L’oro
dei tonti
Nel numero 292 della rivista abbiamo pubblicato un saggio
di Christian Ferrer intitolato «Frammenti
di viaggi in Patagonia». Qui di seguito pubblichiamo
un intervento critico e cogliamo l’occasione per segnalare
alcuni errori intervenuti nella traduzione dal castigliano all’italiano.
I termini mapuche e tehuelches, indicanti
popolazioni della Patagonia, sono stati erroneamente tradotti
con i termini araucani (termine con cui i conquistadores
spagnoli definivano il popolo mapuche) e con toltechi,
nome di una popolazione messicana che mai mise piede in Patagonia.
Cari amici,
addentrandomi intrepidamente nelle folte pagine del n. 292 della
rivista, mi sono imbattuto quasi per caso in un saggio di Christian
Ferrer, noto sociologo libertario argentino, intitolato «Frammenti
di viaggi in Patagonia». A prima vista mi è sembrato
oro, perché brillava di menzioni di nomi eccellenti,
come Errico Malatesta, ma a ben vedere si è rivelato
pirite, «oro dei tonti».
Ferrer parla a lungo di toponimia: «l’esploratore
è sempre stato un Anticipatore del Verbo: nomina i fiumi,
classifica la flora e battezza i confini...», ma egli
è colpevole quanto l’esploratore e il conquistador
di ignorare completamenti i nomi che avevano dato gli aborigeni
ai loro luoghi prima dell’imposizione di quelli «ufficiali».
Questo atteggiamento da Robinson Crusoe male si addice a uno
che si reputa libertario. Dice della città di General
Roca che «fu fondata una città che mantiene ancora
oggi il suo originale toponimo militare: Fuerte General Roca».
Ma il suo originale toponimo non era quello del boia General
Roca, ma Fiske Menuko, il nome Mapuche-tehuelche. In alcuni
casi Ferrer non usa nemmeno la parola «mapuche»;
preferisce «araucani», il nome che gli spagnoli
davano a quel popolo.
E parlando di omissioni, uno per tutti: non degna di menzionare
che la parola «charqui», la carne secca che mangiavano
le truppe di Roca, viene della lingua quechua.
Esempi di razzismo? Uno quasi casuale: i vicini dei coloni gallesi
erano «gli indios toltechi [tehuelches], che, scrocconi
di natura, chiedevano loro continuamente da mangiare e qualsiasi
tipo di oggetto». La verità è che, senza
l’aiuto dei tehuelches, che hanno insegnato loro a cacciare,
i coloni gallesi sarebbero morti prima del loro primo inverno
in terra australe, e loro stesso lo ammettono.
Anche se il saggio di Ferrer mi infastidisce – come avrete
capito – non mi sorprende. È fin troppo tipico
dell’atteggiamento dell’élite di Buenos Aires,
e purtroppo anche di molti esponenti della sinistra, che soffrono
di eurocentrismo cronico e patologico, e non vogliono accettare
che l’Argentina aveva già tante culture vibranti
prima della dubbia «scoperta» del genovese, e continua
ad averle. Ferrer inizia il saggio «quattro sono i punti
cardinali e quattro personaggi [egli parla addirittura di «hombres»!]
importanti che si addentrarono in Patagonia alla fine del secolo
passato». E gli indigeni non avevano i loro personaggi
importanti? Nemmeno un personaggio indigeno viene nominato in
tutto l’articolo. Eppure anche i mapuche di oggi –
di cui 50.000 vivono in Argentina – hanno il loro ruolo
d’onore di eroi e martiri: Lautaro, Caupolicán,
Calfucurá, e tanti altri. I mapuche conoscono la loro
storia, ed è accessibile anche a quelli di Buenos Aires
che si interessano, i quali sono troppo pochi.
Dopo la crisi del dicembre 2001, ne «La Repubblica»
è apparso un articolo di Federico Rampini («Argentina,
l’agonia di una nazione», 21/12/01) in cui l’autore
dice che la tragedia dell’Argentina tocca gli italiani
da vicino perché «i suoi cittadini leggono gli
stessi libri, credono agli stessi valori, sono una parte vitale
della storia e cultura occidentale». Come anarchici, non
siamo tenuti anche a stare dalla parte di quelli che non leggono
gli stessi libri di noi?
Leslie Ray
(Cambridge)
Aria
poco bella
Cari amici di “A”,
volevo ringraziarvi per la vostra/nostra bella rivista e per
la vostra puntualità e per tutto quanto.
