, momento magico di grande fioritura dellarte di 
                  una canzone poetica e politica insieme.  
                  Si tratta però, nel primo caso, di un libero pensatore, 
                  di un ottimo artigiano che ha la straordinaria abilità 
                  di rendersi comprensibile a tutti gli strati sociali, nel secondo 
                  di cantori di grande forza espressiva, ma talmente immedesimati 
                  nel messaggio di cui sono portatori, da non essere più 
                  distinguibili come voce singola e personale.  
                  Qualcuno, sul finire del secolo, riuscì in unabile 
                  fusione dei due livelli diventando il cantante che dava voce, 
                  volto e parole al sottoproletariato urbano parigino ed essendo 
                  nel contempo un artista stimato e perfettamente riconoscibile 
                  nella sua unicità.  
                  Impostosi nella memoria collettiva grazie anche a unattentissima 
                  e assolutamente ante-litteram gestione della propria 
                  immagine che culmina in quei capolavori dellarte che sono 
                  i ritratti/affiches di Toulouse-Lautrec, che oggi rappresentano 
                  la cosa più conosciuta di lui, questo poeta della strada, 
                  iniziatore della saga dei bassifondi, ingombrante e ineludibile 
                  premessa allopera dei vari Brassens e Brel, e da questi, 
                  dei De André e di quanti insomma hanno capito che il 
                  vero specchio della società in cui si vive sono i luoghi 
                  e le persone che quella stessa società degrada ed emargina, 
                  fu Aristide Bruant (1851-1922).  
                  Figura personalmente contraddittoria e multiforme, perfettamente 
                  in grado di utilizzare le risorse di una celebrità acquisita 
                  col mestiere di chanteur, non ha mai corso il rischio 
                  di cader vittima del suo stesso personaggio, o di incorrere 
                  nellostracismo di quella classe borghese, che, in fondo, 
                  è sempre stata quella che gli dava da mangiare, da bere, 
                  da vestirsi e da abitare in condizioni di grande agiatezza. 
                   
                  Personaggi «difficili» e che pagarono a caro prezzo 
                  lirriducibile propagazione, in canzone, di idee totalmente 
                  radicali e anticonformiste rispetto ai propri tempi, furono 
                  i suoi colleghi Joules Jouy e Gaston Coutè (di cui pure 
                  ci occuperemo prossimamente), ma Bruant no! Bruant comprese 
                  come mantenere una distanza di sicurezza fra la propria vita, 
                  le proprie aspirazioni e il materiale che gli ispirava le canzoni. 
                   
                  Tale materiale, si può dire, era lo stesso di alcuni 
                  dei romanzi di Zola, sennonché lo scrittore conserva, 
                  anche nelle grandi pagine in cui affonda il bisturi della sua 
                  penna nel torbido ribollire delle passioni umane, un atteggiamento 
                  da entomologo attento a cogliere linfinito (dis-) equilibrio 
                  dei rapporti sociali... per Bruant si tratta invece di raccogliere 
                  la schiuma, lo spumeggiare dei caratteri, e procedere così 
                  per bozzetti allillustrazione di singolari paesaggi umani 
                  illuminati dal lampo del flash di una bella canzone, di un monologo 
                  riuscito.  
                  
