| Laddove Arrigo Petacco, ne L'archivio 
                  segreto di Mussolini (Milano 1997), si sofferma sulle aspirazioni 
                  letterarie del giovane Mussolini, aggiunge che di queste aspirazioni 
                  aveva messo a parte pochissime persone, forse una sola. E si 
                  riferisce esplicitamente a Leda Rafanelli, un'anarchica dalle 
                  "pose da rivoluzionaria snob" che sarebbe stata "una 
                  delle sue amanti" (pp. 195-196). Anche per altri particolari, 
                  Petacco dimostra chiaramente di aver letto Una donna e Mussolini 
                  di Leda Rafanelli medesima. Ma ne ha tratto un giudizio diametralmente 
                  opposto al mio.Leda  come racconta Masini nell'Introduzione alla seconda 
                  edizione del volume  era nata a Pistoia nel 1880, ma, 
                  nei primi mesi del 1900, era finita in Egitto, ad Alessandria, 
                  da dove tornò tenacemente convinta di due idee difficilmente 
                  compatibili, l'islamismo e l'anarchismo. Si sposò a Firenze 
                  e, con il marito Luigi Polli, diede vita alla prima delle sue 
                  frenetiche imprese editoriali. Cambiò presto il compagno 
                  della sua vita con un altro tipografo, Giuseppe Monanni, mise 
                  su una nuova impresa e si trasferì a Milano. Il suo nome 
                  è legato a riviste come "VIR", "Sciarpa 
                  Nera", "La Libertà"  sul quarto 
                  numero della quale comparirà un articolo su Mussolini 
                  che sarà esca per l'approccio dell'allora direttore dell'"Avanti!".
 Il libro  pubblicato una prima volta nel 1946 e poi nel 
                  1975, quattro anni dopo la morte dell'autrice  è 
                  ben costruito tutt'intorno alle quaranta lettere che Mussolini 
                  le scrisse tra il 19 marzo 1913 e il 7 ottobre 1914. Si tratta 
                  di quaranta lettere salvatesi grazie alla lungimirante sagacia 
                  di Leda e nonostante le successive numerose perquisizioni della 
                  polizia fascista. Detto molto in breve, si va da un momento 
                  di "rispetto" fra Mussolini e alcuni anarchici, fino 
                  a quel tragico momentaccio in cui fu chiaro che da Mussolini 
                  non ci si poteva attendere nulla di buono, ma in cui, purtuttavia, 
                  qualcuno non ci vide affatto chiaro, come Maria Rygier e altri 
                  compagni rivoluzionari, che nell'interventismo individuarono 
                  una soluzione inderogabile, compagni per i quali Leda ha parole 
                  di rammaricato e intenso affetto.
 Dal carteggio e dai ricordi di Leda, a mio avviso, vien fuori 
                  una storia del genere seguente. Lei scrive un articolo su di 
                  lui, il tono è positivo e lui  che magari ha chiesto 
                  in giro, chi è e com'è  invia il solito 
                  bigliettino di ringraziamento. Lei gli fa sapere che vorrebbe 
                  conoscerlo e lui non si tira certo indietro. "Anch'io desidero 
                  conoscervi", le scrive subito, ma "a un patto": 
                  "che io faccia solo la vostra conoscenza e non quella di 
                  altri". È chiaro già in partenza, dunque, 
                  che Mussolini non vuole "compromettersi" in nessuno 
                  dei due lati della questione, né in quello dell'evidenza 
                  sociale dei rapporti intimi, né in quello dell'evidenza 
                  dei rapporti politici. Ma la sua argomentazione cerca di nascondere 
                  il presupposto: "ho una strana repugnanza ad allargare 
                  il cerchio delle mie conoscenze personali", scrive, infatti, 
                  preferendo battere il sentiero della tortuosità ai limiti 
                  della patologia. Se il 4 aprile firma "Vi saluto. B. Mussolini", 
                  cinque giorni dopo  senza che si siano ancora incontrati 
                  , firma "Con amicizia. B." e, soprattutto, mette 
                  il carro davanti ai buoi: "sento che fra noi è cominciato 
                  qualche cosa", "aspettatemi" e, subito dopo (facendo 
                  tutto lui), "anch'io vi aspetto" con una "trepidazione" 
                  che, come sempre quando vuol risultare fascinoso (come quel 
                  personaggio di Verdone, in Viaggi di nozze, 1995), non 
                  potrà che essere "strana".
