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				 migranti 
                  
                Il condominio mondo 
                  
                di Laura Antonella Carli / interviste a cura di Andrea Staid 
                  
                È appena uscito per Milieu edizioni il nuovo libro del nostro collaboratore Andrea Staid, un'etnografia della micro-criminalità migrante 
che si concentra soprattutto sul celebre palazzo di Bligny 42, nel cuore di Milano.  Pubblichiamo in queste pagine l'opinione di Laura Antonella Carli e due testimonianze estrapolate dal libro. 
                 
				 
 Il ladro di mele e la metropoli 
                   
                Da sempre la città legale e la città illegale si sfiorano, interagiscono, confliggono. E sulle loro contaminazioni si costruisce il tessuto sociale.  
                Immaginiamo per un attimo che 
                  la nostra famiglia, dopo lunghe discussioni e non senza sofferenza, 
                  decida che la prospettiva migliore per l'avvenire economico 
                  nostro e dei nostri familiari sia tentare di raggiunge un paese 
                  straniero con maggiori opportunità. Immaginiamo di risparmiare 
                  ogni centesimo, di vendere le cose più preziose e di 
                  riuscire ad accumulare un gruzzolo sufficiente per la partenza. 
                  Immaginiamo di dover attraversare un deserto e un mare. Di passare 
                  attraverso paesi stranieri e inospitali. Di dover cedere ai 
                  ricatti dei trafficanti e di dover consegnare a soldati stranieri 
                  i risparmi faticosamente raccolti e gelosamente custoditi. Di 
                  dover ingegnarsi per proseguire il viaggio; fermarsi a lavorare 
                  per un po' lungo la strada, oppure ricorrere a pericolosi mezzi 
                  di fortuna. 
                  Immaginiamo di arrivare finalmente, distrutti dal sole e dal 
                  sale, sulle coste italiane e di ritrovarci rinchiusi. Indipendentemente 
                  da quanto durerà la permanenza nel Cie, il nostro status 
                  è definito: condannati a una precarietà perenne 
                  dal legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. 
                  È un circolo vizioso che ha del paradossale: senza il 
                  primo non si può ottenere il secondo e viceversa. Scartata 
                  l'elemosina, l'unica prospettiva resta il lavoro nero. Immaginiamo 
                  ora di trovarci davanti a queste alternative: lavorare 9 ore 
                  al giorno in un cantiere per 30 euro, con il rischio sempre 
                  presente di non ricevere a fine mese la retribuzione e senza 
                  alcuna possibilità di reclamo in quanto soggetti senza 
                  diritti, oppure entrare negli stessi cantieri la notte, prelevare 
                  un po' di materiale e guadagnare tre volte tanto. Il rischio 
                  di finire in carcere tanto lo affrontiamo già, indipendentemente 
                  dalle azioni che compiamo: è determinato dal nostro essere 
                  stranieri, dal non avere i documenti in regola. Cosa sceglieremmo 
                  dunque tra il lavoro da schiavi e l'alternativa di delinquere, 
                  guadagnando qualche soldo in più? Per l'homo oeconomicus, 
                  attraverso un esame delle possibilità offerte e una valutazione 
                  di costi e benefici la scelta è presto fatta: è 
                  una scelta razionale. Ciò che frena la maggior 
                  parte dei migranti irregolari sono ragioni di ordine morale, 
                  religioso, normativo. 
                   Se 
                  con Le nostre braccia Andrea Staid affrontava la situazione 
                  dei nuovi schiavi, raccoglitori di frutta, muratori, badanti, 
                  con I dannati della metropoli indaga l'altra faccia, 
                  quella ancora più scomoda: coloro che hanno scelto la 
                  via delinquenziale. 
                  Molta attenzione è dedicata all'aspetto metodologico. 
                  Fermamente convinto che in una ricerca il mezzo faccia il fine, 
                  Staid costruisce il suo saggio di antropologia non egemonica 
                  attraverso una solida ricerca sul campo. Il suo progetto è 
                  applicare i metodi dello studio etnografico tradizionalmente 
                  riservato ai popoli lontani – il cosiddetto “altro 
                  esotico” –, alle ben più vicine culture urbane, 
                  i microcosmi meticci costituiti dai migranti che vivono, transitano 
                  e interagiscono nelle nostre città. Il metodo di lavoro 
                  scelto è quello dell'osservazione partecipante, che prevede 
                  un contatto diretto e prolungato con la comunità che 
                  si desidera osservare. Fondamentale è costruire un rapporto 
                  di fiducia ed empatia; così, tra cene e partite a carte, 
                  l'autore raccoglie materiale, interviste, impressioni. 
                  Naturalmente, come insegna Ernesto De Martino, l'antropologo 
                  non si trasforma mai in un membro della comunità. La 
                  distanza resta, è fisiologica, ed è sancita da 
                  strumenti come la macchina fotografica e il registratore. L'autore 
                  lo dichiara con schiettezza e forse per questo è in grado 
                  di restituire, almeno in parte, la complessità del contesto 
                  culturale delle comunità in transito nelle nostre metropoli. 
                  Proprio perché in bilico tra la partecipazione, l'intimo 
