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  G8 a Genova: polvere 
nera tra i carrugi 
di Maria Matteo 
Nella città vecchia, tra splendide memorie del 
passato ed i mille vicoli grevi di miseria e degrado, il cuore di Genova palpita 
vivace: qui vivono gli ultimi arrivati, i migranti sospinti in questo porto dalla 
miseria e dall'oppressione, gente approdata dopo viaggi infiniti su navi fatiscenti, 
nel ventre dei camion, nelle gallerie dei treni. Il loro viaggio costa più 
caro delle crociere di lusso che dalle antiche banchine di questa città 
portano i ricchi verso le sabbie del Maghreb, nelle isole al largo del Madagascar, 
nei mille paradisi artificiali in cui il turista di lusso cerca un po' di esotismo 
imbalsamato, laccato, lontano dal lezzo dei poveri cui non è neppure concesso 
il lusso della fuga verso i carrugi genovesi. In quegli stessi carrugi dove, in 
un'estate rovente di quarant'anni fa, i proletari genovesi, tra cui molti partigiani, 
seppero dar voce ad una rivolta che fermò la svolta autoritaria del governo 
Tambroni. 
Da una strada all'altra si odono gli idiomi di mezzo mondo: le parlate ispaniche 
e quelle africane, l'arabo ed il cinese, il rumeno e l'albanese. In questa città 
dove mille culture si intersecano, si sfiorano, e, forse talora si incontrano, 
a luglio avrà luogo il vertice dei G8. I rappresentanti dei governi dei 
paesi più ricchi e potenti della terra si riuniranno per decidere politiche 
economiche, militari, commerciali, destinate ad avere conseguenze incalcolabili 
per gli oltre sei miliardi di abitanti di questo pianeta. Una moltitudine nella 
quale i più ignoreranno quanto verrà stabilito per le loro vite, 
per il domani dei loro figli, per il presente di ciascuno di loro. Un infinito 
presente, impossibile da coniugare in altri tempi perché ai tanti, ai più 
che dell'ordine ingiusto del mondo sono vittime, non è data la possibilità 
di compiere il salto verso il futuro che solo la libertà di scegliere, 
decidere, progettare riesce a conferire. Per uno dei tanti paradossi di questo 
pianeta globalizzato a forza i rappresentanti del club di grassatori che presiede 
al destino di noi tutti terranno i loro meeting, le loro cene, le loro conferenze 
stampa a due passi dalle case fatiscenti degli immigrati maghrebini, albanesi, 
slavi, africani. Ma, probabilmente, neppure le vedranno. Per loro si sta lustrando 
il salotto buono, si stanno spendendo miliardi su miliardi per rifare il trucco 
alla vecchia città della lanterna. E, dove non arriva lo stucco, giungono 
poliziotti e carabinieri: barboni e senzatetto indigeni e stranieri verranno deportati 
in campagna, presso una comunità cattolica compiacente. Il centro cittadino, 
denominato "zona rossa", sarà off limits per tutti e persino 
i residenti dovranno esibire un pass. Sembra di vivere una guerra da film americano 
di serie B ma in questo caso la farsa è sin troppo reale. Genova è 
attraversata da mille cantieri, aperti per realizzare le opere di abbellimento, 
per rendere lustra la vetrina. Poco importa che, scrostata la sottile patina di 
vernice, voltato l'angolo, le case fatiscenti, prive di servizi continuino ad 
ospitare un'umanità dolente e, ancora una volta, dimenticata. Lo spettacolo 
deve andare avanti, il carrozzone dei vari Bush, Blair, Chirac, deve poter sostare 
nella massima ostentazione di lusso arrogante.  
  
