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                 Il dramma del centro-sinistra in Italia, 
                  che volge in farsa per linfima statura degli attori, è 
                  un dramma vero, che affonda le sue radici nellevoluzione 
                  del concetto di democrazia, così come si è andato 
                  consolidando nelloccidente e come lo configurano oggi, 
                  nella maggior parte dei paesi che lo praticano, le norme di 
                  attuazione.  
                  Il punto dolente è sempre quello del rapporto tra i vertici 
                  di una qualsiasi organizzazione politica e la base che li esprime, 
                  problema irrisolto e che emerge storicamente, con sottolineature 
                  diverse, ogni qual volta con maggiore rilevanza si evidenziano 
                  le frizioni tra gli interessi della collettività e i 
                  poteri decisionali ad ogni livello.  
                  Non è un caso, così, che il popolo dellUlivo 
                  si sia arenato sullo scoglio delle modalità di formulazione 
                  ed esecuzione delle risoluzioni da proporre e sostenere unitariamente 
                  nelle sedi politiche deputate, discutendo, cioè, se tali 
                  risoluzioni debbano essere prese allunanimità o 
                  a maggioranza e, nel secondo caso, come possano essere tutelati 
                  i diritti delle minoranze.  
                  Il problema  come sappiamo bene noi anarchici  non 
                  è un problema di forma della democrazia, 
                  ma investe i contenuti stessi della democrazia, solo che Fassino 
                  e compagni partono col piede sbagliato, dimenticano, cioè, 
                  che la loro storia personale e politica è costellata 
                  da eventi determinati da maggioranze, le quali, a giudicare 
                  dagli esiti, non mi pare possano ritenersi illuminate.  
                  Qualche giorno fa, in un corsivo pubblicato nelle pagine nobili 
                  de La Repubblica, Sebastiano Messina sosteneva che 
                  abbandonare il principio della maggioranza equivarrebbe a sottomettersi 
                  al ricatto della minoranza, il che la dice lunga sul concetto 
                  che anche personaggi di un certo spessore culturale hanno della 
                  democrazia. Una piccola e tuttaltro che ardua ricognizione 
                  sulla storia italiana, quella recente, per non farla troppo 
                  lunga, condurrebbe a considerazioni opposte a quelle di Giannini 
                  e di tutti coloro che la pensano come lui. Senza ricorrere agli 
                  abusati richiami alle vicende del fascismo, legittimato  
                  è bene non dimenticarlo mai  da maggioranze oceaniche, 
                  basterebbe restringere il campo sulla sorte che le minoranze 
                  hanno subito nelle dinamiche interne ai partiti politici italiani 
                  dal secondo dopoguerra ai nostri giorni, per sollevare almeno 
                  qualche dubbio sulla bontà del metodo. Con la prassi 
                  consolidata di premiare le maggioranze, si sono spesso emarginate 
                  le voci più provvedute e illuminate che si levavano nei 
                  luoghi deputati (i congressi, le direzioni politiche, le assemblee 
                  degli iscritti e via dicendo) per arginare derive che si sarebbero 
                  poi rivelate esiziali non soltanto per la vita dei partiti, 
                  ma per lintera società.  
                  Lesempio illuminante  e storico  di tale assunto 
                  è costituito dal principio del centralismo democratico, 
                  che, bene o male, e con variabili irrilevanti, ha costituito 
                  in Europa la formula fondamentale di ogni struttura organizzativa 
                  di natura politica.  
                  
                  Neanche Togliatti...  
                 
