  
                
  
                Senza amore non c'è pace 
				  
                
                   
                    |   L'indipendente 
                        stella*nera, in collaborazione con l'editrice imolese 
                        Bruno Alpini,  ha pubblicato “No love, no peace” 
                        degli anarchici inglesi Crass. 
                        Si tratta di un cd con le registrazioni del concerto 
                        dei Crass eseguite la sera  del 2 maggio 1984 a Nottingham 
                        (UK) accompagnato da un libro che raccoglie  una presentazione 
                        storica dell'attività del gruppo e le traduzioni 
                        dei testi  delle canzoni fatte al concerto e del volantino 
                        distribuito quella sera,  più altri scritti collegati. 
                        Per ogni copia viene richiesto un contributo responsabile 
                        di almeno 12,00 euro  che copre sufficientemente le spese 
                        di realizzazione e le spese postali;  le eventuali eccedenze 
                        saranno destinate al sostegno della stampa anarchica. 
                        Altre informazioni sulle pagine 
                        web di stella*nera ospitate sul sito anarca-bolo.ch. 
                         
                        Per richieste:  
                        Aparte (c.p. 81 CPD - 30171 Mestre VE), editrice Bruno 
                        Alpini (bruno.alpini@libero.it), 
                         
                        oppure stella*nera (stella_nera@tin.it).  | 
                    
                         
                            | 
                         
                         
                          |   La 
                              copertina del cd No love, no peace  | 
                         
                       
                     | 
                   
                 
                 
                 Sull'argomento pubblichiamo un'intervista di Enrico Bernardi 
                  (www.sullamaca.it) 
                  con Marco Pandin, curatore di questa rubrica e soprattutto ideatore 
                  e produttore di No love, no peace. 
                   
                  Marco, finalmente un'edizione curata da te sui Crass. 
                  «Direi che “finalmente” è la parola 
                  giusta. Una decina d'anni fa avevo cominciato a raccogliere 
                  le varie cose scritte da me sui Crass, le recensioni e le segnalazioni 
                  dei dischi, le interviste e le lettere, le traduzioni eccetera. 
                  Non era una cosa organizzata, era più una questione personale, 
                  come dire, quasi privata. Sai, quelle cose che senti di fare 
                  perché ormai hai quasi cinquant'anni e ti accorgi che 
                  i ricordi e le esperienze si accumulano, così provi a 
                  mettere un po' d'ordine sperando di trovarci dentro un senso. 
                  Negli anni ho accatastato tanta di quella carta, in mezzo ai 
                  ritagli un giorno sono saltate fuori da una scatola le registrazioni 
                  originali del concerto di Nottingham a sostegno del giornale 
                  pacifista Peace News, primi di maggio del 1984. Le avevo già 
                  diffuse allora, avevo fatto delle cassette che erano state persino 
                  piratate negli USA, così ho pensato potesse essere interessante 
                  far circolare ancora quelle canzoni, ma mi sarebbe piaciuto 
                  offrirle mettendoci anche qualcosa di personale, il mio punto 
                  di vista, tipo come e perché sono state importanti per 
                  me. Scriverci attorno una storia, ecco cosa volevo fare. Qui 
                  in Italia sui Crass è sempre girata poca roba, una letteratura 
                  sotterranea e minore di fanzine e fotocopie di fotocopie, spesso 
                  purtroppo le traduzioni sono state fatte stando più attenti 
                  alle proprie frustrazioni che al dizionario, mi ci metto in 
                  mezzo pure io. Di libri in italiano ne sono usciti due e solo 
                  di recente sull'onda delle ristampe rimasterizzate, ma si tratta 
                  comunque di traduzioni dall'inglese e dallo spagnolo. Quando 
                  gli avevo scritto spiegandogli cos'avevo in mente, da Dial House 
                  era arrivata in fretta una risposta positiva. Penny Rimbaud 
                  è un entusiasta, con me è sempre stato disponibilissimo 
                  e molto gentile. C'erano però dei problemi con gli altri, 
                  scazzi interpersonali anche seri, infatti Pete Wright mi ha 
                  chiesto di tenere in sospeso il progetto finché non si 
                  fossero chiarite le cose tra di loro. Con Pete siamo molto amici, 
                  degli ex-Crass è quello con cui ci siamo frequentati 
                  di più e francamente non c'erano ragioni per non fare 
                  come mi aveva chiesto, quindi ho aspettato. Nel frattempo ho 
                  avuto qualche difficoltà familiare, come magari già 
                  sai cinque anni fa è mancata la mia figlia maggiore e, 
                  nonostante fosse arrivato il “go ahead” anche da 
                  parte di Pete ero preso da tutt'altro genere di pensieri e non 
                  sono riuscito comunque a star dietro a niente. Ero al limite 
                  della depressione e c'è voluto del tempo per raccogliere 
                  i pezzi, poi però sono stato meglio e ho provato a riprendere 
                  in mano le cose che erano rimaste là. Così, durante 
                  l'estate scorsa, ho risistemato e aggiornato il testo e l'ho 
                  portato a stampare, c'è stato ancora qualche incidente 
                  tecnico e qualche ritardo, il libro è uscito dalla tipografia 
                  a metà novembre. Sì, “finalmente” 
                  è proprio la parola giusta.»  
                   
