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				 storiografia 
                  
                Insuscettibili di ravvedimento 
                  
                di Massimo Ortalli 
                    
                La partecipazione degli anarchici di lingua italiana alla lotta contro il fascismo non trova sufficiente copertura nella storiografia. 
In queste pagine, una guida essenziale ai volumi disponibili. 
 
                 Anche se gli anarchici non sono secondi a 
                  nessuno nella lotta armata contro il nazifascismo, non riescono 
                  a superare il gradino di inferiorità psicologica in cui 
                  li pone la loro carenza organizzativa e la mancanza di un programma 
                  politico uniforme 
                  Gino Cerrito 
Innanzitutto una premessa a questa succinta ricognizione bibliografica. L'impegno antifascista degli anarchici italiani non si è espresso solo nella lotta armata contro le bande della Repubblica Sociale Italiana e gli occupanti nazisti, ma è stato un lungo e ininterrotto percorso, iniziato già nel 1920, con la nascita dei primi Fasci mussoliniani, per continuare con la decisa difesa dell'agibilità politica fino alle leggi speciali del 1926, e per proseguire negli anni successivi, nell'esilio, nella clandestinità, al confino, nella rivoluzione spagnola, nella lotta sotterranea in Italia e nei reiterati tentativi di attentare alla vita del Duce. 
Una lotta senza soluzioni di continuità conclusasi nel 1945, quando le formazioni partigiane del nord Italia, nelle quali era consistente la presenza di anarchici e libertari, liberarono definitivamente l'Italia dalla dittatura fascista. 
Dopo la premessa, una doverosa considerazione. Sfogliando i titoli dei libri nei quali si parla del contributo anarchico alla Resistenza, non si può non notarne l'esiguità quantitativa, soprattutto se si prende in esame la ben più vasta letteratura sulla lotta antifascista degli anarchici nei primi anni Venti o sulla loro partecipazione, seconda solo a quella dei comunisti, alla guerra civile spagnola. Il primo motivo di questa lacuna, soprattutto per quanto concerne la storiografia “ufficiale”, è dato dalla lunga egemonia che la scuola di ispirazione marxista e socialcomunista, ha esercitato sulla ricerca storica per oltre un quarantennio. Un'egemonia che, da una parte, ha voluto esaltare il ruolo effettivamente determinante del Partito Comunista nella Resistenza, dall'altra ha voluto cancellare tutto quanto si è espresso al di fuori di quello che sarebbe diventato l'arco costituzionale. E quindi, chi più degli anarchici? 
Al tempo stesso, però, anche da parte degli storici di parte anarchica, l'argomento non è stato affrontato quanto avrebbe meritato. Vuoi per la frammentazione della presenza anarchica nelle formazioni partigiane – relativamente poche sono state infatti quelle di chiara ispirazione anarchica – vuoi per la mancanza, nel dopoguerra, di un'associazione a livello nazionale in grado di valorizzarne e ricordarne l'azione. Sia come sia, e lo vedremo in questo breve lavoro, i testi sono davvero rari. 
 