Un movimento agile 
Ma anche a Genova, come già a Ginevra, Parigi, Tampere, Seattle, Washington, 
Nizza, Davos, Napoli, Quebec arriveranno in migliaia e migliaia per dare voce 
a chi non ha voce, per dare corpo e sangue alla ribellione di chi vuole un mondo 
altro. È il movimento di contro-globalizzazione, un movimento composito, 
multiforme, variegato che ai quattro angoli del pianeta insegue i potenti del 
mondo, accende sulle loro malefatte una luce che non accenna ad estinguersi. Nonostante 
la repressione, le botte, i lacrimogeni, i proiettili di gomma, gli arresti. Anzi. 
Tanto maggiore è l'accanimento repressivo, tanto più cresce il fiato 
della protesta. Una protesta che attraversa il pianeta da nord a sud, da est a 
ovest: vi trovano spazio i sindacalisti statunitensi e quelli coreani, i campesinos 
sudamericani ed i contadini indiani, gli ecologisti e le femministe, gli anarchici 
ed i centri sociali, i sem terra brasiliani e gli intellettuali delle università, 
i giovani ed i meno giovani. È un movimento agile, che vuole agire e pensare 
localmente ed agire e pensare globalmente, che si incontra lungo le strade ed 
i viottoli della rete telematica ma anche e soprattutto nelle strade delle città. 
È un movimento che, sull'esempio zapatista, cammina interrogandosi, che 
pensa il senso del proprio agire riempiendo le piazze.  
Contro questo movimento da mesi è iniziato il fuoco di fila dei media, 
impegnati ora a criminalizzarlo, ora a renderlo folcloricamente ridicolo. A ciascuno 
viene assegnato un ruolo e disegnato un profilo secondo categorie forgiate ad 
hoc dai giornalisti: i violenti ed i non violenti, i dialoganti e gli irriducibili, 
le "truppe d'assalto" e i pacifisti. L'intento è chiaro ormai 
da mesi: preparare il terreno per dividere la protesta tra i "buoni" 
ed i "cattivi", tra quelli con cui è possibile aprire un confronto 
e coloro cui bisogna impedire di mettere piede a Genova.  
Resta da vedere se qualcuno cadrà nella trappola sin troppo sfacciata orchestrata 
dai media di regime (e poco importa, credetemi, se quando leggerete queste note 
a governare troverete Rutelli o Berlusconi). Naturalmente le differenze ci sono 
ed anche notevoli: vi sono quelli che da mesi tentano di ottenere spazi e finanziamenti 
per organizzare la contestazione e vi è chi preferisce, come gli anarchici, 
organizzare con i propri mezzi l'opposizione. Quel che è certo è 
che il discrimine non è quello del metodo. Quella tra violenti e non violenti 
è una contrapposizione giornalistica che non ha alcun rapporto con la realtà. 
Le manifestazioni dell'ultimo anno da Praga a Davos, da Napoli a Quebec hanno 
dimostrato in modo inequivocabile che il monopolio della violenza è saldamente 
in mano ai tutori del disordine, poliziotti di ogni dove che hanno bastonato, 
gassato, ferito, sparato con proiettili di gomma e al pepe, incarcerato, umiliato, 
molestato centinaia e centinaia di manifestanti. Costoro tutelano la tranquillità 
e l'immagine dei potenti della terra, quelli che decidono della vita e della morte 
di sei miliardi di persone, quelli che promuovono bombardamenti "umanitari", 
che strangolano il sud con il debito, che si arrogano il diritto di privatizzare 
e commercializzare l'acqua, la salute, l'istruzione, quelli che ogni giorno sono 
responsabili di omicidi in ogni angolo del pianeta. E, consentimi di dirlo, di 
fronte a ciò è follia indignarsi per qualche banca danneggiata o 
per le vetrine rotte di un McDonald's.  
  