 Poi, finalmente, si incontrano. A casa di lei. Chiacchierano 
                  per ore, bevono caffè e quindi lui se ne va. Già 
                  nella lettera successiva Mussolini butta lì l'assicurazione 
                  non richiesta che del bel pomeriggio trascorso non parlerà 
                  "ad anima viva". E man mano che il rapporto prosegue, 
                  dalle lettere che lo contrappuntano continuano ad emergere elementi 
                  incongrui rispetto ai fatti come narrati da Leda: "sarò 
                  puntuale e discreto", "ho ancora nell'anima tutto 
                  il turbamento del nostro ultimo convegno", fino alle fatidiche 
                  domande "già finito questo nostro amore che s'annunciava 
                  meraviglioso?" e "perché vuoi dimenticare ciò 
                  che avvenne fra noi?". Ora, a detta di Leda, fra loro non 
                  avvenne un fico secco. L'unico contatto fisico che intercorse 
                  fra loro fu un bacio  non "reso"  che 
                  lui, più fuori di testa del solito, le rifilò 
                  una sera verso la fine di giugno del 1913.
 Leda Rafanelli, beninteso, non fu un modello del pensiero anarchico. 
                  Il fatto stesso che si convertisse all'islamismo e che, attribuendosi 
                  speciali facoltà, "leggesse la mano" (pag. 
                  40) non testimoniano di una teoria e di una pratica anarchica 
                  indiscutibili. Già Gino Cerrito, in L'antimilitarismo 
                  anarchico in Italia nel primo ventennio del secolo (Pistoia 
                  1968), dice che Leda aveva teorie "peregrine", come 
                  quella secondo la quale "l'anarchico dovrebbe essere un 
                  individuo superiore per natura" e conseguentemente "nessuna 
                  educazione può cambiare il sentimento intimo che dà 
                  la personalità all'individuo" (pag. 13, in nota 
                  23. La citazione è tratta da L. Rafanelli, Educazione 
                  e sentimenti, in "Rivolta", Milano 30 aprile 1910). 
                  E, giustamente, non le perdona una lettura pressoché 
                  "mussoliniana" di Nietzsche. Ma Leda fu pura d'animo, 
                  votata alla causa degli oppressi disinteressatamente e intelligente 
                   alcune sue pagine sulla natura della prima guerra mondiale 
                  sono belle e acute. E, se può pentirsi di aver nutrito 
                  speranze nel Mussolini politico, non ha nulla da rimproverarsi 
                  per la diffidenza che le ha sempre indotto il Mussolini persona.
 Petacco potrebbe sostenere che Leda racconta balle e che Mussolini 
                  dice il vero. Che quando Mussolini le scrive alludendo ad intimità 
                  pregresse lo fa a ragion veduta. Leda, tuttavia, non avrebbe 
                  alcun motivo per dire bugie. Scrive dopo la guerra e si riferisce 
                  ad un Mussolini socialista, pre-interventista. Pur da anarchica 
                  avrebbe ben poco di cui doversi vergognare. Senza contare il 
                  fatto, non di poco conto, che è lei stessa ad esibire 
                  le lettere  che volendo, avrebbero potuto essere qualcuna 
                  in meno. Che Mussolini, invece, fosse pieno di sé, cialtrone 
                  e bugiardo, è ampiamente documentato dalla storia che 
                  conosciamo e di cui è stato imputato. Perché ritenerlo 
                  integro e sincero prima che questa storia abbia inizio? La matrice 
                  di quell'insieme di patologie comportamentali cui diamo il nome 
                  di psicologia del dittatore si costituisce ben prima del potere 
                  raggiunto ed a prescindere dal fatto che lo si raggiunga o meno.
 Dunque, in mancanza di una documentazione più convincente, 
                  per me, Leda Rafanelli non è stata affatto "una 
                  delle amanti" di Mussolini. È stato, piuttosto, 
                  Mussolini "uno dei tanti" che a Leda hanno cercato 
                  di rovinare la vita.
  Felice Accame
 P.S.: Nello stesso 1913, Gabriele D'Annunzio scrive la Leda 
                  senza cigno. Racconta di una poveretta costretta al suicidio 
                  da un sordido individuo. Così come va rilevata la casualità 
                  dell'accostamento, va rilevato come Leda Rafanelli  che 
                  dal "cigno" ha saputo ben guardarsi  è 
                  andata meglio.   |