|  Destinazione lager
 Dal 5 al 10 maggio scorso, si è svolto il pellegrinaggio 
                  annuale organizzato dallANED (Associazione Nazionale 
                  Ex Deportati) presso i campi di Gusen, Dachau, Harteim e Mauthausen. 
                  Nel corso di queste giornate, oltre che le visite allinterno 
                  dei lager, ai dibattiti, e agli incontri con i vari gruppi provenienti 
                  da tutto il mondo, nelle giornate internazionali di commemorazione 
                  dei caduti, sono stati rappresentati dei momenti tratti dallo 
                  spettacolo Hybris, di Macchia Mediterranea, che 
                  hanno accompagnato queste 5 giornate.Riportiamo ora dei pensieri scritti da alcuni membri della 
                  compagnia, durante questa esperienza.
   Andrea Tibaldi 
   PERCHE NON SI PERDA LA MEMORIA 	Marzo 1999. La compagnia va in fibrillazione! Ci hanno 
                  invitato ad una manifestazione in Germania e Austria, ci hanno 
                  invitato a presentare Hybris, il nostro spettacolo sul 
                  900, nei campi di concentramento.Da quel momento si comincia a seguire il filo di un pensiero 
                  che è quello della nostra capacità/possibilità 
                  di rapporto con questo pezzo di storia: nessuno di noi, neppure 
                  i più "anziani" hanno vissuto quegli anni, 
                  ognuno ne ha diversamente sentito parlare, tutti abbiamo in 
                  comune le emozioni di testi teatrali quali Listruttoria 
                  o i film, i più diversi, e non lultimo La vita è 
                  bella.
 Ci rendiamo conto che entreremo in luoghi che abbiamo sempre 
                  visto e immaginato "abitati" dai legittimi protagonisti: 
                  i deportati, gli aguzzini, quelli che comandano... e li troveremo 
                  vuoti, percorsi solo da comitive di pellegrini intenti a testimoniare 
                  perché la memoria non si perda. Ci rendiamo anche conto 
                  che a noi spetterà, per pochi momenti, essere "attori" 
                  della tragedia che lì si è compiuta, che occhi 
                  che hanno visto la realtà, gli ex deportati, guarderanno 
                  il nostro lavoro.
 Il filo del pensiero si allunga, chiede di definire il senso 
                  del nostro andare, essere presenti, e si compone intorno ad 
                  una considerazione: tra breve sarà sempre più 
                  difficile trovare qualcuno, come Zilli o Signorelli, i due ex 
                  deportati che ci accompagnano, che faccia diretta testimonianza. 
                  E allora perché questi pellegrinaggi non si trasformino 
                  in "gite di curiosi", bisogna trovare altri segni, 
                  altre forme di comunicazione che impongano la riflessione... 
                  Proposte come la nostra, possono servire. Lo possiamo dire con 
                  sicurezza dopo aver sperimentato limpatto con il pubblico nei 
                  tre campi dove abbiamo agito lo spettacolo.
 Ma il filo del pensiero per ognuno di noi è altro; 
                  guardare, lasciare che le energie, le sensazioni che pervadono 
                  i luoghi ci parlino, ci commuovano, ci sconvolgano. Ognuno le 
                  ha trasformate in piccole istantanee da consegnare a chi vorrà, 
                  nella lettura, dividerle con noi.
 Il mio è un pensiero che è sempre presente 
                  nelle situazioni di affronto/confronto con certe memorie o con 
                  certe contingenze.
 Si è precisato salendo dalla scala della morte di 
                  Mauthausen, mentre pensavo ai nostri ospiti, tedeschi e austriaci, 
                  a quelli che venuti dopo e quindi incolpevoli (non innocenti, 
                  si sa che linnocenza è difficilmente appannaggio delluomo 
                  maturo) hanno ereditato questi luoghi, queste memorie, e, nel 
                  tempo, questo "turismo pellegrinante" (lo dico con 
                  rispetto).
 Pensavo a loro e quindi pensavo ad uomini, uomini come quelli 
                  che nei campi ci sono finiti proprio in quanto uomini, non disponibili 
                  ad essere altro. Anche coloro che (non partigiani o altro) ci 
                  sono finiti quasi per caso. Uomini hanno saputo e voluto essere, 
                  ed anche perciò si sono salvati, tutti anche quelli che 
                  non sono tornati, che sono morti tra atroci sofferenze ma non 
                  disperati. Si è salvato chi ha creduto nellessere uomo.
 Nulla è più terribile di quando un fratello 
                  alza la mano sul fratello e quindi la salvezza per questi martiri 
                  è stata la peggiore delle torture, il dolore maggiore: 
                  sapere che chi li torturava, umiliava, uccideva era un altro 
                  uomo. Lo avevano riconosciuto, non potevano, né sapevano 
                  rifugiarsi nella "consolazione" di spogliarlo della 
                  sua umanità.