Fra i primi contributi, quelli di Marco Rossi, Appunti per una storia del Movimento anarchico nella Resistenza, Pisa, 1986 e di Pietro Bianconi, Gli anarchici italiani nella lotta contro il fascismo, Pistoia, Archivio Berneri, 1988, fra i pochi lavori a largo raggio su questo tema. Una ricognizione della presenza degli anarchici, soprattutto all'interno di formazioni di altro colore, è quella offerta da Giorgio Sacchetti nel suo Gli anarchici contro il fascismo, Livorno, Sempre Avanti, 1995, dove troviamo un prezioso elenco di partigiani anarchici, suddiviso per aree geografiche. Un altro succinto riassunto è contenuto in Resistenza. Contributi del movimento anarchico, scritto e pubblicato a Firenze nel 2007 dal Collettivo Libertario Fiorentino. Di resistenza armata parla anche Fabrizio Giulietti, che nel suo Il movimento anarchico italiano nella lotta contro il fascismo. 1927-1945, Manduria, Lacaita, 2004, descrive con abbondanza di informazioni e documenti la continuità della lotta antifascista dalla promulgazione delle Leggi speciali alla definitiva liberazione. Ancora Marco Rossi, in Ribelli senza congedo, Milano, Zero in Condotta, 2011, affronta un argomento assai poco indagato, e non a caso quasi completamente ignorato dalla storiografia “istituzionale”, vale a dire quello delle frequenti, e troppo presto dimenticate, rivolte partigiane dopo la Liberazione. 
Di Giorgio Sacchetti va segnalato il recente Renicci 1943. Internati anarchici: storie di vita dal Campo 97, Roma, Aracne, 1913, che riprende e sviluppa un suo vecchio lavoro (Renicci: un campo di concentramento per slavi e anarchici, Provincia di Arezzo, 1987) in cui vengono ricostruite le vicende del lager badogliano nel quale, dopo l'8 settembre, furono temporaneamente reclusi un centinaio di anarchici provenienti soprattutto dal confino di Ventotene. Molti di questi – e lo raccontano le loro biografie raccolte in appendice – parteciperanno, una volta sfuggiti alla detenzione, alla Resistenza nelle varie parti d'Italia. 
Per finire questa prima sezione “nazionale”, ultimo ma non ultimo, l'eccellente La Resistenza sconosciuta. Gli anarchici e lo lotta contro il fascismo, Milano, Zero in Condotta, 1995 e 2005, che oltre ai saggi di Gaetano Manfredonia, Italino Rossi, Marco Rossi, Giorgio Sacchetti, Cosimo Scarinzi, Franco Schirone e Claudio Venza, riproduce in copia anastatica, grazie al meritorio lavoro di Schirone, i numerosi e coraggiosi giornali anarchici clandestini usciti fra il 1943 e il 1945. 
                  In Toscana, in Emilia-Romagna e... 
				  Passando dal piano nazionale a quello regionale e locale, non possiamo non iniziare la rassegna che dalla Toscana, e in particolare dalle Alpi Apuane, dove operarono, folte e combattive, le formazioni anarchiche dei cavatori carraresi. Infatti si intitola Gli anarchici nella resistenza apuana (Lucca, Pacini Fazzi, 1984) il lavoro con il quale Gino Cerrito inaugurò di fatto questo filone di ricerca storica. Descrivendo non solo i momenti della lotta armata, ma anche, altrettanto importanti, quelli della ricostruzione del tessuto sociale e civile del Paese. Da Carrara a Piombino, dove gli operai degli altiforni e l'intera cittadinanza dettero vita, nel settembre 1943, a una imponente insurrezione popolare, descritta con sentita partecipazione da Pietro Bianconi nel suo La resistenza libertaria, Livorno, Tracce, 1984. Anche a Prato l'impegno antifascista non cessò durante il ventennio, così come scrive Alessandro Affortunati nel suo Fedeli alle libere idee. Il movimento anarchico pratese dalle origini alla Resistenza, Milano, Zero in Condotta, 2012. Nel lungo elenco biografico che correda quest'opera, non sono pochi gli anarchici pratesi che combatterono il fascismo armi alla mano. Restando in Toscana, ancora Marco Rossi, che in un breve opuscolo, Sovversivi contro fascisti a Livorno (1919-1943), Livorno, Circolo Malatesta, 2002, condensa l'assidua lotta antifascista del combattivo proletariato livornese. 
Della presenza degli anarchici nella Resistenza romana si parla nell'opuscolo Il memorandum dell'Armata Rossa romana e gli Anarchici nella Resistenza romana, Archivio Internazionale Azione Antifascista, 2012, dove il curatore Valerio Gentili riporta una vecchia intervista fatta al sindacalista e partigiano Marcello Cardone. 
Anche l'Emilia Romagna, come del resto il genovesato e la Lombardia, hanno visto una massiccia partecipazione degli anarchici alla Resistenza, sia in formazioni miste o comuniste sia in formazioni autonome. Eppure nulla se ne è scritto in lavori specifici e dedicati, e solo Luigi Arbizzani, nel suo Antifascisti emiliani e romagnoli in Spagna e nella Resistenza, Milano, Vangelista, 1980, dedica alcuni cenni – non poteva non farlo – ai numerosi compagni nostri che presero parte alla lotta armata. Se si pensa che, per fare un esempio, non esiste un'opera che ricostruisca appieno le vicende delle numerose Brigate anarchiche milanesi o genovesi, forti di centinaia e migliaia di partigiani, non si può non rivolgere un espresso invito ai tanti nostri storici affinché riempiano doverosamente questa lacuna. 
                  Le donne, gli uomini 
				  
