| "Errico Malatesta: un rivoluzionario (ingiustamente) dimenticato": 
                  così titolava, qualche anno fa, un lungo articolo sul 
                  quotidiano La Repubblica. In effetti, non si può certo dire che tale nome sia 
                  molto popolare e conosciuto allinterno di quella sinistra che 
                  preferisce mitizzare, occultandone lideologia totalitaria, 
                  protagonisti della storia in gran parte criminale del comunismo. 
                  Unocchiata agli scaffali delle librerie ci fa capire come gli 
                  eredi del più grande fallimento del ventesimo secolo 
                  si rifugino ormai nelle agiografie di quegli unici personaggi 
                  un po naif che possono far passare alla storia come 
                  eroi libertari: primo tra tutti, il comandante Che Guevara, 
                  uno che, sia pure in perfetta buona fede (ma delle buone intenzioni 
                  è lastricata la via dellinferno), ha contribuito, nel 
                  tentativo di liberare il popolo cubano dalla dittatura fascista 
                  di Batista, a realizzarne una forse peggiore.
 Speriamo dunque che quelli che cercano nella storia della 
                  sinistra esempi concreti di libertà leggano questa agile 
                  antologia (Errico Malatesta, Individuo, società, anarchia. 
                  La scelta del volontarismo etico, ed. e/o, Roma 1998, pp. 
                  126, lire 10.000) di scritti malatestiani curata da Nico Berti 
                  e preceduta da una lunga nota introduttiva del curatore.
 La divisione in nove sezioni tematiche rende con sufficiente 
                  chiarezza i vari nodi teorici e pratici rispetto ai quali si 
                  concentrò la riflessione malatestiana: il problema dellorganizzazione, 
                  il tema difficile della violenza, il rapporto tra lanarchismo 
                  e il movimento operaio, lanalisi dei due totalitarismi gemelli, 
                  il bolscevismo e il fascismo, il rapporto tra lanarchismo e 
                  la democrazia e quello tra la scienza e la libertà.
 Lunico difetto di questa preziosa antologia, di cui si 
                  sentiva un gran bisogno (quella precedente, peraltro ben più 
                  completa, era stata stampata dallAntistato nellormai lontano 
                  1982) sta forse nel fatto di non rendere conto dellevoluzione 
                  del pensiero malatestiano rispetto a questioni fondamentali, 
                  come ad esempio quella della violenza (problema su cui sia Malatesta, 
                  sia il suo più stretto e capace collaboratore, Luigi 
                  Fabbri, rifletterono a lungo): per Malatesta la violenza è 
                  una dura necessità imposta dalla storia (la volontà 
                  liberatrice delle classi oppresse si scontra con quella delle 
                  classi dominanti di mantenere il potere e i privilegi economici), 
                  ma il pensatore anarchico percepisce, con sempre maggiore chiarezza, 
                  la carica autoritaria che ogni violenza, anche se volta a instaurare 
                  la libertà, si tira necessariamente dietro, rischiando 
                  di scatenare un vortice incontrollabile alla fine del quale 
                  a rimetterci è proprio il progetto di emancipazione di 
                  cui è portatore il movimento anarchico. Il caso del fascismo 
                  e del comunismo è in questo senso emblematico: Malatesta, 
                  in un articolo bellissimo "Perché il fascismo vinse 
                  e perché continua a spadroneggiare in Italia", si 
                  rende conto di quanto limmaginario intriso di violenza e di 
                  volontà di sopraffazione, proprio anche di molti individui 
                  e gruppi della sinistra rivoluzionaria, abbia contribuito a 
                  creare quellhumus culturale su cui si è incuneato 
                  il fascismo.
 Impossibile, in questo spazio, occuparsi di tutti i temi 
                  e tutti gli spunti offerti dalla lettura di queste pagine di 
                  Malatesta: mi limiterò a segnalare quelli che mi hanno 
                  più colpito.