Fuori dallo spettacolo 
La partita da giocare è un'altra ed è una partita molto difficile, 
perché è sempre più arduo sottrarsi alla logica dello spettacolo 
che talora finisce coll'innervare pericolosamente anche i movimenti più 
radicali di contestazione, obbligandoli ad agire su una scena già dipinta 
i cui fondali di cartone sottraggono all'esigenza di cercare, e trovare, un rapporto 
con gli ultimi, con gli esclusi, con i tanti che neppure sanno leggere un giornale 
e non possiedono una radio. La divaricazione reale, che anche a Genova si va profilando, 
è tra i cultori dello spettacolo e coloro che vi rifuggono, tra chi crede 
sia possibile riformare quest'organizzazione sociale e chi pensa che sia necessario 
un cambiamento radicale, tra chi immagina un "capitalismo dal volto umano" 
e coloro che nel capitalismo non scorgono che il mostro capace di divorare uomini, 
piante, animali, la possibilità stessa di vivere su questa terra.  
Questo primo scorcio di secolo apre nuove prospettive alla proposta ed all'azione 
degli anarchici, che ovunque sono stati protagonisti delle lotte contro la globalizzazione. 
Ma occorre fare un salto in avanti, occorre perseguire una pratica di sottrazione 
dallo spettacolo e di costruzione di proposte concrete. E bisogna farlo in fretta, 
prima che anche la contestazione ai vertici dei potenti si trasformi in un rito 
da celebrare periodicamente. Non è sufficiente che la contestazione si 
radicalizzi, bisogna soprattutto che si radichi, che sappia tessere una rete forte 
e solidale non solo virtuale ma anche reale, costruendo massa critica ma sapendosi 
anche fare polvere, capace di infiltrarsi ovunque, per inceppare la macchina infernale 
dei potenti.  
Genova sarà un importante banco di prova. Il 9 giugno, ad un mese e mezzo 
dal vertice dei G8, una manifestazione nazionale anarchica e libertaria percorrerà 
il centro cittadino. È una scommessa: essere presenti e visibili a riflettori 
spenti, cercando i nostri interlocutori tra i vicoli e non nelle redazioni dei 
giornali. A luglio ci saranno manifestazioni in ogni città d'Italia il 
sabato precedente il vertice. Nei giorni "caldi" assemblee, sit-in, 
manifestazioni, azioni di protesta, in tutta la città.  
Un'occasione, per la "polvere nera" anarchica di infilarsi ovunque, 
tra i carrugi di Genova, dove forte batte il cuore di una città, che in 
tempi non ancora dimenticati ha saputo dar fiato alla ribellione. 
  Maria 
Matteo 
  
Ci vediamo a Genova il 9 di giugno 
Il 20-21-22 luglio si terranno a Genova i lavori del G8. Questo vertice di 
potenti riassume in forma spettacolarizzata le tendenze ad una concentrazione 
a livello mondiale di poteri economici e politici che mai era stata vista. I processi 
cosiddetti di globalizzazione stanno sempre più dividendo il mondo tra 
ricchi e poveri, affamando le popolazioni di interi continenti, marginalizzando 
strati crescenti di popolazione all'interno dei singoli paesi, precarizzando ogni 
forma di lavoro, eliminando  ove esistevano  ogni forma di garanzie 
sociali. Tutto in nome del profitto e dell'accumulazione capitalistica, senza 
regole né vincoli. Si moltiplica intanto il controllo sociale, sia all'interno 
che esterno degli Stati: sempre più forti divengono sia gli apparati repressivi 
di tipo poliziesco, sia quelli militari. A tutto questo dobbiamo opporci. 
Siamo stati e siamo portatori di un punto di vista antistatale, non riformista, 
internazionalista e di ricostruzione dell'unità e della capacità 
di lotta delle classi lavoratrici e degli sfruttati. Anche in questa occasione 
dobbiamo ribadire: 
- L'impossibilità di democratizzare organismi politici ed economici (nazionali 
o transnazionali) che hanno come unico scopo l'intensificazione dello sfruttamento 
del lavoro e delle risorse; 
- l'inconciliabilità  in questi come in altri processi  degli 
interessi degli sfruttati e degli sfruttatori; 
- l'invarianza delle funzioni dello Stato, che se abdica al controllo dell'economia, 
mantiene e rafforza quello sociale, poliziesco e militare; 
- la consapevolezza che i diritti esistono solo sulla carta e quindi nulla valgono 
se non sono sorretti da rapporti di forza favorevoli. 
Da qui la necessità di lottare: 
- per la libertà di circolazione di tutti in un mondo senza barriere; 
- contro il militarismo, le guerre e le carceri; 
- per una riduzione generalizzata dell'orario di lavoro; 
- e, senza riproporre un modello di welfare che ha significato la statalizzazione 
del movimento operaio, per la difesa delle garanzie sociali acquisite, per il 
raggiungimento di una qualità della vita dignitosa per tutti. 
In questa ottica ci sentiamo di proporre un percorso di opposizione al G8 in cui 
il movimento libertario possa esprimere la consistenza e la forza delle sue ragioni. 
Proponiamo quindi: 
- una manifestazione a carattere nazionale a Genova per sabato 9 giugno, 
per garantire visibilità e possibilità di esprimere i nostri contenuti; 
- iniziative coordinate di mobilitazione locale in tutte le città 
in cui questo sia possibile, per sabato 14 luglio; 
- l'indizione, da parte del sindacalismo di base, di uno sciopero generale 
per venerdì 20 luglio; 
- di organizzare una significativa presenza di segno libertario nei giorni del 
vertice, essendo di riferimento ai compagni che verranno da altre parti d'Italia 
e dall'estero. Vogliamo boicottare il vertice rivendicando in piazza il nostro 
diritto a manifestare liberamente e attraverso tutte le forme di lotta sociale 
e di azione diretta necessarie a dare visibilità e concretezza ad una opzione 
radicalmente libertaria; 
- di verificare la possibilità di un Convegno internazionale sulle tematiche 
della globalizzazione nei giorni immediatamente successivi al G8. 
Invitiamo tutte le forze dell'antagonismo sociale che si riconoscono nello spirito 
di questo appello a partecipare fattivamente alla costruzione di questo percorso. 
Per informazioni e/o adesioni: tel. 010255797 oppure 03386594361, E-mail ferrer@ecn.org 
oppure fat@inrete.it 
  