                  coinvolgimento e lo sguardo esterno dello studioso, consapevole 
                  dei propri limiti di immedesimazione. 
                  L'obiettivo principale di questa etnografia della micro-criminalità 
                  migrante è “chiarire i nessi tra strutture generali 
                  di potere e forme di soggettività”, capire quindi 
                  come e perché si sceglie di delinquere. E per fare ciò, 
                  bisogna partire dal viaggio. 
                  Attraverso dati, statistiche, articoli di giornale e soprattutto 
                  il racconto diretto degli interessati, Andrea Staid ci fornisce 
                  alcune coordinate: le rotte più battute, i criteri di 
                  scelta delle mete, la connivenza di eserciti e polizie con la 
                  mafia dei trafficanti. Le frontiere da attraversare non sono 
                  solo quelle d'Europa e sono molti gli uomini e le donne che 
                  rimangono bloccati durante il percorso, senza soldi per proseguire 
                  né per ritornare. Si creano così dei luoghi di 
                  attesa, veri e propri campi profughi, come Tinzaouatine in Mali 
                  o il grande campo di Patrasso in Grecia, soprannominato “piccola 
                  Kabul”, periodicamente smantellato e periodicamente ricostituito. 
                  Da qui i migranti afgani cercano di raggiungere l'Italia attraverso 
                  sistemi simili a quelli adoperati dagli hobo americani 
                  di fine ottocento. Non si spostano utilizzando treni, ma tir 
                  e camion frigorifero. Le modalità però – 
                  nascondersi all'interno o addirittura sotto gli autoarticolati 
                  – sono analoghe e altrettanto pericolose. 
                  Così, che si viaggi per terra o per mare il percorso 
                  è difficoltoso, rischioso e a volte lunghissimo. E l'approdo, 
                  spesso, è uno di quei moderni lager denominati Centri 
                  di identificazione ed espulsione. Il capitolo a essi dedicato 
                  si concentra sulle rivolte e culmina con il racconto della grande 
                  evasione di natale del 2011 dal Cie di Torino. Ma anche in caso 
                  di fuga ciò che si riesce a ottenere non è che 
                  una mezza libertà. Senza documenti, senza diritti, senza 
                  la possibilità di firmare un contratto di affitto o di 
                  lavoro, con la paura costante di essere arrestati: eccoci di 
                  nuovo di fronte alle due alternative: lavoro nero o via delinquenziale. 
                  La struttura di questo libro è come una mappa che a mano 
                  a mano si restringe e che, partendo dai larghi spazi del mare 
                  e del deserto, dalle grandi rotte delle migrazioni, converge 
                  sulle coste italiane e poi sulle nostre città, nelle 
                  loro zone più nascoste. 
                  Il luogo privilegiato dell'indagine etnografica di Andrea Staid 
                  è infatti il celebre palazzo di via Bligny 42, il ventre 
                  molle di Milano, a poche fermate di tram dal centro. Centinaia 
                  di piccoli appartamenti e un grande cortile centrale che è 
                  come la piazza di un paese. Lo stabile, destinato un tempo agli 
                  alloggi operai, ha ospitato nel corso degli anni la ligera, 
                  gli operai meridionali e i primi migranti. La portinaia Pina, 
                  memoria storica del palazzo, ricorda addirittura un'incursione 
                  di Renato Vallanzasca. Racconti tra fantasia e realtà 
                  che fanno dello stabile un pezzo di storia milanese e, da qualche 
                  anno, un soggetto di punta per gli articoli di cronaca. 
                  La stampa lo chiama il “fortino della droga” e racconta 
                  avidamente le sue storie di spaccio, violenza e prostituzione. 
                  Ma come spesso accade, la realtà è ben più 
                  complessa e le riflessioni dell'autore insieme alle interviste 
                  a inquilini italiani, inquilini stranieri, spacciatori e commercianti 
                  della zona ci restituiscono lo spaccato più articolato 
                  di un microcosmo meticcio e variegato. Emerge così un 
                  aspetto fondamentale: per la Milano bene via Bligny 42 è, 
                  come evidenzia un inquilino, “una necessità, un 
                  negozio”: la città formale ha bisogno della città 
                  informale. Non solo, appare chiaro anche che molte violazioni 
                  penali sono conseguenza proprio della volontà di affiorare 
                  dal sommerso, di regolarizzarsi, di cessare di essere un soggetto 
                  ricattabile per datori di lavoro e organizzazioni criminali. 
                  Lo studio condotto finisce per confermare ciò che afferma, 
                  in modo più letterario, l'esergo del libro: è 
                  il piccolo manifesto del “ladro di mele” di Ascanio 
                  Celestini, tratto dallo spettacolo Pro patria: “In 
                  una società nella quale vi fossero mele per tutti, chi 
                  ruba una mela lo farebbe per accumulare mele e affamerebbe i 
                  poveri derubati. (...) Ma in questa società solo una 
                  parte dei cittadini possiede la mela, mentre il resto ha solo 
                  fame. Perciò vi dico che in questa società è 
                  un reato possedere la mela. E chi ruba la mela compie un atto 
                  di giustizia”. 
                 Laura Antonella Carli 
                 