                La storia della lotta partigiana non è, comunque, solo 
                  quella “militare”che parla di formazioni, brigate 
                  e squadre d'azione, ma anche quella che ricostruisce l'impegno 
                  personale e diretto di quei militanti che, non appena se ne 
                  presentò la possibilità, contribuirono ad organizzare 
                  in partecipazione diretta e collettiva l'ormai radicata opposizione 
                  popolare al regime. Tantissimi furono gli anarchici che ripresero 
                  il filo della lotta e combatterono il fascismo in formazioni 
                  autonome o all'interno di Brigate miste, compagni rientrati 
                  dall'esilio, sfuggiti dal confino o dalle galere, riemersi dalla 
                  clandestinità in patria, tornati all'entusiasmo militante 
                  di chi poteva finalmente pregustare la rivincita sulle sofferenze 
                  patite nel Ventennio. 
                  Di alcuni di questi, fra i più significativi per il ruolo 
                  svolto nella Resistenza o per la drammatica sorte che ne segnò 
                  l'esistenza, abbiamo oggi delle belle biografie, che ci fanno 
                  capire quanto fu importante, al di là degli aspetti meramente 
                  quantitativi, la presenza del movimento libertario nella lotta 
                  contro il nazifascismo. 
                  Senza dubbio Ugo Mazzucchelli, una delle figure più importanti 
                  dell'anarchismo carrarese, può essere considerato un 
                  vero protagonista della lotta partigiana anarchica. Nella sua 
                  biografia A come anarchia o come Apua. Un anarchico a 
                  Carrara. Ugo Mazzucchelli (Carrara, Quaderni della Fiap, 
                  1988 e ristampa nel 2005) Rosaria Bertolucci ricostruisce sia 
                  il ruolo determinante da lui ricoperto quale comandante della 
                  formazione “Michele Schirru” sia la capacità 
                  organizzativa che ne farà uno dei protagonisti della 
                  ricostruzione di Carrara. Restando a Carrara, mi piace segnalare 
                  il volume di Gino Vatteroni, Fóc al fóc! 
                  Goliardo Fiaschi: una vita per l'anarchia, Carrara, 
                  Circolo Goliardo Fiaschi, 2012, la biografia di un militante 
                  amato per l'umanità e l'impegno costante e disinteressato 
                  che lo caratterizzarono per tutta la vita, da quando partecipò 
                  giovanissimo alla Resistenza nel modenese a quando rischiò 
                  la vita e perse la libertà per troppi, lunghi anni in 
                  difesa della libertà del popolo spagnolo. Anche Belgrado 
                  Pedrini partecipò alla Resistenza nel Carrarese e la 
                  sua fu una vita estremamente travagliata e drammatica. Ce la 
                  racconta, con lucida partecipazione, nel suo “Noi 
                  fummo i ribelli, noi fummo i predoni...”. Schegge autobiografiche 
                  di uomini contro, Carrara, Edizioni anarchiche Baffardello, 
                  2001. 
                  A Cosenza nel 1943 ebbe luogo una imponente sollevazione contro 
                  il regime, che vide fra i suoi protagonisti e organizzatori 
                  Nino Malara, da sempre impegnato nel movimento anarchico e nella 
                  lotta antifascista. Lo racconta lui stesso in Antifascismo 
                  anarchico 1919- 1945, Roma, Sapere, 1995, una interessante 
                  autobiografia corredata dalla minuziosa introduzione di Adriana 
                  Dadà. Il piacentino Emilio Canzi, ha rivestito, forse, 
                  il ruolo più importante fra gli anarchici che hanno partecipato 
