| Nel dibattito serrato che ha accompagnato 
                  l'insorgere del progetto per un ponte tra la Calabria e la Sicilia 
                  hanno avuto un considerevole spazio le argomentazioni tecniche 
                  costruttive.Ancora oggi vi sono alcune soluzioni adottate in un progetto 
                  oramai definito che suscitano perplessità, mentre altri 
                  temi, quali la congruità delle funzioni dell'opera in 
                  relazione al danno ambientale comportato e alla capacità 
                  di autosostenersi economicamente, sono invece in piena verifica.
 Già il solo fatto che i caratteri dell'opera siano così 
                  tanto suscettibili di integrazioni e verifiche mostra quanto 
                  l'idea progettuale, così come originariamente presentata, 
                  fosse piuttosto velleitaria, non avendo operato nessuna di quelle 
                  verifiche che connotano un processo progettuale di qualità, 
                  e che non attengono al solo sistema costruttivo ma alle relazioni 
                  che questo avrà con l'ambiente e la società in 
                  cui si inserisce.
 Ma è ancora possibile in questa fase uscire da una visione 
                  esclusivamente costruttiva e riepilogare una riflessione che 
                  attiene all'intero processo e alle motivazioni sociali, ambientali, 
                  antropologiche e logiche, riflessione che evidenzia chiaramente 
                  la non plausibilità del ponte.
 In particolare è interessante evidenziare come la stessa 
                  idea di un ponte scaturisca da un modello che non è condivisibile 
                  e i cui danni sono riscontrabili non solo nell'ambiente ma anche 
                  direttamente nella salute degli individui.
 L'idea di un ponte è infatti figlia del mito del progresso 
                  e dell'evoluzione tecnica, dove ogni problema è risolto 
                  da un'opera (manufatto) e dove se problema non c'è se 
                  ne costituisce uno, appunto per permettere la realizzazione 
                  di un opera.
 Al di là degli interessi economici insiti nella costruzione 
                  del manufatto, il progetto è sostenuto dalla capacità 
                  di rappresentazione del ponte stesso: esso mostra la potenza 
                  tecnica della società, impiegata a vincere una guerra 
                  unilateralmente dichiarata contro i vincoli naturali, attraverso 
                  la quale si ritiene, demagogicamente, di migliorare le condizioni 
                  dell'esistenza degli individui.
 Questo atteggiamento non è condivisibile perché 
                  mina le basi delle relazioni tra individui e tra individui e 
                  ambiente e traccia un cammino di grande semplificazione e degradazione 
                  della complessità dei luoghi e delle comunità.
 Il ponte per questo non ha ragione di esistere ed è pericoloso. 
                  Pericoloso per l'impatto sull'ambiente ma pericoloso per gli 
                  uomini e per la loro esistenza. In questo senso va il contributo 
                  di Z. Carloni e in questo senso sono riassunte le successive 
                  considerazioni.
 1. Il ponte non ha ragione di esistere perché la 
                  Sicilia è un'isola L'insularità della regione è alla base della caratterizzazione 
                  della popolazione, della sua cultura, delle sue modalità 
                  di esistenza. La costruzione di un collegamento stabile modificherebbe 
                  questa condizione riportando i rapporti con il continente ad 
                  una continentalità attualmente inesistente.
 In Sicilia si va in nave, attraverso il mare: è questa 
                  una condizione imprescindibile nella struttura sociale della 
                  popolazione. Si supera un elemento naturale, il mare, che fa 
                  la differenza e che interrompe la continuità culturale 
                  con il continente, che impedisce una omogeneità e qualifica 
                  la società locale.
 Superare questa interruzione di continuità tende ad annullare 
                  le differenze culturali che sono alla base della qualità 
                  sociale e culturale dei siciliani.
 2. Il ponte non ha ragione di esistere perché nasce 
                  dalle frustrazioni degli operatori Le tecniche disponibili nel mondo contemporaneo hanno grandi 
                  capacità.
 Per quanto riguarda le opere di gestione del territorio esse 
                  sono sicuramente in condizione di affrontare quasi tutti i problemi 
                  che si incontrano.
 Ogni problema può però avere diverse soluzioni 
                  e solo ponendo delle condizioni limitative presenti si riducono 
                  le possibili soluzioni fino ad annullarle.
 Maggiore è il numero e la consistenza delle condizioni 
                  limitanti e maggiormente l'apparato tecnico che supporta le 
                  soluzioni deve essere ridondante.
 È una specie di gioco al rialzo attraverso il quale si 
                  possono impegnare le capacità tecniche degli operatori.