                     
                 Voci da Bligny 42
  
                  Gli intervistati sono i veri protagonisti del 
                  testo. 
                  La loro voce è veicolata attraverso interviste non strutturate, 
                  che mirano a stimolare un libero racconto. 
                  Tra le tante, abbiamo scelto di pubblicare gli interventi di 
                  tre inquilini: due fratelli italiani e un inquilino egiziano. 
                 
                  Due fratelli del sud Italia 
				  
                Alla fine in questi primi sei mesi che mi sono trasferito qui 
                  in via Bligny 42 è stato tutto tranquillo. Io ci sono 
                  arrivato perché ho una amica qua, cercavo casa e qui 
                  l'ho trovata a poco. All'inizio dei miei amici mi avevano detto: 
                  sei matto ad andare là, lo sai cosa succede in quel palazzo? 
                  Alla fine qua sicuramente spacciano, c'è qualche prostituta, 
                  magari qualcuno che fa casino perché beve troppo ma nessun 
                  problema, diciamo che è un palazzo abbastanza colorito. 
                  Per una donna non è diverso, a me non mi rompono mai 
                  le scatole, anzi qua ci si saluta tutti e in generale è 
                  molto tranquillo, non ti scocciano non hanno motivo per farlo 
                  per questo non ho mai avuto problemi, certo puoi beccare la 
                  persona ubriaca, ma come la puoi beccare quando vai sui navigli. 
                  Sicuramente il giorno è una cosa la sera un'altra, è 
                  come se cambiasse atmosfera, la sera arrivano i clienti ma non 
                  c'è tutto questo via vai che si immagina è molto 
                  più tranquillo di quello che si dice. 
                   Qui 
                  lo sanno tutti cosa succede, nessuno si nasconde per fare gli 
                  affari, ma se abiti qua non ti dicono nulla. La situazione in 
                  effetti al di là del fatto che spacciano è serena, 
                  anche se non mi piace tanto la parola direi che è tutto 
                  abbastanza “tollerato”. Di sera i movimenti li vedi 
                  di più, ma non sempre, succede nel fine settimana. Quelli 
                  che spacciano sono la minoranza io vedo sempre gli stessi, poi 
                  quello che succede negli appartamenti non lo so. 
                  Secondo me c'è una gerarchia tra di loro c'è troppa 
                  calma per non esserci… non li vedo mai litigare seriamente. 
                  Ognuno ha i propri spazi, io non invado il loro e loro non invadono 
                  il mio, regna un quieto vivere tra tutti. 
                  L'ambiente più pesante è nei sotto tetti, lì 
                  ci sono situazioni brutte ma non tanto per la droga, è 
                  per l'igiene che lo dico, per come si vive in quei buchi così 
                  in tante persone. Questa non è una zona popolare, se 
                  qua fanno troppo casino li cacciano, per quello qua secondo 
                  me ci sono degli accordi è tutto troppo tranquillo questo 
                  è un avamposto in centro città dove trovare coca 
                  e fumo, per questo conviene tenere tutto tranquillo. Tutti si 
                  drogano, e sono quelli della società cosiddetta “normale” 
                  quindi Bligny 42 è una necessità, un negozio. 
                  Saranno venti trenta massimo quelli che spacciano. Io anche 
                  quando parlo con gli amici tutti sanno che qua ci sono le prostitute 
                  e gli spacciatori. Le facce sono sempre le stesse e se volessero 
