| In genere si usa la locuzione "crisi dellanarchismo" 
                  per indicare da un lato il processo di marginalizzazione politica 
                  delle istanze anarchiche che ha avuto luogo, con tempi e modalità 
                  diverse, nei primi decenni del secolo in Italia, Francia, Stati 
                  Uniti, Spagna, e così via, e dallaltro i tentativi di 
                  ripensare - di "revisionare", si diceva allepoca 
                  - i capisaldi del pensiero anarchico nello sforzo di restituirgli 
                  pregnanza e capacità di incidere sulla vita politica 
                  e intellettuale. Alcuni di questi "revisionismi" giungevano, 
                  sullonda del successo bolscevico o sulla spinta dello scetticismo 
                  nei progetti di rivoluzione popolare, sino alla proposta di 
                  adottare metodi e fini autoritari. Altri pensatori si concentrarono 
                  invece su una sorta di rielaborazione interna, di riflessione 
                  e di ricatalogazione: nel 1924 Malatesta di dissociava da ogni 
                  revisionismo autoritario spiegando che, lungi dal "voler 
                  rinunziare, in pratica, se non in teoria, alle nostre concezioni 
                  rigorosamente anarchiche", il suo scopo era semplicemente 
                  quello di concentrarsi sullo "sviluppo delle idee" 
                  e sulla "loro applicazione alle contingenze attuali". 
                  Il più giovane ed entusiasta Berneri dichiarava invece 
                  di non temere (in un articolo restato però inedito) "quella 
                  parola revisionismo che ci viene gettata contro dalla scandalizzata 
                  ortodossia, ché il verbo dei maestri è da conoscersi 
                  e da intendersi".Molti i protagonisti di questo percorso e molte le differenti 
                  strategie approntate in tale frangente: da Nettlau a Rocker, 
                  da Labadie alla De Cleyre, da Armand allo stesso Berneri. Il 
                  principale punto di riferimento di questo processo mi sembra 
                  però essere proprio il Malatesta degli anni venti, che, 
                  prima dalle pagine di Umanità nova e di Pensiero 
                  e Volontà, poi da quelle della stampa libertaria che 
                  agiva allestero, rilanciò unarticolata riflessione 
                  sulla natura e gli scopi dellanarchismo. Questa si svolse lungo 
                  tre direttrici. Gli esiti totalitari del bolscevismo, di cui 
                  Malatesta fu uno dei primi a prendere atto, gli suggerirono 
                  che nella meccanica rivoluzionaria incentrata sul "terrore" 
                  si trovava un raccordo tra violenza e dogmatismo irriconciliabile 
                  con la concezione anarchica della libertà; la marginalizzazione 
                  apparentemente irreversibile degli anarchici lo condusse a pensare 
                  la transizione rivoluzionaria in termini nuovi, più come 
                  prodromo alla società libera che come compimento definitivo 
                  di un processo storico inevitabile; infine, questi due elementi 
                  lo portarono a una nuova concettualizzazione del comunismo, 
                  non come sbocco economico obbligato del raggiungimento dellanarchia, 
                  ma come scelta volontaria allinterno di una pluralità 
                  di opzioni, concetto questo che veniva allepoca espresso con 
                  il termine libera sperimentazione. Ciò che Malatesta 
                  aveva compreso, sulla spinta delle nuove esperienze suggerite 
                  dalla rivoluzione bolscevica, era che limposizione generalizzata 
                  della soluzione comunista avrebbe di per sé implicato 
                  la negazione del principio di libertà che era fondamento 
                  del pensiero anarchico; al contrario, la libera sperimentazione 
                  - ovvero la possibilità per ognuno di sperimentare ogni 
                  sistema economico concepibile - avrebbe forse condotto anchessa 
                  alla vittoria del comunismo libertario, ma configurandola come 
                  frutto di unevoluzione libera e spontanea.
 	 Grande 	lucidità  	Le riflessioni di Malatesta costituirono per 
                  molti un nuovo quadro concettuale entro cui risituare i valori 
                  centrali dellanarchismo. Alcuni, anticipando le tendenze del 
                  dopoguerra, non solo sottoposero a critica le interpretazioni 
                  più usuali dei problemi dibattuti da Malatesta, ma si 
                  lasciarono alle spalle anche i presupposti culturali più 
                  consolidati nella tradizione sino a quel momento: la centralità 
                  operaia, lo sbocco insurrezionale, la concezione classista della 
                  storia, e così via (legoista Armand, lanarco-liberale 
                  Berneri, persino lex anarco-sindacalista Rocker, e altri ancora). 
                  Tuttavia credo che il tragitto più significativo verso 
                  il concetto di libera sperimentazione sia stato compiuto da 
                  chi restò fedele sino in fondo agli ideali del comunismo 
                  libertario. Per costoro prendere atto della necessità 
                  di unorganizzazione economica pluralistica della società 
                  significava rinunciare a una delle loro credenze centrali, a 
                  uno dei loro presupposti di vita. Insieme a Malatesta, il più 
                  rappresentativo esponente di questa tendenza è stato 
                  Luigi Fabbri, nella cui riflessione si coglie il senso di uno 
                  strappo doloroso, di uno straziante travaglio intellettuale, 
                  insomma, potremmo dire, di uno scontro formidabile tra cuore 
                  e cervello.Fabbri era tuttaltro che uno spirito ortodosso, anche se 
                  era privo della verve iconoclasta di un Merlino o di un Berneri. 
