| Le riforme della scuola in Italia si 
                  inseriscono in un quadro generale caratterizzato dal passaggio 
                  da un'economia di scala ad una della flessibilità, dalla 
                  terziarizzazione dei processi, dall'avvento massiccio delle 
                  nuove tecnologie, dalla globalizzazione dell'intera società, 
                  dall'emergere del concetto di qualità totale. Prioritario 
                  è divenuto il conseguimento dei risultati rispetto alla 
                  esecuzione formale delle procedure, e il decentramento amministrativo 
                  e produttivo è il modello più funzionale alla 
                  gestione di questi cambiamenti.Questi profondi mutamenti si sono resi necessari per garantire 
                  l'imporsi di un nuovo sistema mondiale che si regge sul valore 
                  prioritario della conoscenza e sul capitale intellettuale. La 
                  ricchezza infatti oggi è creata dalle conoscenze molto 
                  più che dai tradizionali elementi del lavoro fisico, 
                  perlomeno nella parte di mondo che continua ad imporre il proprio 
                  sistema al resto dell'umanità.
 In realtà viviamo oggi in uno stato di semi-cultura, 
                  di approssimazione, in un'illusione di sapere che ci impedisce 
                  di apprendere, in una parola in un'età dell'informazione 
                  tanto da farci avere l'illusione di sapere senza però 
                  permetterci di apprendere. È il consumo di informazioni 
                  che si impone sulla selezione delle stesse e sulla formazione 
                  di conoscenze che richiedono capacità che l'attuale dimensione 
                  e gestione del tempo culturale non permette.
 La conoscenza è il principale valore aggiunto della società 
                  postmoderna, postindustriale e il sapere è il prodotto 
                  principale che viene scambiato.
 Solo una minoranza possiede conoscenze mentre la gran massa 
                  sprofonda nell'accumulo di informazioni. Naturalmente questo 
                  crea una differenziazione profonda all'interno delle società 
                  tra chi consuma conoscenze (la stragrande maggioranza) e chi 
                  produce ed elabora saperi (una esigua minoranza).
 La conoscenza richiede sforzo, concentrazione e può offrire 
                  all'uomo le basi per una nuova cultura generale che sappia poi 
                  alimentarsi per tutta la vita e dare risposte continue e pone 
                  sistematicamente quesiti intorno ai temi e ai problemi che la 
                  scienza mette sul tappeto.
 
 
  Il lavoro cambia fisionomia
 Si scontrano dunque due dimensioni del tempo: quello della 
                  velocità proprio dell'economia globale e quello della 
                  lentezza proprio della conoscenza e dell'apprendimento, il tempo 
                  della cultura e dell'assimilazione profonda.La famiglia per prima ha spalancato la porta ai processi di 
                  globalizzazione poiché è divenuta il terminale 
                  dei mezzi di comunicazione di massa: radio, TV, telefono, internet 
                  ecc. Ciò ha prodotto un forte impatto nei processi di 
                  socializzazione e in quelli di apprendimento. Infatti i ragazzi 
                  sono ormai sempre più portatori di un'esperienza non 
                  diretta ma virtuale della realtà; consumano velocemente 
                  ogni esperienza prestando poca attenzione ai tempi più 
                  lenti necessari per l'approfondimento.
 Assistiamo, spesso impassibili ed impotenti, al diffondersi 
                  di una cultura fondata su una "razionalità formale" 
                  a scapito di una "razionalità sostanziale", 
                  nel senso che siamo razionali nella scelta dei mezzi mentre 
                  rispetto ai fini o ai fondamenti si lascia cadere il discorso. 
                  Insomma questo uomo nuovo a una dimensione (quella cognitiva) 
                  nasce a seguito di una formazione estesa che gli deriva da molteplici 
                  "input" trasmessi da scuola e altre agenzie che concorrono 
                  a determinare sempre più il valore sociale della conoscenza 
                  come consumo.
