| Incontro Taquias Vergara Vicente detto Urbano proprio 
                  allindomani dellanniversario del colpo di stato in Cile, l11 
                  settembre di venticinque anni fa.Urbano è un rifugiato politico cileno che vive in Italia dal 
                  1975 - oggi ha cinquantatré anni. In questo paese è venuto con 
                  la famiglia, la moglie e i figli; in questo paese ha saputo 
                  darsi, per poter sopravvivere, una nuova professionalità: da 
                  lavoratore del cuoio a operaio saldatore specializzato; in questo 
                  paese ha pagato le tasse in ragione del suo reddito.
 In Italia Urbano non ha mai smesso di fare politica.
 Dapprima il fulcro della sua attività è stato il Cile, comera 
                  ovvio che fosse - la solidarietà con i compagni rimasti laggiù.
 Poi, a mano a mano che il tempo passava, a mano a mano che la 
                  sua conoscenza della lingua e della realtà italiane migliorava, 
                  il suo lavoro politico ha cambiato direzione.
 Il Cile era stato il sogno di una rivoluzione sognata da molti, 
                  in America latina e nel mondo. Un sogno che si era trasformato 
                  nellincubo della dittatura.
 Ma il Cile era stato anche una straordinaria fucina di esperienze 
                  di lotta. Di strategie. Di riflessioni, spesso anche molto amare. 
                  Urbano non aveva nessuna intenzione di dimenticare. La vita 
                  continuava e la vita adesso era in questo paese, in Italia.
 Di qui la decisione di prendere parte attiva, negli anni Ottanta, 
                  alle lotte ambientaliste di Massa Carrara contro linquinamento 
                  della Farmoplant-Montedison e contro linquinamento chimico 
                  in Val Bormida. Di qui la decisione, più tardi negli anni Novanta, 
                  di mettere in piedi un comitato di immigrati che lavorasse non 
                  solo alla denuncia, ma anche alla creazione concreta di spazi 
                  di esistenza dignitosi per tutti quegli extracomunitari che 
                  fino a quel momento, in Alessandria e provincia, dove Urbano 
                  nel frattempo si era trasferito, avevano rappresentato nientaltro 
                  che un comodo serbatoio di lavoro nero. Buon lavoro nero in 
                  cambio di panchine, stamberghe, affitti alle stelle. Lavoro 
                  nero a buon mercato in cambio di indifferenza, quando andava 
                  bene, altrimenti: xenofobia.
 Poi, il 17 maggio 1995, dopo ventanni di permanenza in questo 
                  paese, Taquias Vergara Vicente detto Urbano chiede la cittadinanza 
                  italiana.
 Invano!
 La sua istanza viene respinta perché sarebbero emersi nei confronti 
                  dellinteressato motivi ostativi ai fini della sicurezza della 
                  Repubblica. La Repubblica italiana.
 Lo dichiara il ministro dellinterno, il diessino Giorgio Napolitano, 
                  in risposta allinterrogazione parlamentare che in proposito 
                  gli è stata inoltrata dal senatore Giovanni Russo Spena.
 Eppure la documentazione presentata da Urbano risultava ineccepibile, 
                  la sua fedina penale pulita.
 Che cosa è successo allora?
 È successo che al ministero dellinterno è pervenuta una nota 
                  del Dipartimento della P.S. - Ufficio Stranieri da cui emergono 
                  elementi tali da non ritenere opportuna la concessione della 
                  cittadinanza al signor Taquias Vergara Vicente.
 Perché?, ha domandato Urbano.
 ... in relazione allesigenza di salva guardare lordine pubblico 
                  e la prevenzione e repressione della criminalità ... gli elementi 
                  documentali prodotti dai competenti organi di pubblica sicurezza 
                  sui quali è stato fondato il rigetto dellistanza di concessione 
                  della cittadinanza non sono accessibili. Questa la risposta. 
                  Glielha cortesemente fornita il ministro stesso.
 Dunque: ci si rivolge allo stato presentando unistanza - la 
                  documentazione richiesta è completa e a norma di legge; lo stato 
                  ricusa listanza sulla base di uninformativa della polizia; 
                  il richiedente chiede di conoscere i contenuti della nota compilata 
                  dai funzionari di pubblica sicurezza - daltronde lo si accusa 
                  di essere un pericolo per la Repubblica!; e lo stato italiano 
                  che fa?
 Per bocca del suo ministro dellinterno risponde che no, proprio 
                  non lo si ha il diritto di sapere per quale ragione si è ritenuti 
                  pericolosi. Risponde che la cittadinanza non può essere concessa, 
                  punto e basta.
 Il caso ha voluto che incontrassi Urbano proprio un quarto di 
                  secolo dopo il colpo di stato che ha sconvolto il suo paese 
                  dorigine.
 I giornali sono pieni di commemorazioni.
 ... che bei tempi quelli del Cile, te li ricordi? ... erano 
                  gli anni Settanta, come eravamo giovani... e Allende? te lo 
                  ricordi Salvador Allende?... la rivoluzione... el pueblo unido 
                  jamas sera vencido...
 Tra i suoi senatori a vita con pieni poteri, oggi il Cile annovera 
                  il generale-dittatore Augusto Pinochet. Leggo che il miracolo 
                  economico cileno sarebbe unillusione: un quarto del paese 
                  vive in assoluta povertà e un terzo della nazione guadagna meno 
                  di 30 dollari alla settimana [Cile 98. Falso miracolo di Marc 
                  Cooper in Diario della settimana, Anno III, n.36].
 Poi mi cade locchio su una lettera di Leoluca Orlando pubblicata 
                  da il Manifesto [09.09.98] e indirizzata a Giorgio Napolitano.
 È giusto in materia di migrazione e politica di asilo, manco 
                  a farlo apposta!
 Stando allo scrivente, in data 1 luglio 1998 la presidenza austriaca 
                  avrebbe varato in sordina una proposta di documento strategico 
                  dove si mette in discussione e si smentisce la Convenzione 
                  di Ginevra (!) che sancisce il diritto di asilo come diritto 
                  individuale.
 Peccato che poco più in là Orlando smentisca la sua buona fede 
                  e abbia la spudoratezza di aggiungere che il trattato di Schengen 
                  è ispirato allabbattimento di muri e recinti per la circolazione 
                  delle persone....
 Un pò di odierno Cile, un pò di odierna Italia. Così, mentre 
                  gli Inti Illimani rinverdiscono ancora una volta il mito della 
                  rivoluzione cilena al Festival dellUnità - non dimenticando 
                  di invitare i presenti allacquisto della loro ultima fatica 
                  -, mentre Salvador Allende entra nella rosa dei candidati alla 
                  beatificazione, mentre Enrico Deaglio si chiede se la lezione 
                  del Cile abbia portato frutti, se questi siano amari o dolci, 
                  chi lo sa?, mi domando se questo Cile di oggi e questa Italia 
                  di oggi siano poi così lontani. In fin dei conti, ce la siamo 
                  cavata., riepiloga Deaglio, sibillino, in merito alle vicende 
                  di quegli anni. Di quel golpe.
 [v. Diario, cit.]
 Non si può dargli torto.
 In merito a quegli anni, in merito a quel golpe, in quanti se 
                  la sono cavata?