 Molto interessante poi risulta essere la lettura malatestiana 
                  del bolscevismo, delineatasi con nettezza a partire dal 1919 
                  (con la famosa lettera a Luigi Fabbri): la classica critica 
                  anarchica della parossistica formula della dittatura del proletariato, 
                  la denuncia del marxismo come ideologia della futura classe 
                  burocratica, che in Russia rivela la sua reale natura totalitaria, 
                  si coniuga in Malatesta con una visione disincantata delle "minoranze 
                  agenti": "consapevole che la lotta decisiva si svolge 
                  tra minoranze coscienti, Malatesta ritiene che la prassi dittatoriale 
                  rivoluzionaria agevolerà ancor di più questa tendenza 
                  operante nel processo storico" (p. 12). Di qui la condanna 
                  del regime bolscevico e del giacobinismo gesuitico di cui sono 
                  intrisi i suoi funzionari:
 "Il proletariato naturalmente centra come centra il 
                  popolo nei regimi democratici, cioè semplicemente per 
                  nascondere lessenza reale della cosa. In realtà si tratta 
                  della dittatura di un partito, o piuttosto dei capi di un partito; 
                  ed è dittatura...che serve oggi anche a difendere la 
                  rivoluzione dai suoi nemici esterni, ma che servirà domani 
                  per imporre ai lavoratori la volontà dei dittatori, arrestare 
                  la rivoluzione, consolidare i nuovi interessi che si vanno costituendo 
                  e difendere contro la massa una nuova classe privilegiata" 
                  (p. 72).
 Laspetto più interessante del pensiero malatestiano 
                  è, a mio giudizio, il metodo: con mente sempre lucida, 
                  Malatesta analizzò instancabilmente i vari problemi che 
                  affliggevano lumanità cercando sempre una soluzione 
                  libertaria degli stessi e anche se non sempre le sue riflessioni 
                  possono essere lette in termini di attualità (la visione 
                  malatestiana del rapporto tra anarchismo e democrazia è 
                  una questione da ridefinire alla luce anche delle esperienze 
                  totalitarie del XX secolo), quello che risulta ancor oggi moderno 
                  è il suo modo di impostare le questioni: mai fazioso, 
                  sempre pacato, aperto, pluralista, antidogmatico, antiassolutista.
 Muovendo dalla distinzione tra giudizi di fatto e di valore, 
                  egli perviene non solo alla consapevolezza che il fine (lanarchia) 
                  deve essere separato dal mezzo (lanarchismo), in modo tale 
                  da "conferire al secondo la sua massima valenza realistica 
                  e alla prima la sua più alta espressione etica" 
                  (p. 8), ma anche alla lucida lettura della realtà, la 
                  quale, essendo un insieme di fatti, non deve essere confusa 
                  con i valori di cui è portatore lanarchismo.
 La laicità della metodologia malatestiana emerge 
                  anche dalla sua concezione della rivoluzione: il moto rivoluzionario 
                  per Malatesta non ha nessun fine palingenetico, non può 
                  essere direttamente costitutivo della società anarchica, 
                  anche perché anarchia significa non violenza, non imposizione, 
                  e quindi una società anarchica non può essere 
                  instaurata con un atto di forza e di violenza quale è 
                  appunto la rivoluzione. Lo scopo della rivoluzione è 
                  quello di liberare lautonomia creativa, normativa e organizzativa 
                  della società civile dallo stato e dalla schiavitù 
                  del lavoro salariato: è quello, laicamente e liberalmente, 
                  di instaurare una società delle "pari opportunità" 
                  nella quale poi ciascun individuo e forza politica possa sperimentare, 
                  senza ergersi a monopolizzatore del diritto e della forza, la 
                  bontà delle proprie proposte politiche. Solo in tali 
                  condizioni gli anarchici potrebbero esercitare, con la forza 
                  dellesempio e la superiorità morale del loro messaggio, 
                  una influenza tale da trascinare la società verso conquiste 
                  sociali che approssimerebbero la società stessa allanarchia.