                  Tuttavia le sue analisi erano contraddistinte da grande lucidità 
                  e da grande capacità di penetrazione. Si pensi alla sua 
                  analisi del terrorismo bombarolo, di recente pubblicata in italiano 
                  con il titolo Influenze borghesi sullanarchismo. Identificando 
                  nellethos borghese una delle matrici del (cosiddetto) 
                  individualismo anarchico, Fabbri ne scorgeva già nel 
                  1906 la contraddizione con lanarchismo: "Secondo me gli 
                  anarchici che danno unimportanza soverchia ai fatti di rivolta, 
                  sono forse dei rivoluzionari e degli anarchici, - ma sono molto 
                  più rivoluzionari che anarchici. Quanti anarchici ho 
                  conosciuto, che si curano poco o nulla dellidea anarchica, 
                  e magari non si curano neppur di capirla; ma sono ardenti rivoluzionari 
                  e la loro critica e la loro propaganda è rivolta solo 
                  al fine rivoluzionario della ribellione per la ribellione!"
 Come tanti altri, per Fabbri il vero punto di svolta fu 
                  costituito dalla rivoluzione sovietica. Nel suo Dittatura 
                  e rivoluzione la disamina del totalitarismo bolscevico comincia 
                  ad assumere i tratti di una critica più generale non 
                  solo del marxismo (cosa, ovviamente, tuttaltro che rara tra 
                  gli anarchici), ma anche dei presupposti culturali del materialismo 
                  storico (la centralità della lotta di classe, il verticismo 
                  rivoluzionario, e così via). Già nel libro Fabbri 
                  teneva presente lapproccio sperimentalista al problema della 
                  transizione, accennando allantipatia bolscevica per la "libera 
                  iniziativa" propugnata dagli anarchici e affermando che 
                  tra i principi più importanti da proteggere vi era quello 
                  per cui "gli uni non debbano per forza subire una forma 
                  di organizzazione imposta dagli altri". Tuttavia la prospettiva 
                  di Dittatura e rivoluzione era indiscutibilmente comunista, 
                  nel senso che era dato per scontato che questo sarebbe stato 
                  lesito - giusto e giustificato - della rivoluzione: "tutti 
                  sanno", scrisse Fabbri, "che gli anarchici sono, sul 
                  terreno economico, comunisti".
 Gli anni venti, con la progressiva affermazione delle ideologie 
                  totalitarie in Russia e Italia, quasi costrinsero Fabbri ad 
                  affinare sempre più la propria prospettiva, abbandonando 
                  in particolare limpostazione rigidamente classista della sua 
                  analisi. Nel 1922 pubblicò La controrivoluzione preventiva, 
                  che Renzo De Felice ha potuto permettersi di citare, non del 
                  tutto a sproposito, come esempio classico della lettura marxista 
                  del fascismo. Ancora nel 1924 entrò in polemica con Malatesta, 
                  difendendo in qualche modo la positività storica dellesperimento 
                  sovietico, pur enucleandone, nel contempo, la natura totalitaria: 
                  "La rivoluzione russa resta, malgrado tutto, ai nostri 
                  occhi il fatto storico più grande ed ancora più 
                  promettente per lavvenire di questi ultimi cinquantanni". 
                  In questo periodo lapologia della libera sperimentazione cominciò 
                  a configurarsi come uno dei metodi per confutare le pretese 
                  autoritarie dei bolscevichi, fermo restando però il "punto 
                  di vista sociale e comunista" (insieme al mito dellaumento 
                  della "produzione"): "Gli anarchici non hanno, 
                  sul modo migliore di gestire materialmente e tecnicamente la 
                  produzione", scrisse nella sua replica al noto libello 
                  antianarchico di Bucharin, "alcun preconcetto né 
                  apriorismo assoluto, e si rimettono a ciò che lesperienza, 
                  in seno a una società libera consiglierà e a ciò 
                  che le circostanze imporranno. Limportante è che, qualunque 
                  sia il tipo di produzione adottato, lo sia per libera volontà 
                  dei medesimi, e non sia possibile la sua imposizione, né 
                  alcuna forma di sfruttamento del lavoro altrui. [
] Né 
                  gli anarchici escludono a priori alcuna soluzione pratica; e 
                  ammettono che vi possano essere anche varie soluzioni diverse 
                  e contemporanee, in seguito allesperimentazione delle quali 
                  i lavoratori potran trovare con cognizione di causa la via migliore 
                  per produrre sempre meglio e di più".
 Dopo il successo fascista e la scelta dellesilio, lanalisi 
                  del totalitarismo di Fabbri assunse fattezze più decise, 
                  mentre la sua concezione della libera sperimentazione si fece 
                  più positiva. Nel 1926 scrisse un articolo per una rivista 
                  russa che restò inedito. Qui negava che nella teoria 
                  anarchica si prevedesse limposizione della "espropriazione 
                  comunista ai piccoli proprietari" e spiegava che, sebbene 
                  il programma dellUnione anarchica italiana del 1920 proclamasse 
                  l"abolizione della proprietà privata della terra", 
                  il documento "affermava implicitamente la tolleranza verso 
                  la piccola proprietà non sfruttante il lavoro salariato, 
                  rivendicando la libertà dei produttori di non far parte 
                  delle associazioni di produzione".