 E.S.   Un 
                  nome di battaglia  ... Sto parlando del 69, quando in Cile ci fu un massacro 
                  di pobladores. I pobladores erano persone che non avevano niente, 
                  famiglie intere che occupavano le terre del demanio nel Sud 
                  del Cile, a Punta Arenas. Ci fu un ministro - Sujovic - che 
                  ordinò lo sgombero di questa gente... Ne venne fuori un massacro, 
                  dodici morti. A quei tempi in Cile cera il MIR [sinistra rivoluzionaria 
                  n.d.r.]. Ma anche altre organizzazioni rivoluzionarie. Un blocco di queste si trasferì a Santiago... ...
 Tu sei di Santiago?  Sì, io sono nato a Santiago.Quindi ci siamo ritrovati con questi giovani rivoluzionari che 
                  venivano dalle università del Sud. Anarchici, trotzkisti, libertari, 
                  in polemica col MIR.
 A quei tempi si faceva attività politica nelle fabbriche, io 
                  lavoravo nel settore calzaturiero e militavo con gli anarcosindacalisti 
                  - mio padre [Manuel Taquias n.d.r.] era stato tra i fondatori 
                  del sindacato anarchico cileno del cuoio...
 ... Provieni da una famiglia anarchica?  Sì. Come ti dicevo, nei primissimi anni Settanta si partecipava 
                  alle lotte per loccupazione delle terre. E si lavorava già 
                  in semiclandestinità.Il nome Urbano, che poi mi è rimasto, risale proprio a quel 
                  periodo. Di solito cercavamo un nome di battaglia che ricordasse 
                  qualcuno che aveva dato la vita alla causa del popolo.
 A quel tempo era ancora vivo un Urbano che militava nellEsercito 
                  Rivoluzionario del Popolo, in Argentina. E poi cera lUrbano 
                  che aveva fatto la guerriglia col Che, uno dei sopravvissuti 
                  al massacro di Guevara in Bolivia...
  ... Nel 69 sei entrato in clandestinità...  ... Sì, siamo entrati in clandestinità perché non si sapeva 
                  ancora quali sarebbero state le sorti di Unidad Popular [lUnidad 
                  Popular, costituita nel 69, comprendeva i partiti comunista, 
                  socialista, socialdemocratico e radicale, una fetta di democratici 
                  cristiani scissionisti (MAPU) e lAPI (Alianza Popular Independiente) 
                  n.d.r.].Senza contare che erano molto attivi anche tutta una serie di 
                  movimenti di destra, dei quali si poteva intuire fin da allora 
                  lobiettivo, cioè un golpe da attuarsi con il sostegno americano. 
                  Il colpo di stato del 73 non fu una novità per noi, gli Americani 
                  vi avevano sempre lavorato.
 LI.T.T., la multinazionale americana International Telegraph 
                  and Telephone, col suo giro daffari di 8,5 miliardi di dollari 
                  nel mondo, tra i più grandi investitori in Cile (153 milioni 
                  di dollari), finanziò la campagna elettorale di Nixon con 400.000 
                  dollari...  LI.T.T. aveva investito in tutta lAmerica Latina.  Comera strutturato il vostro lavoro politico?  Principalmente occupavamo le terre. Santiago era ed è una 
                  città molto popolosa, un terzo dei cileni vive nella capitale 
                  [nel giugno 1970 i cileni erano 9,7 milioni, 3,2 milioni dei 
                  quali vivevano a Santiago n.d.r.]. Quindi cerano delle terre da occupare...  ... In Cile ledilizia popolare era inesistente, cera bisogno 
                  di conquistare degli spazi. La gente si aggregava in comitati 
                  di occupazione e cercava di stabilirsi nelle terre del demanio, 
                  dei latifondisti. I quartieri di Santiago sono sempre nati così 
                  e la zona Sud della capitale era la più affollata.  Cera il famoso quartiere de La Victoria...  ... Cerano La Victoria, La Legua... Io vengo proprio da La 
                  Legua, un quartiere che è nato negli anni 50, praticamente 
                  un quartiere di deportati. Tutti quelli che avevano sostenuto 
                  delle battaglie politiche negli anni precedenti erano infatti 
                  finiti qui, erano stati cacciati fuori dalla città - La Legua 
                  allora era molto in periferia. Cerano comunisti, socialisti, 
                  trotzkisti, anarchici. Con le famiglie. Una parte del quartiere 
                  era stata occupata, una parte acquistata. Ed era allavanguardia 
                  in tutte le lotte sociali. Tutte le occupazioni a Sud di Santiago 
                  venivano organizzate dai figli di quegli operai che erano stati 
                  perseguitati durante i regimi dittatoriali precedenti [nel 1952 
                  il Cile era nuovamente governato dal dittatore Carlos Ibanez 
                  del Campo, che era già stato al potere nel 26 quando, in qualità 
                  di ministro della guerra, aveva costretto alle dimissioni il 
                  presidente liberale Figueora n.d.r.].  La storia politica del 900 in Cile è alquanto movimentata, 
                  è stato tutto un avvicendarsi di presidenti...  ... In Cile sono sempre stati al potere i militari. E sono 
                  al potere ancora oggi.  E la repressione?  La repressione era fortissima, perché come tu arrivavi ad occupare 
                  la terra ti trovavi subito di fronte lesercito.  Comera la strategia di resistenza?  Si era consapevoli che bisognava resistere a tutti i costi, 
                  scontrarsi con loro fino ad ottenere di rimanere.  Eravate armati?  No, ci si difendeva con i bastoni, con quello che si aveva. 
                  A sostenerci era più che altro la volontà di non essere mandati 
                  via. Perché non si aveva dove tornare.A queste lotte partecipavano anche tutti i quartieri vicini.
   
  Azioni 
                  illegali
  Perché tu e i tuoi compagni, alcuni anche comunisti rivoluzionari, 
                  non vi riconoscevate nel MIR?  Perché noi avevamo una visione diversa della rivoluzione.Noi in fondo eravamo più autogestionari, non accettavamo questa 
                  direzione centralista, marxista. Eravamo nati lì, vivevamo in 
                  questi quartieri. Vivevamo quella realtà di miseria sulla nostra 
                  pelle.
 Comunque, pur non avendo una strategia nazionale, eravamo molto 
                  solidali con tutta la sinistra cilena. Eravamo presenti nelloccupazione 
                  delle fabbriche, agli scioperi, nei contratti nazionali... Ci 
                  muovevamo già allora in uno stato di illegalità. Il nostro Paese, 
                  infatti, non ci riconosceva alcun diritto. Non avevamo niente.
 Quando sono venute le elezioni del 70, Santiago era circondata 
                  da accampamenti di pobladores. Dopo la vittoria di Salvador 
                  Allende, questi occuparono i nuovi quartieri in costruzione 
                  che il precedente governo Frei aveva destinato alla piccola 
                  borghesia, al ceto medio.
 Io ed altri compagni ci installammo in un quartiere militare, 
                  destinato a pensionati dellaviazione...
