| Uno dei più straordinari racconti 
                  dellAleph di Jorge Luis Borges, I Teologi, è 
                  tutto imperniato, come ricorderete, sulla rivalità tra 
                  due immaginari dottori del primo Cristianesimo, tali Aureliano 
                  di Aquileia e Giovanni di Pannonia. Il contrasto in sé 
                  si conclude, come in effetti succedeva sovente nelle dispute 
                  teologiche dellepoca, con la condanna al rogo di uno dei contendenti 
                  (Giovanni, nella fattispecie), ma il racconto procede per un 
                  altro paio di pagine e si conclude, a sua volta, in paradiso: 
                  molti anni dopo aver assistito, non senza qualche represso senso 
                  di colpa, al rogo del rivale, Aureliano muore, è debitamente 
                  assunto in Cielo e si trova a conversare con Domineddio, per 
                  scoprire che Questi "sinteressa così poco di divergenze 
                  religiose" da scambiarlo per Giovanni di Pannonia. Ma questa 
                  formulazione, aggiunge Borges, "indurrebbe a sospettare 
                  una confusione nella mente divina. È più esatto 
                  dire che nel paradiso Aureliano seppe che per linsondabile 
                  divinità egli e Giovanni di Pannonia (lortodosso e leretico, 
                  laborritore e laborrito, laccusatore e la vittima) formavano 
                  una sola persona" (traduzione di Francesco Tentori Montaldo, 
                  Milano, 1959).A questa fulminante conclusione è difficile non pensare 
                  leggendo larticolo pubblicato sul numero 250 di "A" 
                  da Pietro Adamo (dora in avanti PA) con il titolo La crisi 
                  dellanarchismo e lethos liberale. In questo saggio, come 
                  ricorderete, lautore trova il modo, a partire da una disanima 
                  critica del pensiero di Luce Fabbri, di affermare che "alcuni 
                  elementi dellethos liberale" - per esempio, "una 
                  concettualizzazione garantista e difensiva della proprietà" 
                  - "potrebbero trovare una degna collocazione nellanarchismo". 
                  Come a dire che il pensiero anarchico, in sé alieno da 
                  ogni possibile confusione con le ideologie di sinistra a fondamento 
                  o ispirazione marxista, non dovrebbe avere troppe difficoltà 
                  a trovare una radice comune nella tradizione liberale, la cui 
                  eredità, in passato, sembrerebbe aver sottovalutato con 
                  troppa disinvoltura.
 In effetti, se la Fabbri, con Lanticomunismo, lantiimperialismo 
                  e la pace, del 49, e con Sotto la minaccia totalitaria, 
                  del 53, aveva insistito sul valore "ideale" della 
                  tradizione liberale, sforzandosi di separarlo (di purificarlo) 
                  quasi, da quegli sgradevoli aspetti concreti che lideologia 
                  liberale di solito supporta nellorganizzazione della società 
                  capitalista, ricorrendo, come già Gobetti e Rosselli 
                  prima di lei, alla distinzione crociana tra liberalismo come 
                  metodo e liberismo come politica economica, e concludendo che 
                  il suo valore era di tipo eminentemente etico e consisteva soprattutto 
                  nella "difesa della personalità individuale", 
                  PA ritiene di dovere rivalutare il liberalismo anche dal punto 
                  di vista delle teorie economiche. Se la Fabbri dedicava molti 
                  sforzi a negare che lorganizzazione capitalistica della società 
                  e dello stato potesse essere considerata liberale, perché 
                  "il capitalismo non è mai stato individualista", 
                  salvo, naturalmente, che per il "desiderio di limitare 
                  lautorità dello stato in materia economica", onde 
                  la ben nota passione del padronato per "cartelli e trusts, 
                  istituzioni che costituiscono in se stesse una palese negazione 
                  del cosiddetto individualismo originario", PA ritiene che 
                  questo "schema interpretativo" soffra di "alcune 
                  rigidità". Rigidità che possono essere ricondotte, 
                  in buone sostanza, alla "fedeltà a oltranza al modello 
                  del comunismo libertario alla Kropotkin, con i suoi corollari 
                  dellavversione verso la proprietà privata e linsufficiente 
                  concettualizzazione degli effetti della cosiddetta proprietà 
                  socializzata".
   	 Laccenno 	a Berlusconi  	In altre parole, il Nostro è convinto che "il 
                  nesso tra la collettivizzazione e la società totalitaria 
                  non è affatto unidirezionale e neppure causale". 
                  Il che significa, credo, che a suo avviso ogni società 
                  collettivizzata non può che essere totalitaria (non per 
                  niente la fedeltà al modello del comunismo libertario 
                  è considerata un limite) e, di conseguenza, che solo 
                  la presenza della proprietà privata può garantire 
                  che una società non sia totalitaria. Affermazione che 
                  PA non rende esplicita, forse per non turbare i lettori di "A" 
                  che possono aver avuto occasione di coglierne di simili nei 
                  discorsi televisivi di Silvio Berlusconi, ma che rappresenta 
                  il vero, innegabile fondamento del suo saggio. Che lethos liberale, 
                  del resto, non sia facilmente separabile dal culto del quattrino, 
                  proprio e altrui, è ipotesi che già in passato 
                  si è affacciata al cervello di molti.Naturalmente laccenno a Berlusconi può suonare offensivo 
                  e non dovrebbe trovar posto in una polemica ad alto livello. 