                  Come hai fatto? 
                  «Come ho sempre fatto, cioè arrangiandomi da solo: 
                  dalle traduzioni (ma questa è una mezza bugia: Jane Dolman, 
                  che avevo conosciuta e incontrata proprio grazie ai Crass trent'anni 
                  fa, mi ha aiutato con la revisione) alla composizione, poi l'impaginazione, 
                  la confezione, le spedizioni. Per la diffusione mi stanno dando 
                  una mano i compagni imolesi dell'editrice Bruno Alpini e la 
                  rivista Aparte. Per mille ragioni non sono mai riuscito a dare 
                  una regolarità a questa attività, con stella*nera 
                  si naviga a vista, spesso si va lenti, magari sto fermo per 
                  mesi, per anni in questo caso, poi riprendo. Per pagare la tipografia 
                  ho chiesto un prestito, che sto già restituendo a rate. 
                  Appena riesco a recuperare le spese vive, dirotterò tutto 
                  a sostegno della A/Rivista Anarchica, appunto come è 
                  sempre stato fatto.»  
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Nottingham (Inghilterra), 2 maggio 1984.  Crass in concerto: 
                  Eve Libertine e Phil Free  | 
                   
                 
                Perché “niente amore, niente pace”? 
                  «È per rimettere tutto in discussione, anche quella 
                  copertina offensiva così gratuita. Penso che amore e 
                  pace siano stati fraintesi, che siano stati troppo spesso confusi 
                  con rassegnazione e silenzio. Non me la sentivo di fare un santino, 
                  com'erano bravi e belli, com'erano avanti. Ho cercato di scrivere 
                  mantenendo un approccio critico, non proprio distaccato perché 
                  non ne sono capace, diciamo una via di mezzo tra lo studio storico 
                  e un report da fanzinaro agitato.» 
                   
                  Mi vuoi descrivere brevemente No love, no peace? 
                  «C'è un cd con le registrazioni del concerto dei 
                  Crass fatte la sera del 2 maggio 1984 a Nottingham. Mi avevano 
                  lasciato collegare il registratore al mixer, la registrazione 
                  è fedele, c'è casino, sporco, agitazione, imprecisioni, 
                  è stata solo aggiustata un minimo per adattarla meglio 
                  al formato digitale, niente trucchi in studio se non qualche 
                  gap del nastro analogico che è stato sistemato. Il cd 
                  è accompagnato da un libro di 60 pagine, formato circa 
                  20 per 20, con dentro una presentazione scritta da me, i testi 
                  delle canzoni che i Crass hanno cantato al concerto, la traduzione 
                  del volantino distribuito quella sera e qualche altra cosa, 
                  tipo un articolo scritto da Pete Wright per Peace News e l'intervista 
                  originariamente presente in Anok4u. Nelle prime copie 
                  c'è anche un secondo cd con le registrazioni complete 
                  dei concerti di Flux e D&V, più quelle di Annie Anxiety 
                  che si è riusciti a salvare. Non è roba messa 
                  in vendita, non ha “un prezzo” ma viene richiesta 
                  un'offerta libera e responsabile. Niente distribuzione commerciale, 
                  si può comunque trovare in qualche piccola libreria o 
                  negozio “ideologicamente vicino”, oppure richiedere 
                  per corrispondenza ad Aparte (casella postale 81 CPD - 30171 
                  Mestre VE), oppure all'editrice Bruno Alpini (bruno.alpini@libero.it), 
                  oppure direttamente a me (a breve la mailbox stella_nera@tin.it 
                  sarà nuovamente disponibile). Le pagine web di stella*nera 
                  ospitate sul sito 
                  www.anarca-bolo.ch sono purtroppo ferme da tempo, come dicevo 
                  prima ho avuto tutt'altri pensieri in questi anni, comunque 
                  cercherò di aggiornarle appena possibile.» 
                   
                  Mi è piaciuto molto leggere la loro storia intervallata 
                  dai volantini che i Crass periodicamente stampavano e distribuivano, 
                  così si riesce ad entrare meglio nei loro messaggi. 
                  «È un po' il mio stile, ho sempre lavorato di forbici 
                  e colla. Mi piace raccontare le cose che ho in testa, ma mi 
                  piace utilizzare la voce vera di chi scrive e canta. Quando 
                  scrivo penso spesso di fare una specie di trasmissione radiofonica, 
                  dove un po' parlo io e un po' faccio ascoltare la musica o le 
                  registrazioni delle interviste. Anche adesso ho fatto così, 
                  ho raccolto volantini, stralci di lettere e testimonianze e 
                  li ho inframezzati alla storia. Ho anche rivisto le traduzioni 
                  dei testi, in fin dei conti era questa la cosa che più 
                  mi interessava rimettere in circolazione. In questo libretto 
                  ho raccolto solo quelli delle canzoni fatte al concerto di Nottingham, 
                  tra qualche tempo farò invece uscire una raccolta più 
                  completa e articolata, diciamo la versione molto migliorata 
                  del libro Anok4u che avevo curato e pubblicato nel 1984. 
                  Nel caso specifico dei Crass trovo che per certi versi le cose 
                  che hanno detto, scritto e cantato siano profetiche. Allora 
                  erano considerati dei visionari e degli estremisti pericolosi, 
                  quando non peggio, eppure andando a rileggere le parole delle 
                  loro canzoni ci si accorge presto che i loro incubi sono stati 
                  il nostro presente per questi ultimi trent'anni.» 
                   