 	 Esigenza 	irrinunciabile  	Nella sua recensione al Socialisme liberal 
                  di Carlo Rosselli troviamo altri segni di un mutamento di prospettiva. 
                  Per esempio, un minore rispetto nei confronti dei classici 
                  (Bakunin era "sotto molti aspetti teoricamente più 
                  marxista che non si creda") e un più accentuato 
                  sospetto nei confronti della vulgata anarchica (Rosselli e Malatesta 
                  uniti in una "reazione volontarista, contro il fatalismo 
                  determinista così comune ai socialisti ed anarchici e 
                  derivante in gran parte dal marxismo"). Sorprendente anche 
                  il suo commento alla definizione rosselliana di "liberalismo": 
                  "sarebbe in sostanza lanarchia, nel senso socialistico 
                  della parola, comera intesa in seno alla 1a Internazionale; 
                  a meno che non si cada in equivoco sul significato della parola 
                  libertà e non ci si arresti allinterpretazione puramente 
                  borghese di una libertà per tutti in astratto, ma nei 
                  fatti concreti di una libertà di classe. Ma questo 
                  non dovrebbe essere il caso di Rosselli che si dice socialista; 
                  e tutta la nostra critica o quasi consisterebbe allora in quella 
                  al nome scelto, che si presta ad equivoci". Insomma, negli 
                  scritti di Fabbri compresi tra la fine degli anni venti e linizio 
                  degli anni trenta si registra un peso nuovo dato non alla libertà 
                  in sé, ma alla libertà intesa in senso volontaristico, 
                  intesa come elemento costitutivo della società libera 
                  nella sua interezza. Da qui il nuovo atteggiamento nei confronti 
                  dellesito comunistico, considerato, se applicato integralmente 
                  e dogmaticamente, più un ostacolo che un contributo. 
                  La sua interpretazione di Malatesta è più che 
                  significativa in questo senso: "Nello stesso campo anarchico 
                  il comunismo di Malatesta si differenziava alquanto da quello 
                  di molti suoi compagni. La differenza forse non è molto 
                  visibile, trattandosi più che altro di tendenze nei più 
                  poco pronunciate, quasi subcoscienti, di diversità di 
                  misura nella propaganda, di atteggiamenti mentali subordinati 
                  e, nei punti di partenza, di sfumature. Ma la differenza cera; 
                  e se in principio poté passare inosservata, col tempo 
                  acquistò una certa consistenza. Tale differenza era determinata 
                  soprattutto dal senso relativista con cui Malatesta accettava 
                  il comunismo, mentre altri lo predicavano nel senso più 
                  assoluto. Mentre per moltissimi anarchici il comunismo divenne 
                  a poco a poco quasi un articolo di fede, fuori dal quale essi 
                  non concepivano alcuna anarchia possibile, Malatesta non cadde 
                  mai in quella specie di dogmatismo".A mio parere la riflessione di Fabbri giunse a un punto 
                  fermo con il saggio "Libera sperimentazione", apparso 
                  su Studi sociali nel gennaio 1935. Molti elementi del 
                  suo discorso impliciti negli scritti precedenti divennero espliciti. 
                  Molta carne viene messa al fuoco: lammissione che il dogmatismo 
                  anarchico costituisce una "tendenza mentale al totalitarismo"; 
                  lo stretto legame istituito tra la piena maturazione del concetto 
                  della sperimentazione integrale e lesperienza totalitaria; 
                  la percezione dellevoluzione in senso totalitario del mondo 
                  capitalista; e altro ancora. Certo, la libera sperimentazione 
                  è intesa in senso malatestiano: da un lato come esigenza 
                  irrinunciabile, dallaltro come probabile prodromo della vittoria 
                  del comunismo libertario. Ma è significativo che Fabbri 
                  lasci lultima parola allesperienza concreta del confronto 
                  tra le diverse sperimentazioni economiche. Il comunismo ne uscirà 
                  vincitore, si spera; ma se così non fosse il risultato, 
                  in una società libera e sperimentale, concepita come 
                  quadro di una concorrenza tra differenti opzioni e sistemi, 
                  sarebbe comunque legittimo.
 La teorizzazione anarchica della libera sperimentazione 
                  è il culmine di una tendenza forse minoritaria, ma affascinante, 
                  del pensiero occidentale, che valorizza nel contempo lautonomia 
                  dellindividuo, considerato come essere razionale capace di 
                  scelta, e linterazione sociale, quadro dello sviluppo delle 
                  diverse opzioni immaginabili. Se ne possono cogliere echi e 
                  suggerimenti agli albori stessi della modernità. A cosaltro 
                  pensava John Milton, scrivendo, anche lui nel pieno di una rivoluzione, 
                  in favore di una tolleranza integrale in cui tutte le teorie 
                  fossero messe alla prova, se non a una "libera sperimentazione" 
                  religiosa? "E sebbene tutti i venti della dottrina siano 
                  lasciati liberi di agire sulla terra, se la verità è 
                  in campo noi facciamo male a metterci ad autorizzare o a proibire 
                  per sfiducia nella sua forza. Che essa e la falsità si 
                  affrontino: chi ha mai sentito che la verità, in uno 
                  scontro libero e aperto, abbia avuto la peggio? [...] Chi non 
                  sa che essa [...] non ha bisogno di politiche, di stratagemmi, 
                  di autorizzazioni, per vincere? Questi sono i provvedimenti 
                  e le difese che lerrore usa contro di lei: ma lasciatele invece 
                  spazio, e non legatela mentre dorme, perché allora essa 
                  non dice il vero [...], ma prende piuttosto mille forme, eccetto 
                  la sua, [...] fin quando è infine ridotta a quella sua 
                  vera. E tuttavia non è impossibile che essa abbia più 
                  di una forma".