                  alla resistenza. Infatti nel 1944 il CLN Alta Italia lo nominò 
                  comandante della XIII Zona partigiana, ruolo che ricoprì 
                  con grande e unanimemente riconosciuta perizia fino alla Liberazione. 
                  Su di lui, a parte alcuni saggi di Claudio Silingardi usciti 
                  in «Studi Piacentini», esiste solo il lavoro di 
                  Ivano Tagliaferri, Il colonnello anarchico. Emilio Canzi 
                  e la guerra civile spagnola, Piacenza, Scritture, 2005, 
                  che però, come dice il sottotitolo, non parla del periodo 
                  resistenziale. 
                  Passiamo da Piacenza alla vicina Reggio Emilia per incontrare 
                  un altro personaggio la cui drammatica fine può essere 
                  considerata emblematica tanto del generoso impegno quanto delle 
                  sofferenze, e spesso delle tragedie, che contraddistinsero l'esistenza 
                  di tanti nostri compagni. Sono ben tre i lavori dedicati a Enrico 
                  Zambonini, fucilato dai nazifascisti sulle colline reggiane 
                  nel 1944. Del 1981 è il breve lavoro di Antonio Zambonelli, 
                  Vita battaglie e morte di Enrico Zambonini (1893-1944), 
                  Comune di Villa Minozzo e ristampa nel 2008 del Circolo Zambonini, 
                  mentre del 1985 è “Reggiane” La Colomba 
                  e Il Faino, Reggio Emilia, Grafica Editoriale, 1965, 
                  l'originale lavoro nel quale Luciano Guidotti accosta due biografie 
                  apparentemente contrastanti ma accomunate dall'impegno antifascista, 
                  quella della “colomba” don Pasquino Borghi e quella 
                  del “faino”, appunto l'anarchico Zambonini. Sarà 
                  nel 2009 che Giuseppe Galzerano scriverà una biografia 
                  completa ed esaustiva di Zambonini, nel suo Vita e lotta, 
                  esilio e morte dell'anarchico emiliano fucilato dalla Rsi, 
                  Casalvelino Scalo, Galzerano, un lavoro, come è nello 
                  stile dell'autore, particolarmente ricco di dati e documenti. 
                  Numerose, come si sa, furono le staffette partigiane o le combattenti 
                  vere e proprie che parteciparono alla Resistenza. E fra queste 
                  anche compagne anarchiche e libertarie. Di alcune di loro si 
                  parla diffusamente, credo per la prima volta, nel libro di Martina 
                  Guerrini, Donne contro. Ribelli sovversive antifasciste, 
                  Milano, Zero in Condotta, 2013, che permette di cogliere quanto 
                  grande, e quanto altrettanto misconosciuta, sia stata la presenza 
                  femminile nella lotta antifascista. 
                  Alfonso Failla è stato sicuramente uno degli uomini più 
                  perseguitati dal regime. La sua determinazione a non piegare 
                  il capo e a rimanere fedele alle proprie convinzioni ne fece 
                  una vera e propria vittima sacrificale della violenza fascista, 
                  che cercò inutilmente di piegarne la volontà. 
                  E infatti Insuscettibile di ravvedimento non poteva 
                  che essere il titolo del libro curato da Paolo Finzi, L'anarchico 
                  Alfonso Failla (1906-1986) Carte di polizia / Scritti / Testimonianze, 
                  Ragusa, La Fiaccola, 1993, un omaggio doveroso a una testimonianza 
                  di vita semplicemente esemplare. La sua lotta al fascismo fu, 
                  come quella di altri anarchici, non solo lotta per la libertà 
                  dalla dittatura, ma anche, altrettanto importante, lotta per 
                  la costruzione di un mondo nuovo. 
                 Massimo Ortalli 
                 