                  Il punk ha messo in discussione tutto... 
                  «Negli anni settanta suonavo in un gruppo, facevamo cose 
                  nostre, spesso improvvisazioni lunghissime, eravamo piuttosto 
                  giovani ma ci dedicavamo a studiare con determinazione, ci impegnavamo 
                  per tirare fuori cose “importanti” dai nostri strumenti. 
                  Eravamo sulla buona strada, secondo molti amici e compagni. 
                  Invece ci eravamo persi in una sega colossale, stando alla nuova 
                  mentalità: certo, un modo di pensare discutibile e magari 
                  non del tutto condivisibile ma mi è servito a rivedere 
                  certe convinzioni, a ripensare certi atteggiamenti. Quei dischi 
                  dei vari gruppi punk che a fine anni settanta si potevano comprare 
                  nei negozi tipo Damned o Ultravox a me facevano cagare, o come 
                  minimo pena. Non ci trovavo dentro proprio niente. Per me i 
                  Sex Pistols erano banali, John Lydon tutto spettinato che diceva 
                  “fuck” e faceva le linguacce al fotografo era tutt'altro 
                  che trasgressivo e soprattutto era inconsistente, quando fino 
                  a poco tempo prima coi miei compagni si andava a manifestare 
                  in piazza con i sassi e la fionda in tasca. La musica nuova 
                  io la cercavo altrove: Jan Garbarek, Jaco Pastorius, Brian Eno. 
                  Avevo preso i dischi di Patti Smith e dei Television, e li amavo 
                  pure, ma diffidavo della “musica punk”, quella delle 
                  spille da balia e delle magliette strappate apposta.» 
                   
                  Eppure ne eri attratto... 
                  «A me incuriosivano i punks anarchici, trovo ci sia grossa 
                  differenza, che sia importante fare una distinzione. Le loro 
                  canzoni erano assolutamente concrete, mi ci riconoscevo, riconoscevo 
                  quei posti, come ci si sentiva, il rumore dentro. La differenza 
                  vera era che gli anarcopunks pisciavano sul serio addosso ai 
                  maestri, noi invece i maestri li si ascoltava e come, anche 
                  se solo con un orecchio, o facendo solo finta di non ascoltare. 
                  Mi sono reso conto che il punk anarchico era una maniera radicalmente 
                  diversa di fare della musica politica, abituato com'ero a tutt'altra 
                  roba, agli Stormy Six e agli Area insomma, e a tutt'altro livello 
                  di trasgressioni, che so, a Lindsay Kemp, a Dario Fo, a Frank 
                  Zappa, gente che aveva un certo spessore. Altro che le spille 
                  da balia, appunto.» 
                   
                  C'era dunque una certa differenza fra punk e punk... 
                  «Secondo me una differenza sostanziale. Sex Pistols, Damned, 
                  Clash, Ultravox eccetera avevano tutti firmato dei contratti 
                  con grosse case discografiche, ma gli anarcopunks si stampavano 
                  i dischi e le cassette da sé e se li distribuivano per 
                  conto proprio e a basso prezzo, s'era sviluppato intorno anche 
                  un gran bel giro di fanzine, un'alternativa dal basso alla stampa 
                  musicale. C'era un abisso tra i dischi dei Crass e delle Poison 
                  Girls, i primi gruppi anarcopunk con cui sono venuto a contatto, 
                  e quelli di “musica punk” di allora. E non era soltanto 
                  un problema di qualità del suono, di produzione, di confezione: 
                  era un problema di comunicazione e di impatto culturale molto 
                  più complesso e articolato: facevano tutti una musica 
                  di merda, lo sapevamo noi e soprattutto lo sapevano bene loro 
                  e non gliene fregava niente, ma i dischi degli anarcopunks offrivano 
                  degli spunti, non era solo un blando lamentarsi per la mancanza 
                  di “futuro”, o un atteggiamento, una posa per la 
                  foto di copertina. Questi ragazzi vivevano lontani, Londra e 
                  l'America erano posti che in provincia io e i miei compagni 
                  a malapena eravamo capaci di sognare, ma da loro si stava complessivamente 
                  male come da noi. Sembrava proprio che gli anarcopunks non avessero 
                  affatto paura a usare le canzoni per gridare il loro malcontento, 
                  l'insofferenza, il disagio: stavano ridisegnando i perimetri 
                  espressivi, si stavano riprendendo, se non la vita, almeno il 
                  diritto di cantare la vita, e lo facevano a modo loro, come 
                  ne erano capaci. Erano le stesse identiche cose che avrei voluto 
                  fare anch'io, ma non mi ritenevo abbastanza preparato come strumentista, 
                  né ero abbastanza dentro ad una qualche organizzazione 
                  o una struttura politica o culturale che mi potesse sostenere. 
                  A me piaceva molto leggere e me la cavavo piuttosto bene a scrivere, 
                  ma le cose che scrivevo me le tenevo per me. Coi miei amici 
                  avevamo suonato in un paio di posti occupati, mica per qualche 
                  comizio elettorale, come artisti non avevamo davvero alcuna 
                  prospettiva concreta, e men che meno di prospettive potevo averne 
                  io come scrittore. A meno che non decidessi di prendere la mia 
                  vita in mano e darmi da fare, senza aspettarmi un aiuto da nessuno.» 
                   