 Infatti se le tecniche per gestire e strutturare il territorio 
                  sono numerose e possiedono grandi potenzialità, sia in 
                  termini di efficacia strutturale sia in termini di efficienza 
                  di sistema, nell'ordinario le soluzioni adottate sono preconfigurate 
                  e semplificate da una consuetudine ripetitiva resa possibile 
                  dalla scarsa considerazione dell'ambiente e del sistema in cui 
                  si inseriscono.
 Questa prassi sostenuta dagli operatori per ridurre i tempi 
                  della progettazione, per uniformare le modalità costruttive, 
                  in sintesi per aumentare i profitti connessi dalla realizzazione 
                  delle opere produce però una insoddisfazione professionale 
                  degli operatori stessi.
 Così facendo, infatti, non si affronta nessun problema 
                  tecnico adeguato alle loro capacità. Disdegnando di qualificare 
                  con la loro esperienza gli interventi ordinari e frustrati da 
                  una ripetitività da loro stessi voluta scatenano la loro 
                  fantasia in opere complesse su cui mostrare finalmente con orgoglio 
                  le proprie capacità.
 E quando queste opere non ci sono e non sono necessarie le inventano.
 Così quando è emerso, tanti anni addietro, il 
                  bisogno di ottimizzare le modalità di relazione tra un'isola 
                  e il continente non si sono verificati i possibili miglioramenti 
                  nell'ordinaria conduzione, riduzione dei tempi di traghettamento 
                  e miglioramento della qualità dei servizi, ma si è 
                  intuito essere questo il caso ottimale per un'opera eccezionale 
                  che finalmente potesse rappresentare un problema.
 Il problema è così divenuta la struttura del ponte 
                  e non il miglioramento delle relazioni, ed in questo gli operatori 
                  hanno finalmente potuto scatenare le autofrustrazioni di una 
                  vita professionale distratta e volutamente piatta.
 3. Il ponte non ha ragione di esistere in quanto è 
                  la mostra del potere tecnico di questa società La realizzazione di opere pubbliche ha sempre avuto una componente 
                  demagogica. Rappresentazione dell'efficienza dello stato, autorappresentazione 
                  della capacità tecnica, concretizzazione della possenza 
                  della collettività.
 Come da bimbi ci si inorgoglisce nel sapere che il monte più 
                  alto d'Europa è in Italia, con lo stesso spirito il palazzo 
                  più alto, la strada più grande, la galleria più 
                  lunga, la diga più alta stupiscono e consolidano rozzamente 
                  lo spirito nazionale.
 Ed ecco la diga del Vajont, la più alta, la rete autrostradale 
                  degli anni '60, la più estesa e confortevole, la galleria 
                  del Gran Sasso, la più lunga.
 Nella realizzazione di ciascuna di queste opere si confonde 
                  alla necessità un livello di demagogia così spaventoso 
                  da offuscarne le reali ragioni di esistenza.
 Del Vajont e della sua tragedia non se ne parli.
 Le autostrade furono la rappresentazione del "boom economico": 
                  luoghi di visita, di incontro, di pubblicità mostravano 
                  come si potesse essere moderni ed uguali. Mangiare uguale e 
                  moderno agli "autogrill" con vista sull'autostrada. 
                  L'uomo moderno che guarda se stesso che viaggia: non vi è 
                  panorama più stupefacente e rassicurante della mobilità 
                  grandiosa e organizzata delle auto.
 La galleria del Gran Sasso, attuata per lo sviluppo di una regione 
                  montana, fu un inutile sfregio ad un monte: migliaia di miliardi 
                  attuali, decine di morti, per permettere di collegare L'Aquila, 
                  oggi poco più di centomila abitanti, con Teramo, oggi 
                  sotto i cinquantamila, ovvero insieme meno di un quartiere di 
                  Roma. Per ottenere lo stesso risultato il monte poteva essere 
                  aggirato, ma si voleva lo scontro "duro" con la montagna, 
                  si voleva dimostrare che potere aveva la modernità, si 
                  voleva infrangere l'equilibrio di un rapporto tradizionale disprezzato 
                  dal nuovo modello.
 Questo è l'uso peggiore della tecnologia, una tecnologia 
                  senza scopo, asservita alla rappresentazione; una tecnologia 
                  che mostra i muscoli, palestrata, vacua, autoincensatoria.
 Questo luna park tecnologico affronta l'ambiente e l'individuo 
                  come se fossero oggetto e non soggetto del vivere, travisando 
                  il ruolo della tecnica da riparatrice a carnefice.