 ... Che si chiamava?  Si chiamava la poblacion Guatemala. La gente ci vive ancora 
                  oggi.  Come giudicavate allora, tu e i tuoi compagni, il programma 
                  economico di Unidad Popular? avevate discusso, per esempio, 
                  la questione della nazionalizzazione delle risorse cilene che 
                  il governo Allende si proponeva di portare a compimento?  Il problema del governo Allende era un altro.Sì, il governo Allende intendeva lavorare alla nazionalizzazione 
                  delleconomia - e in questo senso alcune cose sono state anche 
                  realizzate -, ma subito dopo la presa del potere, il presidente 
                  ha dovuto negoziare il suo programma da cima a fondo con la 
                  De-mocrazia Cristiana. Dopo le elezioni, il numero delle imprese 
                  da nazionalizzare è stato notevolmente ridimensionato.
 Per nazionalizzazione noi invece intendevamo unaltra cosa.
 Non ci importava niente che le fabbriche fossero monopoliche... 
                  Intanto le avevamo occupate. Tutti i luoghi di lavoro erano 
                  in mano ai lavoratori. E questo contrastava fortemente con il 
                  programma economico ufficiale di Unidad Popular.
 Le nostre azioni venivano viste dal nuovo governo della sinistra 
                  come illegali. Mentre noi indirizzavamo la lotta in un certo 
                  senso, Allende cercava di frenarla. Con la repressione.
 Per tre anni Salvador Allende ha cercato di garantire alla borghesia 
                  che in Cile non ci sarebbe stata rivoluzione...
  ... Perché gli investitori stranieri, la borghesia cilena 
                  non si spaventassero troppo di fronte a questo programma economico... 
                 ... Era un continuo richiamarsi al popolo in divisa che difenderà 
                  la Costituzione. Fatto sta che poi Allende ha chiamato Pinochet. 
                  Era totalmente assurdo: da una parte si stava vivendo una situazione 
                  rivoluzionaria, dallaltra il governo cercava di mantenere una 
                  legalità che non era la nostra a tutti i costi.Era lunità dei politici, dei borghesi, dei capitalisti dellAmerica 
                  Latina. E dellAmerica del Nord.
 ... E lEuropa? cosa vi arrivava dallEuropa in quel periodo? 
                  dai partiti comunisti di allora, dai socialisti, dagli anarchici? 
                 Di quello che si pensava del nostro progetto fuori del Cile 
                  non ci eravamo per niente preoccupati. Con gli europei non cera 
                  alcun contatto. O meglio: i contatti li avevano alcune organizzazioni 
                  ufficiali come il Partito Comunista e il Partito Socialista. 
                  Noi che eravamo nei quartieri, nelle fabbriche, eravamo ben 
                  lontani da questo.Anzi, quando in Italia cera Saragat, si credeva che da voi 
                  fossero al governo le sinistre! Si era disinformati, si pensava 
                  solo al nostro, di progetto rivoluzionario.
 E con gli altri Paesi dellAmerica Latina?  Eravamo molto, molto vicini. Coi peruviani, coi boliviani, 
                  con gli argentini cera una solidarietà grandissima... Il Cile, 
                  nei primissimi anni Settanta, era pieno di rifugiati. Ai quali, 
                  peraltro, non veniva quasi mai concesso asilo politico.Questa gente si nascondeva nei nostri quartieri e partecipava 
                  direttamente alle nostre lotte, senza preclusioni.
 Prima stavi dicendo della repressione del governo di Unidad 
                  Popular nei vostri confronti...  ... Il problema più grosso lo ha creato proprio il parlamento 
                  cileno, due anni dopo linsediamento di Allende, quando ha approvato 
                  la legge sul controllo delle armi.  La presidenza di Camera e Senato era nelle mani della Democrazia 
                  Cristiana fin dal 71...  ... Nel Paese, tra destra e sinistra, cerano molti scontri 
                  a fuoco, era un periodo di grande tensione.Si era di fronte a uno stato di aggressione permanente dei sindacati, 
                  di tutte le iniziative popolari.
 Questa legge sul controllo delle armi, che in apparenza era 
                  stata fatta per disarmare la destra, fu applicata invece soltanto 
                  contro di noi. Furono perquisiti tutti i quartieri, le sedi 
                  sindacali...
 ... DallItalia scrivevamo articoli sul Cile, contro la repressione 
                  dei militari, parlando della resistenza che cera laggiù. Abbiamo 
                  pubblicato le fotografie dei morti massacrati [vedi El amigo 
                  del pueblo n.0/1986, pubblicato a Carrara a cura del Comitato 
                  dei lavoratori cileni libertari in esilio n.d.r.].
 Come siete riusciti a reperire il materiale fotografico?  Ci è arrivato direttamente dal nostro Paese, da amici. Nascosto 
                  tra le pagine di una rivista.  Durante la dittatura di Pinochet, siete riusciti a mantenere 
                  i contatti con i compagni anarchici rimasti in Cile?  Sì, dallItalia si portò avanti una grande campagna di solidarietà 
                  con il movimento anarchico cileno e facemmo anche in modo che 
                  alcuni di loro potessero venire qui a tenere delle conferenze.  Intanto in Cile la repressione continuava...  ... Ferocemente. Contro tutti quelli che si opponevano al 
                  regime.Le formazioni politiche presenti in Cile oggi sono le stesse 
                  di allora. Però adesso sono ancora più deboli...
 Perché?  Perché in Cile si è creata una situazione molto particolare.Si è imposto un regime economico che ha portato il Paese ad 
                  una crescita molto grossa che ha arricchito una parte della 
                  popolazione...
    Con 
                  laiuto della gente
 ... Per quanto riguarda le iniquità nella distribuzione 
                  del reddito, le relazioni sulla situazione economica del Cile, 
                  quelle più recenti, danno il Paese a livelli africani. DellAfrica 
                  più povera.  La maggior parte della popolazione vive in condizioni di povertà 
                  assoluta. È stato privatizzato praticamente tutto: le scuole, 
                  la salute, lassistenza. Chi è fuori da questo sistema non ha 
                  alcuna possibilità. E fuori da questo sistema ci sono più o 
                  meno sei milioni di persone, circa metà della popolazione del 
                  Cile.  Chi ancora fa politica si trova...  ... Si trova a dover affrontare tutti i problemi del dopo dittatura.Comunque in Cile, se vuoi fare politica oggi, devi continuare 
                  a stare molto attento. Il sistema di collaborazione con gli 
                  organi della repressione resta infatti capillare, non è mai 
                  venuto meno.
 La sinistra è molto debole, anche a livello istituzionale - 
                  con lapprovazione delle nuove leggi è molto difficile riuscire 
                  ad ottenere una rappresentanza consistente in Parlamento.
 Ma del resto la sinistra cilena non è mai stata maggioritaria, 
                  neppure ai tempi di Allende. Il suo consenso si è sempre aggirato 
                  intorno a percentuali del 35, 40%.
 Ritorniamo un momento indietro, alla tua storia.Mi dicevi che tu e i tuoi compagni siete tornati nuovamente 
                  in clandestinità sotto il governo Allende...
 ... Siamo stati costretti alla clandestinità. Il governo della 
                  sinistra ci perseguitava.Come ti dicevo nel 70, dopo la vittoria di Unidad Popular, 
                  mentre Salvador Allende negoziava il suo programma economico 
                  con lopposizione, noi operai delle grosse città occupammo le 
                  fabbriche, i contadini le terre - e daltra parte Allende lo 
                  aveva sempre detto: la terra ai contadini!...
 Ma cera anche un altro grosso problema in Cile, che si era 
                  verificato subito dopo linsediamento del nuovo governo di sinistra: 
                  il mercato nero. Sì, Allende aveva aumentato gli stipendi di 
                  molto, però la cosa non aveva quasi nessun valore nella pratica. 