 Non è un caso che tutti i documenti dei principali organismi 
                  internazionali raccomandino una formazione che proceda in sintonia 
                  con le esigenze del mercato globale. Il passaggio ad un'economia 
                  postindustriale peraltro comporta nei paesi ricchi la sottolineatura 
                  del valore della qualità e dell'intensità dello 
                  sviluppo e alcuni concetti diventano assolutamente dirompenti 
                  con il recente passato. Parole e significati come flessibilità, 
                  autonomia, cultura dell'incertezza, interazione e partecipazione 
                  vengono assunti come nuovi elementi che caratterizzano l'organizzazione 
                  sociale del XXI secolo.
 La fisionomia del lavoro cambia radicalmente e conseguentemente 
                  anche l'intero sistema delle relazioni sociali viene mutato. 
                  Il lavoro si trasforma in senso più specialistico e ricco 
                  di conoscenze nei livelli più alti e al contempo esplode 
                  una enorme massa di nuovi lavori dequalificati, insicuri, interinali.
 Ciò determina un aumento delle disuguaglianze anche all'interno 
                  dei sistemi più sviluppati, creando una forbice sempre 
                  più ampia delle professionalità, tra una ristretta 
                  élite di "ingegneri della conoscenza" e una 
                  massa di persone di pur elevata conoscenza ma tagliata fuori 
                  dai veri processi decisionali.
 Insomma un sistema formativo che si fonda su una cultura frammentaria, 
                  provvisoria, tesa a pensare solo alla quotidianità e 
                  di fatto a negare la progettualità.
 I sistemi scolastici delle società postindustriali si 
                  reggono su un modello formativo integrato: non è più 
                  solo la scuola il centro dell'erogazione delle conoscenze ma 
                  l'intero sistema socioeconomico.
 Questo determina l'incidenza massiccia, all'interno dei singoli 
                  percorsi formativi, della cultura industriale e la conseguente 
                  invadenza di modelli organizzativi e formativi mutuati dall'impresa 
                  sia essa materiale che immateriale.
 In questo quadro assume un ruolo determinante, e funzionale 
                  alla logica dominante, la formazione continua e ricorrente, 
                  nonché l'estensione e il prolungamento dell'età 
                  della formazione. Quelle che sono state mete ambite e perseguite 
                  con forza e tenacia dalle forze più progressiste del 
                  ventesimo secolo, sono diventate realtà dalle quali non 
                  può più prescindere una società come la 
                  nostra.
 
 
  La politica del centro-sinistra
 Dentro questa cornice generale, ancora contraddittoria come 
                  è tipico nelle epoche di transizione, ma chiara negli 
                  intenti delle nuove forme di potere, si è sviluppata 
                  anche la politica dei governi italiani degli ultimi anni, senza 
                  sostanziali differenze di fondo tra destra e sinistra.Gli ultimi principali provvedimenti, che hanno stretta attinenza 
                  o riguardano esplicitamente la formazione e la scuola, dei governi 
                  Prodi, D'Alema e Amato, si riferiscono al "Patto sociale 
                  per lo sviluppo e l'occupazione" (1998), in particolare 
                  le parti che riguardano le funzioni del sistema integrato di 
                  istruzione, la formazione e la ricerca, all'attuazione dal 1° 
                  settembre del 2000 dell'autonomia scolastica, alla istituzione 
                  del servizio nazionale di valutazione e alla legge di riordino 
                  dei cicli.
 Tra tutti questi temi e provvedimenti, unitamente ai regolamenti, 
                  norme, leggi correlate, quello che costituisce il nucleo centrale 
                  attorno al quale tutto ruota è senza dubbio quello dell'attuazione 
                  della cosiddetta "autonomia scolastica". È 
                  questo un tema che non può non attirare l'attenzione 
                  e l'interesse soprattutto per dei libertari, ma al contempo 
                  non può che insospettire come sia possibile coniugare 
                  la logica dello Stato e quella dell'autonomia.
