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				 cantautori 
                  
                Chi è Carlo Credi? 
                  
                di Mauro Macario 
                    
                Le bettole di Torino, un solo album, una vita (e una morte) “sbagliate”. 
Nessuno si ricorda di questo cantautore originale. 
Testimonianze di uno che una sera l'ha accompagnato a casa. 
E ora lancia un appello al mondo della musica, al Club Tenco perché.... 
                 
                  Ci sono richiami insopprimibili 
                  che ciclicamente assediano la coscienza fino a demolirne le 
                  naturali resistenze; allora il confronto non è più 
                  rinviabile e manifestarsi diventa un'urgenza etica. 
                  Premessa indispensabile a questo scritto è il mio personale 
                  conflitto, ora rabbioso ora dolente, verso la dimenticanza, 
                  sia per l'individuo singolo, sia per il nostro retroterra culturale 
                  perseguitato, sradicato e obliato. Le due dimenticanze s'intrecciano 
                  a filo doppio e a quel cappio sovente rimangono appese. La dimenticanza 
                  è un oltraggio, a esser scordati si muore due volte. 
                  Il degrado che ne consegue è sotto gli occhi di tutti, 
                  basta uno sguardo antropologico per capire che la primaria ragione 
                  che trascina il paese verso la sua estinzione umanistica è 
                  l'amnesia collettiva di tipo letargico rispetto alla propria 
                  storia e all'arte preziosa che serba in sé. Il danno 
                  incalcolabile s'incomincia a misurarlo quando una generazione 
                  sotterra la precedente archiviandola in una sorta di piramide 
                  sotterranea dove s'ammucchiano le salme culturali; in realtà 
                  bisognerebbe parlare addirittura di una necropoli simile a un'immensa 
                  biblioteca sgretolata che come un'urna cineraria contiene le 
                  pietose polveri della poesia, della letteratura, e degli umani 
                  canti. La fraternità è la liturgia del recupero 
                  e la divulgazione del sommerso riportato alla luce. 
                  Da questo cimitero mnemonico, qualche anno fa, ho disseppellito 
                  con amore e fraternità il poeta anarchico Riccardo Mannerini, 
                  amico e collaboratore di Fabrizio De André, nonché 
                  suo acclarato maestro di anarchismo. Però Mannerini rischiava 
                  di finire come un oscuro poeta genovese, autore di poche e perdute 
                  poesie che – a parte l'album “Senza Orario Senza 
                  Bandiera” dei New Trolls scritto a quattro mani – 
                  aveva prestato a Faber due liriche rimaneggiate poi musicalmente 
                  e basta. Rischiava di essere ricordato più per il suo 
                  suicidio che per la sua opera poetica allora sconosciuta. Indagando 
                  presso Rita Serando, sua moglie, scoprii un autentico tesoro 
                  di testi libertari e “maledetti” che giacevano inerti 
                  e disattivati in un silenzio tombale. Anche questi sono i suicidati 
                  della società civile. 
                  Un mio articolo intitolato “Un 
                  poeta cieco di rabbia”, ospitato in questa rivista 
                  (“A” 271, aprile 2001), aprì la strada al 
                  suo ritorno postumo e oggi un volume curato dal docente universitario 
                  Francesco De Nicola racchiude l'opera omnia di un poeta di primo 
                  piano nel panorama ligure e nazionale dando così voce 
                  ufficiale a un autore “contro” e quindi anomalo 
                  nell'ambiente della poesia, notoriamente conservatore e di tendenza 
                  cattolica. 
                  Da tempo un altro richiamo urgente premeva alla mia coscienza: 
                  poter suscitare in qualcuno l'interesse e la conoscenza per 
                  un cantautore degli anni '70, troppo a lungo taciuto: Carlo 
                  Credi, una personalità creativa e interpretativa originale, 
                  intensa, dal timbro ipercritico e insurrezionale. Questa è 
                  la fraternità tardiva che ci rimane ed è un dovere 
                  attivarla. Un artista che ora ci donerebbe la sua piena maturità 
                  di certo non inferiore ai grandi cantautori storici del nostro 
                  tempo. 
                  Purtroppo raccontarlo è davvero arduo, i dati biografici 
                  su di lui sono pochi e scarni; e, come se non bastasse, realizzò, 
                  come autore e interprete, un solo vinile, il bellissimo album 
                  Chi è Carlo Credi?, registrato allo studio Format 
                  di via Ventimiglia a Torino nel 1976 dal tecnico Giancarlo Fracasso. 
                  La casa discografica si chiamava Shirak (chiusa da anni) e Johnni 
                  Betti, ex batterista dei Circus 2000, ne era il titolare. Carlo 
                  Credi è scomparso a soli 39 anni, eroso dall'alcol e 
                  dagli stupefacenti; questa tragedia ci dà la misura di 
                  come fosse lacerato da un isolamento psicologico e sociale estremo. 
                  A Torino però persiste una piccola nicchia che non lo 
                  ha dimenticato e ancora ne celebra la memoria. È il caso 
                  di Sergio Astrologo, autore del romanzo Briciole sparse su 
                  una tovaglia da scuotere edito da Antigone dove appare un 
                  personaggio chiamato Carlo riferito proprio al nostro. Un libro 
                  che parla di una certa Torino degli anni '70 e che oggi diventa 
                  documento e testimonianza di un decennio che ha segnato nel 
                  bene e nel male il nostro paese. Anche un commediografo, Salvino 
                  Lorefice, ha inserito in una sua commedia La marmellata. 
                  Ricordi di un brigatista rosso mancato un altro “Carlo” 
                  ugualmente ispirato alla stessa persona. Ma sono, appunto, briciole. 
                  Lui avrebbe meritato di banchettare alla grande festa della 
                  vita stando a capotavola fino a tarda età insieme a tutti 
                  noi. 
                