                  A distanza di anni un aspetto che ammiro del collettivo 
                  dei Crass è la forza con cui credevano nelle loro idee. 
                  «Sono nato nel 1957, quindi a me è successo di 
                  vivere i miei vent'anni troppo tardi per il 1968 e gli hippies 
                  e troppo presto per il punk. Alle scuole superiori grazie a 
                  un insegnante avevo scoperto Fernanda Pivano e i poeti beat 
                  e mi avevano preso molto cose come la controcultura, il pacifismo, 
                  l'antimilitarismo e la contestazione, e amavo certa musica della 
                  fine degli anni sessanta, un tesoro che generazionalmente apparteneva 
                  però ai miei fratelli maggiori se non addirittura ai 
                  miei genitori. Tieni conto della diversa velocità con 
                  cui le informazioni si diffondevano allora, era tutto più 
                  lento e più costoso. All'inizio degli anni ottanta noi 
                  ragazzi non compravamo tanti dischi nuovi, e ascoltavamo abitualmente 
                  dalle radio libere la musica di dieci-quindici anni prima, tipo 
                  che so certo rock di Canterbury, certo jazz militante, i cantautori 
                  impegnati, roba che comunque non era certo considerata vecchia 
                  né “scaduta”, anzi. Il punk da noi veniva 
                  spacciato come un fenomeno da baraccone, per un bel po' qui 
                  non se ne sapeva un cazzo neanche nei giri anarchici che frequentavo. 
                  Ma nel settembre del 1979 un bel giorno Patti Smith è 
                  stata invitata alla Biennale di Venezia ed io mi sono ritrovato 
                  con alcuni compagni di radio a rincorrerla per le calli per 
                  poi restare chiusi fuori della porta al reading: ci voleva un 
                  invito per entrare, o forse era solo una bugia perché 
                  ci togliessimo dai coglioni. A Bologna il suo concerto è 
                  stato una celebrazione di anarchia e libertà, è 
                  stata una cosa emozionante che non dimenticherò mai, 
                  hanno iniziato con So you wanna be a rock'n'roll star 
                  dei Byrds e poco dopo hanno fatto All along the watchtower 
                  di Dylan, offrendo un collegamento assolutamente esplicito con 
                  la contestazione di dieci anni prima. A me Patti Smith piaceva 
                  enormemente, sui banchetti di Stampa Alternativa ai concerti 
                  si trovavano dei libretti con le traduzioni dei suoi testi, 
                  avevo già da tempo preso i suoi dischi che venivano commercializzati 
                  come roba punk e identificati come tali nei primi spazi che 
                  i giornali musicali aprivano a questa nuova cultura. Patti Smith 
                  mi aveva proprio preso, era più vecchia di me di dieci 
                  anni, idealmente la vedevo come una specie di sorella maggiore 
                  ribelle che era scappata di casa e che era improvvisamente ritornata 
                  per raccontarmi i segreti di famiglia e farmi aprire gli occhi. 
                  Lei mi offriva a piene mani collegamenti e rimandi e connessioni 
                  tra la ribellione di oggi e quella che c'era stata prima, per 
                  me era una pacificazione nella ribellione, un trovare posto 
                  nella corrente. Coi Crass è successo uguale, li ho scoperti 
                  a distanza breve.» 
                   
                  Crass e Poison Girls erano gruppi di gente che aveva una 
                  differenza d'età anche significativa. 
                  «La cantante delle Poison Girls, Vi Subversa, era la madre 
                  di due ragazzi poco più giovani di me che avevo conosciuto 
                  a Londra e che suonavano in altri gruppi, Omega Tribe e Rubella 
                  Ballet, quindi anagraficamente poteva benissimo anche essere 
                  mia madre. Penny Rimbaud ha quattordici anni più di me, 
                  Gee Vaucher tredici, Pete Wright otto, io e Steve Ignorant siamo 
                  coetanei. La cosa già al tempo sembrava non avere alcuna 
                  rilevanza, d'altra parte anch'io tramite i giri delle radio 
                  e degli anarchici avevo frequentato volentieri dei compagni 
                  più vecchi di me. Crass e Poisons erano riusciti a risolvere, 
                  se non a dissolvere, il conflitto generazionale sbattendoci 
                  davanti a quello che era invece il vero e proprio conflitto 
                  in cui ci si doveva impegnare: quello contro l'establishment, 
                  quello contro il sistema. A me piaceva ascoltarli perché 
                  mi offrivano sì delle vie d'uscita dalla mediocrità, 
                  ma soprattutto perché mi incuriosivano. Immagino funzionasse 
                  così poi anche per loro, c'era questa curiosità 
                  reciproca che specie le prime volte ha stravolto il senso dei 
                  nostri incontri. La prima volta a Dial House mi immaginavo di 
                  essere il povero ragazzo anonimo e sfigato venuto dalla periferia 
                  dell'impero che andava a trovare i cattivi maestri, sai, quegli 
                  anarchici inglesi che fanno dischi che è disdicevole 
                  e pericoloso ascoltare, ma una volta lì mi sono ritrovato 
                  con una tazza di tè in mano, un gatto in braccio che 
                  faceva le fusa e tutt'attorno un gruppo di compagne e compagni 
                  meravigliati del fatto che ci fosse qualcuno così lontano 
                  da Londra che stesse lì a leggersi e tradursi i testi 
                  delle loro canzoni, e ci trovasse pure dentro dell'ispirazione.» 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Nottingham 
                        (Inghilterra), 2 maggio 1984.  
                        Steve Ignorant e Andy Palmer  | 
                   