                  I prezzi erano esorbitanti, impossibili.
 Allora noi, a Santiago, mettemmo in piedi unorganizzazione 
                  autogestita di distribuzione diretta dei generi alimentari di 
                  prima necessità. Per fare questo, avevamo occupato i centri 
                  di smistamento di viveri della capitale, i supermercati, i magazzini, 
                  in una vera e propria guerra al mercato nero.
 Con laiuto della gente dei quartieri riuscivamo ad imporre 
                  dei prezzi accessibili.
 Su questa cosa Allende non era affatto daccordo, voleva gestire 
                  la distribuzione degli alimenti con una organizzazione che si 
                  chiamava La Jap (Junta del Abatecimiento y pecio).
 Ci trovammo contro il Partito Comunista, il Partito Socialista. 
                  Ci diede addosso il presidente...
 ... E il MIR?  Il MIR era a favore, partecipava attivamente.Ad un certo punto, a Santiago, eravamo riusciti a mettere in 
                  piedi 32 centri di distribuzione diretta.
 Unorganizzazione molto estesa...  La battaglia contro il mercato nero era molto sentita, molto 
                  partecipata. Questa partita con noi, Allende ha cercato di chiuderla 
                  fino allultimo.  In che modo?  Facendoci cercare dalla polizia. Era proprio una questione 
                  fisica: volevano farci fuori. Ci furono parecchi scontri, sia 
                  con la polizia che con i comunisti.  Come si chiamava la vostra organizzazione?  Non cera una sigla... Però eravamo in tutti i quartieri.  Gli scontri...  ... Gli scontri erano più che altro con la sinistra, con la 
                  destra era normale. Il governo ci identificava col MIR - allora 
                  infatti non esisteva unorganizzazione specifica degli anarchici.Gli anarchici, i libertari partecipavano alle battaglie politiche 
                  direttamente, ognuno dove si trovava.
 Quando poi in Europa ho potuto leggere della guerra di Spagna, 
                  della guerra civile, ho riscontrato molti punti in comune con 
                  quello che era stato tentato in Cile. In particolare sulla questione 
                  della collettivizzazione...
 La clandestinità sotto il governo Allende significava per 
                  voi...  ... Che ci preparavamo a combattere di nuovo!Intanto perché il governo di Unidad Popular voleva farci fuori 
                  - in quanto radicalizzavamo la lotta - e poi, ovviamente, perché 
                  la destra non aveva mai smesso di attaccarci.
 Inoltre sapevamo che si stava preparando un colpo di stato.
 Da una parte agivamo in clandestinità, dallaltra continuavamo 
                  la nostra attività politica nei quartieri come dirigenti di 
                  base.
 Siamo passati dal golpe alla resistenza direttamente e molti 
                  di noi sono sopravvissuti proprio grazie a queste organizzazioni 
                  clandestine attive fin da prima. Il massacro più grosso, infatti, 
                  è stato perpetrato proprio contro gli operai. Che non avevano 
                  nessun tipo di difesa. E tutto è stato fatto subito, nei primi 
                  giorni della dittatura.
   
  Nello 
                  stadio
 I militari erano entrati a far parte del governo Allende 
                  già nel 72 con il generale Carlos Prats, comandante in capo 
                  dellesercito, che ottenne il ministero dellinterno. Successivamente 
                  il sesto gabinetto del governo di Unidad Popular inglobò tutti 
                  e tre i comandanti delle armi cilene (lEjercito, la Fach, lArmada). 
                  Era lagosto del 73.  Allende li ha fatti entrare perché la destra si appellava in 
                  continuazione allesercito, lopposizione riteneva che il presidente 
                  avesse violato la costituzione e che bisognasse quindi ripristinare 
                  lordine.I primi risultati di questa operazione furono che i militari 
                  pretesero, in qualità di ministri, che le fabbriche venissero 
                  sgomberate e restituite ai padroni.
 Poi, con la scusa del controllo delle armi, la nostra organizzazione 
                  di distribuzione di generi alimentari venne ostacolata rimanendo 
                  comunque in piedi fino alla caduta di Unidad Popular. Ma tutto 
                  era cominciato molto prima.
 Quando Allende ci chiamò a raccolta per difendere il palazzo 
                  presidenziale [il riferimento è al 28 giugno 73, quando un 
                  reggimento blindato tentò di conquistare La Moneda n.d.r.], 
                  la situazione in Cile era già chiara: o la guerra civile o il 
                  golpe. Quella volta chiedemmo al presidente di distribuire le 
                  armi. Non lo fece. Fu per questo che noi dei quartieri popolari 
                  non rispondemmo al suo appello.
 Allende era il solo a non voler vedere in faccia la realtà. 
                  Continuava a ripetere che in Cile non ci sarebbe mai stato colpo 
                  di stato. Continuava con la sua politica di disarmare la gente.
 Invece tutti in Cile sapevano che il colpo di stato sarebbe 
                  venuto. Lo sapevano i comunisti, i socialisti. Lo sapeva il 
                  MIR. Che era molto preparato alla resistenza - loro combatterono 
                  i militari immediatamente, pagando un prezzo altissimo.
 Noi dirigenti di base dei quartieri abbiamo fatto le barricate 
                  con quello che avevamo. Ma non era certo sufficiente ad affrontare 
                  un esercito. E neanche ad affrontare una guerra civile.
 Con i nostri mezzi potevamo al massimo difenderci dai fascisti, 
                  niente di più.
 Quando sei stato arrestato?  Mi hanno arrestato il 27 settembre del 73. Mi hanno portato 
                  in un campo di concentramento dellaviazione, a Santiago, e 
                  poi di lì mi hanno trasferito allo stadio nazionale.  Quanti eravate?  Non ho idea, lo stadio era pieno.  Cosa succedeva?  Vicino allo stadio nazionale cè un velodromo, il centro torture 
                  era stato impiantato lì. Avevano diviso la gente a seconda dei 
                  quartieri di provenienza - io ero con altri 32. Ci torturavano 
                  praticamente per quartiere. Volevano avere nomi, informazioni.Fin dallinizio ci siamo resi conto, però, che la gente resisteva, 
                  non collaborava per niente. E tra noi cera anche molta solidarietà, 
                  si cercava di non dare fiato ai militari. Anche perché non si 
                  sapeva se avevamo perso o meno.
 Eravate tagliati fuori dal mondo...  ... Era stato così anche quando avevamo iniziato la resistenza: 
                  non sapevamo quello che stava succedendo.Ogni quartiere combatteva per conto suo, senza una direzione 
                  - in quei giorni, dei responsabili nazionali dei partiti di 
                  governo non si trovava nessuno.
 Ogni quartiere di Santiago cercava di resistere pensando che 
                  anche gli altri stessero facendo la stessa cosa. Mentre invece 
                  da altre parti non si stava magari facendo nulla, semplicemente 
                  perché mancavano i mezzi...
 Quanto tempo sei rimasto nello stadio nazionale di Santiago?  Dodici giorni.  E poi cosa è successo?  I primi giorni di ottobre è arrivata in Cile una commissione 
                  dellONU. Per i massacri dello stadio nazionale, per la questione 
                  dei diritti umani. Per fermarla...  ... Per fermare questa intrusione...  ... Pinochet ha pensato di fare unoperazione dimmagine. 