                Riattualizzato agli inizi del XX secolo da Lenin per mettere 
                  ordine nel processo rivoluzionario e arginare le spinte centrifughe 
                  che minacciavano di far sfuggire di mano ai sovietici il controllo 
                  della situazione, il centralismo democratico, come aveva ben 
                  messo in evidenza Rosa Luxemburg sin dal 1904, era, formalmente, 
                  una dinamica politica che consentiva alla base, attraverso il 
                  sistema delle deleghe, di influire sui comportamenti e sulle 
                  decisioni dei vertici, mentre, nella sostanza, subordinava alle 
                  prevalenti esigenze di direzione unitaria del partito ogni istanza 
                  che proveniva dalla base. Si creò, allora, una monolitica 
                  burocrazia di partito, formalmente investita dal basso, ma sostanzialmente 
                  verticistica e intoccabile che, come tutti sappiamo, fu allorigine 
                  di tutte le distorsioni del sistema sovietico, sino al suo collasso 
                  alla fine degli anni Ottanta del secolo appena passato.  
                  In Italia  parlando sempre della sinistra, perché 
                  della sinistra ci stiamo occupando  tale principio non 
                  fu mai sottoposto a verifica. Neppure Togliatti, alla fine degli 
                  anni Cinquanta, allorché teorizzò la possibilità 
                  di una via italiana al socialismo, fu sfiorato dal 
                  dubbio che occorresse instaurare un sistema che responsabilizzasse 
                  maggiormente la base e la rendesse partecipe più direttamente 
                  della definizione delle linee politiche del PCI. E questa sua 
                  indifferenza per una reale circolazione delle idee e per unutilizzazione 
                  concreta delle risorse intellettuali e umane, che pure esistevano, 
                  e rilevanti, allinterno del suo partito, portò 
                  il PCI ad arroccarsi allinterno della cittadella delle 
                  sue direzioni e ad isolarsi sempre di più dalla società 
                  civile, che, nel frattempo, si evolveva e non nella direzione 
                  preconizzata dai teorici del marxismo  
                  A giudicare dalle ultime vicende interne ai DS, non sembra che 
                  la lezione sia servita a molto. A parte le schizofrenie piuttosto 
                  patetiche di un Fassino volenteroso ma sostanzialmente privo 
                  di carisma, i vertici del partito appaiono come cristallizzati 
                  in posizioni che non riflettono il quadro reale della situazione 
                  politica attuale, né riescono a dare risposte significative 
                  ad un contesto molto più articolato e complesso di come 
                  lo immaginano i DAlema, gli Angius o i Violante. I quali 
                  marciano tutti come i soldatini di piombo schierati per ricombattere 
                  stolidamente battaglie già combattute nel passato e ingloriosamente 
                  perdute.  
                  Sembrano presidiare le roccaforti di un partito che ormai non 
                  cè più, sconfitto dalla incapacità 
                  di comprendere che i problemi della modernità non si 
                  possono affrontare con i vecchi apparati organizzativi e persino 
                  linguistici di un passato che, per quanto prossimo, è 
                  ormai lontano da noi anni luce.  
                  Credono ancora che fare politica significhi riunire il direttivo 
                  e lasciare fuori della porta le voci di una base, organizzata 
                  e non, nei riguardi della quale, peraltro, continuano a manifestare 
                  diffidenza e malcelato livore.  
                  Ma la questione travalica i confini della sinistra e finisce 
                  per snervare ogni forma di presenza che decide di giocare un 
                  ruolo sullo scenario politico, a qualunque livello. La constatazione 
                  piuttosto sconfortante è che, sino ad oggi, si è 
                  sempre finito per esprimere un vertice, quando non addirittura 
                  un personaggio carismatico, con lesito, scontato, di riprodurre 
                  perniciosamente modelli già sperimentati e fallimentari. 
                 
                  
                  Il messaggio anarchico  
                 
                Noi anarchici non possediamo alcuna bacchetta magica e non 
                  abbiamo, quindi, alcuna proposta del tutto esaustiva. Abbiamo 
                  però una solida base di partenza, che pretende di riprendere 
                  il discorso dalla radice, laddove gli uomini, quelli in carne 
                  ed ossa, gli individui, sono chiamati a misurarsi con i problemi 
                  concreti della loro esistenza. Problemi che le società 
                  a struttura verticistica hanno trasformato da funzionali a politici. 
                  Le differenze di condizioni sociali ed economiche, la povertà, 
                  le guerre, così come la progressiva distruzione del pianeta 
                  che ci ospita sono tutti esiti di strutture politiche sostanziate 
                  da logiche di dominio. E le tecniche utilizzate per superare 
                  le emergenze che non si possono più ignorare, ubbidiscono 
                  anche loro alla fondamentale esigenza di curare i sintomi del 
                  male senza evidenziarne le radici vere e profonde.  
                  Le modalità attraverso le quali si condizionano gli individui 
                  alle esigenze del potere, sono sempre state quelle di collocare 
                  la sfera dei problemi reali al di là e al di sopra della 
                  testa del singolo e di proiettare nel futuro la speranza di 
                  risolverli. Per fare un solo esempio: il richiamo costante alla 
                  globalizzazione e alla sua ineluttabilità serve alla 
                  perfezione per giustificare la scomparsa di tutte quelle produzioni 
                  artigianali o di piccole imprese che, per definizione, non possono 
                  ubbidire alle logiche dei grandi numeri. Il che non solo ha 
                  provocato e continua a provocare la perdita di lavoro per milioni 
                  di persone, ma ha anche annullato le identità specifiche 
                  di comunità e aggregazioni costrette ad accedere alla 
                  grande distribuzione e ad abbandonare costumi alimentari e di 
                  vita quotidiana che, sino a ieri, ne avevano connotato lesistenza. 
                   