 Con lo stesso approccio sperimentale e pluralistico Malatesta 
                  affronta poi la questione economica. Pur essendo rimasto, anche 
                  negli ultimi anni, un convinto assertore del comunismo libertario, 
                  si andò sempre più convincendo che una società 
                  aperta come quella che a suo avviso doveva emergere dalla rivoluzione 
                  antiautoritaria avesse il diritto ma anche il dovere di sperimentare 
                  più forme di economia non gerarchica, e che la scelta 
                  di privilegiare un modello piuttosto che un altro avrebbe dovuto 
                  essere compiuta solo in base ai risultati sperimentali del campo 
                  e non sullonda di convinzioni ideologiche aprioristiche.
 Il fatto di aver scelto di non essere un teorico, un intellettuale 
                  (le sue capacità speculative glielo avrebbero senzaltro 
                  consentito) nulla toglie alla forza delle sue argomentazioni, 
                  le quali anzi risultano ancora più pregnanti e incisive. 
                  Stupisce, leggendo gli scritti malatestiani, quel senso di concretezza 
                  che gli permise di affrontare in maniera semplice (ma niente 
                  affatto semplicistica) anche questioni teoricamente rilevanti, 
                  come ad esempio il rapporto tra scienza e libertà: il 
                  relativismo malatestiano in merito a questultimo aspetto, desunto 
                  anchesso dalla moderna separazione tra giudizi di fatto e di 
                  valore, è in alcuni punti precorritore delle recenti 
                  riflessioni popperiane.
 Limpronta umanista e il respiro universale che Malatesta 
                  diede allanarchismo, sganciando definitivamente il pensiero 
                  anarchico dagli approcci "fondamentalisti" propri 
                  dei pensatori anarchici a lui precedenti, unito allattualità 
                  di molte sue considerazioni, è forse leredità 
                  più importante trasmessaci dallanarchismo classico: 
                  questo lascito costituisce ancor oggi, a mio avviso, il bagaglio 
                  teorico per un anarchismo che voglia davvero essere al passo 
                  coi tempi. In questo senso, questa antologia contribuisce decisamente 
                  allo scopo.
  Francesco Berti
  Errico Malatesta 
                  in una caricatura di Francesco Berti.
   
 La notte algerina Nellimmaginario comune lAlgeria è diventata un luogo 
                  di violenze inenarrabili e di continui massacri di innocenti. 
                  Al punto che le ripetute stragi trovano spesso solo qualche 
                  trafiletto sui quotidiani nella sezione Esteri. Se il numero 
                  delle vittime è nellordine delle decine e qualche raro 
                  filmato o qualche fotografia entrano in circolazione, viene 
                  dato più spazio alla notizia. Ma trattandosi, appunto, 
                  di notizie anche queste morti strazianti vengono fagocitate 
                  dai media e scompaiono nel calderone delle violenze quotidiane: 
                  lultima strage nel Kosovo o in Africa, i viaggi della disperazione 
                  di kosovari e curdi, gli ultimi bombardamenti in Iraq.La struttura stessa dei media, soprattutto di quello televisivo, 
                  fanno si che una distanza tra noi occidentali e il resto del 
                  mondo, si consolidi giorno dopo giorno in un processo di rimozione 
                  continua.
 LAlgeria è ai miei occhi uno dei simboli di questa 
                  rimozione e di questa distanza in cui i nostri sentimenti anestetizzati 
                  riposano giorno dopo giorno. È quindi con grande emozione 
                  che ho letto gli ultimi due libri pubblicati in Italia della 
                  scrittrice algerina Assia Djebar: Bianco dAlgeria - Memorie 
                  di un paese spezzato ed. Il Saggiatore 1998 - 190 pag. L. 
                  26.000 e Nel cuore della notte algerina Giunti-Astrea 
                  1998 - pag. 254 - L. 20.000.