Coordinamento Anarchico Genovese; C.S.O.A. Pinelli - Genova; Coordinamento 
Anarchico Ligure Piemontese - Federazione Anarchica Torinese - FAI; Gruppo anarchico 
Sciarpanera di Alessandria; FAI di Alessandria; Gruppo anarchico Luigi Galleani 
- FAI di Vercelli; Gruppo anarchico Pietro Gori - FAI di Savona; FAI di Chiavari; 
Circolo dei Malfattori - Milano; FdCA - Sezione di Genova; Centro "Donato 
Renna" - Chiavari; Federazione Anarchica Siciliana - Palermo; Centro di documentazione 
libertaria "Pietro Riggio" - Palermo; TAZ Palermo - laboratorio di comunicazione 
libertaria; Centro libertario di cultura alternativa L'Erba - Casatenovo; Collettivo 
Gatanegra - Pordenone; F. A. "G. Pinelli" - FAI Spezzano Albanese CS; 
FMB di Spezzano Albanese CS Coordinamento degli anarchici e libertari calabresi; 
Redazione di "Comunarda" - periodico del Coordinamento degli anarchici 
e libertari calabresi; Circolo Berneri - Bologna; Giorgio Sacchetti ed Emanuela 
Bruschi - Arezzo; Archivio Storico della FAI - Imola; FAI - sez. Bakunin -Jesi; 
FAI - sez. Ferrer - Chiaravalle; Centro Studi Libertari "L. Fabbri" 
- Jesi; Kollettivo Giovani Libertari - Jesi; Circolo Libertario E. Zapata di Pordenone; 
Federazione Anarchica Milanese - FAI; Redazione di Umanità Nova ; Gruppo 
anarchico Germinal/FAI - Trieste; La giustizia degli erranti - Treviso; FdCA; 
Gruppo "Libertad" - Rimini; Gruppo anarchico "A. Cieri" - 
Parma; Collettivo libertario novatese - FAI - Novate Milanese; Kollettivo Antagonista 
"luglio '60" - Forlì; Gruppo per l'ecologia sociale - S. Giorgio 
di Nogaro; Centro Sociale Autogestito Farkadize - S. Giorgio di Nogaro; Gruppo 
Anarchico La Comune - Imola; Gruppo Anarchico Malatesta - Imola; Reseau Anarchiste 
Varois - Francia; Centro Sociale Autogestito di Via Volturno - Udine; Ateneo Libertario 
Maya - Lecce; Cico - Gorizia; Commissione di Corrispondenza della Federazione 
Anarchica Italiana 
  
  
Da 
Livorno a Genova via Porto Alegre  
Dal 20 al 22 luglio Genova ospiterà il vertice dei G8, 
i "Grandi Otto", e cioè i paesi più potenti del pianeta: 
Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Russia e Stati Uniti. 
Questo incontro avviene sullo sfondo di un drammatico scenario mondiale. 
 
Il 20% della popolazione mondiale  quella dei paesi a capitalismo avanzato 
 consuma l'83% delle risorse planetarie; 11 milioni di bambini muoiono ogni 
anno per denutrizione e 1 miliardo e 300 milioni di persone hanno meno di un dollaro 
al giorno per vivere. E questo scenario peggiora continuamente. I processi di 
globalizzazione degli ultimi venti anni, guidati dai paesi più industrializzati 
del pianeta, non hanno affatto ridotto il divario fra le economie dei paesi ricchi 
e le economie dei paesi poveri, che sono la grande maggioranza: i dati ufficiali 
sullo sviluppo umano elaborati dalle Nazioni Unite e dall'Organizzazione Mondiale 
della Sanità ci dicono anzi che negli ultimi decenni la distanza fra i 
paesi più poveri e i paesi più ricchi è più che raddoppiata. 
 
