| Com'è nata l'idea del libro? Per rispondere a questa domanda non posso fare a meno di risalire 
                  ad alcuni  quattro o cinque  anni fa. Spinta dai 
                  miei ormai più che ventennali interessi per l'anarchismo 
                  e da una viva passione per l'arte, iniziai una ricerca sui rapporti 
                  tra anarchismo e pittori impressionisti. M'imbattei nelle bellissime 
                  lettere di Camille Pissarro al figlio Lucien, che non solo costituiscono 
                  un'eccezionale testimonianza dell'epoca, ma permettono anche 
                  di cogliere, per così dire, di prima mano, il complesso 
                  approccio di un artista di orientamento libertario alla problematica 
                  estetica. Le lettere di Camille Pissarro, la ricerca che conducevo, 
                  la situazione particolare in cui vivevo, m'indussero ad approfondire 
                  una tematica che da tempo mi stava a cuore, a riflettere cioè 
                  sull'estetica dei teorici "classici" dell'anarchismo, 
                  e sulle reazioni degli artisti di orientamento libertario ad 
                  una concezione dell'arte che ne privilegiava sostanzialmente 
                  la funzione sociale e morale. Volevo tentare di dare una risposta 
                  alla questione se e come fosse possibile conciliare, per esempio, 
                  il rifiuto di molti artisti di assoggettare la propria espressività 
                  a schemi ideali precostituiti con la convinzione che l'ideologia 
                  anarchica in qualche modo influenzasse le loro opere.  Come potresti definire il rapporto tra arte e pensiero libertario? L'esame degli scritti consacrati all'arte da parte dei teorici 
                  classici dell'anarchismo, unita alle riflessioni di quegli artisti 
                  e quelle correnti che esplicitamente si ispirano a idee libertarie, 
                  non solo mette in evidenza un nesso tra arte e utopia, arte 
                  e senso della vita, ma spesso suggerisce convergenze tra produzione 
                  artistica e ideali libertari. Ne esce la convinzione che l'arte 
                  sottenda sollecitazioni al mutamento, sia a livello individuale 
                  sia a livello sociale, che abbia una funzione formativa e quindi 
                  morale, in quanto propone ideali di libertà, di autonomia, 
                  in grado di sottrarre gli individui alle forze negative dell'autoritarismo 
                  politico e culturale. Riguardo a Picasso, per esempio, non temi che la definizione 
                  di anarchico sia azzardata? È noto come il Cubismo abbia rivoluzionato la pittura 
                  occidentale e come in questo ambito Picasso abbia svolto un 
                  ruolo di primo piano. Alcuni critici sostengono che i dipinti 
                  del periodo compreso tra il 1912 e il 1914, in cui il pittore 
                  utilizza ritagli di giornali d'impostazione anarchica, rappresentino 
                  indizi di una concezione del mondo ispirata a ideali libertari. 
                  Questi ultimi erano del resto diffusi negli ambienti artistici 
                  che Picasso frequentava prima a Barcellona e successivamente 
                  a Parigi, praticati principalmente da simbolisti di orientamento 
                  anarchico. A ciò si aggiunge il rilievo dato nelle sue 
                  opere alla componente sessuale, che potrebbe essere interpretato 
                  come una manifestazione della fede anarchica nel potere dell'istinto. 
                  A mio parere, deve essere usata una certa cautela nel sostenere 
                  un coinvolgimento ideologico di Picasso in senso anarchico, 
                  anche se alcune sue affermazioni, quali il non avere mai usato 
                  la pittura come uno strumento di pura distrazione, ma come mezzo 
                  per approfondire la conoscenza di sé e degli altri, l'avere 
                  sempre lottato con la sua opera artistica da "vero rivoluzionario", 
                  l'aver rotto, sia per la natura dei materiali pittorici sia 
                  per i nuovi procedimenti compositivi, con le convenzioni del 
                  passato..., lo collochino all'interno di una visione del mondo 
                  vicina agli ideali libertari.  Può essere interessante anche il caso dei simbolisti, 
                  criticati dagli anarchici tanto da un punto di vista formale 
                  quanto da un punto di vista contenutistico. Prima di tutto ritengo che sia estremamente difficile trovare 
                  una definizione di "arte libertaria". Credo che la 
                  risposta data da Camille Pissarro a questa domanda sia la più 
                  soddisfacente, e cioè che ogni arte è anarchica, 
                  se è vera arte. Penso comunque che l'espressività 
                  dell'artista non debba sottostare a imposizioni o a vincoli 
                  esterni, che il contenuto e la struttura stilistica non veicolino 
                  di per sé ideali a carattere rivoluzionario. Così 
                  come ho cercato di spiegare nel mio libro, si tratta di vedere 
                  se questo o quel movimento artistico, questo o quel pittore, 
                  riesca a coniugare la propria ricerca artistica con una dimensione 
                  emozionale e spirituale del reale connotata in senso libertario. 