 Il primo, che è anche quello cronologicamente più 
                  vecchio, è un libro di ricordi nato dalla necessità 
                  di ridare corpo e voce a tre amici della scrittrice assassinati 
                  dagli integralisti. Così le tre "giornate bianche" 
                  in cui questi uomini furono assassinati emergono dalla polvere 
                  del tempo passato. Il primo dei morti, MHamed Boukhobza sociologo, 
                  muore in una luminosa mattina destate del giugno 1993 nella 
                  sua casa sulle colline di Algeri. La sua colpa era di essere 
                  un intellettuale, uno degli autori di un rapporto intitolato 
                  "LAlgeria, anno 2000" scomparso dopo la sua morte, 
                  uno di quegli uomini convinti che lAlgeria avrebbe potuto intraprendere 
                  un originale percorso di modernizzazione radicato nella cultura 
                  araba, senza imitare il modello unificante proposto dallOccidente.
 Il secondo è lo psichiatra Mahfoud Boucebci, un uomo 
                  "dedicato al miglioramento della condizione degli esclusi: 
                  dei pazzi, dei bambini abbandonati, delle donne sole in difficoltà" 
                  e in continua polemica con il "nuovo oscurantismo" 
                  che stava già devastando lAlgeria. Nella terza giornata 
                  bianca a essere trovato dalla morte è Abdellaker Alloula, 
                  drammaturgo, regista e attore di teatro, condannato a causa 
                  di ciò.
 Assia Djebar lo ricorda anche con le parole di un altra 
                  voce scomparsa: quella dello scrittore Kateb Yacine morto di 
                  leucemia.
 "Morire così è vivere
 Guerra e cancro del sangue
 Lenta o violenta ognuno la sua morte
 Ed è sempre la stessa
 Per chi ha imparato
 A leggere nelle tenebre
 E per chi a occhi chiusi
 Non ha mai smesso di scrivere
 Morire così è vivere".
 A partire da questi tre amici scomparsi vengono richiamati 
                  come su un proscenio gli scrittori, poeti e intellettuali algerini 
                  che racchiudono in sé la storia di questo paese a partire 
                  dalla lotta per lindipendenza dalla Francia.
 Ogni storia una voce singolare, una morte diventata simbolo. 
                  Per me lettrice occidentale i più sono sconosciuti tranne 
                  uno che conosco e amo anche per la sua passione per la libertà. 
                  Si tratta di Albert Camus che viene ricordato anchegli nellincompiutezza 
                  di una vita falciata da una morte accidentale, durante la stesura 
                  del "Primo Uomo".
 Assia Djebar vuole recuperare a tutti i costi le parole 
                  di questi morti perché ritiene che le parole scritte 
                  sopravvivano ai loro autori, perché anche quando il loro 
                  sangue versato è ormai secco, queste parole ci toccano 
                  con una potenza inalterata. Nel caso specifico dellAlgeria 
                  le parole si intrecciano in molteplici lingue: francese, berbero, 
                  arabo classico e arabo dialettale. Ognuno di loro, come la Djebar 
                  stessa, si muove in un territorio di confine nel quale le lingue 
                  si sovrappongono, si intrecciano appunto, ma non si sopraffanno 
                  mai. La molteplicità di lingue e culture è una 
                  ricchezza che gli integralisti vogliono sopprimere. È 
                  la voce della poesia "fragrante dolcezza" a far si 
                  che lautrice risenta le voci di ognuno "prima dellapprossimarsi 
                  di ogni aurora".
 "Il poema era dapprima Parola - Awal - parola della 
                  lingua, ancora impronunciata; recondita: parola dimenticata 
                  o disseminata, di cui il linguaggio faceva un uso peculiare, 
                  come scarto, margine, erosione o altezza remota e trascurabile: 
                  Parola-collina; Parola-dimenticata".
 Ogni poeta, ogni scrittore è uomo fatto di parole 
                  e di memoria che non si arrende alloblio. Assia Djebar ci restituisce 
                  nel suo libro, non solo la potenza delle parole e lincanto 
                  della poesia, ma donne e uomini di carne e sangue morti prima 
                  di avere anche solo potuto pensare di portare a termine lopera 
                  cui si sentivano chiamati.