Diseguaglianze ed ingiustizia sociale crescono, d'altra parte, anche nelle nostre 
scintillanti società di consumatori, dove aumenta il numero di coloro che 
vivono in condizioni di precarietà e incertezza: i tagli alle spese sociali 
(sanità, scuola, pensioni) si accompagnano infatti alla progressiva diminuzione 
dei diritti e delle tutele nella vita lavorativa.  
Il modello economico che si è affermato negli ultimi venti anni su scala 
mondiale, e che siamo soliti chiamare globalizzazione neoliberista, è un 
modello di convivenza tra le nazioni e nelle nazioni basato sulla competizione 
senza freni, a qualsiasi prezzo e a qualsiasi condizione, tra i diversi soggetti 
economici. Il pensiero unico dominante, al quale questo modello si appoggia, sostiene 
che la società ha tutto da guadagnare se a governarla è il mercato: 
per questo non devono essere ostacolate la produzione di merci e la libera circolazione 
delle merci e dei capitali sui mercati mondiali. Di conseguenza, il pensiero unico 
non sopporta l'idea che certi beni, come la salute, l'ambiente, la biodiversità, 
il patrimonio genetico dell'umanità, non possano essere trasformati in 
merci; e percepisce come ostacolo la tutela dei diritti umani, sociali e ambientali 
di interi gruppi e intere popolazioni.  
I risultati di questo modello economico e di queste convinzioni sono oggi sotto 
gli occhi di tutti: le crescenti diseguaglianze e le mille forme di esclusione 
ed ingiustizia sociale, la devastazione ambientale oramai insostenibile prodotta 
dalle società ricche, le nuove guerre e la fuga di migliaia di migranti 
dal Sud verso il Nord del mondo, non sono il frutto del caso.  
Le politiche economiche neoliberiste che sono state attuate, con il sostegno delle 
grandi multinazionali e dei "Grandi Otto", dalla Banca Mondiale, dal 
Fondo Monetario Internazionale e dall'Organizzazione Mondiale del Commercio, sono 
chiaramente all'origine della nuova gerarchia globale dell'umanità. Queste 
politiche hanno generato l'enorme ed insostenibile fardello del debito estero, 
grazie al quale il Fondo Monetario Internazionale, attraverso i cosiddetti "programmi 
di aggiornamento strutturale", controlla oggi le economie interne di una 
settantina di paesi indebitati. Esse hanno inoltre prodotto un debito ecologico 
e sociale del Nord verso il Sud del mondo: istituzioni internazionali e nazioni 
ricche si sono infatti appropriate nel Sud di risorse naturali a bassissimo costo, 
hanno devastato ambienti incontaminati per smaltire le quote di inquinamento, 
hanno sfruttato il lavoro delle popolazioni locali. In questo quadro, appare inquietante 
anche la nuova impostazione strategica della Nato, oramai strutturata come potenza 
aggressiva.  
Ma la globalizzazione neoliberista e il pensiero unico dominante non rappresentano 
un destino ineluttabile. Da anni, ormai, un movimento globale ha lanciato una 
sfida, che anche a Livorno vogliamo raccogliere, per affermare nuovi principi 
e nuove idee di libertà e giustizia sociale. Si tratta di un movimento 
incredibilmente composito, ma unito da anni nel denunciare i danni provocati dalle 
organizzazioni economiche internazionali e unito, oggi, nel non riconoscere alcuna 
legittimità politica al vertice del G8 che si terrà a Genova nel 
mese di luglio, e nel corso del quale saranno discusse questioni cruciali per 
la vita di tutti e di tutte: i G8, infatti, si arrogano il diritto di governare 
il pianeta, che comprende infiniti altri popoli, semplicemente in nome della ricchezza 
e della potenza fin qui accumulata. Ma nessuno ha chiesto loro di governare il 
mondo. Essi rispondono solo a se stessi. 
Il movimento di cui parliamo e di cui ci sentiamo parte è nato  si 
dice  a Seattle. Ma noi non veniamo solo da Seattle. Veniamo dalle mobilitazioni 
antinucleari e pacifiste, in ultimo contro le guerre del Golfo e dei Balcani; 
veniamo dai luoghi di donne, dalle iniziative territoriali per la difesa dell'ambiente 
e della salute, da quelle sindacali per l'affermazione dei diritti sociali e di 
cittadinanza, condotte nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nell'università; 
veniamo da una scelta internazionalista, dalle esperienze delle Organizzazioni 
Non Governative e della cooperazione con il Sud del mondo. Siamo uomini e donne 
che vivono esperienze politiche, sociali e religiose differenti, e che sono nati 
qui o altrove, ma che quotidianamente costruiscono relazioni in questa città. 
Se ci sediamo intorno allo stesso tavolo, è perché crediamo che 
anche a Livorno sia giunto il momento di farlo. Come hanno fatto, alcuni mesi 
fa, i gruppi provenienti da ogni parte del mondo che si sono incontrati nel Forum 
Sociale di Porto Alegre, i quali hanno saputo esprimere, accanto alla critica, 
una grande progettualità nel loro lavoro per la cooperazione internazionale, 
i diritti delle donne, la tutela dell'ambiente, la convivenza tra culture diverse. 
 