                  potrebbero “risolvere” questa situazione, non è 
                  una cosa nascosta, è evidentemente tollerata anche dalle 
                  forze dell'ordine. 
                  Io mi trovo bene in questo palazzo se deciderò di andarmene 
                  è perché la casa è piccola, non me ne andrei 
                  per i ragazzi che spacciano con i quali non ho nessun problema. 
                  Al di là del mito di Bligny 42 creato dai media c'è 
                  la realtà quotidiana che è molto più tranquilla, 
                  non è il posto più bello del mondo ma non è 
                  l'inferno in terra. Ogni tanto fanno le retate per far dire 
                  ai giornali che si occupano della cosa ma sono operazioni di 
                  facciata, esattamente come succedeva a Napoli. 
                  Quando sono arrivato qua in tre giorni ho conosciuto una serie 
                  di persone e sono andato a pranzo da loro a bere il caffè, 
                  in questo posto c'è sicuramente una socializzazione maggiore 
                  rispetto ad un palazzo normale. Altra cosa che non vedo in altri 
                  posti qua a nord è che qui si salutano tutti, qui si 
                  respira l'aria dei vecchi quartieri popolari, quelli che piano 
                  piano stanno scomparendo. 
                  Qua se non ci fossero i ragazzi sarebbe una casa per ricchi, 
                  o radical chic, e tutto diventerebbe come nel resto dei palazzi 
                  dove nessuno si saluta e dove non c'è scambio. 
                  In Bligny 42 è normale salire le scale e sentire mille 
                  odori, veder fare il chapati indiano o sentire qualcuno che 
                  prega in una lingua che non conosci, o incontrare una trans 
                  con il barboncino tinto di viola... qui se non fosse per il 
                  palazzo che non è tenuto meravigliosamente bene sarebbe 
                  veramente tutto bello. 
                  Quando sono arrivata io, ho avuto l'impressione di trovarmi 
                  a Napoli, non ci si sente a Milano, questo è un palazzo 
                  vivo, ci si parla da una finestra all'altra o dalle scale, ci 
                  sono quelli che spacciano sì, ma nulla di assurdo. Ci 
                  possono essere questioni ma si risolvono. Una cosa che mi ha 
                  colpito è che qua non si chiudono mai le finestre sono 
                  sempre aperte invece la prima cosa che noti a Milano è 
                  che le finestre son sempre tutte chiuse, se si chiudono in Bligny 
                  è perché vai a dormire, insomma c'è più 
                  vita. All'inizio i primi giorni avevo un po' di timore ma non 
                  per le persone che ci vivono ma per la struttura del palazzo, 
                  per i suo corridoi che sembrano dei cunicoli, ma lo stesso sarebbe 
                  stato se al posto di questi ragazzi ci fossero stati degli ingegneri. 
                  Poi nei palazzi normali succede di tutto ma non si dice, qua 
                  tutto quello che succede viene urlato sui giornali… per 
                  questo sembra un posto pericolosissimo, ma non è vero, 
                  ogni tanto succede qualcosa ma niente di così esagerato, 
                  certo questo non è un seminario e neanche un asilo ma 
                  di certo non è un inferno. È come la storia della 
                  vecchietta che viene investita e non si fa niente e poi con 
                  il passa parola del paese diventa che c'è uno che ha 
                  ammazzato dieci vecchiette... 
                  Hadi 
				  