                  Ha cominciato a liberare 200, 300 persone alla volta.Si usciva dallo stadio con un certo documento. Con quello ci 
                  si sarebbe dovuti presentare poi alla caserma del proprio quartiere 
                  [Urbano me lo mostra. Il documento è intestato Ejercito de 
                  Chile, Campamento de detenidos Estadio Nacional e lordine 
                  di rilascio è firmato dal generale Jorge Espinoza Ulloa n.d.r.].
 Era tutta una montatura! Una volta che ci fossimo presentati, 
                  ci avrebbero ripresi in tutta comodità per spedirci nei campi 
                  di concentramento su al Nord. Oppure in quelli del Sud. O anche 
                  sulle navi da guerra della marina militare cilena dove nessuna 
                  commissione internazionale sarebbe mai potuta arrivare.
 Hanno ammazzato centinaia di persone così.
 E tu cosa hai fatto?  Una volta fuori sono passato di nuovo alla clandestinità.Sono andato dove lavoravo e mi sono fatto dare dal padrone, 
                  che nel frattempo mi aveva licenziato e non voleva saperne, 
                  i soldi che mi spettavano e i materiali che mi servivano per 
                  riprendere la mia attività di calzolaio - da clandestino ho 
                  tirato avanti facendo scarpe per bambini.
 Intanto si continuava a lavorare allorganizzazione della resistenza. 
                  Ma le cose erano molto più difficili rispetto a prima. Non si 
                  combatteva già più da nessuna parte e nei quartieri dove eravamo 
                  conosciuti la gente aveva paura della nostra presenza. Quando 
                  arrivava, lesercito non si limitava a perquisire qualche casa: 
                  setacciava tutto un quartiere, gli uomini venivano rinchiusi 
                  nei campi sportivi. Era ovvio che la gente avesse paura di noi... 
                  Aveva paura che i militari ci trovassero e facessero una carneficina. 
                  La complicità di prima non esisteva più.
 Facendo trovare cadaveri dappertutto, i militari erano riusciti 
                  a raggiungere il loro scopo: si viveva nel terrore.
 Poi, piano piano, la destra ha iniziato ad essere sempre più 
                  forte. In tutti i quartieri cerano spie, la polizia segreta 
                  era dovunque. La gente ha cominciato a collaborare con i militari.
 Per noi non si trattava più, a questo punto, di fare la resistenza, 
                  ma di salvare la pelle. Cominciavamo a contarci ed eravamo pochi. 
                  Molti erano morti, molti erano nei campi di concentramento.
 Alcuni avevano scelto lesilio.
 Ecco: lambasciata italiana in Cile... Raccontami come ci 
                  sei arrivato.  È stata una vicenda strana. Perché io non pensavo di lasciare 
                  il mio Paese, volevo restare e continuare la mia esperienza 
                  lì.Dei compagni con i quali avevo fatto politica fin dal 69 eravamo 
                  rimasti in quattro... A un anno dal golpe ci decidemmo per lesilio. 
                  Abbiamo preso le nostre donne, i bambini, tutte le donne e i 
                  bambini dei compagni che erano prigionieri, e li abbiamo aiutati 
                  ad entrare nellambasciata italiana. Perché noi labbiamo occupato, 
                  questo spazio.
 [Le relazioni diplomatiche con il Cile sono state interrotte 
                  dal-lItalia il 31 dicembre 1973. La ripresa ufficiale dei rapporti 
                  diplomatici è del 7 aprile 1989, con linsediamento dellambasciatore 
                  Michelangelo Pisano Massamormile n.d.r.]
 Quale fu latteggiamento dellambasciata italiana nei confronti 
                  dei cileni che cercarono asilo subito dopo il golpe?  Lambasciata italiana collaborava con i militari, collaborava 
                  con la giunta. E anche il personale dellambasciata era quasi 
                  tutto di destra. Ma lambasciata italiana accolse i rifugiati? 
                  No, loro non aprirono le porte a nessuno. Collaborarono, anzi, 
                  con la dittatura facendo catturare dei compagni che volevano 
                  scappare. Una volta presi gli accordi per accoglierli, invece 
                  di rispettarli, i funzionari italiani avvertivano la polizia. 
                    Davvero 
                  a Carrara?
 ... Eravamo senza difesa [allinterno dellambasciata italiana 
                  n.d.r.]. Non so perché i militari non entrarono, forse perché 
                  la violazione sarebbe stata troppo eclatante. Venivano solo 
                  quelli dellONU, ci portavano da mangiare con un camioncino... 
                 Allora gli italiani non collaborarono affatto?  Con noi no. Nessuno.Erano di destra. Noi eravamo tutti di sinistra e sapevamo, inoltre, 
                  che collaborando con i militari loro si erano resi responsabili 
                  della morte di alcuni compagni.
 Quanto siete rimasti nellambasciata italiana?  Più di quattro mesi, ma cera gente che ci era stata quasi 
                  un anno. La giunta non voleva saperne di lasciarci andare.Quando hanno deciso di portarci in Italia... Però noi non avevamo 
                  chiesto asilo politico a questo Paese...
 E come è stato che siete arrivati qui?  In fondo il governo italiano voleva sbarazzarsi di questa 
                  situazione. Noi eravamo una testimonianza vivente che in Cile 
                  i diritti umani e politici erano continuamente violati e che 
                  era in corso un massacro. Il governo italiano aveva interrotto 
                  le relazioni diplomatiche, è vero. Ma le relazioni economiche 
                  non erano mai state messe in discussione. La nostra presenza 
                  dava quindi fastidio. Lasilo politico, poi, lItalia non lha mica concesso a tutti! 
                  Prima della legge Martelli, lo status di rifugiato politico 
                  veniva riconosciuto soltanto a chi proveniva dai Paesi dellEst.
 Una volta qui, quelli tra noi che avevano militato nelle fila 
                  del Partito Comunista o in quelle del Partito Socialista cileni, 
                  o anche i militanti del MIR, trovarono delle sponde nei partiti 
                  italiani. Chi invece, come me, non aveva mai avuto un riferimento 
                  politico specifico si trovò in grosse difficoltà.
 Arrivò addirittura notizia al ministero dellinterno, da parte 
                  della sinistra cilena, che noi eravamo in realtà dei delinquenti 
                  comuni, il che complicò ulteriormente le cose.
 Siccome eravamo in parecchi ad essere in questa situazione, 
                  per ottenere il riconoscimento dellasilo decidemmo di mettere 
                  in piedi un comitato. A Grottaferrata. Avevamo avuto lappoggio 
                  del Partito Radicale, la faccenda era arrivata anche a Ginevra...
 Però in tanti, col tempo, si stancarono.
 Lasciarono lItalia.
 Ho letto che in tutto si trattò di tremila rifugiati... 
                 Sono stati molti di più. Se riuscivi a dimostrare che nel tuo 
                  Paese eri stato comunista, allora in Italia eri amico dei comunisti; 
                  se riuscivi a dimostrare che eri stato socialista, allora si 
                  davano da fare i socialisti. Ma se solo avevi fatto parte di 
                  una organizzazione minore, unorganizzazione che si era magari 
                  mostrata critica nei confronti del governo Allende, ti ritrovavi 
                  tutte le porte chiuse.  Sei entrato subito in contatto con gli anarchici italiani? 