                
                   
                    ricordando Bruno Neri 
                  il calciatore-partigiano 
                      Bruno 
                        Neri, che qualche anno dopo dovrà fare la scelta 
                        della montagna ed abbracciare la lotta partigiana, non 
                        poteva alzare il braccio in ossequio al regime fascista 
                        e in uno stadio che veniva dedicato allo squadrista Giovanni 
                        Berta. L'evento (e il rituale) proprio non stava nelle 
                        corde del mediano già terzino della Fiorentina. 
                        Era il 10 settembre del 1931, a Firenze si inaugurava 
                        l'avveniristico stadio progettato dall'ingegnere Pier 
                        Luigi Nervi. In campo per una amichevole la squadra viola 
                        e il Montevarchi.
                        
                      
  
                        Come si può vedere in una foto Neri è l'unico 
                        tra i giocatori allineati sul campo prima del fischio 
                        d'inizio a non fare il saluto romano dei fascisti. Berti 
                        era passato due anni prima, per diecimila lire, dal Faenza 
                        (sua città natale) alla società gigliata 
                        del conte Ridolfi (lui fece costruire lo stadio di Campo 
                        di Marte, che oggi porta il nome di Artemio Franchi). 
                        A Firenze rimase fino alla stagione 1935-36, collezionando 
                        circa duecento presenze e realizzando un solo gol. In 
                        maglia viola le sue pregevoli doti da mediano furono apprezzate 
                        anche da Vittorio Pozzo che lo volle prima nella nazionale 
                        B e poi lo fece esordire in quella maggiore il 25 ottobre 
                        del 1935, in uno scontro con la Svizzera, valido per la 
                        Coppa Internazionale e vinto dagli azzurri per 4-2 . In 
                        un breve passaggio della cronaca della partita che uscì 
                        sulla Gazzetta dello Sport si legge: “Neri 
                        imposta magnificamente l'azione che sviluppa Meazza, Ferrari, 
                        Piola...”. Nonostante le sue indiscutibili doti 
                        da mediano di interdizione, Nerì collezionò 
                        solo tre presenze in nazionale. Dopo la Fiorentina vestì 
                        per una sola stagione la casacca rossonera della Lucchese 
                        (allenata dal quotato ungherese Ernö Erbstein), quindi 
                        militò per tre campionati nel Torino fino a far 
                        ritorno al suo Faenza, dove aveva esordito a soli sedici 
                        anni. 
                        Amante dell'arte e della poesia, Bruno Neri quando non 
                        era in campo si dedicava a promuovere incontri culturali, 
                        oppure se ne andava con gli amici poeti per mostre e musei. 
                        Durante gli anni in riva all'Arno frequentò lo 
                        storico caffè letterario delle Giubbe Rosse in 
                        piazza della Repubblica dove poteva incontrare Mario Luzi, 
                        Piero Bigongiari, Alessandro Parronchi, Eugenio Montale. 
                        Dopo l'armistizio del 1943 e mentre disputava il campionato 
                        dell'Alta Italia col Faenza, Neri scelse la militanza 
                        antifascista arruolandosi nella Brigata Ravenna con il 
                        nome di battaglia Berni. E da combattente partigiano l'ex-mediano 
                        viola perse la vita a soli trentaquattro anni. 
                        Il 10 luglio del 1944, mentre perlustrava con Vittorio 
                        Bellonghi il tragitto che avrebbe dovuto percorrere il 
                        suo battaglione, fu ferito mortalmente in uno scontro 
                        a fuoco coi nazisti nelle vicinanza dell'eremo di Gamogna. 
                        Fu quella l'ultima e maledetta partita che Neri giocò 
                        nella sua breve vita. 
                        Nel 1946 il consiglio comunale di Faenza gli intitolò 
                        lo stadio, ma negli anni la memoria del calciatore-partigiano 
                        non è andata perduta: la band-rock Totozingaro 
                        Contromugno gli ha dedicato il brano “L'ultimo tackle”, 
                        il giornalista di Repubblica Massimo Novelli ha 
                        scritto un libro uscito qualche anno fa per Graphon, un 
                        testo di Lisandro Michelini ha ispirato il lavoro teatrale 
                        di Beppe Turletti che poi è stato portato in scena 
                        dalla compagnia Faber di Chivasso per la regia di Aldo 
                        Pasquero e Giuseppe Morrone. 
                        Nelle note di scena dello spettacolo è scritto: 
                        “Un mediano è obbligato a correre a perdifiato, 
                        a conquistare palloni, a rilasciarli da una parte all'altra 
                        del campo. È il baluardo del centrocampo, cerniera 
                        tra difesa ed attacco: un mediano deve coprire il suo 
                        terzino, ma deve essere anche pronto a rilanciare l'azione, 
                        a far partire l'ala. Deve tenere la testa alta. Essere 
                        vigile. Pronto. Forse per questo Bruno Neri (...) fuori 
                        dal campo si dedicava all'arte, alla poesia... per cercare 
                        l'ispirazione da mettere in campo”. 
                        Il forte mediano Bruno Neri, insomma, non sarebbe stato 
                        tale se non avesse avuto dalla sua parte le muse di Montale, 
                        Pavese, Campana... 
                        