                Aristide 
                  Bruant in un disegno di Toulouse-Lautrec  
                  
                  Storie 
                  miserabili 
                 
                Ciò che salva la sua opera dal rischio della «cartolina 
                  dai bassi fondi», della «sceneggiata» lacrimevole 
                  o della macchietta pulcinellesca volta a dare alla miseria il 
                  tranquillizzante aspetto surreale e sostanzialmente inoffensivo 
                  della grande tradizione clownistica italiana di Petrolini e 
                  Totò (inoffensiva sul piano sociale, ché sul piano 
                  linguistico tale tradizione è rivoluzionaria e interessantissima), 
                  è una miscela perfetta fra la comprensione, allora unica, 
                  di una struttura chiusa come la canzone e il tono che fonde 
                  realismo e sarcasmo in ununità inscindibile e di 
                  una miracolosa modernità.  
                  Le canzoni di Bruant hanno spesso per titolo il nome di un luogo 
                  mitico di «Parigi», una strada, una piazza, un quartiere 
                  (A la Bastille, A la Villette, A Batignolles, 
                  Rue Saint Vincent...): è il centro del racconto 
                  da cui si dipana e a cui necessariamente tornerà la vita 
                  del personaggio descritto, nella maggior parte dei casi un poco 
                  di buono, ladro o prosseneta, allegramente avviato sulla strada 
                  che lo porterà a terminare i propri giorni sulla ghigliottina; 
                  sono storie miserabili, di una certa ripetitività, ma, 
                  un gusto straordinario per un humour nero canagliesco, luso 
                  di un secco «argot», un montaggio di scene di grandissima 
                  efficacia, dal taglio, diremmo quasi, pre-cinematografico, scansa 
                  abilmente la trappola del sentimentalismo; la tecnica di Bruant 
                  è incredibilmente matura: le capacità di costruzione, 
                  di passaggio in passaggio, del racconto, già perfettamente 
                  compiuto e racchiuso idealmente in ciascuna delle strofe, agganciata 
                  alla successiva quasi fosse un mini-feuilleton orale, fanno 
                  di queste opere dei capolavori della canzone narrativa.  
                  La voce dellautore, miracolosamente conservataci da alcuni 
                  78 giri di qualità molto precaria, è, a quanto 
                  si può giudicare, gagliardamente caratteristica, con 
                  un impasto timbrico piacevole e di fortissima personalità 
                  un po guascona, chiara nella dizione, anche se non perfettamente 
                  intonata. La musica, allapparenza semplice e ripetitiva, 
                  sfrutta una certa tensione melodica, che ipnotizza lascoltatore 
                  rendendo agile la prosecuzione del racconto. Consideriamo che 
                  queste canzoni erano pensate per un pubblico probabilmente indisciplinato 
                  e chiassoso: proletari, bohemiens e borghesi in vena di «incanaglimento», 
                  che fra un bicchiere e laltro porgevano orecchio al chansonnier 
                  di turno, che, in una condizione acustica tuttaltro che 
                  ideale, doveva dominare il brusio di sala, favorire le riprese 
                  in coro dei ritornelli, avere a disposizione una struttura sufficientemente 
                  semplice ed elastica da poter garantire limprovvisazione 
                  di strofe nuove dettate dagli umori della platea; queste necessità 
                  situano molte canzoni di quegli anni nel più basso e 
                  pecoreccio avanspettacolo; il fatto che quelle di Bruant restino 
                  godibili, quando non schiettamente belle, la dice lunga sul 
                  talento dellautore.  
                  Qualche volta nei canti di Bruant una sorta di pathos o di tenerezza 
                  sostituisce  o lascia sul fondo  il tono canzonatorio, 
                  sono gli esiti più alti della sua arte: A St. Lazare 
                  (era il sanatorio dove andavano le prostitute affette da malattie 
                  veneree) è una straziante canzone epistolare di una puttana 
                  rivolta al suo protettore, già nel tono si coglie la 
                  prossimità di una fine mascherata attraverso la promessa 
                  di un rapido ritorno e questa coscienza inverte le parti: la 
                  voce di lei è commoventemente materna nel raccomandare 
                  al proprio uomo una condotta che lo tenga al riparo dai pericoli, 
                  e questa bellissima invenzione getta una luce nuova su personaggi 
                  altrimenti frustri.  
                  Rue St.Vincent fonde perfettamente le sfumature di tono 
                  della tavolozza poetica di Bruant che, alternando passaggi crudi 
                  a passaggi romantici, chiude il pezzo con laccoltellamento 
                  della protagonista, una delicata adolescente detta «Rosa 
                  bianca», sventrata dal suo protettore, e, che col suo 
                  pallore lunare, commuoverà talmente i becchini che ai 
                  curiosi riferiranno «...che la povera ragazza/era morta 
                  il giorno delle sue nozze...»; non si faticherà 
                  a riconoscere in questa favola triste lantenata della 
                  «Marinella» deandreiana. A la Roquette poi, 
                  come anche Les Canuts, sono due canzoni che prendono 
                  esplicitamente posizione contro il potere: la prima è 
                  una requisitoria contro la ghigliottina di sapore hugoiano, 
                  la seconda  forse oggi la più nota delle canzoni 
                  di Bruant  è un secco canto di rivolta dedicato 
                  ai lavoratori tessili in lotta contro rappresentanti del potere, 
                  preti e governanti: «...stiamo tessendo il sudario del 
                  vecchio mondo/perché già sentiamo la tempesta 
                  che si annuncia...».  
                  Bruant, dopo aver tentato anche la carriera politica nelle file 
                  del partito socialista, finì la sua esistenza nel buen 
                  retiro di un castello, lontano dalla sua Parigi, ormai convinto 
                  antisemita, patriota guerrafondaio e revanscista, ma i suoi 
                  versi restano la testimonianza di interessi e di idee completamente 
                  opposti che marcheranno indelebilmente la storia della canzone 
                  dautore in senso pacifista e umanitario.  
                  