 E tutto ciò è reso possibile dall'artificiosa 
                  immagine dello sviluppo e dello svilupparsi. Impostazione demagogica 
                  che cela gli interessi insiti nella realizzazione di opere pubbliche, 
                  pagate dalla comunità, di grandi dimensioni ad elevatissimi 
                  margini e profitti sia per l'entità dei finanziamenti 
                  sia per l'incommensurabilità delle dimensioni economiche.
 4. Il ponte non ha ragione di esistere perché uniforma 
                  Congiungere l'isola con il continente rafforza il modello vigente 
                  teso ad uniformare le condizioni spaziali, l'ambiente e gli 
                  individui.
 Trascinati dall'interpretazione secondo la quale lo sviluppo 
                  è costituito dalle infrastrutture e dai beni materiali 
                  e certi che lo sviluppo abbia una sola configurazione, si è 
                  ritenuto corretto clonare le stesse soluzioni per territori 
                  differenti.
 Lo sviluppo sarà forse questo ma allora non ha nulla 
                  a che vedere con il benessere degli individui e delle comunità.
 In ogni luogo vi è un particolare modo di raggiungere 
                  la massima qualità della vita, modo che dipende dalla 
                  adeguata correlazione con l'ambiente e dalla considerazione 
                  della società insediata. Da tale adattarsi autonomo alle 
                  condizioni esistenti, da questo abitare così diverso 
                  tra le diverse zone scaturisce la diversità culturale, 
                  sociale, paesaggistica.
 Questa diversità è un bene imprescindibile per 
                  la salute dell'uomo.
 Ciò implica che ogni luogo ha una sua maniera ed un suo 
                  tempo per essere percorso; maniere e tempi derivanti dalle caratteristiche 
                  fisiche dei luoghi e da come la comunità insediata li 
                  utilizza. E ciò implica che la differenza di qualità 
                  delle società insediate non sarà misurata nella 
                  quantità di infrastrutture o nella velocità di 
                  percorrenza dei diversi luoghi.
 Se così non fosse si attuerebbe un processo di uniformazione 
                  dei luoghi e delle comunità che non ha ragione di esistere 
                  se non nel profitto che si ricava dal controllare un mercato, 
                  e quindi una domanda di merci, unico e omogeneo.
 Costruire il ponte è come asfaltare la laguna di Venezia.
 5. Il ponte non ha ragione di esistere perché rafforza 
                  un modello di mobilità insostenibile Il mondo è bloccato dagli autoveicoli ed il nostro paese 
                  ha una sudditanza anomala all'interno di un quadro già 
                  aberrante. Gran parte delle emissioni planetarie di CO2 derivano 
                  dall'uso dei veicoli a motore, circa 85.000 sono le vittime 
                  annue in Europa per tumori derivati dall'uso degli autoveicoli, 
                  e centinaia di migliaia i morti annui per incidenti stradali.
 Costruire una strada qualunque essa sia, adeguarne il tracciato, 
                  ampliarne la capacità vuol dire rafforzare il sistema 
                  della mobilità su gomma. Ogni finanziamento in quella 
                  direzione contribuisce ad aumentare la dipendenza da un sistema 
                  di mobilità che ha mostrato evidenti limiti e che costituisce 
                  un rischio sociale (il monopolio dei trasporti su gomma) e per 
                  la salute degli individui.
 Il progetto del ponte introduce il modello su gomma in un luogo 
                  in cui è ancora preminente un altro vettore di trasporto 
                  e mobilità.
 Sarebbe invece necessario utilizzare questa disomogeneità 
                  del sistema di trasporto su strada per potenziare forme di mobilità 
                  diverse favorendo alcune soluzioni già esistenti e che 
                  proprio in queste condizioni rendono il massimo vantaggio energetico, 
                  ambientale, di sistema (cabotaggio).
 Insistere con le strade sottomette ancora di più i cittadini 
                  ad un dominio di cui sono già schiavi culturalmente e 
                  socialmente. Infine, se si volesse costruire un ponte per risparmiare 
                  tempo si potrebbe mettere in conto, per definire delle priorità 
                  su scala nazionale, tutto il tempo impegnato dagli automobilisti 
                  nelle file urbane.
 6. Il ponte non ha ragione di esistere perché è 
                  un fuoriscala paesaggistico e ambientaleInserire un oggetto in un contesto non implica una sua mimesi 
                  all'interno dell'unità paesaggistica in cui si colloca 
                  ma implica il relazionarsi con la forma e la struttura ecologica 
                  del contesto stesso. È evidente che in questo senso un'opera 
                  del genere non può che destrutturare la percezione dell'intera 
                  area inserendosi come un fuoriscala che riconduce ogni carattere 
                  del sito alla sudditanza gerarchica all'opera stessa. Ogni percezione 
                  dello Stretto sarà dominata dall'infrastruttura modificando 
                  in maniera indelebile il paesaggio e le connotazioni sociali 
                  e ambientali ad esso connesso.