 LAlgeria di Camus ricordata con queste sue parole "Il 
                  mio appello sarà più che pressante. Se avessi 
                  il potere di dare una voce alla solitudine e allangoscia di 
                  ciascuno di noi, è con quella voce che mi rivolgerei 
                  a voi. Quanto a me, ho amato con passione questa terra in cui 
                  sono nato, da essa ho attinto tutto quello che sono e non ho 
                  mai separato dalla mia amicizia nessuno degli uomini che ci 
                  vivono, a qualsiasi razza appartengano. Benché abbia 
                  conosciuto e condiviso le miserie che non le mancano, essa è 
                  rimasta per me la terra della felicità e della creazione. 
                  E non posso rassegnarmi a vederla diventare la terra dellinfelicità 
                  e dellodio." è diventata la terra in cui si "uccidono 
                  giornalisti, medici, insegnanti, donne professoresse o infermiere, 
                  si uccidono dei "diplomati" quando non sono al potere, 
                  non vogliono proteggersi o non se ne preoccupano.... Uccidere 
                  i giusti, poiché gli ingiusti si tappano in casa, si 
                  difendono, continuano ad accumulare profitti. Colpire chi parla, 
                  dice "io", manifesta la propria opinione, difendere 
                  la democrazia. Abbattere chi si colloca sul passaggio: del pluralismo 
                  linguistico, degli stili di vita, chi si tiene in disparte, 
                  chi va avanti, incurante di sè o inventandosi ogni giorno 
                  la sua verità personale".
 Questa è lAlgeria "ghermita da tenebre mutevoli, 
                  paurose e a volte orrende.. dunque non cè più 
                  soltanto la notte delle donne rinchiuse , soffocate, sfruttate 
                  come semplici genitrici - e questo da generazioni".
 Sono le donne raccontate splendidamente nel secondo libro 
                  di cui scrivo allinizio. Donne che vivono nel terrore ma che 
                  non si arrendono. Donne che vivono in quel territorio della 
                  molteplicità che gli integralisti vogliono cancellare.
 "Racconti di donne nella notte algerina, nuove "donne 
                  dAlgeri" di oggi. Briciole di vita trasportate, riferite 
                  dalle viaggiatrici, dalle passeggere che vanno e vengono, tra 
                  una tappa e laltra, sotto un riparo dove si possa prendere 
                  fiato e ricordare. Tappe non della fuga, no: piuttosto della 
                  mobilità. Dialoghi scambiati fra algerine di qui e di 
                  laggiù. In quei momenti si stagliano, si staccano lembi 
                  di vita: immagini di caccia, di fuga, di morte. Di speranza, 
                  talvolta, in questa lunghissima notte".
 Due libri dolenti e nonostante tutto pieni proprio di vita 
                  e di speranza. Due libri che hanno arricchito di poesia le mie 
                  riflessioni su integralismo e globalizzazione. Due modalità 
                  diverse di "volere" il mondo che hanno in comune il 
                  desiderio di cancellare la ricchezza della molteplicità 
                  e di erigere sulle ceneri dei molti mondi che stanno distruggendo, 
                  un mondo unico fatto a loro immagine e somiglianza. Molto semplicemente 
                  mi viene da dire che il fanatismo religioso, i nazionalismi 
                  rinati, lintegralismo non sono che laltra faccia, e non so 
                  quale delle due sia più oscura, della globalizzazione. 
                  Questo modello di vita, di economia che sta sommergendo come 
                  una lunga onda fangosa tutto il mondo. Ma sono altresì 
                  convinta che con la forza delle parole, dette e scritte, con 
                  la propria vita quotidiana che non si accasci nelluniformità 
                  del mercato e della vita solo televisiva si possa quanto meno 
                  dare forma a una sorta di "resistenza".
  Elena Petrassi
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