                        Mimmo Mastrangelo  | 
                   
                  
                 
                   
                
 
                   
                    LA RESISTENZA ANARCHICA  
                        VISTA ATTRAVERSO L'ARCHIVIO PINELLI 
                      Il 
                        Centro studi libertari/Archivio G. Pinelli ha da sempre 
                        dato una particolare attenzione al periodo storico della 
                        Resistenza cercando di ricostruire le storie poco note 
                        dei suoi protagonisti anarchici. Proprio per dare visibilità 
                        e coerenza a queste storie disperse, nell'aprile 1995 
                        era stata organizzata una giornata di studi – Le 
                        Brigate “Bruzzi-Malatesta” e il contributo 
                        degli anarchici alla Resistenza – che aveva 
                        cercato di ricostruire la partecipazione anarchica alla 
                        lotta antifascista, sia nelle formazioni autonome sia 
                        nelle formazioni militari costituite dalle varie forze 
                        antifasciste: Brigate Garibaldi, Matteotti, Giustizia 
                        e Libertà.... Contemporaneamente era stato prodotto 
                        un video – Gli anarchici nella Resistenza 1943-1945 
                        – che ripercorreva questa storia e raccoglieva le 
                        testimonianze di alcuni partigiani anarchici, video che 
                        è ora disponibile sul canale YouTube di EleutheraEditrice. 
                        E di storie da raccontare ce ne sono davvero tante, anche 
                        perché il contributo degli anarchici alla lotta 
                        antifascista era iniziato molto prima della guerriglia 
                        partigiana del 1943-1945. Già dal 1920 gli anarchici 
                        erano in prima linea contro lo squadrismo fascista, ancor 
                        prima che si facesse governo e poi regime. Gli anarchici 
                        erano, all'epoca, una componente importante del movimento 
                        operaio. Non solo il loro quotidiano, «Umanità 
                        Nova», tirava cinquantamila copie, cioè poco 
                        meno dell'«Avanti» o del «Corriere della 
                        Sera», ma influenzavano in modo determinante l'Unione 
                        Sindacale Italiana, uno dei maggiori sindacati italiani 
                        all'epoca guidato da Armando Borghi. E anarchici erano 
                        molti leader sindacali dei marittimi, dei ferrovieri, 
                        dei metalmeccanici, dei braccianti. 
                      
                         
                           | 
                         
                         
                          |   Dante Di Gaetano, di professione fabbro, emigrò a Milano  dal Sud e iniziò giovanissimo la sua militanza anarchica  partecipando alla lotta antifascista in Lombardia  | 
                         
                       
                       