Io vivo e lavoro a Milano, alla Fondazione Don Carlo Gnocchi:
sono un assistente socio-sanitario e mi occupo di ragazzi con
vario grado di disabilità, da più di 10 anni ormai.
Conoscevo già De André e la sua opera, ma non
molto questa rivista, anche se lo stesso Fabrizio spesso ne
parlava (ho avuto modo,varie volte di parlargli e,ovviamente,
era una persona fantastica).
Questa rivista me la ha fatta vedere una mia collega di lavoro
qualche tempo fa, ma solo adesso ho deciso di abbonarmi. Nel
mio posto di lavoro non si respira una bella aria e colleghe
come quella sopracitata è quasi una mosca bianca.
Mi piace leggere,studio pianoforte jazz ,mi piace approfondire
argomenti che mi interessano. (…). Grazie ancora e a presto.
Fulvio Perillo
(Milano)
Parlamento
(botta...)
Cortesi compagni prendo spunto dall’articolo
di Andrea Papi, pubblicato sul numero di novembre 2003 della
«rivista anarchica», dal titolo «Una società
nella società» per formulare una serie di osservazioni.
La tesi di Papi è espressa nel sottotitolo «Bisogna
tentare di trasformare alle radici, e in senso libertario, il
contesto sociale pur continuando ad esserne parte, trasformarlo
dall’interno, ma da esterni ai suoi rituali politici».
Papi argomenta la sua tesi affermando che le «Comuni»
nate dalla fine dell’800 in poi sono fallite perché
si sono sempre poste come antisocietà, pur dipendendo
in tutto e per tutto dalla società che intendevano combattere.
Il risultato finale è stato una completa ghettizzazione
dei suoi membri, chiusi nel loro ideale di perfezione. «Al
di la di ogni cosa, la Comune rimane il luogo separato della
comune e tutto ciò che avviene al suo interno rimane
limitato al suo interno».
A questa visione separatista Papi contrappone la «Società
nella società», i cui componenti vivono nel contesto
sociale e politico che intendono combattere, cercando di modificarlo
in senso libertario.
«La comunità della società nella società
rimane a tutti gli effetti dentro l’insieme generale della
società che le è preesistente».
Tutti i componenti della società nuova condividerebbero
una vita collettiva fondata sui valori libertari e partecipativi,
confrontandosi in una continua crescita morale e civile. Si
creerebbero così legami spontanei, ed ognuno conformerebbe
la sua azione alle regole liberamente scelte da tutti, che si
differenzierebbero da quelle correnti che regolano la società
autoritaria.
La società nella società sarebbe completamente
autogestita ed ogni forma di gerarchia non troverebbe spazio.
«All’interno non si definirebbero né
si imporrebbero strutture in qualche modo riconducibili ad un
ordine gerarchico».
Papi conclude richiamandosi alla concreta possibilità
di trasformare il contesto sociale.
«Trasformarlo dall’interno, ma esterni ai suoi
rituali politici, alle sue finzioni di rappresentanza, alle
sue gerarchizzazioni democratiche».
La tesi di Papi è un bell’esempio di pensiero utopico
espresso con un frasario articolato ed accattivante.
Essa parte dal presupposto che possa esistere una ipotetica
collettività di gente che decide di riunirsi per vivere
una «propria esperienza comunitaria dentro la società».
Nella società capitalista, dai rapporti interpersonali
nucleari e destrutturati, la presenza di una collettività
autogestita finirebbe inevitabilmente per riprodurre il modello
perdente della «comune» di fine ottocento. In primo
luogo dove abiterebbe questa speciale collettività. In
un condominio? In una villa? Il luogo è di per se stesso
elemento importante, significativo per individuare la specificità
del gruppo. In realtà i componenti avrebbero la casa
in strade diverse, anche lontane tra di loro, ed allora cosa
farebbero per attuare la tanto formativa «esperienza
comunitaria dentro la società», si riunirebbero
la sera dopo otto ore di lavoro, stanchi, assonnati, per discutere,
per autogovernarsi?
Se qualcuno vede possibile una cosa simile ebbene è un
vero eroe, ma dato che la maggior parte della gente vive e si
arrabatta tra mille cose, è meglio stare ben piantati
per terra e lasciar perdere i voli della fantasia.
Papi scrive che questa ipotetica «Società nella
società», dovrebbe rifiutare il più possibile
le regole «Snobbando la decisionalità di dominio».
Non sappiamo dove vive Papi, ma al nostro paese la società
ha tante di quelle regole da far rizzare i capelli in testa.