                Sono arrivato in Bligny 42 da quattro anni, ne ho 26, in questo 
                  palazzo ho fatto le prime serate, ho avuto l'occasione di conoscere 
                  altri egiziani che erano qua e che mi hanno spiegato un sacco 
                  di cose. Durante le prime serate fumavo solo qualche canna poi 
                  tre o quattro tiri di coca, e così via per qualche tempo. 
                  Dopo qualche mese che facevo lavoretti e non guadagnavo nulla 
                  stando in Bligny non è stato difficile iniziare. Anche 
                  se non spacciavo comunque quando stavo in cortile vedevo e capivo 
                  quello che succedeva e poi mi capitava che se stavo lì 
                  seduto sulle scale o in cortile arrivava qualche italiano che 
                  mi chiedeva fumo o coca e io li portavo da chi sapevo… 
                  quindi mi sono detto: “ma se io avessi la disponibilità 
                  di soldi per comprare mezzo kilo di fumo o coca, quanto ne potrei 
                  ricavare?” Mi sarei potuto sistemare e tornare a casa. 
                  Sognavo ingenuamente insomma… subito H. che era lì 
                  con me mi ha detto ma che cazzate dici, qua il fumo te lo diamo 
                  a credito se poi sei bravo arriva la coca, non devi anticipare 
                  nulla solo fare il bravo. 
                  Così ho iniziato a spacciare, con l'idea che se trovo 
                  un lavoro vero smetto e mi metto in regola, ma sto lavoro non 
                  arriva mai e io lo cerco, chiedo, ma niente. 
                  Ho iniziato con poco, non avevo clienti fissi quello che capitava, 
                  con il passare del tempo i grammi che giravo non erano più 
                  solo 50, diventavano 100, poi 200, poi si arrivava al mezzo 
                  kilo, e quindi è arrivata la coca. Non pensare che sono 
                  diventato ricco perché mica mi tengo tutto io, anzi, 
                  diciamo che tra quello che mi fumo e quello che sniffavo, perché 
                  ora voglio mollare, quasi facevo fatica a comprami da mangiare 
                  e pagarmi l'affitto. Io sto in questa casa piccola con altri 
                  tre e paghiamo 200 euro a testa, ovviamente senza contratto. 
                  La sera qua è il momento migliore per muoversi, scendere 
                  in cortile e aspettare che arrivano i clienti, ci sono quelli 
                  che arrivano con il taxi scendono comprano e se ne vanno, ci 
                  sono i ragazzi che passano prima delle serate e quelli presi 
                  male che non sanno cosa fare e rimangono qui in cortile a fumare 
                  una canna e poi se ne vanno. I giorni che facciamo più 
                  soldi sono il venerdì sera e il sabato, la polizia lo 
                  sa e non passa mai, non può disturbare i clienti, i bravi 
                  italiani, (...) quando vengono? in settimana a prendere solo 
                  noi. Ci portano in carcere qualche mese e ci rilasciano. Io 
                  mi sono fatto sei mesi, anche se non mi hanno trovato nulla, 
                  ma non avevo e non ho il permesso di soggiorno quindi mi hanno 
                  tenuto, e come me quasi tutti quelli che stanno qua sono stai 
                  in carcere, o se sono regolari si sono fatti i domiciliari, 
                  come S. che è sposato con un figlio piccolo ha i documenti 
                  e ora sta al terzo piano ai domiciliari da mesi, passa le giornate 
                  come prima solo che non può uscire dal portone. 
                  Qua i nascondigli ci sono, noi quando vendiamo stiamo in cortile 
                  ma con quasi nulla addosso, o si porta sulle scale il cliente 
                  o fai un urlo e arriva quello che serve. Uno scambio rapido, 
                  un velocissimo movimento di mani anche in mezzo alle persone, 
                  senza farsi notare, basta essere svelti, così nessuno 
                  ci fa conto di quello che stai facendo e il cliente non ha tempo 
                  di controllare e lamentarsi... la velocità nello scambio 
                  è fondamentale. 
                  Un periodo buono per guadagnare qualcosa in più e mandare 
                  i soldi a casa in Egitto per i mie fratelli e la mia famiglia 
                  è natale, capodanno. In realtà tutto il mese di 
                  dicembre è buono per gli affari, sono molte le persone 
                  che hanno l'abitudine di festeggiare tirando raglie di coca, 
                  rilassandosi dal lavoro fumando e da qui passano per rifornirsi. 
                  Anche se qua girano soldi e droga non è più a 
                  quanto mi raccontano come in passato, Milano è la capitale 
                  della cocaina e qui si fanno quattro soldi in confronto al consumo 
                  che c'è in città, sono altri che hanno i giri 
                  grossi noi campiamo e basta e i giornali parlano solo di noi, 
                  del fortino della droga di Bligny42... ma sai quanti ce ne sono 
                  in giro per questa città? Solo che li gestisce gente 
                  pulita e non deve finire sui giornali.
                  Andrea Staid
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