 E allora non dimenticare vuol dire operare perché 
                  non si ripeta, Resistenza vuol dire sentirsi chiamati a considerare 
                  sempre luomo, indicarlo, chiamarlo per nome anche suo malgrado, 
                  anche sotto i suoi colpi, come hanno fatto, consciamente o no, 
                  questi uomini il cui atteggiamento durante il sacrificio ha 
                  forse, a volte, non solo incattivito ulteriormente gli aguzzini, 
                  ma li ha consegnati alla responsabilità di essere uomini. 
                  Senza equivoci di sorta: luomo è libero di scegliere 
                  se operare il bene o il male, e in questo sta la dignità 
                  e il privilegio di essere uomini.
   Cesi Barazzi  Federica Capecchi e Barbara Fiorentino
 nellincipit di Hybris a Dachau.
  (da sinistra) Eros Dinoia, Stefania Apuzzo, Federica Capecchi 
                  e Andrea Tibaldi.
   HO RACCOLTO UNA PIETRA ALLA CAVA DI MAUTHAUSEN  	Mi parla di te mio caro 29.520; lho raccolta perché 
                  ho udito il tuo pianto. Tu che mi hai condotto con occhi umidi 
                  in questo pellegrinaggio per raccontarmi la tua storia: perché 
                  io sapessi. Mi hai fatto capire limportanza di un istante e 
                  di quale forza è la tua presenza. Un pensiero abbastanza 
                  costante della morte ha dato un grande valore al più 
                  piccolo istante della tua breve vita.Ti hanno appuntato una stella gialla sul petto... e tu che 
                  pensavi di essere un eroe! Guardo quegli immensi spazi, quel 
                  panorama che dallalto della scala della morte a me da tanta 
                  pace. E mi chiedo se tu sei mai riuscito a sollevare lo sguardo 
                  dal lavoro attento e rigorosamente controllato da quel folle 
                  proprietario illecito di vite e chissà... se ti è 
                  stato daiuto per continuare. Hai ragione, i tuoi compagni sembrano 
                  alberi, sradicati, a cui è stata tolta la corteccia, 
                  là in fila, numerati in attesa di diventare legna per 
                  il camino, un camino che continua a sputare "fumo umano".
 Quante notti hai guardato verso la montagna da quel buco 
                  ed hai creduto alla morte come ad una liberazione, un pensiero 
                  non adatto ad un ragazzo della tua e della mia età... 
                  i tuoi occhi hanno visto lorrore, limmagine della distruzione, 
                  divoratrice di tutte le cose. Hai consumato corpo e mente come 
                  carta vetrata, raschiando il fondo di ogni tipo di offesa. Tutto 
                  sembra senza tempo. Un film muto... perché tanto non 
                  capisci la loro lingua: gridano, sparano, solo il caro Josef 
                  eppure io credo... credo nei giovani come me, e ne ho visti 
                  tanti in questi giorni, impegnati nella creazione di fondamenta 
                  per una società più umana, ricostruita sulle ceneri 
                  della morte.
   Michela Zonca 
   
   FOTOGRAFIE DEI CAMPI DachauPassa veloce il mondo
 davanti a Dachau
 sfrecciano le strade troppo
 vicine ai lager
 Filo spinato che sfregia gli occhi
 Fondamenta delle baraccheGli uomini come sassi fanno rumore sotto i piedi ma non dicono 
                  niente.
 Tutti uguali gli uomini di Dachau.
 Tutti muti, tutti grigi.
 Rotolano gli uomini concentrati nei campi a Dachau
 Forno crematorioE continuo a dire che non è tanto il forno ma lo sportello 
                  a farmi impressione, lì inerme a farsi aprire
 Gli alberi del campoCipressi che fumano via per non respirare il camino, laria 
                  dolce nauseante, disperata del camino.
 Ricostruzione della baraccaSi sente che è una ricostruzione. Le travi di legno che 
                  hanno sentito milioni di passi andare non possono fare un suono 
                  così netto. Viene assorbito il suono e soffocata, gridata 
                  dentro lumanità che i corpi si confidano.
 Solo ringraziare la libertà che oggi vivo. La libertà 
                  che mi hanno garantito. Ma chi ringraziare me, noi, la NATO, 
                  non potrà farlo con tanta sincerità. I bambini 
                  senza istruzione, gli uomini che scappano, tutte le individualità 
                  calpestate, quando si riavranno, non potranno farlo tanto sinceramente 
                  perché noi continuiamo a guardare e ad usare ed aspettiamo... 
                  aspettiamo lo scandalo e forse agiremo e sicuramente nel peggio 
                  dei modi. A noi piace solo la parte da eroi, da rivoluzionari. 
                  E allora?
 Abbiamo già smesso dimparare dai lager? Salvare luomo 
                  prima di sentirne pietà e pena.
   Stefania Apuzzo   
  Federica Capecchi in un momento 
                  di Hybris nel castello di Hartaim  |