  Pietro Adamo
 1. E. Malatesta, "Intorno al nostro 
                  anarchismo", Pensiero e volontà, 
                  1° aprile 1924, ora nel terzo volume degli Scritti, a 
                  cura del Movimento anarchico italiano, Carrara 1975, pp. 51-52; 
                  C. Berneri, "Per un programma dazione comunalista", 
                  1926 circa, ora in Pietrogrado 1917-Barcellona 1937, 
                  a cura di P.C. Masini e A. Storti, La Fiaccola, Ragusa 1990, 
                  p. 97.2. Oggi con il termine individualismo non si intende in 
                  genere indicare i fedeli allazione terroristica diretta, ma 
                  piuttosto gli esponenti di una scuola di pensiero fondata sullidea 
                  che ogni relazione sociale deve essere fondata "sullo scambio, 
                  il contratto o il dono" nellambito di una società 
                  di mercato libertaria, una tendenza che si è sviluppata 
                  soprattutto negli Stati Uniti (vedi per esempio D. Miller, Anarchism, 
                  Dent, London 1984, pp. 30-44, da cui è presa la citazione, 
                  p. 30). Mi ha sempre colpito il fatto che le idee economiche 
                  della stragrande maggioranza dei cosiddetti individualisti 
                  nellaccezione tanto diffusa in Europa tra la fine dellOttocento 
                  e linizio del Novecento fossero decisamente comuniste.
 3. L. Fabbri, Influenze borghesi sullanarchismo, 
                  Zero in condotta, Milano 1998, p. 35.
 4. L. Fabbri, Dittatura e rivoluzione, Edizioni lAntistato, 
                  Cesena 1971, pp. 53, 58, 197.
 5. R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, 
                  Laterza, Roma-Bari 1996, p. 171-174.
 6. L. Fabbri, "Lenin e lesperimento russo", Pensiero 
                  e volontà, 15 febbraio 1924, p. 3.
 7. L. Fabbri, Anarchia e comunismo "scientifico" 
                  (1922), in N. Bucharin, L. Fabbri, Anarchia e comunismo 
                  scientifico, Altamurgia editore, Ivrea 1973, p. 43.
 8. Si vedano in proposito G. Manfredonia, La lutte humaine, 
                  Edition du monde libertaire, Paris 1994, e L. Pezzica, "Luigi 
                  Fabbri e lanalisi del fascismo", Rivista storica dellanarchismo, 
                  n. 2, 1995, pp. 5-22.
 9. L. Fabbri, "I comunisti libertari e la terra 
                  ai contadini", manoscritto custodito allIstituto storico 
                  della resistenza di Firenze, con copia nellArchivio Berneri 
                  di Reggio Emilia. Colgo loccasione per segnalare un mio errore. 
                  Nel 1936 Berneri propose a Carlo Rosselli la pubblicazione dellarticolo 
                  di Fabbri (deceduto lanno precedente), consegnandogliene una 
                  copia. Nel mio "Il revisionismo di Camillo Berneri", 
                  Il presente e la storia, n. 53, 1998, pp. 105-129, ne 
                  ho assegnato la paternità allo stesso Berneri (si veda 
                  C. Berneri a C. Rosselli (primi mesi 1936), Epistolario 
                  inedito, vol. II, a cura di P. Feri e G. Di Lembo, Archivio 
                  Famiglia Berneri, Pistoia 1984, pp. 146-147).
 10. Studi sociali, 16 agosto 1931, p. 6. Riporto 
                  la definizione di Rosselli: "Nella sua più semplice 
                  espressione il liberalismo può definirsi come quella 
                  teoria politica che, partendo dal presupposto della libertà 
                  dello spirito umano, dichiara la libertà supremo fine, 
                  supremo mezzo, suprema regola della umana convivenza. Fine, 
                  in quanto si propone di conseguire un regime di vita associata 
                  che assicuri a tutti gli uomini la possibilità di un 
                  pieno svolgimento della loro personalità. Mezzo, in quanto 
                  reputa che questa libertà non possa essere elargita od 
                  imposta, ma debba conquistarsi con duro personale travaglio 
                  nel perpetuo fluire delle generazioni. Esso concepisce la libertà 
                  non come un dato di natura, ma come divenire, sviluppo. Non 
                  si nasce, ma si diventa liberi. E ci si conserva liberi solo 
                  mantenendo attiva e vigile la coscienza della propria autonomia 
                  e costantemente esercitando le proprie libertà", 
                  Socialismo liberale, Opere scelte di Carlo Rosselli, 
                  vol. I, a cura di J. Rosselli, Einaudi, Torino 1973, p. 435.