                 
                I Crass sono stati dei pionieri nell'indipendenza dall'industria 
                  musicale: fondarono una loro etichetta discografica, aprirono 
                  uno studio discografico, organizzavano in proprio i tour. 
                  «Ma dai, i Crass non hanno inventato niente, i gruppi 
                  che si autogestivano e le etichette indipendenti c'erano già 
                  prima, pensa agli Henry Cow, pensa all'etichetta Topic legata 
                  al sindacato dei musicisti inglese, oppure senza andare tanto 
                  lontano, agli Stormy Six e alla cooperativa l'Orchestra, ai 
                  Dischi del Sole. E prima ancora, a metà degli anni cinquanta 
                  tutto il giro marginale di musica popolare americana, blues 
                  e folk si stampava i dischi artigianalmente. Penso che il fattore 
                  determinante per lo sviluppo e l'espandersi dell'editoria discografica 
                  indipendente nei primi anni ottanta sia stato il calo del costo 
                  della tecnologia, è stato improvvisamente più 
                  facile acquistare strumenti, registratori e microfoni, ed è 
                  stato più facile accedere a qualche stabilimento di stampaggio 
                  di dischi per farsi fare quelle mille copie di tiratura minima. 
                  Sono convinto che la rivoluzione operata dai Crass e dagli anarcopunks 
                  sia stata altrove, sia stata cioè nel far aprire gli 
                  occhi e soprattutto la mente ai ragazzi proprio riguardo al 
                  diritto d'accesso all'espressione libera: non occorre essere 
                  musicisti bravissimi per potersi permettere di suonare, così 
                  come non occorre essere poeti o scrittori laureati per potersi 
                  permettere di leggere a voce alta su di un palco. Anzi, neanche 
                  serve il palco: mescolati alla gente. Il fuoco dell'attenzione 
                  è stato spostato sulla creatività, togliendo importanza 
                  alle sovrastrutture della diffusione culturale industriale. 
                  Hai delle cose da dire? Hai delle cose da far sapere in giro? 
                  Bene, fallo. Non hai una bella voce? Non importa: è la 
                  tua. Usala. Anche se i giornali musicali ti convincono del contrario, 
                  non hai bisogno di un agente e neanche di un produttore artistico, 
                  e men che meno hai bisogno dei giornali musicali. Comincia a 
                  cantare, fallo adesso. La vera rivoluzione è stato affermare 
                  questo in un periodo storico in cui l'attenzione per le produzioni 
                  discografiche si era sempre più allontanata dai contenuti 
                  per concentrarsi sulla confezione: i cantautori impegnati, la 
                  sperimentazione e la ricerca, tutto l'universo conosciuto come 
                  la cosiddetta “musica alternativa” era improvvisamente 
                  stato spinto fuori del mercato, dai media, non era più 
                  di moda. Le radio trasmettevano sempre più disco music, 
                  le radio libere sempre meno libere e sempre più private. 
                  Dopo The dark side of the moon un gruppo rock non poteva 
                  più proporre soltanto dei “semplici” dischi 
                  e dei “semplici” concerti, ma delle opere e degli 
                  spettacoli sempre più elaborati e complicati che improvvisamente 
                  hanno cominciato a scricchiolare. I Crass e gli anarcopunks, 
                  diffondendo la pratica dell'autoproduzione e riportando tutto 
                  ad una dimensione umana hanno rosicchiato una fetta di mercato 
                  dapprima marginale poi però sempre più consistente, 
                  sto parlando di centinaia di migliaia di copie, e la cosa per 
                  un po' ha funzionato. È ovvio che l'industria discografica 
                  non se ne sia rimasta lì a guardare, in breve ha voltato 
                  le spalle ai musicisti “veri” per dedicarsi allo 
                  sfruttamento degli incapaci, comprati con vino scadente e pochi 
                  spiccioli, e s'è ripresa il controllo del mercato. Chi 
                  era recalcitrante all'omologazione è stato preso per 
                  fame e ricattato, o è stato fatto fuori. Del resto è 
                  sempre stato così, mica importa qualcosa se ti chiami 
                  Kurt Cobain o Luigi Tenco.» 
                   