 7. Il ponte non ha ragione di esistere perché è 
                  un fuoriscala socialeLa comunità locale non è in condizione né 
                  di costruirlo né di gestirlo. È un oggetto esterno 
                  al contesto sociale in cui si situa, non scaturisce da esso 
                  e lo ignora palesemente utilizzandolo passivamente per obiettivi 
                  esterni al benessere dalla società locale.
 Il fuoriscala è anche economico ovvero si inserisce con 
                  una quantità di finanziamenti tanto consistenti, ancor 
                  più considerando l'attuale assetto economico del territorio, 
                  da prevedere effetti dilanianti sulla struttura sociale e produttiva 
                  locale.
 Questi effetti, riscontrabili in esperienze spazialmente prossime 
                  e ancora in atto, possono innescare processi di degradazione 
                  sociale proprio in un'area che faticosamente ha avviato un processo 
                  di riqualificazione della società civile.
 8. Il ponte non ha ragione di esistere perché rappresenta 
                  la più retriva cultura delle Opere PubblicheIl ponte si inserisce nella più retriva cultura delle 
                  OO.PP. dove ogni occasione è buona per grandi opere. 
                  Se si verificasse a livello locale la qualità e l'efficacia 
                  delle altre opere pubbliche realizzate in passato nell'area 
                  interessata, si manifesterebbe chiaramente l'incapacità 
                  di migliorare attraverso di esse la qualità del vivere 
                  e l'incapacità tecnica e amministrativa a gestire processi. 
                  Forse le cose sono cambiate ma l'accanimento nel perseguire 
                  il progetto di un ponte dimostra che la mentalità è 
                  la stessa di quella che ha governato le opere pubbliche in passato. 
                  Prima di avviare la costruzione di un ponte bisognerebbe avere 
                  la riprova che si sappiano progettare, costruire, gestire dei 
                  muretti.
 9. Il ponte non ha ragione di esistere perché è 
                  un sacrilegioLa gran parte dei popoli che hanno avuto un rapporto non impositivo 
                  nei confronti dell'ambiente considerava la relazione con la 
                  natura come una interazione qualificata ed essenziale della 
                  propria esistenza.
 Dai Lakota, ai Nuer, alle popolazioni della Polinesia, in qualunque 
                  luogo dove la natura è stata conservata si è in 
                  presenza di una interlocuzione diretta tra gli individui e le 
                  comunità e le forme e le manifestazioni naturali.
 La natura era un agente a cui veniva conferita una identità 
                  spesso simile a quella dell'uomo ed i rapporti con essa erano 
                  regolati ed attenti. Regolati per evitare il deperimento delle 
                  risorse e attenti in quanto su di essi si costruiva l'esistenza 
                  delle persone e dei gruppi.
 Il rapporto con la natura permeava l'intera esistenza umana 
                  e questa dipendeva, come oggi ancora dipende, dalle condizioni 
                  della natura e questa dipendenza definiva una relazione non 
                  paritetica ma nemmeno di sudditanza: un rapporto quasi paritetico 
                  con un soggetto, la natura, di maggior prestigio, da ascoltare, 
                  e a tratti da temere, trasformata in una relazione di "sacralità" 
                  che sottendeva ogni azione di trasformazione che l'uomo compiva 
                  nei confronti del suo habitat.
 Così i Lakota cacciavano i bisonti ma ne sceglievano 
                  i capi da abbattere, ne regolavano le quantità e gran 
                  parte della loro esistenza era volta alla considerazione della 
                  condizione favorevole del poter cacciare bisonti. Il rapporto 
                  con i bisonti non era quello con una "risorsa", non 
                  si fermava alla tutela degli animali ma si spingeva alla comprensione, 
                  non scientifica ma interpretativa dei fenomeni e di fatto alla 
                  modificazione dei propri comportamenti per diventare anch'essi 
                  un poco bisonti ribadendo l'appartenenza ad un solo sistema.
 La "sacralità" era appunto basata su questo 
                  rapporto simbiotico tra uomini e ambiente.
 Nel momento in cui in alcune società il rapporto con 
                  la natura da "sacro" è divenuto religioso sono 
                  stati divisi i soggetti e gli oggetti: da una parte gli uomini 
                  sostenuti dalla garanzia di un dio posto dalla loro parte, da 
                  comportamenti e riti che davano sicurezza, e dall'altra la natura 
                  evidentemente meno dotata dell'uomo e succube delle sue azioni.