 11. L. Fabbri, Malatesta. Luomo e il pensiero, Edizioni 
                  RL, Napoli 1951, p. 109.
 12. J. Milton, Areopagitica (1644), citato in P. 
                  Adamo, La libertà dei santi. Fallibilismo e tolleranza 
                  nella Rivoluzione inglese, Angeli, Milano 1998, p. 249.
 Libera sperimentazione(1935)
 di Luigi Fabbri
 Lo sviluppo del pensiero e del movimento dellanarchismo, attraverso 
                  la sua incessante elaborazione e revisione, che in questi ultimi 
                  anni sè fatta sempre più pratica e aderente alla 
                  realtà sociale, ha messo in luce un equivoco una volta 
                  invisibile e trascurabile, quando gli avvenimenti non ne avevano 
                  ancora provocata la discussione, ma che oggi risalta evidente 
                  ed esige un radicale chiarimento per poter procedere con passo 
                  più spedito verso realizzazioni veramente anarchiche.Lanarchismo è sceso in campo contro il mondo autoritario 
                  e borghese, negandolo in pieno, totalmente, su tutti i campi 
                  delleconomia, della politica e della morale. Però vè 
                  una delle sue negazioni chè la sua caratteristica ed 
                  ha determinato, ormai è un secolo, ladozione del suo 
                  nome: la negazione dello Stato, cioè di ogni governo 
                  violento delluomo sulluomo. Ciò che soprattutto gli 
                  anarchici criticano nello Stato, subito dopo la sua formazione 
                  violenta e coercitiva, è la centralizzazione che rende 
                  da un lato più cieca e liberticida la violenza statale, 
                  e dallaltro lato si traduce in un sempre maggiore sperpero 
                  di energie e ricchezze sociali. Quindi, quando dal campo della 
                  negazione si passava a quello dellaffermazione, ciò 
                  che soprattutto gli anarchici affermarono fu liniziativa libera 
                  in tutti i campi, non escluso leconomico, e la sua organizzazione 
                  sempre più estesa sulla base della solidarietà 
                  e del mutuo accordo volontario.
 In ciò era logicamente implicita lesclusione di 
                  ogni assolutismo e totalitarismo in materia di organizzazione 
                  sociale ed economica. È ovvio che, quanto più 
                  si va dallindividuo ad aggruppamenti sociali più vasti, 
                  man mano che questi aggruppamenti si allargano e organizzano 
                  i loro rapporti su più vasta scala, linfinita molteplicità 
                  delle tendenze, attitudini, capacità, mentalità 
                  e bisogni umani determina una varietà sempre maggiore 
                  delle funzioni e dei modi e sistemi di esplicarle. allora ladozione 
                  di un qualsiasi sistema "unico" dorganizzazione sociale, 
                  politico, economico, od altro, per quanto perfetto lo si possa 
                  immaginare, si rende impossibile, o per lo meno inconciliabile 
                  con la libertà, cioè con la negazione dello Stato.
 Infatti, se un sistema unico può essere possibile, 
                  preferibile o indispensabile, sulla base del libero accordo, 
                  logicamente, o in aggruppamenti limitati, o in singole organizzazioni 
                  omogenee, appena lo si voglia estendere a territori più 
                  vasti o in una più larga cerchia di rapporti sociali, 
                  non potrebbe essere applicato che per forza e con lintervento 
                  dello Stato. Ed anche in questo caso, dal punto di vista dellutilità 
                  sociale, non solo ucciderebbe la libertà, ma risulterebbe 
                  più che mai deficiente ed antieconomico.
 Questi concetti erano in certo modo sottintesi fin dai primi 
                  tempi dellanarchismo. In Proudhon, in Bakunin negli scrittori 
                  libertari della Prima Internazionale, si cercherebbe invano 
                  alcunché di conciliabile con lidea di un sistema totalitario1 
                  .
 Benché, a quanto mi sembra, largomento non sia stato 
                  trattato fino ad ora esplicitamente e nei termini come si pone 
                  oggi, tutto lindirizzo del pensiero anarchico è stato 
                  sempre, fin da allora, in senso diametralmente opposto a qualsiasi 
                  soluzione totalitaria del problema sociale.
 Bakunin e i primi internazionalisti, infatti, respingevano 
                  il comunismo, preferivano dirsi socialisti ed accettavano il 
                  collettivismo, -benché nel senso preciso e strettamente 
                  economico della formula essi non fossero punto anticomunisti,- 
                  non soltanto per avversione al comunismo statale tedesco, ma 
                  anche perché vedevano nel comunismo un sistema troppo 
                  chiuso ed esclusivo (troppo "totalitario", diremmo 
                  ora). Nella loro concezione il collettivismo aveva un senso 
                  più largo, più simile a quello che oggi noi spieghiamo 
                  con la libera sperimentazione.
 Riccardo Mella dava ancora questo significato allanarchismo 
                  collettivista in un suo rapporto al Congresso Anarchico Internazionale 
                  che doveva tenersi nel 1900 a Parigi. E Max Nettlau nei suoi 
                  scritti storici ne dà la medesima interpretazione.