                  Raccontami del concerto. 
                  «Be', riuscire ad assistere di persona a un concerto dei 
                  Crass è stata un'esperienza formativa. Qualche mese prima 
                  avevo pubblicato Anok4u, volevo raccontargli come stava 
                  andando e ho telefonato a Dial House ma mi ha risposto la segreteria 
                  telefonica: non c'era nessuno, sarebbero stati per un po' in 
                  giro a suonare. Dai, ci vado, mi sono detto. Sono riuscito per 
                  fortuna a trovare un biglietto aereo molto economico, così 
                  ho preso qualche giorno di ferie e sono partito. Spero sia chiaro 
                  che per me non è stata una cosa tipo vado a vedere i 
                  Led Zeppelin, i Crass dal vivo me li sognavo da cinque anni, 
                  ci eravamo incontrati più volte ma non li avevo mai visti 
                  suonare. Non sapevo cosa aspettarmi. Non è stato un evento 
                  memorabile, cioè, mi spiego meglio, memorabile lo è 
                  stato sì, ma non nel senso comune di impatto spettacolare 
                  o di accadimento culturale rimbombante. È stata, direi, 
                  una semina a germogliazione lenta. Il concerto di quella sera 
                  era organizzato in un centro culturale in periferia, un quartiere 
                  popolare, uno di quei posti mandati avanti a forza di volontariato 
                  e buonsenso. Ho preso un autobus per Nottingham da Londra nel 
                  primo pomeriggio, loro erano arrivati da poco così gli 
                  ho dato una mano a scaricare l'attrezzatura. C'era della roba 
                  da mangiare portata là da qualcuno, siamo rimasti seduti 
                  a un tavolo vicino al palco a fare merenda e bere tè 
                  e chiacchierare mentre arrivava gente, tutta gente calma e tranquilla, 
                  ragazze e ragazzi ma anche famiglie con bambini, poi con molta 
                  naturalezza sono iniziati i concerti. Probabilmente non so descrivere 
                  bene l'atmosfera della serata, io ero distratto da cento cose, 
                  ero agitato e nervoso, ma tutti lì sembravano invece 
                  molto calmi e rilassati. Eppure è stata una cosa molto 
                  intensa, specialmente il concerto dei Flux, davvero incendiari 
                  e inquietanti, tutti molto presi dal discorso su violenza e 
                  sessismo. I D&V riuscivano a ipnotizzare, facevano pezzi 
                  voce e batteria di uno-due minuti soltanto ma sembrava non finissero 
                  mai, e quando finivano restava appeso attorno un silenzio irreale. 
                  Annie Anxiety è stata particolarmente sconvolgente, siamo 
                  rimasti a parlare e bere tè fino a mezzo minuto prima 
                  che iniziasse il suo reading e lei, una volta fatti quei due-tre 
                  gradini per arrivare sul palco si è messa a volare su 
                  un tappeto di nastri registrati intrecciati trasformandosi in 
                  una gatta, in un serpente, in una nuvola, in una fiammata, in 
                  pioggia battente. A fine serata siamo rimasti tutti ancora un 
                  poco là con la gente del posto, poi gli ho dato una mano 
                  a riportare la roba nei furgoni e a dare una ripulita alla sala. 
                  Alla fine baci e abbracci, loro se ne sono andati via e io a 
                  piedi fino al terminal ad aspettare il primo autobus del mattino 
                  per ritornare a Londra. È stato uno dei loro ultimi concerti, 
                  un paio di mesi dopo hanno deciso di smettere di suonare.» 
                   
                  Un'altra cosa che ho notato, ci sono le tue foto del concerto 
                  al Marcus Garvey Centre. 
                  «Sono un incapace, le foto sono fatte male e sfocate, 
                  sono tutt'altro che professionali, ma sono vere. Sono anche 
                  poche, sette otto in tutto, avevo con me solo un rullino e ho 
                  esagerato scattando le foto a quegli altri che avevano suonato 
                  prima. Chissà dove saranno finite, saranno andate perse 
                  in qualche trasloco. Magari saltano fuori.» 
                   
                  Immaginavo una serata ricca di tensione, almeno è 
                  questa l'idea che mi sono fatto ascoltando la registrazione. 
                  «Era senz'altro d'impatto il discorso complessivo, e d'impatto 
                  forte, ma l'ambiente intorno come ti ho detto era molto pacifico. 
                  Magari esagero, ma venire a contatto con loro per me è 
                  stato una specie di insegnamento zen. Penso sia stata una delle 
                  loro caratteristiche fondamentali: i Crass ti prendevano in 
                  contropiede, ti rendevi conto del vuoto che sosteneva i tuoi 
                  pregiudizi. Una cosa importante per me, che sarò stato 
                  senz'altro ben disposto alle cattive frequentazioni anarchiche 
                  e influenzato da queste, ma che ero comunque cresciuto in un 
                  ambiente fortemente politicizzato come poteva esserlo una città 
                  operaia degli anni settanta. Ero di una curiosità vorace. 
                  In un certo senso mi allarmava il fatto che si interessassero 
                  a me, che mi chiedessero come stavo e come andava a casa: ero 
                  io quello che aveva mosso il culo da Venezia fino a Londra, 
                  ero io quello interessato a cosa facevano loro, ero io quello 
                  che voleva fare le domande. E loro lì sempre col loro 
                  tè, sempre a scaldare altra acqua, sempre a sfornare 
                  e affettare pagnotte da spalmare col Marmite, senti invece di 
                  stare chiusi qua dentro a parlare andiamo a farci un giro che 
                  è una bella giornata di sole. Ai giornali musicali invece 
                  che rilasciare interviste richiedevano degli spazi da autogestire, 
                  una cosa impensabile adesso, pensa trenta-trentacinque anni 
                  fa. Ai ragazzi delle fanzine che gli chiedevano di preferenze 
                  musicali parlavano di Martin Luther King e di Gandhi, di anarchia 
                  e di femminismo. Per sapere quelle due cose che riuscivi a chiedergli 
                  ci voleva un'ora e poi aspetta, lascia stare, senti questo disco, 
                  conosci Joni Mitchell vero? Ricordo avevano un 45 giri bootleg 
                  con una registrazione di Elvis Presley che si era messo a ridere 
                  nel mezzo di una canzone e non riusciva più a fermarsi. 
                  Che roba, vero? Dai, un altro po' di tè. Altro pane? 
                  Hai sentito la canzone nuova di Robert Wyatt? Mettevano su Shipbuilding 
                  e ascoltandola gli venivano le lacrime agli occhi. Dell'altro 
                  tè? Ti spiazzavano. Pensavi di avere a che fare con un'organizzazione 
                  politica e invece passavano più tempo nell'orto e a leggere 
                  che in sala prove. Eppure avevano il potere, passami la brutta 
                  parola, di darti fuoco alle idee dentro in testa.» 
                   