 Per ragionare su questo tema, dopo la premessa che lo inquadra 
                  in una logica generale, occorre riflettere anche su quello che 
                  è stato il senso più vero della politica italiana 
                  dei governi di centrosinistra rispetto alla scuola ed evidenziare 
                  come queste scelte siano in sintonia con l'evoluzione del sistema 
                  internazionale.
 Innanzitutto una scelta decisa a favore di una formazione tecnico-professionale 
                  e scientifica (idea di abolire il liceo; riordino della formazione 
                  professionale; accentuazione del carattere cognitivo dei curricoli; 
                  formazione integrata tra scuole ed industrie e innalzamento 
                  dell'obbligo di formazione fino a diciotto anni; sviluppo delle 
                  tecnologie multimediali; riforma dell'Università e istituzione 
                  delle lauree brevi; ecc.) con prevalente indirizzo economicistico; 
                  spostamento dei luoghi e dei tempi della conflittualità 
                  sindacale: dal centro alla periferia (vedi elezioni R.S.U.) 
                  in modo da garantire generalmente la pace sociale e aprire a 
                  livello locale tante piccole zone di micro-conflittualità 
                  con lo scopo di recuperare il consenso perduto dai sindacati 
                  di stato; regionalizzazione delle politiche scolastiche e spostamento 
                  delle scelte di "razionalizzazione" a livello locale 
                  con conseguente controllo diffuso della formazione e della educazione; 
                  agganciamento della logica economica alla scuola nel suo insieme 
                  e intervento massiccio di politiche scolastiche mutuate dal 
                  modello confindustriale; parziale e contraddittoria uguaglianza 
                  con le scuole private (leggi cattoliche).
 I governi sono stati impegnati, e lo sono tuttora, nell'azione 
                  di allineamento della scuola italiana agli standard richiesti 
                  dal processo di globalizzazione e dal conseguente avvento dell'era 
                  dell'accesso e del potere del capitale intellettuale.
 In questa logica rientrano anche i provvedimenti che hanno portato, 
                  con il 1° settembre del 2000, all'attuazione della "autonomia 
                  scolastica" che in realtà è, a mio parere, 
                  nient'altro che un decentramento di funzioni e di organizzazione 
                  funzionale allo sviluppo della società dell'accesso e 
                  allo sviluppo della globalizzazione dei mercati, nonché 
                  alla diffusione del pensiero unico.
 Non si tratta dunque di vera autonomia ma di riorganizzazione 
                  funzionale del sistema. Che non si tratti di autonomia è 
                  evidente poiché non si può pensare ad una società 
                  (o a una scuola) autonoma senza che i singoli individui siano 
                  dotati di autonomia e senza coniugare l'autonomia individuale 
                  con quella collettiva.
 Autonomia significa etimologicamente dare a se stessi la propria 
                  legge. In pratica l'autonomia implica un processo di esplicita 
                  autoistituzione, vale a dire la possibilità reale di 
                  autogiudicarsi e autogovernarsi.
 
 
  Autonomia? Ma mi faccia il piacere
 Ora pare evidente che la sbandierata autonomia scolastica nulla 
                  ha a che vedere con l'autonomia reale, ma sembra, al pari del 
                  federalismo di Stato, la riproduzione di piccole e nuove istituzioni 
                  promanazione di una forma diversa e più efficiente di 
                  Stato padrone.Non solo vi è la riproduzione a livello locale dello 
                  schema gerarchico classico ma non vi è alcun vero ed 
                  effettivo avvio di comunità educante, nessun vero e significativo 
                  progetto educativo che tenda alla libertà, nessuna offerta 
                  reale di auto-formazione ma solo un maquillage di facciata dentro 
                  il quale convivono numerose ed interessanti tensioni ideali 
                  destinate presto a scontrarsi con la realtà della legge 
                  del mercato globalizzato.
