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				 fotografia 
                  
                Le nostre storie, le nostre lotte, le nostre vite 
                  
                a cura di Emanuela Falqui / foto Zanele Muholi 
                    
                Contro lo stereotipo patriarcale, una fotografa-attivista visuale sudafricana ha realizzato una serie di immagini (e una mostra) 
in cui la sua comunità omosessuale possa riconoscersi. 
                 
				“Senza un'identità visiva, non 
                  abbiamo comunità, una rete di supporto o un movimento. 
                  Renderci visibili è un processo continuo” 
                  Joan E. Brien (1983) 
                
                   
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                    |   Apinda Mpako and Ayanda Magudulela, Parktown, Johannesburg 2007  | 
                   
                 
                 Zanele Muholi è un'artista 
                  africana contemporanea ma prima di tutto è un'attivista 
                  della comunità LGBTQI. Il suo lavoro è incentrato 
                  sulla ricostruzione dell'identità visuale della comunità 
                  nera di lesbiche, gay, transessuali e transgender per rivendicare 
                  una realtà negata dalla storia ufficiale e per denunciare 
                  le morti in seguito ai crimini d'odio e la pratica dello stupro 
                  correttivo come “cura” all'omosessualità. 
                
                   
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                    |   Mamiki Tshabalala, KwaThema,  Springs, Johannesburg 2010  | 
                   
                 
                In totale controtendenza rispetto alla spettacolarizzazione 
                  attuale della violenza alla World Press che attribuisce un valore 
                  estetico alla tragedia e a immagini che difficilmente restituiscono 
                  verità e giustizia ai soggetti fotografati – poiché 
                  ogni guerra, povertà e discriminazione è uguale 
                  all'altra se si specula sul concetto di dolore estetizzante 
                  – Zanele Muholi sceglie di usare un altro linguaggio e 
                  oppone alle barbarie subite un volto umano mostrando ciò 
                  che si vorrebbe reprimere. 
                  Dedica il suo lavoro alla comunità nera LGBTQI, partendo 
                  dalla necessità di restituirle una dignità secondo 
                  i propri canoni e svelando un nuovo e variegato vocabolario 
                  visivo nel quale riconoscersi, coniugando senza ambiguità 
                  la denuncia sociale e l'espressione artistica. 
                  Le sue foto non tendono mai alla vittimizzazione poiché 
                  le persone che partecipano ai suoi progetti sono protagoniste 
                  consapevoli del cambiamento che lei stessa vuole mettere in 
                  atto anche quando si tratta di ricostruire scene di morte come 
                  le Crime Scene in cui è lei stessa a farsi fotografare 
                  come soggetto artistico. 
                
                   
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                    |   Lo Mannya, Parktown,  Johannesburg, 2010  | 
                   
                 
                Nella serie in divenire dei ritratti Faces & Phases e 
                  Being, l'autorappresentazione individuale e collettiva come 
                  processo per raccontarsi non lascia dubbi sull'uso personale 
                  e soggettivo del mezzo fotografico; tanto più le immagini 
                  sono volutamente costruite e maggiormente è esplicita 
                  l'autenticità degli scatti nell'intenzione estetica di 
                  mostrarsi per come si desidera. 
                  Durante la mostra Visual Artivist che si è tenuta 
                  a giugno 2013 presso il Lazzaretto di Cagliari, abbiamo voluto 
                  accompagnare i ritratti con l'archivio sonoro Ngizwile, 
                  realizzato dall'artista con le testimonianze di donne delle 
                  township che hanno subito crimini d'odio e raccontano la loro 
                  via di fuga e di resistenza, per rendere ancora più stridente 
                  l'idea “naturale” di eterosessualità, causa 
                  di morte e violenza, di fronte a corpi che si amano, nel senso 
                  più umano del termine. 
                  Questa selezione fa parte di un progetto più ampio che 
                  Zanele Muholi definisce come la “mappatura delle nostre 
                  storie: una storia visuale delle lesbiche nere nel Sudafrica 
                  post-apartheid” e di cui desidero riportare alcuni passi 
                  fondamentali per capire più a fondo la sua opera. 
                 Emanuela Falqui 
				
                   
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                    |   LiZa III, 2009  | 
                   
                 
                 