 	 Infiltrazione 	subcosciente  	Anche dopo che lanarchismo divenne comunista, 
                  dopo la fine della Prima Internazionale, esso non perdette la 
                  sua caratteristica, non diventò totalitario. La questione, 
                  ripeto, non fu esplicitamente posta sul tappeto. Pure una specie 
                  dinfiltrazione subcosciente in senso totalitario dopo di allora 
                  si andò insinuando fra gli anarchici a poco a poco, senza 
                  essere notata da nessuno, meno che da qualche scrittore individualista 
                  con la consueta esagerazione polemica.Sotto linfluenza di Kropotkin, più per la sua suggestione 
                  della sua superiorità scientifica e letteraria che per 
                  una intenzione determinata, il comunismo anarchico divenne nelle 
                  mentalità più dogmatiche dei suoi seguaci un sistema 
                  esclusivo, fuori dal quale essi non ammettevano possibile alcunaltra 
                  forma di vita anarchica.
 Vari fattori contribuirono a favorire tale tendenza difettosa. 
                  Anzitutto la necessità dellintransigenza rivoluzionaria, 
                  forzatamente totalitaria nella negazione della società 
                  capitalistica e statale, erroneamente applicata alle concezioni 
                  avveniristiche con lideare lorganizzazione futura della società 
                  come fatto totalitario anchesso, come sistema unico per la 
                  totalità dei rapporti sociali. Inoltre il dover opporre, 
                  nella propaganda, alla società attuale che si vuol distruggere 
                  unidea di come potrebbe essere una società senza governi 
                  e senza padroni, cosa naturale e imprescindibile, facilmente 
                  spingeva i più semplicisti, ad offrire od accettare come 
                  unica soluzione quella creduta migliore, nellillusione che 
                  allo scoppio della rivoluzione tutti potessero essere daccordo 
                  o disposti ad accettarla ed attuarla.
 Questultima illusione fu anche mantenuta per molto tempo 
                  dallinfluenza non indifferente esercitata un tempo sugli anarchici 
                  dal marxismo, che li spingeva a credere, fra laltro, che basti 
                  labbattimento del capitalismo e lespropriazione a determinare 
                  ladattamento di tutta o quasi la società a un dato tipo 
                  di nuova organizzazione economica su basi egualitarie. Con questa 
                  differenza che, mentre i marxisti contano assai per ottenere 
                  tale adattamento sulla coercizione statale, gli anarchici non 
                  possono contare che sulladesione volontaria.
 Ma questa tendenza mentale al totalitarismo, come ho già 
                  detto, era molto imprecisa ed inconscia, e tanto trascurabile 
                  da non farvisi caso. Essa persisteva quasi soltanto fra elementi 
                  dellanarchismo sindacalisteggiante, in cui di più si 
                  continuava a manifestarsi linfluenza delleconomicismo e totalitarismo 
                  marxista, malgrado che questo sia stato, già da più 
                  di trentanni, dimostrato erroneo dal punto di vista anarchico 
                  della critica esauriente di Merlino, Malatesta, Tcherkesoff, 
                  ecc. Forse senza la suggestione e lo stimolo in vario senso 
                  degli avvenimenti del dopo guerra, anche oggi la cosa non darebbe 
                  nellocchio e neppure noi vi faremmo tuttora soverchia attenzione.
 Ma questi avvenimenti, -in specie i fenomeni totalitari 
                  del bolscevismo, del fascismo, dello statalismo economico (economia 
                  diretta)- si sono ripercossi, comera naturale, anche sul movimento 
                  ideologico dellanarchismo, determinandone un maggiore sviluppo 
                  in rapporto ai fatti, man mano che si svolgevano. La questione 
                  diventò importante e dattualità immediata fin 
                  dal 1919, dopo i primi passi del bolscevismo che era andato 
                  al potere in Russia e vi aveva subito messo in pratica il sistema 
                  totalitario.
 Lesperienza russa mostrò subito come il voler applicare 
                  a tutto un popolo e in tutti i campi, non solo in politica (in 
                  cui ciò si comprende dal punto di vista anarchico) ma 
                  anche in economia, nel campo della produzione, una direttiva 
                  unica totalitaria, in base a una teoria preconcetta, è 
                  il più grave degli errori, il più contro-rivoluzionario. 
                  Esso provoca il massimo disordine e sperpero sul terreno economico; 
                  e poiché è impossibile farlo accettare volontariamente 
                  da tutti, od anche solo da una reale maggioranza, dà 
                  luogo a conflitti senza numero e rende inevitabile, in chi pretende 
                  insistervi a farlo accettare, il ricorso alla violenza coercitiva 
                  più tirannica che immaginar si possa. Non solo lo Stato 
                  diventa allora indispensabile, ma più dispotico ancora 
                  delle stesse intenzioni dei governanti che lo dirigono.
 Gli anarchici compresero tanto meglio la lezione dei fatti, 
                  in quanto ne avevano già lintuizione. In rapporto ai 
                  fatti ed in coerenza con le loro idee, sulla traiettoria di 
                  tutto il loro passato, non avevano che da sviluppare ancor più 
                  la concezione libertaria verso una maggiore precisazione delle 
                  finalità anarchiche e del loro compito rivoluzionario 
                  nella rivoluzione. Essi opposero quindi al totalitarismo, forzatamente 
                  dittatoriale, del bolscevismo, lapplicazione del metodo sperimentale 
                  alla ricostruzione rivoluzionaria, che è il criterio 
                  più conciliabile con le leggi dellevoluzione sociale 
                  e col proprio anelito di libertà.