                  Erano considerati pericolosi per questo.  
                  «Sin dall'inizio hanno fatto di tutto per non soccombere 
                  al silenzio: il loro disco d'esordio è stato pubblicato 
                  nell'ottobre del 1978 ma privo di una canzone che era stata 
                  ritenuta “oscena” dai gestori dello stabilimento 
                  di stampaggio del vinile, si erano proprio rifiutati di farglielo 
                  se non la toglievano. L'anno dopo hanno ristampato il disco 
                  secondo il loro progetto originale, ricevendo di lì a 
                  poco una visita di Scotland Yard che era stata allertata da 
                  delle denunce per vilipendio e blasfemia criminale. John Peel 
                  li ha trasmessi alla BBC una volta sola, la stampa musicale 
                  inglese descriveva abitualmente i loro lavori in termini dispregiativi. 
                  I loro dischi sono stati sistematicamente oggetto di censura 
                  e boicottaggio, pensa a Bloody revolutions acquistato 
                  quasi in blocco dai grandi magazzini HMV e mandato al macero 
                  su ordine della direzione. Il loro terzo album Penis envy 
                  è stato giudicato osceno da un tribunale, condanna confermata 
                  in appello, e viene tuttora diffuso in una confezione di plastica 
                  opaca semirigida come le riviste porno. Nel 1982 per vie traverse 
                  erano riusciti a far stampare in Francia Sheepfarming, 
                  una protesta infuocata contro la guerra delle Falklands, importandolo 
                  sottobanco in Inghilterra e distribuendolo clandestinamente, 
                  ma il disco è stato presto intercettato e sequestrato 
                  e loro accusati addirittura di collusione col terrorismo. Il 
                  disco successivo How does it feel to be the mother of one 
                  thousand dead? li ha visti coinvolti in un'inchiesta giudiziaria 
                  fatta aprire dal primo ministro Margaret Thatcher in persona. 
                  I gestori dei negozi di dischi che esponevano i loro dischi 
                  in vetrina ricevevano visite della polizia, dapprima invitavano 
                  in forma discreta a toglierli e a renderli al distributore, 
                  poi passavano a controlli pretestuosi, perquisizioni, minacce, 
                  addirittura dei negozianti sono stati denunciati, processati 
                  e condannati per commercio di materiale osceno a minori. Meno 
                  male che erano inglesi, in un altro paese li avrebbero ammazzati 
                  di botte e fatti sparire.» 
                   
                  Secondo te, ora, c'è ancora un senso a leggere 
                  e ascoltare i Crass? 
                  «Dipende da cosa vuoi quando ti metti ad ascoltare un 
                  disco. Queste sono canzoni politiche nel senso più alto 
                  ed onesto: parlano di vita, di morte e di tutto quello che ci 
                  sta in mezzo mettendosi al nostro stesso livello e adoperando 
                  le stesse parole che usiamo tu e io. Possono essere lette come 
                  poesie, poesie di rivoluzione. Sono anche canzoni di protesta 
                  nel senso più aggressivo: ti si inchiodano addosso, creano 
                  agitazione, possono fare danni. Non sono delle occasioni di 
                  intrattenimento, non si possono adoperare in sottofondo per 
                  passare dei mezzi pomeriggi piacevoli. Mica ti capita di canticchiarne 
                  una mentre sei sotto la doccia. Loro le avevano definite “canzoni 
                  d'amore”, ma può essere stata una provocazione, 
                  penso che dall'ascolto proprio di nessuna si possa uscire gratificati. 
                  Che abbia oggi un senso mettersi ad ascoltarle, a leggere questi 
                  testi, direi di sì. C'è però il rischio 
                  reale che queste canzoni inneschino delle bombe in testa. Ad 
                  esempio, ascoltare i vecchi Crass degli anni ottanta può 
                  dare un'idea concreta di dove si sia arrivati adesso: ci si 
                  può chiedere che tipo di rapporto e che tipo di condivisione 
                  culturale ci possa essere con quella gente che oggi canta di 
                  malcontento e frustrazione, ma col culo al caldo garantito da 
                  un contratto con una multinazionale dell'intrattenimento. Ci 
                  si può chiedere se vale davvero la pena perdere tempo 
                  prezioso della vita sprecandolo per ascoltare della merda confezionata 
                  in pacchetti di tre minuti e inframezzata da spot pubblicitari. 
                  Ci si può chiedere se non valga davvero la pena comprare 
                  un cd in meno e invece prendere un libro, o magari comprare 
                  qualche cosa da mangiare a chi ne ha bisogno. Ci si può 
                  chiedere se è una coincidenza che il padrone della casa 
                  discografica del cd che hai comprato ieri sia lo stesso del 
                  padrone del giornale che leggi, e del padrone del supermercato 
                  dove fai la spesa, e del padrone di quella grossa fabbrica di 
                  armi di cui parlano i giornali... Ci si può chiedere 
                  se la tua vita passa davvero per i panorami in heavy rotation 
                  su MTV o per i talent show, se il rumore che ti circonda assomiglia 
                  davvero a quello che esce da dentro la televisione. Possono 
                  magari venirti in mente interrogativi più inquietanti, 
                  tipo se è davvero questa la vita che vuoi, se davvero 
                  non ci sono soluzioni, vie d'uscita, possibilità. I Sex 
                  Pistols si lamentavano che non esistesse il “futuro” 
                  già trentacinque anni fa, e si sono arricchiti in fretta 
                  rastrellando spiccioli di consenso tra i ragazzini. Potrei continuare, 
                  ma già adesso sembro paranoico. Magari lì a Dial 
                  House non avevano torto, forse era davvero meglio uscire e farsi 
                  un giro perché c'era il sole. Era meglio approfittarne 
                  finché si poteva.» 
                   