Regole sociali, a cui si aggiungono mille obblighi, come tasse
di ogni tipo, bollette e spese. Appena si sgarra, lo stato arriva
con salatissime multe, ammende, intimidazioni, ed allora addio
stipendio tanto faticosamente guadagnato e tanto eroso dall’inflazione.
La vita quotidiana non è fatta di libertari che vogliono
«Il libero confronto spregiudicato e creativo»
ma di operai, impiegati, casalinghe, gente con figli, problemi
di anziani da accudire, problemi economici. Il dramma è
come arrivare alla fine del mese altro che «Libero
sfogo della poesia delle emozioni».
Il discorso alla fine è sempre lo stesso. Una certa anarchia
dimentica di rivolgersi a gente vera, con problemi veri. È
questa mancanza di prospettiva popolare che ha reso il movimento
defilato rispetto alla grande massa dei lavoratori, che chiede
risposte pratiche, coerenti alla loro vita che si svolge tra
mille difficoltà quotidiane.
La società nella società è solo un luogo
della mente che ricrea quella diversità che non deve
invece esistere. Altri sono i modi per costruire una società
rinnovata. Sono necessari veri cambiamenti che possano incidere
su tutta la collettività, in modo permanente e significativo.
Il Parlamento è la sede del confronto-scontro, solo nell’aula
di Montecitorio la voce della nuova società può
farsi veramente sentire.
Agli utopici collettivisti di Papi, figure patetiche di piccolo
borghesi, è giusto contrapporre i circoli anarchici,
i centri sociali, ben radicati nella realtà, che ascoltano,
propongono, affiancano le lotte dei lavoratori e soprattutto
sono la voce del popolo che sale sino al Parlamento.
La nuova società esiste già ed è la società
di tutti coloro che non si sentono rappresentati, che sono stufi
della falsa politica, che vorrebbero contare qualche cosa. È
la società dell’operaio, della casalinga, che sono
preoccupati per il posto di lavoro, per la pensione, per i prezzi
della spesa. Tutta questa gente vuole che la loro vita cambi,
vuole avere una voce nelle stanze del potere, e solo l’Anarchia
può aiutarli, non negandosi alla lotta parlamentare,
ma facendosi portavoce di tutte le richieste che salgono dal
basso.
Cordialmente
Dario Sanniti
(Roma)
(...e
risposta)
Saluto Sanniti, che non conosco, quindi non so a quale categoria
socio-economica appartenga. Se a quella dei proletari, o dei
piccoli borghesi, o degli emarginati, o quant’altro. Mentre
lui sembra essere molto sicuro che io sia un piccolo-borghese
e me ne appioppa l’etichetta pur non conoscendomi. Senz’altro
per questo è un po’ birichino. Comunque lo ringrazio
per le sue osservazioni, le quali però invero mi sono
apparse un po’ confuse, soprattutto deboli dal punto di
vista dei presupposti teorici, ammesso che nel suo discorso
abbozzato se ne possano trovare di chiari e comprensibili.
Da quello che ho capito, non gli garba che io possa aver proposto
un’utopia e cerca di richiamarmi ad un «sano»
realismo, invitandomi a tener conto che, sono parole sue, la
vita quotidiana non è fatta di libertari… ma di
operai, casalinghe, gente con figli, problemi di anziani da
accudire, problemi economici. Beh! Direi che ha proprio
scoperto l’acqua calda e che non aver presente che questa
è la realtà sociale maggioritaria vuol dire non
aver idea di che cosa sia il mondo. Inoltre mi rimprovera di
proporre qualcosa, la società nella società, che
ricrea quella diversità che non deve esistere.
Infine propone un vero e proprio capolavoro: …solo
l’anarchia può aiutarli, non negandosi alla lotta
parlamentare, ma facendosi portavoce di tutte le richieste che
salgono dal basso.
Purtroppo non ho molto spazio e quindi sono costretto a liquidarlo
con poche battute.
Tutto ciò che viene pensato come alternativo e non esiste
al momento è utopico, compreso il comunismo, la libertà
vera, i proletari e gli oppressi che riescono a star bene nella
loro condizione. Gli anarchici hanno sempre rivendicato la bellezza
dell’utopia quale sogno desiderante che può spingere
a trovare il modo di cambiare le cose ed hanno sempre proposto
come. Chi l’ha detto che operai e casalinghe con figli
non possano cominciare a pensare ed agire in modo libertario,
se non addirittura anarchico, e perché disprezzarli inchiodandoli
vita natural durante a ciò che si pensa non possa essere
che la loro unica condizione esistenziale, psicologica e mentale?