 Sul concetto della libera sperimentazione, che non era poi 
                  una novità scaturiva logicamente dalle premesse fondamentali 
                  dellanarchismo, si insistette più spesso ed a lungo 
                  in special modo dopo la rivoluzione russa, in seguito a estese 
                  discussioni, sia tra compagni che con gli avversari, ma soprattutto 
                  coi bolscevichi.
 	 Non per 	forza  	Tali discussioni si svolsero un po 
                  dovunque. Ma più che altrove, credo, in Italia, con la 
                  partecipazione di Errico Malatesta, esse concludevano con la 
                  proposta pratica della libera sperimentazione, di cui si possono, 
                  del resto, trovare numerosi accenni e anticipazioni negli scritti 
                  più remoti del vecchio rivoluzionario italiano. Già 
                  dal 1884, nel "Fra Contadini" egli prevedeva "quasi 
                  con certezza che in alcuni posti si stabilirà il comunismo, 
                  in altri il collettivismo, in altri qualche altra cosa... Altro 
                  è dire, altro è fare, e solamente allatto pratico 
                  si può vedere qual è il sistema migliore... Quando 
                  si sarà visto chi si trova meglio, a poco a poco tutti 
                  quanti accetteranno lo stesso sistema".La maggioranza degli anarchici pensa e desidera che dallesperienza, 
                  attraverso la rivoluzione, trionfi il comunismo-anarchico, che 
                  loro sembra più pratico e rispondente ai fini della libertà 
                  e solidarietà umana. Per ciò essi ne fan propaganda 
                  e si propongono di realizzarlo nella misura delle loro forze 
                  e capacità, non appena la rivoluzione lo renda possibile. 
                  Ma poiché lanarchia non può farsi per forza e 
                  sarebbe utopistico credere che allo scoppio della rivoluzione 
                  tutti vogliano anarchicamente, e poiché in una situazione 
                  di libertà assicurata a tutti anche altri sistemi di 
                  vita sociale troveranno modo di esistere, è ovvio che 
                  lultima parola resterà allesperienza. Come potrebbe 
                  essere diversamente?
 Pure, a fianco di questo sviluppo logico dellanarchismo 
                  è avvenuto che anche le opposte tendenze cosiddette totalitarie, 
                  fino allora inconfessate e latenti, trascurabili e senza importanza 
                  fino alla vigilia della Rivoluzione Russa, prendessero piede 
                  qua e là, nelle mentalità che verano predisposte 
                  per le ragioni dette sopra, anche per leffetto corruttore del 
                  successo bolscevico. Il trionfo materiale e politico del totalitarismo 
                  bolscevico ha fatto creder ad alcuni che anche lanarchismo 
                  per organizzare la vita sociale debba essere o farsi totalitario, 
                  illudendosi di potere, solo perché anarchici, evitare 
                  gli errori ed orrori di quello; come se tali errori ed orrori 
                  non fossero una conseguenza logica del sistema assai più 
                  che dei difetti dei suoi praticanti!
 In altri elementi una suggestione deviatrice e nefasta nel 
                  senso totalitario la esercita lo stesso impressionante spettacolo 
                  dello sviluppo del capitalismo moderno. Essi attribuiscono allaccentramento 
                  e razionalizzazione sempre più totalitari delle sue imprese, 
                  alla loro trustificazione ed alla crescente organizzazione unitaria 
                  con sistemi unici del lavoro sopra una scala sempre più 
                  vasta, i risultati veramente meravigliosi nel campo della tecnica 
                  e della produzione. Ciò sembra loro una prova che, anche 
                  in una società di liberi e di uguali, per avere tutta 
                  labbondante produzione indispensabile ai bisogni generali e 
                  farne una razionale distribuzione, sarà altresì 
                  necessario un sistema totalitario di organizzazione economica, 
                  unico per le più vaste collettività.
 Essi non vedono che ciò che rende necessaria al capitalismo, 
                  oggi, ladozione di sistemi sempre più totalitari nellorganizzazione 
                  della produzione, non è tanto lo scopo di raggiungere 
                  una maggiore produzione, quanto quello di trarne un maggior 
                  profitto, defraudandone le masse lavoratrici e consumatrici. 
                  Il sistema totalitario nel campo delleconomia è più 
                  una pompa aspirante che una macchina produttiva. In una società 
                  di liberi e di uguali di essa non ci sarebbe bisogno.
 Il vero e più forte ostacolo alla produzione, dal 
                  punto di vista dellinteresse generale, non è questo 
                  o quel tipo della sua organizzazione specifica, tecnica e burocratica, 
                  ma il monopolio capitalistico. Tolto questo, ogni sistema sarebbe 
                  sempre sufficiente ai bisogni di tutti, sia pure con differenze 
                  inevitabili fra gli uni e gli altri. Non che la scelta non abbia 
                  la sua importanza; ma essa non deve essere subordinata alla 
                  sola condizione della maggiore abbondanza possibile dei prodotti, 
                  bensì a quella molto più importante che ad una 
                  abbondanza sufficiente di beni materiali faccia riscontro il 
                  massimo possibile di libertà e la sicurezza che lorganizzazione 
                  della produzione non diventi una macchina per schiacciare i 
                  produttori.