                                Dialogare attraverso le immagini  
                 Attualmente, in Sudafrica non esiste una legislazione contro 
                  i crimini d'odio. Le lesbiche nere sono sottoposte a stupri 
                  da parte di gang, di cosiddetti amici, di vicini e talvolta 
                  addirittura degli stessi familiari. Alcuni degli stupri correttivi 
                  inflitti ai nostri corpi vengono denunciati alla polizia, ma 
                  molti altri non lo sono. I dilaganti crimini d'odio sono utilizzati 
                  per rendere invisibili le nere lesbiche, perché il coming 
                  out ci espone alla durezza delle pressioni patriarcali. La sfida 
                  all'eterosessualità obbligatoria lanciata da alcune di 
                  noi ci ha messo a rischio. (...) Utilizzando i miei lavori di 
                  fotografia, esploro il modo in cui l'attivismo visuale possa 
                  essere impiegato dalle donne emarginate a livello sociale, culturale 
                  ed economico come luogo di resistenza, non solo per restituire 
                  lo sguardo dei nostri colonizzatori, ma anche per sviluppare 
                  ciò che Bell Hooks ha chiamato lo “sguardo critico” 
                  sui costrutti eteropatriarcali dei corpi e della sessualità 
                  delle donne nere. (...)
                 
                   
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                    |   LiTer 04, Cape Town, 2012  | 
                   
                 
				 Ho immaginato una comunicazione tra noi attraverso l'immagine, 
                  perché tutti, anche se analfabeti, sono in grado di guardare 
                  ed elaborare pensieri su una fotografia o un film. 
                  Il mio desiderio era che noi stesse guardassimo a donne identificate 
                  come lesbiche nere per contrastare e mettere in discussione 
                  l'idea che i nostri corpi possano essere studiati, compresi 
                  e mostrati per il consumo eterosessuale e occidentale. Il mio 
                  obiettivo era produrre un lavoro per gli stessi soggetti ritratti, 
                  perché loro/noi/io potessimo vedere la somiglianza e 
                  perché le generazioni future abbiano un punto di riferimento 
                  nelle nostre memorie collettive, negli archivi e oltre. (...) 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Refilwe and Vuyiswa II, Thokoza,  Johannesburg, 2010  | 
                   
                 
                Il nome del mio progetto – La mappa delle nostre storie: 
                  una storia visuale delle lesbiche nere nel Sudafrica dopo l'apartheid 
                  – è stato scelto per due motivi: innanzitutto perché 
                  ancora non abbiamo una storia di questo tipo in forma di rappresentazione; 
                  in secondo luogo perché, così come il disegno 
                  di una mappa ricca di strade, fiumi, città, catene montuose 
                  e valli, anche la nostra storia di lesbiche nere non è 
                  lineare, ma incrocia e interseca le nostre storie di razza, 
                  di genere, di sessualità, di classe e coloniali. 
                  L'obiettivo del progetto è interrogare la rappresentazione 
                  fotografica dell'identità all'interno del più 
                  ampio quadro di formazione delle identità in Sudafrica. 
                  Esso si concentra sulla complessità delle nostre identità 
                  come lesbiche nere e sul lavoro per ridurre la lacuna causata 
                  dalla mancanza di storie e di narrazioni visuali di lesbiche 
                  nere e la loro rappresentazione negli archivi. (...) 
                
                   
                      | 
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                    |   Musa Ngubane, Constitution Hill,  Johannesburg, 2010  | 
                      | 
                    Mbali Zulu, KwaThema, Springs, 
                        Johannesburg, 2010  | 
                   