Come Coordinamento, ci proponiamo non solo di andare a Genova, partecipando 
in maniera pacifica alla mobilitazione di luglio contro il G8, ma anche di utilizzare 
questa occasione per organizzare, nei prossimi mesi, iniziative di sensibilizzazione, 
informazione e dibattito.  
Da questo punto di vista, ci attiveremo anche per la difesa della libertà 
di espressione: ci sembra infatti inaccettabile che, di fronte alla possibilità 
di una manifestazione a Genova il 22 luglio, si minacci di chiudere letteralmente 
l'accesso alla città e di impedire ogni e qualsiasi manifestazione del 
dissenso, ventilando perfino l'ipotesi di una temporanea sospensione delle garanzie 
costituzionali.  
  
Forum per la Pace 
Rete Lilliput - Nodo di Livorno 
Morgiano - Rete dei Cantieri Sociali 
Il Ponte 
Casa delle Culture 
Forum Ambientalista 
Agire Verde 
Collettivo Anarchico Zero in Condotta 
Collettivo Spontaneo Spazi Autogestiti 
Sindacato Cobas 
Verdi - Livorno 
Rifondazione Comunista - Livorno 
Comunità Cristiana di Base "Piazza Logo Pio" 
  
 
 
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                      40.000 
                        banane e un artista contro le multinazionali 
                        di 
                        Maria Mesch 
L'artista concettuale newyorchese 
Doug Fishbone lavora con banane: nel 1998 di fronte al Banco Central di Cuenca, 
in Ecuador, poi nel 2000 ancora in Ecuador, a Guayaquille e dopo a San José, 
Costa Rica le sue installazioni interattive criticano alcuni degli aspetti più 
violenti della globalizzazione e del capitalismo di consumo. 
Per Doug la montagna di banane rievoca visivamente le montagne di preziosi appartenuti 
ad ebrei e accumulati nei campi di concentramento nazisti, e per forma e colore 
anche i lingotti d'oro stoccati nelle banche centrali dell'occidente. Allo stesso 
tempo queste banane sono un simbolo della fragilità di economie come quella 
ecuadoriana dipendenti quasi esclusivamente dalle esportazioni di risorse naturali 
 le banane come indizio per gli eccessi del sistema di economia globale, 
per i suoi abusi. 
Una volta costruita la montagna di banane, i passanti e gli spettatori vengono 
invitati a prenderle liberamente, a mangiarle, mentre l'artista fa il possibile 
per instaurare discussioni e riflessioni sul perché dell'azione.  
Forse è per questo che finora non è riuscito ancora a portare il 
progetto negli Stati Uniti. La sua prossima azione invece è prevista in 
Polonia, dove il ruolo simbolico delle banane  praticamente inesistenti 
prima della caduta del muro, divenute poi uno dei pochi status symbol realmente 
accessibile a tutti, al pari della coca cola  si arricchisce anche di altre 
valenze, la banana come premio di consolazione, come simbolo per il benessere 
occidentale rimasto un'illusione per i più.  
Per contatti: dfishbone@hotmail.com 
(siccome Doug Fishbone sta traslocando, l'indirizzo postale aggiornato può 
essere richiesto alla redazione di "A"). 
                        