 Tale sicurezza non la darebbe certo una organizzazione economica 
                  unica, totalitaria, per le ragioni cui abbiamo già accennato. 
                  La darebbe invece una organizzazione economica che, - alla sola 
                  condizione di escludere ogni forma di autorità coercitiva 
                  e di sfruttamento del lavoro altrui, - permettesse la coesistenza 
                  dei tipi più diversi di produzione determinati dalla 
                  varietà delle condizioni di tempo e di luogo e della 
                  diversità delle tendenze, preferenze, capacità 
                  e necessità umane: insomma la "libera sperimentazione".
 La sociologia, cioè lo studio della formazione, evoluzione 
                  e tendenze delle società umane, ci dimostra che qualsiasi 
                  organizzazione sociale, sia politica che economica, non sorge 
                  mai sulla base dun programma o piano prestabilito, ma è 
                  sempre il risultato di esperienze successive, alle quali i vari 
                  programmi e piani delle singole correnti novatrici portano il 
                  loro contributo, e sono quindi necessari; ma dei quali nessuno 
                  può pretendere dessere accettato da tutti a priori, 
                  e in realtà non viene mai accettato, a meno che non sia 
                  imposto per forza, - il che possono proporsi i partiti autoritari, 
                  ma non certo gli anarchici. Il totalitarismo sarebbe quindi 
                  non solo antilibertario, ma anche utopistico nel peggior senso 
                  della parola, antiscientifico ed in contrasto con le leggi dellevoluzione 
                  sociale.
 	 Una cerchia 	sempre più larga  	Se ci mettiamo dunque non solo dal punto di vista 
                  specifico dellanarchismo, ma anche semplicemente da quello 
                  sociologico, - di una sociologia di libertà, intendiamoci, 
                  e non di questa che i sociologi salariati hanno confezionato 
                  ad uso dei loro padroni e dei tiranni, - lagognata rivoluzione 
                  deve aprire la via alla libera sperimentazione: alla pratica, 
                  cioè, dello sperimentalismo sociale liberato dalle pastoie 
                  di ogni monopolismo economico e di ogni oppressione politica. 
                  Lungo il suo corso lesperienza eliminerà, sotto la spinta 
                  della necessità, mano mano i tipi dorganizzazione che 
                  risulteranno più difettosi o meno utili. Sussisteranno 
                  invece e simporranno per forza di cose in una cerchia sempre 
                  più larga, fino a comprendere vaste regioni, nazioni 
                  e forse lumanità intera, quei tipi di organizzazione 
                  che offriranno maggiori vantaggi e risponderanno di più 
                  alle esigenze di benessere e di libertà delle varie collettività 
                  umane.Noi siamo persuasi e prevediamo che i tipi migliori sotto 
                  ogni rapporto siano quelli che più si ispireranno al 
                  comunismo anarchico, - che neppur esso potrà essere probabilmente 
                  un sistema unico, ma piuttosto linsieme armonico di forme diverse 
                  tra loro solidali e coordinate, - e per ciò siamo comunisti 
                  anarchici. Ma il comunismo anarchico per tutti non può 
                  essere il punto di partenza, la determinante da cui sinizierà 
                  lesperimento molteplice e multiforme sarà la rivoluzione 
                  liberatrice.
 La situazione di libertà creata dalla rivoluzione 
                  permetterà anche ai seguaci del comunismo anarchico (come 
                  gli anarchici di eventuali tendenze diverse), se ne avranno 
                  forze e capacità sufficienti, diniziare da parte loro 
                  il proprio esperimento; ma lestensione definitiva di esso a 
                  tutta la società non potrà venire che in seguito, 
                  solo quando al confronto con gli altri esperimenti avrà 
                  guadagnato ladesione generale. Sarà cioè, se, 
                  come crediamo, i fatti ne dimostreranno la superiorità, 
                  semplicemente una risultante dellesperienza sociale.
  Luigi Fabbri Dalla rivista Studi Sociali
 di Montevideo, numero 37
 del gennaio 1935
 1. Bisogna osservare che nel 1935, quando 
                  fu scritto questo articolo, la parola totalitarismo, usata quasi 
                  esclusivamente in Italia come parte del vocabolario "granitico" 
                  del regime fascista, conservava ancora il suo semplice significato 
                  etimologico, indicando solo la presa di possesso della vita 
                  in tutti i suoi aspetti. E siccome la usavano generalmente i 
                  fascisti, che volevano che questo possesso fosse monopolio dello 
                  Stato assoluto, il destino della parola seguì le vicende 
                  del regime, arricchendo straordinariamente e determinando con 
                  esattezza la sua portata. Pure questo termine, usato qui come 
                  sinonimo di sistema unico, di pianificazione totale, e applicato 
                  a tutti coloro che tali sistemi o piani volessero attuare, ha 
                  unefficacia premonitrice che non ci sembra inopportuna. 
                  (N.d.c.) |