                  Così lomologazione ai dettati delle multinazionali 
                  di aree economiche immense annichilisce ogni possibilità 
                  delle singole comunità di interferire e di opporsi. È 
                  facile capire che, attraverso dinamiche di questo genere, si 
                  possono veicolare, e, di fatto, si veicolano, imposizioni e 
                  politiche di assoggettamento immonde, per non parlare del conseguente 
                  rastrellamento, a vantaggio delle oligarchie mondiali, di risorse 
                  immense, destinate, a loro volta, ad innescare altre politiche 
                  di dominio.  
                  Contemporaneamente allattuazione di queste pratiche, si 
                  utilizzano tutti i mezzi di persuasione, più o meno occulti, 
                  per convincere i popoli che i benefici di questi assetti si 
                  vedranno nel futuro (saranno debellata la fame, le epidemie 
                  e le grandi ingiustizie di questo mondo, che pure ci sono e 
                  non si possono negare). Il futuro, insomma, sarà luminoso 
                  ed è al futuro che si dovrà guardare con fiducia, 
                  trascurando i patimenti del presente.  
                  Bombardato da questi messaggi, luomo comune è frastornato. 
                  Avverte confusamente che qualcosa non funziona in queste logiche, 
                  ma è frustrato dalla manifesta impossibilità di 
                  reagire, tanto più grandi di lui appaiono i problemi 
                  che sono in discussione. Allora, per tutti coloro che non ritengono 
                  ineluttabili questi processi, per quanti sono certi che è 
                  ancora possibile lottare perché questo oscuro destino 
                  non si realizzi, è da questo annichilimento che occorre 
                  ripartire, in prima istanza, per convincere i popoli, le comunità 
                  a riappropriarsi dei loro spazi vitali e, soprattutto, del loro 
                  presente.  
                
                  
                  Un mistero per tutti  
                 
                Bene, io credo che il messaggio anarchico, in questa fase convulsa 
                  della storia della società, debba essere proprio quello 
                  di ricondurre i problemi alla dimensione delluomo e delle 
                  sue esigenze individuali, certamente nello spirito di aggregazione 
                  solidale con lintera comunità della quale fa parte. 
                  Ecco perché bisogna puntare i riflettori sulle realtà 
                  locali, attuando quelle pratiche di intervento che rivoluzionino 
                  i criteri di gestione degli aggregati urbani, sottraendoli alle 
                  logiche della politica e riconducendoli alla loro reale dimensione 
                  di corretta funzionalità.  
                  In questa direzione è, per esempio, possibile intervenire 
                  sui consigli di quartiere o di circoscrizione, consentendo, 
                  anche col criterio della rotazione, ad un esponente di ogni 
                  nucleo familiare di partecipare alla definizione delle esigenze, 
                  ed alle conseguenti decisioni, che riguardano il quartiere o 
                  la circoscrizione. La pratica, in questambito, di esaltare 
                  laspetto puramente funzionale dei problemi emergenti, 
                  scollegandoli il più possibile da considerazioni di natura 
                  politica, e, più ancora, il ricorso al criterio dellunanimità 
                  per la formulazione e la definizione dei problemi da risolvere, 
                  potrebbe essere il primo passo per informare, quasi per naturale 
                  conseguenza, i consigli comunali, provinciali e regionali, per 
                  non spingerci tanto più in là. Sarebbe anche il 
                  primo passo per de-istituzionalizzare gli organismi rappresentativi 
                  della volontà popolare, vanificandone le spinte ideologiche 
                  o di schieramento. Così, allorché il consiglio 
                  di quartiere o di circoscrizione fosse chiamato a partecipare 
                  alla soluzione di problemi di ambito superiore (comunali, ad 
                  esempio), invierebbe al consiglio del comune, appositamente 
                  convocato, un suo rappresentante professionalmente preparato 
                  sullo specifico problema da trattare, che rappresenterebbe le 
                  valutazioni del suo quartiere ai suoi omologhi.  
                  Con la riaffermazione  per chiarezza, esemplificata  
                  di assunti anarchici consolidati, quali la delegittimazione 
                  dei principi di delega indefinita e di rappresentanza a scadenze 
                  temporali, torniamo ora, brevemente, al discorso iniziale sullUlivo 
                  e sui DS.  
                  Nel caso specifico, la querelle sulladozione o meno del 
                  principio di maggioranza mi sembra puro vaniloquio. Direbbe 
                  Malatesta che essi, quelli che discutono di queste cose  
                  sono già il governo della maggioranza degli eletti 
                  dalla maggioranza degli elettori: cioè, la minoranza 
                  di una minoranza degli apparati, per di più, per quel 
                  che riguarda i DS, con una base in rivolta. Ma il problema, 
                  come tutti sanno, è che questa aggregazione di partiti 
                  ha anime talmente diverse che fanno fatica ad intendersi persino 
                  sulla terminologia. Il riformismo di Rutelli e Boselli è, 
                  infatti, cosa assai diversa dal riformismo di Mussi e di Salvi, 
                  per non parlare di quelli vagheggiati da Rizzo o da Bertinotti. 
                  Come possano sintetizzarsi tendenze così lontane a colpi 
                  di maggioranze, resta un mistero per tutti.                    
                  Antonio Cardella 
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