                 Quando sono arrivato a Carrara - nella mia famiglia, in Cile, 
                  si era sempre parlato di Barcellona, di Carrara, degli anarchici 
                  di questi posti...I comunisti cileni ai quali veniva riconosciuto lasilo politico 
                  andavano a Bologna, i socialisti a Milano.
 Davanti alle autorità italiane, o in altre sedi, io non mi ero 
                  mai dichiarato anarchico, ma quando mi hanno chiesto dove volevo 
                  andare, ho detto che volevo andare a Carrara.
 Ma come a Carrara?, mi è stato chiesto. Sì, voglio andare a 
                  Carrara, ho risposto. E ci sono andato. È stato lì che ho preso 
                  i primi contatti con gli anarchici italiani.
 Sei arrivato in Italia nel 75. Quando sei intervenuto pubblicamente 
                  per la prima volta sui temi dellimmigrazione e del diritto 
                  alla cittadinanza, in occasione delle celebrazioni per il sessantesimo 
                  anniversario dellassassinio di Sacco e Vanzetti [V.Profughi 
                  ed emigrati tra razzismo e legge in Notiziario dellIstituto 
                  Storico della Resistenza in Cuneo e Provincia N.33], abitavi 
                  e lavoravi qui da dodici anni. La polizia italiana ti stava 
                  già alle costole. Non avevo mai smesso di fare attività politica 
                  per il Cile... ...  Come lavoravi dallItalia?  Più che altro lavoravamo alla costruzione di progetti concreti, 
                  alla creazione di cooperative di lavoro e di sopravvivenza per 
                  gli amici che erano rimasti in Cile. Eravamo riusciti a mantenere 
                  i contatti con i quartieri dai quali provenivamo. E anche con 
                  alcuni compagni nelle fabbriche.  Raccoglievate denaro?  Sì, raccoglievamo dei fondi. Con i portuali di Carrara bloccammo 
                  le navi cilene...  ... Anche a Genova era successo, vero?  Sì, sia a Genova che a Carrara. Mi ricordo che con i soldi 
                  raccolti in quelloccasione si comprarono delle macchine da 
                  cucire per una cooperativa di donne... Tutte queste iniziative erano state promosse da noi, da questo 
                  comitato di lavoratori cileni della zona di Carrara.
 Nei confronti delle organizzazioni che rappresentavano la resistenza 
                  ufficiale del Cile noi mantenevamo infatti delle posizioni molto 
                  critiche. Come prima del golpe, non avevamo mai smesso di ritenere 
                  la sinistra ufficiale cilena corresponsabile della sconfitta.
 Siamo intervenuti più volte anche sulla questione della trasparenza. 
                  Abbiamo denunciato più di una volta che i soldi raccolti dal 
                  Cile democratico non erano mai arrivati alla resistenza.
 Per quanto ci riguardava abbiamo voluto cambiare sistema: facevamo 
                  arrivare il denaro direttamente, tramite compagni italiani.
 Senza intermediari...  Senza intermediari. Senza passare da queste organizzazioni 
                  mastodontiche...Quella per il Cile è stata una delle campagne di solidarietà 
                  più lunghe e più ricche. Sono stati pubblicati centinaia di 
                  libri a favore della lotta del popolo cileno; per la rivoluzione 
                  ci sono state raccolte di soldi in tutto il mondo. Una rivoluzione 
                  che in fondo non cera.
 Non cera?  Non cera. Perché aveva vinto la destra. Si trattava solo 
                  di fare in modo che quelli che erano rimasti là potessero sopravvivere. 
                  Ormai era una questione di pura e semplice sopravvivenza.  Perché lo stato italiano, tramite la polizia, ti teneva 
                  docchio? Continuare ad occuparti del tuo Paese era un tuo diritto 
                  in fondo...  Quello che gli dava fastidio era la nostra radicalità. Nel 
                  senso che noi accusavamo anche lItalia, la Democrazia Cristiana 
                  italiana, di avere avuto la sua parte nel golpe cileno.Le borghesie occidentali erano state tutte conniventi.
 Non per niente, al tempo del governo Allende, le navi cariche 
                  di rame venivano sequestrate proprio ad Amsterdam, e questo 
                  per favorire gli Americani che vi reclamavano un diritto di 
                  proprietà.
 Inoltre, per quanto mi riguarda, facevo anche molta attività 
                  politica insieme agli anarchici. Abbiamo portato avanti una 
                  campagna di solidarietà con il movimento anarchico cileno durata 
                  tre anni, una campagna promossa dal nostro comitato.
 Tra laltro in Toscana eravamo pochissimi, tutti operai.
 Rispetto a quella degli esuli che stavano a Roma, a Milano o 
                  a Bologna, e che rappresentavano la resistenza ufficiale, la 
                  nostra posizione era senza dubbio più radicale. Mentre loro 
                  venivano sostenuti, anche economicamente, dalla sinistra italiana, 
                  la situazione per noi era invece molto pesante. Non avevamo 
                  mezzi, ognuno si doveva muovere a sue spese.
   
  Gli 
                  anni di piombo
 Ad un certo punto sono iniziate le perquisizioni... 
                 ... Ad un certo punto la polizia è riuscita a definire che 
                  ero un anarchico - a quellepoca era in corso una repressione 
                  fortissima contro gli anarchici. Un compagno cileno finì in 
                  galera. E ci è rimasto quattordici anni.  Come si chiamava?  Juan Soto Paillacar [vedi Umanità Nova, 21 dicembre 1986 n.d.r.]. 
                  Alla fine abbiamo scoperto che questo ragazzo non centrava 
                  niente.  Che fine ha fatto?  Juan si è fatto qui quattordici anni di carcere, poi è tornato 
                  in Cile.La polizia mi teneva docchio perché ero anarchico e perché 
                  partecipavo attivamente alle lotte locali, a Massa Carrara, 
                  per la questione della Farmoplant, dellinceneritore [le lotte 
                  ambientaliste contro la Farmoplant-Monte-dison cui fa riferimento 
                  Urbano sono ampiamente documentate dalle pagine locali e non 
                  di tutti i quotidiani toscani e nazionali n.d.r.].
 Sono andato parecchie volte a tenere dei comizi anche in Val 
                  Bormida [contro lACNA di Cengio n.d.r.]...
 ... Cominciavi quindi ad interessarti delle questioni più 
                  specificatamente italiane...  ... Sì, accanto al lavoro di solidarietà con i compagni latino- 
                  americani e di denuncia del governo italiano che non voleva 
                  riconoscergli lasilo politico, cominciavo ad interessarmi di 
                  quello che succedeva qui.  Dicevamo delle perquisizioni...  Erano gli anni di piombo, del terrorismo, e chiunque venisse 
                  sospettato di essere un rivoluzionario veniva inevitabilmente 
                  sottoposto a tutta una serie di provvedimenti.Hanno incominciato a perquisirmi la casa con il pretesto che 
                  potevo nascondere armi, esplosivi. Con la scusa di indagini 
                  di cui peraltro non ho mai saputo niente. E me ne hanno fatte 
                  parecchie, di perquisizioni... Senza risultato.