                        Durante il Biennio rosso sono soprattutto gli Arditi del 
                        Popolo, ex-combattenti organizzati per l'autodifesa popolare, 
                        a opporsi attivamente alla resistibile ascesa dello squadrismo 
                        fascista, spesso spalleggiato dai carabinieri. E sono 
                        essenzialmente gli anarchici e i socialisti «massimalisti» 
                        ad appoggiare gli Arditi, osteggiati invece dal partito 
                        socialista e dal neonato partito comunista. In più 
                        di un'occasione gli Arditi mettono in fuga carabinieri 
                        e fascisti. Come a Sarzana e a Parma nel 1921. Ed è 
                        proprio a Parma, su una delle barricate innalzate in città, 
                        che troviamo anche un giovanotto di Carrara, Ugo Mazzucchelli, 
                        che ritroveremo vent'anni dopo a capo di una delle formazioni 
                        partigiane anarchiche. Non è l'unico nome che ritorna 
                        in questa storia. 
                        Anche durante il ventennio, seppure in forma diversa, 
                        continua la lotta antifascista degli anarchici. Sia all'estero, 
                        in Francia soprattutto, dove emigrano a migliaia per sfuggire 
                        alla repressione, e poi in Spagna durante la guerra civile, 
                        sia in Italia, dove gli anarchici conoscono il confino. 
                        Ed è proprio l'alto il numero di confinati anarchici 
                        – ben superiore ai dati ufficiali dato che i tribunali 
                        fascisti tendevano a etichettarli come «comunisti» 
                        – che testimonia la rilevanza del contributo anarchico 
                        alla lotta antifascista: i libertari sono infatti il secondo 
                        gruppo per importanza numerica di tutti gli antifascisti 
                        passati per il confino. 
                        Significativamente, gli anarchici non vennero mai ufficialmente 
                        liberati dal confino. Neanche dal governo Badoglio. Se 
                        i «moderati», seguiti a ruota dai socialisti 
                        e dai comunisti, vengono liberati già dal luglio 
                        1943, gli anarchici, troppo sovversivi anche per il regime 
                        nascente, vengono trasferiti dall'isola di Ventotene, 
                        dov'erano per lo più segregati, al campo di concentramento 
                        di Renicci d'Anghiari, in provincia di Arezzo. Qui si 
                        trovano rinchiusi insieme ai prigionieri di guerra slavi 
                        e albanesi. Quando arriva l'8 settembre, però, 
                        i carcerieri se la squagliano e così anche gli 
                        anarchici tornano liberi. 
                        Tra i nomi che ritornano in questa storia c'è quello 
                        del direttore del confino di Ventotene, un certo Marcello 
                        Guida. Nel dicembre 1969 il funzionario fascista Guida, 
                        che nel frattempo ha fatto carriera nelle istituzioni 
                        democratiche, è diventato il questore di Milano. 
                        E' lui che, mentendo spudoratamente, dichiara che Giuseppe 
                        Pinelli si è suicidato. Lo stesso Giuseppe Pinelli 
                        che, al contrario del funzionario fascista in forza a 
                        Ventotene, aveva invece militato come staffetta partigiana 
                        nella Brigata Franchi. 
                        Quel ventennio di resistenza antifascista, che parte dagli 
                        Arditi del Popolo e arriva ai partigiani che non si sono 
                        fermati il 25 aprile 1945, viene ricostruito anche nel 
                        video prodotto dal Centro studi libertari. La storia viene 
                        raccontata attraverso filmati d'epoca e soprattutto attraverso 
                        le testimonianze di alcuni partigiani anarchici: Cesare 
                        Fuochi, Andrea Gaddoni, Spartaco Borghi (attivi in Romagna), 
                        Ugo Mazzucchelli, Carlo Venturotti, Teresa Venturotti 
                        (attivi nel carrarino e nella Lunigiana), Minos Gori (attivo 
                        nel pistoiese), Giuseppe Ruzza (attivo in Piemonte), Dante 
                        Di Gaetano, Alberto Moroni, Luigi Brignoli, Marilena Dossena, 
                        vedova di Michele (Germinal) Concordia (attivi in Lombardia). 
                        Le testimonianze video sono state raccolte nel 1995 da 
                        Ferro Piludu e Lucilla Salimei e solo in parte inserite 
                        nel video, della durata complessiva di 45 minuti. Le interviste 
                        integrali sono ora consultabili presso l'Archivio G. Pinelli 
                        grazie a Paolo Rasconà, che il centro studi ringrazia 
                        per il prezioso lavoro di salvataggio e montaggio. Sempre 
                        sul periodo della Resistenza, oltre ai materiali raccolti 
                        durate la ricerca del 1995, sono inoltre consultabili 
                        le registrazioni audio di Ido Petris sulla Carnia (a cura 
                        di Elis Fraccaro), di Augusta Farvo su Milano (a cura 
                        di Amedeo Bertolo), di Mario Perelli e Mario Mantovani 
                        sulla Lombardia (a cura di Rossella Di Leo) e di Elio 
                        Fiore su Genova. Un insieme di documenti e di immagini 
                        che danno vita a un racconto collettivo da cui emerge 
                        chiara la passione libertaria che ha mosso questi uomini 
                        e queste donne, per i quali la lotta partigiana non era 
                        una semplice opposizione armata a un regime liberticida 
                        ma l'inizio di una rivoluzione sociale. 
                       
                        Gaia Raimondi 
                       
                        Per info e consultazione: 
                        centrostudi@centrostudilibertari.it 
                        www.centrostudilibertari.it  | 
                   
                 
                 
                
 
                   
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                    |   Michele (Germinal) Concordia e Marilena  Dossena in uno scatto 
                  preso a casa di  Bruno Rizzi negli anni Cinquanta.  Presso l'Archivio 
                  Pinelli è possibile  consultare il Memoriale  che Concordia 
                  scrisse dopo la fine  del secondo conflitto mondiale  | 
                    Silvano Fedi, al centro, in una foto  “balneare” 
                  prima della guerra.  Attivo nel pistoiese, dove aveva  costituito 
                  la Brigata Franca Libertaria,  Fedi verrà ucciso in un'imboscata  
                  nel luglio del 1944 e la Brigata  prenderà poi il suo 
                  nome  | 
                   
                 
                
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