Mi sembra un atteggiamento un po’ cattivello ed autoritario
nei loro confronti. Non ho capito perché non debba esistere
la diversità, quando gli anarchici da sempre rivendicano
il riconoscimento e, soprattutto, la valorizzazione delle diversità
quale ricchezza e non povertà dell’insieme sociale.
Infine l’anarchia sorge anche come rifiuto della democrazia
rappresentativa, perché ne ha individuato subito la finzione
e l’inganno. L’anarchia rifiuta la delega di potere,
e quella parlamentare è una delega di potere per eccellenza,
proponendo il suo contrario, l’autogestione e l’orizzontalità
del metodo decisionale. Del resto abbiamo già l’esempio
di Andrea Costa, che nell’ottocento per primo abbandonò
la via rivoluzionaria per quella parlamentare, asserendo che
andava nel parlamento per distruggerlo, proprio portandovi la
voce dei proletari. I fatti storici avvenuti sono lì
a dimostrare quanto tale scelta sia stata inconsistente, menzognera
e foriera di troppe ambiguità e catastrofi sociali.
Comunque rivolgo a Sanniti un caro saluto, invitandolo a sforzarsi
di conoscere più accuratamente il senso delle cose e
l’esperienza storica.
Andrea Papi
(Forlì)
I
nostri fondi neri
|
Sottoscrizioni.
Pietro Steffenoni (Lodi) 50,00; Alberto Bonassi (Bergamo)
5,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia e
Alfonso Failla, 500,00; Andrea Catalano (Palermo)
5,00; Cara Cuzef (Lugano - Svizzera) 15,00; Giuliano
La Barba (Bologna) 5,00; Lorenzo Guadagnucci (Dozza)
20,00; Rino Quartieri (Zorlesco) 20,00; Fabrizio Tognetti
(Larderello) 8,00; Giancarlo Baldassi (Sedigliano)
3,00; Antonella Trifoglio (Alassio) 5,00; Luigi Pogni
(Segrate) 85,00; Andrea Anceschi (Mergozzo) 3,00;
Renato Colombo (Boffalora) 5,00; Antonino Pennisi
(Acireale) 12,00; Marco Coltorti (Spoleto) 4,00; Renzo
Sabatini (Reservoir – Australia) 35,00; Cesare
Vurchio (Milano) 20,00; a/m Rocco Tannoia, Sorrentino
(Milano) 7,00; Enzo Francia (Imola) 20,00; Alessandro
Malaffo (Torino) 5,00; Luca Vitone (Milano) 85,00;
Duilio Rosini (Mosano) 10,00; Pietro Steffenoni (Lodi)
10,00; Persio Tincani (Pavia) 20,00; Silvio Alovisio
(Torino) 5,00; Battista Saiu (Biella) 20,00; Adriano
Dalla Toffola (Piossasco) 5,00; Paolo Friz (Mesagne)
5,00; Monica Giorgi (Bellinzona – Svizzera)
10,00; Alberto Gagliano (Mesagne) 1,00; Tiziana Littamè
(Heidelberg – Germania) 15,00; Antonino Magnacca
(Milano) 5,00; a/m Alberto Ciampi, Colletivo Libertario
Fiorentino (Firenze) 20,00; Paolo Sabatini (Firenze)
3,00; Pasqualino Vilella (Pianopoli) 2,00; Enzo Cadei
(Brescia) 5,00; Roberto De Nuro (Quarto) 3,00; Silvio
Sant (Milano) 20,00; Lello Colombo (Introzzo) 1,00;
a/m Massimo Ortalli, gli anarchici imolesi ricordando
Cesare Fuochi, 150,00; Nicola Casciano (Novara) 30,00;
Stefano Cempini (Ancona) 50,00.
Totale euro 1.387,00.
Abbonamenti sostenitori.
Giulio Abram (Torino) 100,00; Luca Capata (Roma) 100,00;
Marco Valerani (Milano) 100,00; Gianni Pasqualotto
(Crespano del Grappa) 115,00; Luigi Natali (Donnas)
100,00; Misato Toda (Tokyo - Giappone) 200,00; Fabio
Palombo (Chieti) 100,00; Giordana Garavini (Castel
Bolognese) 100,00; Pietro Steffenoni (Lodi) 100,00;
Mario Perego (Carnate) 100,00; Francesco Zappia (Gioiosa
Marea) 100,00; Mauro Guolo (Torino) 100,00; Enore
Fiorentini Raffuzzi (Imola) 100,00; Eros Bonfiglioli
(Bologna) 100,00.
Totale euro 1.515,00.
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