                        Maria Mesch 
                        
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Amnesty su Napoli 
Amnesty International ha scritto al Ministro dell'Interno Enzo Bianco per esprimere 
la propria preoccupazione in merito alle inquietanti denuncie su presunti e diffusi 
abusi commessi nei confronti dei dimostranti dalle forze dell'ordine, durante 
una manifestazione del 17 marzo scorso a Napoli. 
La manifestazione tenutasi durante il Global Forum è degenerata in violenti 
scontri tra gruppi di manifestanti che cercavano di entrare nell'area della conferenza 
e le forze dell'ordine. Si sono contati feriti sia tra gli agenti sia tra i dimostranti 
e danni al patrimonio. 
Nella lettera, Amnesty International chiede l'istituzione di una Commissione d'Inchiesta 
indipendente che indaghi in maniera completa e imparziale sul comportamento e 
le tattiche usate dalla polizia durante la manifestazione. Amnesty chiede inoltre 
di esaminare le denunce di maltrattamenti avvenuti durante gli scontri e nelle 
stazioni di polizia. I risultati dell'indagine dovranno essere resi pubblici nel 
più breve tempo possibile. 
"Riconosciamo che le autorità italiane avevano la responsabilità 
di assicurare la sicurezza dei partecipanti al Global Forum, cosa sempre difficile 
nel corso di tali eventi, soprattutto quando talune fazioni hanno l'obiettivo 
di fomentare disordini" dichiara Amnesty International. "Tuttavia i 
cittadini hanno il diritto di esprimere pacificamente le loro opinioni senza per 
questo dover temere per la propria incolumità fisica" aggiunge l'organizzazione. 
Le denunce contro le forze dell'ordine includono: 
- aggressioni indiscriminate da parte di agenti nei confronti di manifestanti 
non violenti, anche minorenni, intrappolati in una piazza circondata dalla polizia; 
secondo quanto riferito queste persone sono state picchiate con il calcio dei 
fucili, con sfollagente, calci, pugni e pietre, anche se in molti casi, i manifestanti 
si erano avvicinati agli agenti con le mani in alto per dimostrare loro le proprie 
intenzioni pacifiche; 
- percosse nei confronti di quanti filmavano o fotografavano gli episodi di uso 
eccessivo della forza e la distruzione delle macchine fotografiche e delle pellicole; 
- l'aver omesso di fornire cure mediche adeguate e tempestive ai fermati feriti; 
- l'aver impedito ai fermati di ricorrere ad un avvocato o di informare familiari 
o terze persone sulla loro sorte; 
- i maltrattamenti nei confronti dei fermati, tra cui minorenni, nelle stazioni 
di polizia; secondo quanto riferito alcuni sono stati obbligati a stare in ginocchio 
sul pavimento con la faccia al muro per molto tempo e sottoposti deliberatamente 
a percosse, calci, schiaffi, insulti verbali spesso di natura oscena e a sfondo 
sessuale. Molti fermati hanno subito perquisizioni intime e, in alcuni casi, la 
condotta degli agenti durante le perquisizioni è stata deliberatamente 
mirata a umiliarli e degradarli. 
"Numerose relazioni provenienti da varie fonti, incluse testimonianze e prove 
fotografiche, rappresentano un quadro inquietante di abusi diffusi e violazioni 
degli standard internazionali sui Diritti Umani da parte della Polizia di Stato, 
dei Carabinieri, e della Guardia di Finanza che dovrebbero essere esaminati da 
una Commissione d'Inchiesta indipendente" dichiara Amnesty International. 
L'organizzazione ha inoltre dichiarato che un'indagine tempestiva, completa, imparziale 
e pubblica serve a proteggere la reputazione delle forze dell'ordine, che potrebbero 
essere soggette ad accuse infondate, ma anche a salvaguardare gli interessi delle 
eventuali vittime di maltrattamenti. 
Palermo, 28 aprile 2001 
  
Ufficio Stampa Amnesty International 
press@amnesty.it 
  
 
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 Manifestazione 
nazionale anarchica 
e libertaria contro il G8 
Genova 
9 giugno o ore 15 
Stazione Marittima 
per info 
tel. 010 25 57 97 oppure 338 65 94 361 
ferrer@ecn.org oppure fat@inrete.it 
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