                  Cosa sono riusciti a costruire i Crass? 
                  «Tornando alle parabole zen, i Crass non hanno distribuito 
                  pesci, ma hanno raccolto dei ragazzi attorno a sé e insegnato 
                  a costruire canne da pesca. È gente che non ha avuto 
                  paura di sporcarsi le mani di merda per tirarla addosso alla 
                  regina, al papa, al governo, alla polizia, ai benpensanti, a 
                  quelli che preferiscono restare zitti, a quelli che se ne fregano. 
                  Gente che rifiutando l'obbedienza e il silenzio ha restituito 
                  dignità alla protesta. Hanno convinto tanti ragazzi ad 
                  usare la creatività come arma, scusa se è poco. 
                  A quanto ho letto in giro, questo non viene considerato come 
                  un'eredità concreta. Io non la penso così, trovo 
                  invece assai concreto l'aver acceso speranza e soprattutto consapevolezza 
                  nel cuore di una generazione come la mia, immersa nella disoccupazione 
                  e nella minaccia della guerra e del buio nucleare. Non hanno 
                  mica detto no e no e no e basta, hanno offerto alternative a 
                  portata di mano, obiettivi che si riusciva a immaginare, a sfiorare 
                  quasi con la punta delle dita. Hanno cantato che era possibile 
                  e hanno spiegato come spezzare la catena scuola-caserma-chiesa-famiglia-fabbrica-cimitero, 
                  e cazzo per uno come me che ne era condannato per nascita non 
                  è stato poco. La mia esperienza personale è stata 
                  importante: ho tratto ispirazione da questo incontro, con ogni 
                  probabilità ne ho tratto degli insegnamenti e delle indicazioni, 
                  penso che anche grazie a questi scambi la mia vita possa aver 
                  preso una certa piega, senz'altro ha influito sul modo di rapportarmi 
                  con gli altri. Penso che abbiano avuto un'influenza importante 
                  anche sulla maniera globale di ripensare non solo l'anarchia, 
                  ma l'antagonismo in generale.» 
                   
                  Invece cosa non sono riusciti a costruire i Crass? 
                  «Trovo non siano riusciti a trovare una giusta pacificazione 
                  tra loro, mi dispiace che si siano allontanati in maniera così 
                  astiosa. Finché era vivo, John Loder riusciva a mantenere 
                  un buon equilibrio tra le diverse anime del gruppo, ma venuto 
                  a mancare lui tante tensioni sono proprio esplose. I problemi 
                  interpersonali a cui mi riferivo all'inizio riguardavano la 
                  rimasterizzazione delle registrazioni, era stato contestato 
                  il fatto che Penny avesse messo mano alle registrazioni originali 
                  mettendone a conoscenza gli altri solo a cose fatte, o comunque 
                  tardi, c'era chi era d'accordo e chi invece non voleva venissero 
                  toccate. C'erano stati dei contrasti già al tempo dello 
                  scioglimento del gruppo e discussioni quando s'era trattato 
                  di acquistare Dial House, poi altri attriti per la gestione 
                  dell'archivio. E di recente, la classica ciliegina sulla torta, 
                  i Crass si sono ritrovati un giorno con Colin Jerwood dei Conflict 
                  che aveva registrato a proprio nome le loro canzoni all'MPCS, 
                  press'a poco la SIAE inglese, meno male che la cosa s'è 
                  risolta, erano appena a un passo dal finire in tribunale. Sono 
                  cose che mi mettono fortemente a disagio e che non desidero 
                  commentare.» 
                   
                  Vuoi aggiungere qualcosa per concludere? 
                  «Sì, vorrei esprimere la mia gioia e la mia riconoscenza 
                  a tutti quei vecchi compagni di strada che con la scusa di questo 
                  libro si sono rifatti vivi con me, alcuni dopo tanti anni. Pete 
                  Wright mi ha scritto una lettera che mi ha commosso, così 
                  anche Martin Wilson dei Flux. Ho parlato a lungo anche con Laura 
                  dei Raf Punk e la nostra conversazione mi ha molto toccato. 
                  C'è da riflettere su quanto certi incontri e certe frequentazioni 
                  giovanili possano poi trasformarsi in suggestioni e influenze 
                  che ti accompagnano per il resto della vita. È stato 
                  bello accorgersi che quei semi sono poi riusciti a germogliare 
                  nonostante la terra avvelenata e la siccità e le pietre 
                  intorno, nonostante i casini. Voglio molto bene a queste persone.» 
                 Enrico Bernardi 
                 
                i 
                  Crass su “A” 
                 Non è la prima volta che sulle pagine di “A” 
                  si parla dei Crass. Presentati su “A” 101 (maggio 
                  1982), sono stati i protagonisti anche di due copertine.  
                  
                In alto, la copertina di “A” 104 (ottobre 1982), 
                  oggetto di contestazione da parte di vari compagni/e, è 
                  tratta da un'opera di Gee Vaucher allegata a Christ – 
                  the album. In basso, anche il disegno di copertina di “A” 
                  140 (ottobre 1986), tratto da Best before. All'interno 
                  del numero (alle pagine 19-25) è stato pubblicato anche 
                  un loro scritto, nel quale raccontano la loro storia. E spiegano 
                  il perché dello scioglimento.
                  
              
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