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				 Torino 
                  
                Tra l'asfalto e il cielo 
                  
                foto e testi di Mirko Orlando 
                    
                Basta azzardarsi un po' più in là, oltre gli occhi dei turisti, per accorgersi che sotto la maschera di una città-spettacolo si sedimentano i rancori di un territorio ancora in cerca della sua identità 
				 
                  
                 Ma davvero credevamo di spazzar 
                  via tutto! Qualcuno ha mai davvero creduto nel sogno olimpico? 
                  In qualche modo le XX Olimpiadi Invernali hanno aiutato la città 
                  a ripensare il proprio ruolo culturale, ma basta azzardarsi 
                  un po' più in là, oltre gli occhi dei turisti, 
                  per accorgersi che sotto la maschera di una città-spettacolo 
                  si sedimentano i rancori di un territorio ancora in cerca della 
                  sua identità, e più avanza lo show, più 
                  attraenti si fanno le performance, più si vizia l'aria 
                  che si respira dietro le quinte. Così Torino rinasce 
                  sulle spalle degli sconfitti, e mentre si monta un palco in 
                  piazza Castello per l'ennesimo concerto che canti la perdita 
                  di memoria, si smonta ciò che resta di un'altra cooperativa 
                  che non ce l'ha fatta. Si fa ciò che si può... 
                  ma lo spettacolo deve continuare! 
                  Dopo Roma e Milano, Torino è la terza città in 
                  Italia per numero di residenti stranieri, e la convivenza non 
                  è sempre pacifica: le persone non amano la diversità, 
                  non amano il dialogo, non amano l'altro. Incontrarsi è 
                  doloroso; non soltanto per l'uomo contemporaneo che ormai si 
                  sente minacciato da tutti i fronti, ma per gli uomini d'ogni 
                  tempo che hanno sempre difeso la loro terra innalzando muri, 
                  fortezze, cinte invalicabili. L'altro non è mai stato 
                  un altro-uomo ma un uomo-altro, qualcosa di diverso 
                  e irriducibilmente distante. Tuttavia, fintanto sia altrove 
                  l'altro può godere del rispetto che si riserva ad ogni 
                  distanza, e che lo si combatta per prendersi la sua terra, o 
                  lo si accolga per allacciare col suo popolo contatti commerciali, 
                  la sua estraneità ancora non sollecita il mio straniamento. 
                  L'altro è lontano, distante quanto basta per non confondersi 
                  con me ed i miei simili: ci possiamo scontrare, incontrare, 
                  ma non possiamo scambiarci. Oggi qualcosa è evidentemente 
                  cambiato, e la distanza che mi separa dall'altro viene costantemente 
                  minacciata: l'altro è ovunque e perciò chiunque 
                  può essermi altro, altro non perchè straniero, 
                  ma anzitutto perché estraneo. Ne consegue un enorme disagio 
                  che alimenta fortemente la microcriminalità, ma più 
                  della violenza degli sconfitti mi turba il garbo col quale i 
                  macellai dell'ordine sociale ripuliscono i loro mattatoi. Del 
                  resto la violenza è cruda quando è povera, disadorna, 
                  umile, e al contrario s'estingue nel decoro di quanti amano 
                  macchiarsi la coscienza anziché le mani... perché 
                  quelle devono essere baciate.
                  
                
  Mani, ancora le mani (ma molto diverse) sul quale il mio cuore 
                  si frange: quelle delle tossicomani, ruvide e gonfie. Mani che 
                  sembrano dimentiche del tatto e che pertanto non si stringono... 
                  si soffocano. Poi i loro volti (specialmente le più giovani), 
                  fragili come le bambole di un tempo, si sottraggono ad occhi 
                  che aperti, comunque non vedono... non possono vedere. Sono 
                  volti che non si colgono: tre giorni spesi male e diventano 
                  altri volti, altre maschere. La droga trasforma i corpi, li 
                  incide? No! La droga li s-definisce, così come fa sfumare 
                  ogni cosa obliandone i confini: gli amori, i lutti, le sconfitte 
                  di una vita intera. “Santa eroina” mi dice qualcuno, 
                  perché la White di oggi fa le veci di Caronte. Perché 
                  neanche la droga è quella di una volta. La sostanza è 
                  tutto...è chiaro!
                  
                
  
                
  Non se la passano meglio i rom, costretti a spartirsi i loro 
                  diritti negati con gli stranieri di ogni dove, che intanto salpano 
                  sul nostro Paese in cerca di un pur misero risarcimento per 
                  i loro sogni traditi, e meno che mai se la spassano quanti hanno 
                  perso il lavoro, magari ad un'età che scoraggia ogni 
                  possibile ripresa. Ciò che davvero spaventa dell'attuale 
                  disagio sociale non sono tanto le condizioni di vita, comunque 
                  inaccettabili, ma il crescente antagonismo intraclassista 
                  ulteriormente alimentato dal fallimento dei partiti politici. 
                  Quel che rimane, è l'idea che il vero scontro non debba 
                  riguardare le classi sociali ma gli stessi rapporti interpersonali. 
                  Le politiche neoliberiste, avulse dalla tassazione e dalla regolamentazione 
                  dei mercati da parte dello Stato, hanno convinto i meno abbienti 
                  che il loro disagio non derivi dai privilegi concessi a chi 
                  detiene i mezzi di produzione – conferimento proporzionale 
                  al ritiro dello Stato dal meccanismo di redistribuzione finanziaria 
                  – ma da una tassazione irresponsabile che impedisce a 
                  chi può d'investire nel mercato del lavoro, o da un'incosciente 
                  interpretazione dei diritti umani. In questo modo, furbescamente, 
                  i pochi ricchi e i molti poveri si alleano contro lo Stato da 
                  un lato, e contro gli stranieri che invadono il mondo del lavoro 
                  dall'altro. Questa intesa mi pare oggi uno degli aspetti più 
                  problematici del discorso socio-politico, poiché alimentando 
                  l'odio tra i poveri li annienta come forza politica che possa 
                  regolare le infinite ambizioni dei ricchi. Non avendo più 
                  nemici interni su cui riversare la responsabilità dei 
                  torti subiti, il problema della razza ritorna pericolosamente 
                  attuale tra quanti si trovino in difficoltà economica.
                  
                
  
                
  Allora che fare? Come combattere una crisi così ampia 
                  e diversificata tanto nelle cause che nei suoi effetti? Nessuno 
                  può credere di aver tra le mani una soluzione immediata 
                  e soddisfacente: tutte le lingue sono sbagliate ed ogni lamento 
                  è inutile come il pianto di un maiale sulla porta del 
                  macello. Del resto siamo nelle mani di persone votate ad un 
                  suicidio senza martirio, perciò ignobile e schifoso, 
                  sterile e privo di coraggio, una morte che non è sacrificio 
                  ma soltanto l'ovvio epilogo di una grande abbuffata. Nondimeno 
                  ne sorridiamo, perché prima o poi finiranno con l'ingozzarsi 
                  e stramazzare al suolo, naso in su, e soltanto allora, gli avanzi 
                  lasciati sul tavolo, basteranno a sfamare le bocche di tutti 
                  i popoli. Nella migliore delle ipotesi vivremo di avanzi... 
                  ma è pur sempre un gran lusso per chi non ha mai voluto 
                  le loro portate avvelenate. 
                  Mirko Orlando
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