 Dai processi che ti sono stati intentati per la tua partecipazione 
                  politica alle lotte ambientaliste di Massa Carrara sei uscito 
                  sempre a testa alta: una volta con un non luogo a procedere 
                  per non aver commesso i fatti che ti erano stati imputati, unaltra 
                  assolto perché il tribunale di Massa ritenne la protesta tua 
                  e dei tuoi compagni legittima [le date di deposito delle sentenze 
                  risalgono, rispettivamente, al 28.01.91 e al 28.03.92 n.d.r.]...  ... Alla fine degli anni Ottanta, quando mi era già stato 
                  intentato il processo per la questione della Farmoplant e mentre 
                  prendevo i primi contatti con un gruppo di immigrati di Alessandria, 
                  la Digos di Massa preparò un dossier a mio carico da inviare 
                  al procuratore della repubblica di Genova. Secondo loro, io e i compagni che avevano partecipato alle lotte 
                  ambientaliste eravamo dei facinorosi, degli istigatori, dei 
                  terroristi.
  ... A due giorni dal famoso incidente, cerano stati in piazza, 
                  a Massa, scontri violentissimi: dopo averli provocati, la polizia 
                  aveva caricato i manifestanti.Si trattava di un centinaio di persone che si erano ritrovate 
                  davanti alla prefettura per chiedere conto di quello che era 
                  successo ai ministri che stavano dentro.
 Una televisione locale - Tele Toscana Nord - riprese e mandò 
                  in onda in diretta il pestaggio. Il che fece infuriare ancora 
                  di più la gente. Alle tre del mattino eravamo in tremila...
 ... E questa battaglia è stata vinta.  Ed è servita parecchio. Perché ha dimostrato che la gente non 
                  ne poteva più, non ne voleva più sapere di questa fabbrica.Le manifestazioni continuarono, fu dichiarato lo sciopero generale. 
                  Dopo gli scontri con la polizia davanti alla prefettura siamo 
                  arrivati ad essere anche in diecimila.
 Abbiamo occupato il Comune, la Ferrovia, lAurelia.
 A questo punto il governo di Roma ha dato ordine alla polizia 
                  di ritirarsi, di non cercare più lo scontro. La cosa gli stava 
                  sfuggendo di mano, avrebbero potuto esserci dei morti.
 A Massa ci siamo presi il Comune per quarantacinque giorni...
    Urbano (a destra, con i baffi) in una foto recente.
  Impegno antirazzista
 ... Poi me ne sono venuto ad Alessandria dove ho continuato 
                  a partecipare alle lotte ambientaliste in Valle Bormida.Ma piano piano le cose sono cambiate. Cominciava ad esserci 
                  molta partecipazione da parte dei Comuni, dei sindaci. A livello 
                  istituzionale insomma.
 La lotta si svuotava di contenuti... La partecipazione si è 
                  talmente affievolita che quella fabbrica è ancora aperta.
 Intanto avevi incominciato ad occuparti degli immigrati...  Avevamo creato un comitato per i diritti dei lavoratori immigrati. 
                  Volevamo denunciare le condizioni non solo di lavoro, ma anche 
                  di vita, alle quali era costretta la maggior parte degli extracomunitari 
                  ad Alessandria.Dormivano alla stazione, sulle panchine, in case fatiscenti. 
                  Oppure erano costretti a pagare affitti esorbitanti - gente 
                  poverissima che stava qui per aiutare le famiglie nei paesi 
                  dorigine...
 Era uningiustizia palese, un sistema di sfruttamento inumano. 
                  Abbiamo cominciato a parlarne pubblicamente nell87, 88.
 Io giravo per tutta la provincia, dovunque ci fossero delle 
                  conferenze, e prendevo la parola a nome degli immigrati indipendentemente 
                  dal tema dellincontro.
 Una volta capitò che il ministro Goria venisse ad un convegno 
                  organizzato, mi pare, dalle ACLI. Erano presenti anche diversi 
                  extracomunitari, i sindacati, il vescovo.
 Quando mi sono alzato per fare il mio intervento, sono subito 
                  entrato in polemica con il ministro. Goria sosteneva che lItalia, 
                  purché gli stranieri avessero i mezzi di sostentamento, era 
                  apertissima. Io lho accusato di cinismo; gli ho ricordato lo 
                  sfruttamento secolare da parte degli europei delle risorse dellAmerica 
                  latina; gli ho rammentato la politica di colonizzazione dellOcci-dente 
                  nei confronti dei paesi del Terzo mondo... Finché il vescovo 
                  si è alzato dandomi ragione.
 A proposito di vescovi... Quale fu latteggiamento della 
                  chiesa cilena nei vostri confronti?  Molto ambiguo, perché le gerarchie ecclesiastiche sono sempre 
                  state a destra.In America latina la chiesa ha incominciato ad occuparsi di 
                  diritti umani quando le dittature cerano già.
 E la famosa teologia della liberazione?  I vescovi cileni non erano affatto daccordo. I pochi preti 
                  di base che partecipavano alle nostre riunioni erano puntualmente 
                  sconfessati.  Invece il vescovo di Alessandria ti ha dato ragione... 
                 In quelloccasione il vescovo di Alessandria disse che dopo 
                  aver tanto preso era ormai tempo di restituire...  Il lavoro del comitato che avevate messo in piedi, le iniziative 
                  che avete intrapreso hanno avuto una grossa eco. I mezzi di 
                  informazione se ne sono occupati spesso, sia per la determinazione 
                  con la quale vi ponevate nei confronti del territorio e dellopinione 
                  pubblica sia per la novità di trovarsi di fronte ad un gruppo 
                  di lavoratori extracomunitari politicamente consapevoli. 
                 Qui in provincia la nostra organizzazione era diventata capillare. 
                  Nonostante che i sindacati avessero creato degli appositi coordinamenti, 
                  gli immigrati facevano riferimento a noi - allora eravamo alla 
                  Camera del Lavoro.Ad un certo punto però, visto che non eravamo disposti a farci 
                  mettere il cappello, la situazione si fece insostenibile.
 Che anno era?  Era l89. Siamo rimasti alla Camera del Lavoro ancora qualche 
                  mese, poi ce ne siamo andati. Avevamo ottenuto che il Comune 
                  ci assegnasse dei locali per insegnare litaliano agli stranieri 
                  ed è partita una scuola autogestita. Ma soprattutto avevamo 
                  ancora un luogo per ritrovarci, per continuare a portare avanti 
                  il nostro discorso...  ... E le forze dellordine?  La polizia era sempre lì, fuori dalla scuola.Nel 90, contemporaneamente allinizio della guerra del Golfo, 
                  abbiamo deciso di fare una manifestazione. Volevamo scendere 
                  in piazza per dare visibilità alla nostra protesta. Volevamo 
                  rendere pubblica la denuncia del lavoro nero, della mancanza 
                  di case. Volevamo che la nostra presenza fosse riconosciuta.
 Come reagiva il sindacato confederale alle vostre iniziative? 
                 I sindacati erano contrari perché ci vedevano concorrenti.Per la nostra prima uscita pubblica scegliemmo lo slogan casa, 
                  lavoro, giustizia, libertà, in ricordo di uno slogan che era 
                  stato della rivoluzione di Zapata.
 La manifestazione ebbe un risalto incredibile...