 Che si tratti di un'operazione resasi necessaria per mettere 
                  al passo con i tempi (quelli del nuovo potere) la scuola italiana 
                  lo dimostrano nella pratica i singoli provvedimenti che l'hanno 
                  accompagnata. Con l'avvio di questo anno scolastico, il primo 
                  dell'autonomia, abbiamo avuto una decurtazione di oltre il 60% 
                  delle risorse che lo Stato ha erogato lo scorso anno alle singole 
                  scuole (anno di sperimentazione dell'autonomia). È questo 
                  un dato emblematico che la dice lunga sulle reali intenzioni 
                  di finanziare, da parte dello Stato, veri percorsi di diversità 
                  e di libertà di sperimentazione, che dovrebbero essere 
                  propri di una scuola autonoma e pubblica. In queste condizioni 
                  non vi è la possibilità di costituire esperienze 
                  diversificate e autonome poiché la direttiva impartita 
                  è quella di cercare tra i privati i finanziamenti necessari 
                  per attuare quel 15% del curricolo che è concesso normativamente 
                  di variare e adeguare alle esigenze del contesto sociale e culturale 
                  nel quale insiste la singola scuola.
 Mai come in questi ultimi anni sono state emanate da parte del 
                  Ministero della Pubblica Istruzione una quantità enorme 
                  di circolari, direttive, ecc.; mai come ultimamente, soprattutto 
                  con il ministro Berlinguer, è stato fatto uso sfrenato 
                  di vere e proprie "circolari pedagogiche" che "danno 
                  la linea" erodendo alla base ogni possibilità di 
                  libertà e di autonomia didattica.
 La vera autonomia nasce da un progetto, da un'idea, dal basso, 
                  con lo scopo di offrire ad ogni individuo la possibilità 
                  concreta e reale di affermare liberamente e compiutamente lo 
                  sviluppo integrale della propria personalità. Questa 
                  invece si configura più come una sorta di piano di decentramento 
                  che non è assolutamente creativo ma piuttosto esecutivo, 
                  più come la costruzione di un sistema diffuso dal centro 
                  alla periferia.
 
 
  Spazi di allargamento
 Tutto ciò che negli anni passati organizzazioni di insegnanti 
                  e genitori hanno prodotto in termini di vera innovazione strutturale 
                  e di contenuti, di metodi e di progetti, viene ora sistemato 
                  dentro una cornice di "legalità e normalità" 
                  proprio perché lo Stato attribuisce alla scuola il ruolo 
                  di formazione di massa e di compensazione delle contraddizioni 
                  che la società schizofrenica, della competizione esasperata 
                  e delle famiglie allo sbando, non riesce a risolvere, e che, 
                  al contrario, accentua sempre più l'area del disagio 
                  giovanile.La riorganizzazione della scuola è diventata quindi la 
                  questione centrale per garantire il passaggio da una società 
                  nazionale ad una globalizzata. Ecco perché anche le proteste 
                  degli insegnanti, se non riescono a cogliere queste tematiche, 
                  rischiano di diventare, anche nelle migliori espressioni, solo 
                  ed unicamente delle rimostranze corporative proprie del declino 
                  del ruolo tradizionale. Certamente in questo momento si aprono 
                  anche spazi di allargamento e di ampliamento dei margini di 
                  agibilità che vanno colti ed intensificati, portati all'estremo, 
                  per favorire quanto più è possibile la crescita 
                  autonoma e libera dei giovani che vivono ormai gran parte della 
                  loro vita all'interno dell'istituzione scolastica.
 Nel predicare l'autonomia e la libertà bisogna innanzitutto 
                  essere coerenti e quindi favorire il dispiegarsi di questi valori 
                  tramite un comportamento conseguente e coerente con i ragazzi 
                  e le ragazze, con i genitori e i colleghi, in modo da liberare 
                  e scoprire quante più energie libertarie possibili.
  Francesco Codello
 
 
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