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                La luce, più delle parole  
                  di Bruno Bigoni 
                  
                  Nonostante nelle sale ci siano 
                  dei buoni film che spero non mancherete di vedere (il cinema 
                  al cinema è sempre un'altra cosa), questo mese vorrei 
                  raccomandarvi un film che non troverete nella programmazione 
                  di questi mesi, ne tra i film di Natale. Lo troverete però 
                  facilmente in dvd o in qualunque videoteca poiché si 
                  tratta di uno dei capolavori del cinema. E vi assicuro che vale 
                  quei dieci euro che spenderete per comprarlo. È un film 
                  in bianco e nero del 1941 diretto da un giovane di 26 anni che 
                  si chiamava Orson Welles e il titolo è Citizen Kane 
                  (in Italia Quarto potere). Uno dei film più importanti 
                  della storia del cinema. 
                  Nella vita di tutti noi, c'è un film o un libro a cui 
                  dobbiamo qualcosa. Chi poco, chi tanto. Il mio è Citizen 
                  Kane. Nessun altro film mi ha colpito nel profondo come 
                  il “Cittadino Kane”. Un colpo di fulmine, come la 
                  scoperta del primo grande amore. È il film che insegna 
                  che il cinema non è solo immagini o suoni ma forma espressiva 
                  ben definita e completa. Un dispositivo perfetto, un mix di 
                  tecnica e immaginario che s'innesta su un pensiero sterminato. 
                  Citizen Kane è un mosaico tutto giocato sull'arte 
                  di scoprire, sulle verità parziali, sul potere e sulla 
                  solitudine. Uno di quei film che ti tramortisce mentre lo vedi 
                  ma che ti costringe a una riflessione costante e mai ripetitiva 
                  e che ad ogni ulteriore nuova visione, ti fa scoprire qualcosa 
                  di nuovo che non avevi notato nella visione precedente, un meccanismo 
                  esemplare che ti prende e che ti lascia solo alla fine, davanti 
                  a “Rosabella”, quella parola che tutti nel film 
                  cercano di interpretare e che solo lo spettatore avrà 
                  la fortuna di comprendere fino in fondo. 
                  I grandi film lasciano addosso un senso di prostrazione che 
                  si accompagna a una sottile soddisfazione che ha qualcosa di 
                  fisico, che rientra nella categoria dei piaceri non descrivibili. 
                  Non c'è solo la vicenda, la trama avvincente, l'immagine 
                  rivoluzionaria e un montaggio aggressivo come mai prima avevo 
                  incontrato. C'è anche una straordinaria presenza di attori 
                  che in qualche modo alzano progressivamente, con il loro lavoro, 
                  il livello del film. Orson Welles, con questo suo primo film, 
                  dimostrò la sua straordinaria capacità di direzione 
                  degli attori, costruendo caratteri, sentimenti, sguardi, passioni, 
                  gioie e dolori in un modo così autentico e credibile 
                  che non si era mai visto fare al cinema. Che dire poi della 
                  tecnica. Lo stile in Welles diventa segno indelebile di un'idea 
                  di cinema, di un immaginario allucinato che trasporta lo spettatore 
                  nel mondo da lui creato. Lì deve stare e lì deve 
                  provare a comprendere. La raffinatezza delle scene, la composizione 
                  delle inquadrature, l'uso della luce. La fotografia, di Greg 
                  Toland, non era più semplice arredo visivo ma parte integrante 
                  della storia e traccia marcata attraverso cui seguire lo sviluppo 
                  della vicenda Kane. 
                  Per la prima volta scoprivo, incantato, che la luce poteva raccontare 
                  e svelare molto più delle parole. Che aveva una forza 
                  evocativa e narrativa sorprendente. Con la luce si poteva creare 
                  ambienti, personaggi, situazioni, definire luoghi e personaggi, 
                  portare il film verso territori dove lo spettatore si sarebbe 
                  trovato spiazzato ma al contempo incantato.
                  Bruno Bigoni
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