                  Ma, da un lato, chi scrive non ha titoli particolari per condurre 
                  polemiche ad alto livello. Non è un teorico, sa poco 
                  di economia, conosce pochissimo, e solo per sentito dire, il 
                  pensiero di Luce Fabbri e non è neanche qualificato per 
                  parlare in nome dellanarchismo. Dallaltro, nessuno potrà 
                  negare che certi accostamenti, pur sgradevoli, abbiano una loro, 
                  sia pur rozza, utilità. Una cosa è parlare di 
                  ethos liberale, che è, ovviamente, unastrazione, un 
                  valore dichiarato da qualcuno con qualche scopo, e unaltra 
                  è richiamarsi a quanti di quellastrazione sono e sono 
                  stati, nel concreto, promotori, ripensare a chi di quel valore 
                  si è servito per giustificare o motivare le proprie azioni.
 I valori, in sé, sono tutti più o meno accettabili, 
                  se no non sarebbero dichiarati per tali. Il liberalismo propugna 
                  la libertà individuale, come condizione giuridica e come 
                  atteggiamento morale e in quanto tale non può essere 
                  rifiutato da nessuna persona ragionevole. Daltro canto, il 
                  socialismo promette la collaborazione generale tra i membri 
                  di una comunità, che vede come socii, alleati, e non 
                  come rivali e il comunismo e il collettivismo si pongono come 
                  proprio obiettivo luguaglianza di tutti gli esseri umani proprio 
                  in considerazione del fatto che la disuguaglianza rappresenta 
                  la prima condizione della mancanza di libertà. Anche 
                  questi, come valori, non sono da buttar via.
 Poi, naturalmente, niente è più facile di 
                  mostrare come al socialismo si siano rifatti noti ladroni, il 
                  comunismo abbia causato una montagna di iniquità e ogni 
                  collettivizzazione si sia risolta in disastro. Figuriamoci. 
                  Se cè qualcosa di cui la storia è fin troppo 
                  prodiga sono gli ideali traditi. Ma anche se oggi, per un motivo 
                  o per laltro, tutti si dichiarano liberali, se è in 
                  atto una vera e propria corsa a rivendicare, ciascuno per sé, 
                  quelle radici (corsa di cui larticolo di PA, di fatto, rappresenta 
                  uneloquente testimonianza), non si vede perché non si 
                  debba ricordare come anche le società "liberali" 
                  abbiano spremuto, con i loro peculiari strumenti, la loro libbra 
                  di lacrime e sangue. La proprietà potrà essere 
                  riconcettualizzata (nel senso, suppongo, di non definirla più 
                  come un furto, rinunciando a una vecchia metafora di origine 
                  anarchica, fatta poi propria da altri), ma i proprietari hanno 
                  sempre avuto, e hanno ancora, una certa tendenza, diciamo così, 
                  a pesare sui non proprietari. La cui libertà, in un modo 
                  o nellaltro, finisce con lessere sgradevolmente limitata.
 In nome della libertà, lo sappiamo, si sono commessi 
                  molti orrendi delitti, come ebbe occasione di osservare, tra 
                  gli altri, Madame Roland. Si sono anche dette, con rispetto 
                  parlando, molte cazzate, nel senso di molte proposizioni ingannevoli. 
                  E nessuna di esse, temo, è più ingannevole di 
                  quelle in cui si sostanziano i tanti tentativi compiuti a livello 
                  teorico per separare in qualche modo i vari aspetti e le varie 
                  valenze dei sistemi politico ideologici, per prenderne, per 
                  così dire, il buono (lethos, di qualsiasi genere) e 
                  lasciare ad altri il cattivo (il capitalismo liberista, i gulag, 
                  il partito unico, la teocrazia
) In generale, tentativi del 
                  genere, pur compiuti - di solito - in buona fede, sono sempre 
                  stati, con tutto il rispetto dovuto ai Gobetti e ai Rosselli, 
                  straordinariamente futili. Hanno sempre finito per fare della 
                  libertà un valore residuale, un qualcosa che resta in 
                  astratto dopo che si è eliminato dal concreto quanto 
                  non si gradisce. E di una libertà del genere, di solito, 
                  si finisce con il non saper cosa fare, oltre che dichiararla.
   	 Già, 	i padroni  	In questo, naturalmente, PA non ha torto: dire di essere 
                  liberali ma di non accettare responsabilità per gli effetti 
                  del liberismo (perché quegli effetti sono perversi, perché 
                  il vero liberalismo è unaltra cosa, perché i 
                  capitalisti cattivi non sono affatto liberali anche se dicono 
                  di esserlo
) è, sostanzialmente, troppo comodo. Esattamente 
                  come è troppo comodo dire di essere socialisti, o comunisti, 
                  o anarchici, ma di non avere nulla a che fare con le brutte 
                  cose che in nome di quei venerabili ideali sono state commesse 
                  (certo, gli anarchici di turpitudini ne hanno commesse molto 
                  meno degli latri, ma questo è un altro discorso). In 
                  teoria si può fare di tutto: in pratica, ahimé, 
                  bisogna schierarsi. E siccome schierarsi con i valori è 
                  troppo facile (trovatemi, vi prego, un solo oppressore che abbia 
                  dichiarato che il valore che perseguiva era loppressione degli 
                  altri), bisognerà risolversi a schierarsi con i soggetti 
                  concreti, con la gente. Bisognerà scegliere tra gli oppressori 
                  e gli oppressi, tra i persecutori e i perseguitati (che solo 
                  Dio, nella sua borgesiana insondabilità, può considerare 
                  come le due facce dello stesso soggetto), tra i padroni e chi 
                  padrone non è.Già, i padroni. Esisteranno ancora i padroni, quando 
                  avremo riconcettualizzato in senso anarchico la proprietà?
    Carlo Oliva
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