                  Alessio Lega 
                  
                Aristide 
                  Bruant visto da Toulouse-Lautrec 
                 
                  
                     
                      |  
                         Rue 
                          St. Vincent 
                           
                           
                        Aveva 
                          sotto il cappellino  
                          sulla Butte Monmartre  
                          un aria innocente;  
                          si chiamava Rosa ed era bella  
                          odorava di fiori freschi  
                          in via Saint Vincent.  
                        Non 
                          si conosceva il padre  
                          non cera più la madre  
                          e da quel dì  
                          viveva vicino alla vecchia aiuola  
                          dove sbocciava tutta sola  
                          in via Saint Vincent.  
                        Lavorava, 
                          già, per vivere  
                          e le sere di nebbia 
                          sotto il freddo nero e ghiacciante  
                          con il suo straccio sulle spalle  
                          risaliva per via des Saules fin  
                          in via Saint Vincent.  
                        Nelle 
                          notti di gelo guardava  
                          la tovaglia stellata  
                          e la luna, come un croissant  
                          che brillava alta e fatidica  
                          sulla croce della basilica  
                          in via Saint Vincent.  
                        Lestate 
                          nellafa del crepuscolo  
                          incontrava Jules  
                          che era così tenero  
                          che restava con lui tutta la sera  
                          vicino al vecchio cimitero  
                          in via Saint Vincent.  
                        Ma 
                          il Giulietto era uno della banda  
                          che pappano sulle donne  
                          così il ragazzino  
                          vedendo che non rigava dritta  
                          con una coltellata le aprì la pancia  
                          in via Saint Vincent.  
                        Quando 
                          la stesero sulla tavola  
                          era tutta bianca  
                          così chè seppellendola  
                          i becchini dissero che la povera ragazza  
                          era morta nel giorno delle sue nozze  
                          in via Saint Vincent. 
                       | 
                     
                   
                 
                
                  
                 
                  
                     
                      |  
                         Les 
                          Canuts  
                          (i tessitori) 
                        Per 
                          cantare il VENI CREATOR  
                          bisogna portare babbucce doro.  
                        Noi 
                          le tessiamo per i grandi della chiesa  
                          però, poveri tessitori, ci seppelliscono nudi. 
                        Per 
                          governare tocca vestirsi  
                          di mantelli, ricami e nastri.  
                        Noi 
                          li tessiamo per i grandi della terra  
                          però, poveri tessitori, spogli scendiamo nel 
                          fango.  
                        Ma 
                          il nostro regno arriverà  
                          quando il vostro finirà.  
                        Stiamo 
                          tessendo il sudario del vecchio mondo  
                          perchè sentiamo già la tempesta che sannuncia. 
                            
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                         A 
                          la Roquette 
                           
                           
                        (Mi 
                          scuso di presentare solo un frammento di questo brano, 
                          ma non ho reperito il testo a stampa e il vecchio disco 
                          registrato nel 1902,  
                          non ha quella che si può definire una «chiarezza 
                          di suono» sufficente a cogliere tutte le parole! 
                           
                          Ciononostante mi pare che questa meravigliosa canzone 
                           per importanza, per attualità, per tono, 
                          per bellezza!  andasse riportata anche così.) 
                           
                        Scrivendoti 
                          queste parole tremo  
                          con tutta lanima  
                          quando le leggerai avrò poggiato  
                          il naso alla finestra.  
                          mi sveglio verso mezzanotte  
                          povera Toinette  
                          sento una sorta di scatto  
                          alla Roquette.  
                        Il 
                          presidente non ha voluto  
                          firmare la grazia  
                          senza dubbio gli sarebbe spiaciuto  
                          che la facessi franca.  
                          Se si graziasse troppo spesso  
                          sarebbe troppo facile!  
                          Bisogna tagliare delle testa ogni tanto  
                          alla Roquette.  
                        Lassù 
                          il sole candeggia le nubi  
                          la notte muore  
                          vedo arrivare quei signori  
                          lassù il sole che sale  
                          (...)  
                        Tutto 
                          questo, sai, non è nulla  
                          ciò che mi terrorizza  
                          è che taglieranno prima del mio  
                          il collo della camicia  
                          pensando al freddo delle forbici  
                          alla toilette  
                          ho paura di avere un brivido alla schiena  
                          alla Roquette.  
                        (...) 
                           
                          che non dicano che ho avuto il panico  
                          della mannaia  
                          prima di starnutire nel sacco  
                          alla Roquette. 
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