                  Per quanto concerne il Simbolismo in particolare, non bisogna 
                  dimenticare che si tratta di un movimento estremamente vasto 
                  e composito, che investe sia le arti visive sia la letteratura. 
                  Esso si sviluppa non solo in Europa, ma anche nelle due Americhe, 
                  in un periodo situato tra la fine del XIX e l'inizio del XX 
                  secolo, nel quale gli sviluppi scientifici, psicanalitici, filosofici, 
                  estetici..., inducono a rifiutare gli schemi positivistici, 
                  a un ripensamento dell'arte, della nozione di spazio, di tempo 
                  e dell'esistente in generale. I simbolisti partecipano in prima 
                  persona a questa rivoluzione. Alcuni cercano di esprimere attraverso 
                  la loro produzione artistica aspetti psicologici irrazionali 
                  e inconsci della psiche individuale e collettiva, che testimoniano 
                  una propensione per il mistero, per l'inquietudine, altri si 
                  orientano verso una ricerca di forme primarie fino ad allora 
                  sconosciute. Nonostante le critiche da parte degli anarchici 
                  all'impostazione sostanzialmente idealistica delle opere simboliste 
                  - che accusano sovente di esoterismo, di misticismo -, non pochi 
                  fra i simbolisti si professano anarchici o per lo meno collegano 
                  il loro individualismo, la loro ripugnanza nei confronti degli 
                  ideali borghesi, alla concezione del mondo libertaria. Ci sono correnti o artisti che avresti potuto aggiungere 
                  al libro? Certamente. Avrei potuto parlare, ad esempio, del Modernismo, 
                  del Fauvismo, della Die Bruecke, della Nuova Oggettività, 
                  del Movimento dell'Arte nucleare, del Cobra..., ovvero di artisti 
                  come Kees Van Dongen, Piet Mondrian, Jean Dubuffet, Enrico Baj 
                  e altri. Spero che l'editore mi offra la possibilità 
                  di farlo in un secondo volume... Ma... esiste un'arte d'avanguardia non libertaria? Sono convinta che nell'attività artistica sia sempre 
                  immanente una tensione libertaria, portatrice di stimoli creativi 
                  capaci di porre freno ai processi di massificazione in corso. 
                  Credo quindi che l'arte cosiddetta d'avanguardia possa essere 
                  definita "non libertaria" se non suggerisce una diversa 
                  concezione del mondo, dell'individuo; se non è portatrice 
                  di una tensione verso il mutamento; se non incalza ad un affrancamento 
                  da un ormai radicato bisogno di dipendenza, che sottrae agli 
                  individui la volontà di autonomia. In questo caso, in 
                  che senso si potrebbe parlare di "arte libertaria"? Come vedi invece l'arte contemporanea? Stando agli specialisti, la definizione di arte "contemporanea" 
                  appare alquanto ardua. Forse la si può definire in questo 
                  modo allorché, tenendo conto delle ultime conquiste della 
                  modernità, appare in grado di scoprire nuovi campi creativi, 
                  di rinnovare all'estremo le possibilità espressive. Risulta 
                  tuttavia evidente che l'arte "contemporanea" è 
                  di moda. Ne discende una maggiore difficoltà nello sfuggire 
                  alle costrizioni del mercato, per l'abilità di quest'ultimo 
                  nell'appropriarsene e quindi nel condizionarla.   intervista a cura di Maria Mesch
  Eva Civolani
   
                   
                    | Eva 
                      Civolani si è laureata presso la Facoltà di 
                      Lettere e Filosofia dell'Università di Bologna. Ha 
                      svolto attività di ricerca e di insegnamento presso 
                      le Università di Torino e di Milano (cui tuttora 
                      collabora). È autrice di L'anarchismo dopo la 
                      Comune. I casi italiano e spagnolo (Angeli, 1981). Ha 
                      pubblicato saggi ed articoli su Movimento operaio e socialista, 
                      su Annali della Fondazione Luigi Einaudi, su Il 
                      movimento Operaio Italiano. Dizionario biografico, 1853-1943 
                      (a cura di F. Andreucci e T. Detti), su Passato e Presente, 
                      ecc. Ha curato per Elèuthera, con Antonietta Gabellini, 
                      una raccolta di scritti di Camille Pissarro, (Mio 
                      caro Lucien, Milano, 1998). |  |