                 
                 Alla fine del 2006 e durante il 2007, ho intrapreso il lavoro 
                  sulle serie Faces & Phases (Facce & Fasi) e Being 
                  (Essere) che ritrae la diversità delle lesbiche nelle 
                  nostre diverse comunità. (...) Con Faces & Phases, 
                  volevo mostrare la comparsa dell'estetica lesbica nera sudafricana 
                  attraverso la tecnica del ritratto, soprattutto perché 
                  quasi non esistono immagini positive di noi negli archivi di 
                  donne e queer. Natasha Distiller sostiene che il vocabolario 
                  per rappresentare il desiderio lesbico e i piaceri del suo soddisfacimento 
                  viene fornito da un sistema linguistico e rappresentativo che 
                  non ha spazio per affrontare la nozione della lesbica, tranne 
                  che nella sua relazione con la propria etero/sessualità. 
                  Volevo resistere alla rappresentazione eterosessuale delle lesbiche 
                  attraverso il ritratto. 
                  Storicamente, i ritratti sono utilizzati come prova, testimonianze 
                  indimenticabili per parenti e amici al momento della morte di 
                  qualcuno. Faces (Facce) esprime le persone, mentre Phases 
                  (Fasi) indica la transizione da un'esperienza e da uno stadio 
                  di sessualità o espressione di genere a un altro. 
                  Faces è anche il confronto faccia a faccia tra 
                  me come fotografa/attivista e le numerose lesbiche con cui interagisco 
                  provenienti dalle diverse township di Gauteng e Città 
                  del Capo, come ad esempio Alexandra, Soweto, Vosloorus, Khayelitsha, 
                  Gugulethu, Katlehong e Kagiso. Una delle dolorose esperienze 
                  collettive in quanto comunità è la perdita di 
                  amiche e conoscenti a causa di malattie e crimini d'odio. Alcune 
                  di loro hanno partecipato ai miei progetti visuali. Ciò 
                  che rimane ora è il singolo ritratto che funge da luogo 
                  di memoria per noi, traccia di “colei e ciò che 
                  fu” in un determinato spazio nel preciso momento in cui 
                  le nostre storie di lesbiche nere e sudafricane si intersecano. 
                  (...) 
                
                   
                      | 
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                    |   Marcel Kutumela, Alexandra,  
                        Johannesburg, 2008  | 
                      | 
                    Pam Dlungwana, Woodstock,  
                        Cape Town, 2010  | 
                   
                 
                 La serie Being (Essere) continua a esplorare l'amore 
                  e l'intimità nelle nostre relazioni, nonostante il dolore 
                  e le lotte costanti che ci troviamo ad affrontare. I miei progetti 
                  riguardano le nostre storie, le nostre lotte e le nostre vite. 
                  Le partner e le amiche hanno acconsentito a partecipare a questo 
                  progetto, con la volontà di denudare ed esprimere l'amore 
                  reciproco. 
                  Ogni fotografia rappresenta una coppia in diverse situazioni 
                  della vita quotidiana e della routine. Posso scegliere di ritrarre 
                  la mia comunità in modo da trasformarla ancora una volta 
                  in una merce consumabile dal mondo esterno oppure posso creare 
                  un corpo di significato che sia accolto favorevolmente da noi 
                  in quanto comunità di queer nere. Scelgo la seconda strada, 
                  perché è attraverso la cattura dei piaceri visuali 
                  e dell'erotismo della mia comunità che le nostre identità 
                  sono messe a fuoco nella comunità e nella coscienza nazionale. 
                  Ed è attraverso l'osservazione di noi stesse mentre amiamo, 
                  ridiamo e gioiamo che possiamo trovare la forza e riconquistare 
                  la nostra sanità per incamminarci verso un futuro ancora 
                  tristemente carico della minaccia dell'insicurezza: Hiv/Aids, 
                  crimini d'odio, violenza sulle donne, povertà e disoccupazione. 
                 
                 Zanele Muholi 
                  tratto da Mapping our histories: a visual history of black 
                  lesbians in post-apartheid South Africa 
                  traduzione di Marta Cadoni 
                  Foto © Zanele Muholi. Courtesy of Stevenson Cape Town and 
                  Johannesburg 
                
                   
                    Zanele 
                        Muholi  
                      è 
                        nata a Umlazi (Durban), Sudafrica nel 1972, vive e lavora 
                        a Città del Capo. 
                        Ha tenuto la sua prima personale alla Johannesburg Art 
                        Gallery nel 2004. Ha lavorato come community relations 
                        per il Forum for the Empowerment of Women (Few), un'organizzazione 
                        nera lesbica di Gauteng e come fotografa e reporter per 
                        Behind the Mask, una rivista online dedicata a questioni 
                        gay e lesbiche in Africa. 
                        Il suo lavoro è stato esposto in numerosi paesi, 
                        dalla Nigeria, all'Austria, all'Olanda. 
                        Nel 2013 ha partecipato alla Biennale di Venezia con “Faces 
                        & Phases”.  | 
                   
                 
                
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