 ... Ma la vostra scuola venne bruciata. Da chi?  Non lo abbiamo mai saputo. Almeno ufficialmente. Comunque 
                  nel 91, mentre eravamo in trattative con il Comune per ottenere 
                  un centro di accoglienza, decidemmo di scendere in piazza ancora, 
                  questa volta con una manifestazione per il primo maggio.Fummo gli unici, ad Alessandria, a sfilare in corteo. Le iniziative 
                  dei sindacati erano al chiuso, nei cinema.
 La manifestazione riuscì molto bene. Bella. Lavevamo preparata 
                  a lungo, pubblicizzata con cura.
 Il comitato esiste ancora?  No. Ad un certo punto il comitato si è trasformato in associazione, 
                  ma adesso non esiste più nemmeno questa.Io me ne sono andato nel 93, altri prima o dopo. Ci siamo dispersi 
                  per ragioni di lavoro, per motivi di sopravvivenza.
 In ogni caso, in Alessandria e provincia, la situazione degli 
                  immigrati era migliorata.
 Alcuni risultati, per esempio il diritto alla casa, li avevamo 
                  ottenuti.
 A quelle prime due manifestazioni importanti ne erano seguite 
                  delle altre: contro la repressione - perché con la scusa della 
                  droga la polizia perquisiva a tappeto la città ed espelleva 
                  i clandestini; contro gli interventi della socialista Margherita 
                  Boniver, che pretendeva che gli immigrati avessero un contratto 
                  di lavoro, il modello 101. Figurati!
 Il 101 non ce lha nessuno, le rispondemmo dalla piazza.
 Intanto a Cremona era nata unassociazione parallela alla nostra: 
                  lassemblea degli immigrati. Eravamo in contatto, ci appoggiavamo 
                  a vicenda. Gli extracomunitari venivano da tutte le provincie 
                  vicine, dalla Liguria...
 
  Se 
                  23 anni vi sembrano pochi
 Quandè che hai pensato di chiedere la cittadinanza italiana? 
                 Con la fine delle mie traversie giuridiche per le lotte di 
                  Massa, intorno al 95.  Cosa ti ha spinto a chiedere la cittadinanza?  Sono sempre stato un pò sindacalista, particolarmente attento 
                  alla questione dei diritti...Io credo che il diritto alla cittadinanza italiana mi spetti 
                  perché in questo Paese ho lavorato, ho pagato i contributi.
 La cosa più vergognosa di questo governo è che non mi concede 
                  la cittadinanza perché sono anarchico.
 Però questo non ti è mai stato detto a chiare lettere...  Loro dicono che io sono un pericolo per lordine pubblico, 
                  per le istituzioni. Il ministro dellinterno, Giorgio Napolitano, 
                  rispondendo allinterrogazione del senatore Russo Spena [linterrogazione 
                  parlamentare di Russo Spena risale al 17.09.97 n.d.r.] ha scritto 
                  che la mia richiesta è stata respinta essendo emersi nei confronti 
                  dellinteressato motivi ostativi ai fini della sicurezza della 
                  Repubblica. Addirittura!Un anarchico può essere astensionista. Può rifiutarsi di partecipare 
                  alla vita istituzionale. Ma nessuno stato può privarlo del suo 
                  diritto ad essere cittadino. Altrimenti bisognerebbe revocare 
                  il diritto di cittadinanza a tutti gli anarchici.
 Il diritto alla cittadinanza ti è stato negato lanno scorso 
                  in base ad una nota del dipartimento della P.S.- Ufficio Stranieri.Sui contenuti di questo dossier vige il più stretto riserbo...
  Per saperne qualcosa, di questa nota, abbiamo scritto anche 
                  al garante della privacy, Stefano Rodotà [in data 28.11.097 
                  n.d.r.]. Al momento non ha ancora risposto.Il fatto che uninformativa della P.S., uninformativa riguardante 
                  una certa persona, possa essere trasmessa al ministero dellinterno 
                  senza che linteressato ne conosca i contenuti, neppure dopo 
                  averne fatto esplicita richiesta, è una procedura assurda, da 
                  vero e proprio regime dittatoriale.
 Il fatto è che il dossier che la polizia di Massa ha inoltrato 
                  al ministero dellinterno non può essere portato in alcun tribunale. 
                  Perché?  Perché non è legale. Dovrebbero esserci dei riscontri.E gli unici riscontri che la polizia può tirar fuori sono i 
                  processi che mi sono stati intentati per le lotte ambientaliste. 
                  Processi che si sono conclusi con la mia assoluzione. Con la 
                  nostra vittoria.
 Loro si sono riservati il diritto di esprimere lo stesso un 
                  giudizio...
 E ora quante sono le probabilità di spuntarla?  Gli avvocati che seguono il mio caso, Luca Gastini e Vincenzo 
                  Giovinazzo, hanno presentato ricorso al TAR. Il problema è che 
                  non sappiamo esattamente di che cosa sono accusato. Cosa contenga 
                  quella famosa nota di P.S..Lha richiesta Russo Spena. E gli hanno risposto picche.
 Ha presentato uninterpellanza Angelo Muzio; ne hanno presentata 
                  unaltra i parlamentari Lino Rava e Renzo Penna...
 Il garante della privacy è stato chiamato in causa proprio per 
                  verificare che non ci sia stato un abuso di potere, una manomissione 
                  dei miei dati personali da parte delle questure...
 Quindi tu sei in Italia da ventitré anni con lo status di 
                  rifugiato politico...  ... Al quale non rinuncio. Perché questo vorrebbe dire riconoscere 
                  le autorità cilene. Che io invece non voglio riconoscere.Il Cile è governato ancora oggi con la stessa costituzione varata 
                  dai militari. Non vedo per quale ragione, se sono stato più 
                  di ventitré anni rifugiato allestero, ho avuto i famigliari 
                  assassinati, sono stato in campo di concentramento, la mia famiglia 
                  conta quindici esiliati, non vedo perché, adesso, dovrei andare 
                  a chiedere i documenti a quel Paese, legale con la legalità 
                  dei militari...
 Non lo farò mai, è una questione di principio.
 È una questione di principio anche ottenere la cittadinanza 
                  italiana.  In questo momento la mia situazione è particolarmente grave 
                  in Europa. Se io dovessi, per esempio, andare in Francia e fossi 
                  fermato dalla polizia francese per un banale accertamento, potrei 
                  essere arrestato senza alcun motivo. Soltanto perché in Italia 
                  esiste una nota di P.S. che mi dichiara pericoloso.Sono praticamente ostaggio dellItalia, è questo il punto. Non 
                  riconoscendomi il diritto alla cittadinanza e dichiarandomi 
                  pericoloso, il governo di questo Paese mi impedisce di circolare 
                  liberamente. Con gli accordi di Schengen, che prevedono lo scambio 
                  di informazioni anche a livello dei controlli di polizia, mi 
                  trovo in una posizione di estrema debolezza. Non posso andare 
                  a trovare i miei famigliari che risiedono in altri Paesi dEuropa, 
                  non posso muovermi per incontrare amici...
 Prima di richiedere la cittadinanza italiana eri al corrente 
                  dellesistenza di una informativa della polizia che ti riguardava? 
                 No, questa cosa è venuta fuori nel 97.Pensa che paradosso: in Cile Pinochet è senatore a vita; invece 
                  io, un rifugiato politico cileno, rappresenterei addirittura 
                  una minaccia per la sicurezza della repubblica italiana!
  Emanuela Scuccato
   
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