 La religione, che non può che essere dogmatica e semplificatrice, 
                  ha sostenuto e sostiene un rapporto scorretto con l'ambiente, 
                  un rapporto mercantile (religioni e mercato sono sempre connesse), 
                  che persegue solo l'uso dell'ambiente e non il benessere delle 
                  comunità.
 E le attuali condizioni del pianeta sono un esempio di ciò.
  Adriano Paolella
 
 
                   
                    | Necessità 
                        e limiteNel 
                        momento in cui viene a mancare il rapporto paritetico 
                        tra uomo e ambiente si instaura una logica di sfruttamento. 
                        L'ambiente diviene l'oggetto su cui è comunque 
                        possibile attuare qualsiasi trasformazione. In questo 
                        la società contemporanea è formidabile: 
                        senza dichiarare apertamente la superiorità delle 
                        necessità umane (anche fittizie) su ogni altra 
                        condizione del pianeta, giustifica qualunque trasformazione.Sulla carta la conservazione della natura è dichiarata 
                        fondamentale a livello globale, ma nell'agire locale non 
                        si riconosce il valore che le singole azioni hanno su 
                        questa conservazione. Localmente non si riconosce l'incidenza 
                        che la sommatoria delle singole azioni ha nella determinazione 
                        delle condizioni di degrado del pianeta; si riconosce 
                        un danno limitato geograficamente e temporalmente, che 
                        viene ritenuto imprescindibile per il mantenimento delle 
                        condizioni di vita e per lo "sviluppo".
 Così anche nel caso della più grande opera 
                        pubblica non vi è un limite definito nel chiedersi 
                        quanto si può trasformare, ma si relativizza tutto 
                        alla situazione specifica senza valutare congruamente 
                        gli effetti innescati né l'innumerevole serie di 
                        soluzioni alternative.
 È chiaro, anche se non dichiarato, che nella scala 
                        di valori l'ambiente ha meno importanza della trasformazione, 
                        rappresentazione dello sviluppo e mezzo di profitto. È 
                        chiaro che tale modello è insostenibile ambientalmente 
                        e socialmente ed è altrettanto evidente come sia 
                        necessario recuperare un rapporto con l'ambiente, un rapporto 
                        paritetico in cui le azioni dell'uomo, per quanto piccole, 
                        siano sottoposte alla verifica di quanto producano relativamente 
                        al miglioramento o al peggioramento complessivo del sistema 
                        planetario.
 E se questo dovesse portare a che non si facciano più 
                        ponti non si faranno più ponti.
 A.P. |  
 
                   
                    | Caratteristiche 
                        principali del ponteLunghezza 
                        complessiva20 km
 Lunghezza campata centrale
 3.300 m
 Larghezza impalcato
 60 m
 Altezza
 di ciascuna delle quattro torri 376 metri, circa sette 
                        volte la torre di Pisa, più alto di una cinquantina 
                        di metri dell'Empire State Building
 Costi 
                        previsticirca 10.000 miliardi dichiarati. Basterebbe solo una 
                        parte di questi per migliorare le ferrovie siciliane, 
                        per gran parte ancora a binario unico, e incentivare il 
                        cabotaggio per il trasporto merci e persone. Altre fonti 
                        definiscono i costi in 22.000 miliardi; visto come solitamente 
                        lievitano i costi in fase di definizione, l'aumento risulta 
                        molto probabile (si veda il recente caso delle tratte 
                        ferroviarie ad alta velocità).
 20.000 miliardi investiti renderebbero circa 1.000 miliardi 
                        l'anno (5%) pari allo stipendio annuale di 23.809 persone 
                        a 42 milioni l'anno.
 Volume 
                        ancoraggi e fondazionicirca 724.000 mc di calcestruzzo, corrispondente al volume 
                        di circa 2.500 appartamenti di 100 mq ciascuno; un insediamento 
                        di circa 9.000 abitanti per più di 300 palazzine.
 Peso 
                        complessivo dell'impalcato delle torri e dei cavi principali 
                        274.800 tonnellate.
 Tempo 
                        risparmiato sul percorso attuale 1 ora. Se ne risparmierebbero 2 con il raddoppio ferroviario 
                        Messina-Palermo
 Pedaggio115.000 lire per cinquant'anni (secondo Legambiente, per 
                        rendere conveniente l'investimento)
 Avvio 
                        della progettazione1968 concorso ANAS. Dal 1981 è finanziata dallo 
                        stato per diversi miliardi l'anno la società Stretto 
                        di Messina Spa
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