                   
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                    |   Carlo Credi  | 
                   
                 
                 
	Un solo album 
Carlo Caddia, questo il suo vero nome, nacque a Torino il 4 luglio 1947 e vi morì l'8 maggio del 1986. Parabola “generazionale” di un'esistenza breve e tormentata, epigono dell'epoca beat di cui seppe trarre ispirazione, stilemi, tematiche, trascinandole dentro gli anni '70: dall'aspra critica antiborghese a un sarcastico anticlericalismo, dalla detenzione carceraria a un'acuta osservazione dell'indotto di regime e ai suoi deleteri effetti sul comportamento quotidiano della collettività allineata. Un uomo contro tutti gli strumenti coercitivi e punitivi che il potere opera sui suoi simili a fini repressivi. 
Un solo album parrebbe un esiguo materiale per chi è abituato a vagliare montagne cartacee o supporti audiofonici altrettanto ingorganti e invasivi, eppure, vi assicuro, in quell'unico album c'è un intero mondo, sia quello interiorizzato da un sofferto intimismo poetico, sia quello contestuale di un clima sociale denso di conflitti politici in parte storicizzati, in parte rimasti irrisolti. Il bisogno di innumerevoli “prove” artistiche per un critico o uno storico è, a mio avviso, un falso bisogno. L'ipercapitalismo e il consumismo ci hanno talmente istigato alla filosofia dell'accumulo che non sappiamo più esternare un'opinione se non davanti al rigurgito merceologico che rompe gli argini del buon senso e ci trasforma in facchini della coscienza. 
Ci sono artisti, forse afflitti da crisi di tanatofobia – malessere tipicamente occidentale – che pensano di conquistarsi la memoria del tempo lasciando una quantità spropositata di opere che non verranno mai lette in toto poiché inaccessibili alla normale fisiologia di un lettore anche di pazienza titanica. 
	            Figlio della cultura beat 
	             Ma 
                  non funziona così. È poeta colui che è 
                  riconoscibile come tale anche in un solo verso e quel verso 
                  merita il giro del mondo. Di più: il filosofo taoista 
                  Lao-Tse, autore del geniale Tao Te Ching, opera fondamentale 
                  nella storia del pensiero speculare, diceva: “Nel meno 
                  è il più”. Quattro parole per esprimere 
                  una verità sacrosanta. Lao-Tse infatti si riferisce all'essenzialità, 
                  all'essenza delle cose, al nostro viaggio per arrivare dentro 
                  il nucleo identificativo che più ci rappresenta. Questa 
                  idea del grande pensatore cinese è applicabile all'opera 
                  unica, realizzata da Carlo Credi. L'album è composto 
                  da 12 brani: Shiva al metrò (C. Credi), Il 
                  serraglio (J. Prévert-C. Credi), Giobbe (C. 
                  Credi), L'isola (D. Del Prete), La canzone del carceriere 
                  (J. Prévert-C. Credi), La regina (C. Credi), Signore 
                  guardi (C. Credi), Vaquità (C. Credi), Il 
                  Tao (C. Credi), Il tempo del vento (C. Credi), La 
                  tosse (C. Credi), Dove correte (D. Del Prete). 
                  In quei brani che non sono totalmente suoi si affidò 
                  al poeta anarchico Jacques Prevért, musicandone i testi, 
                  e per le cover scelse due canzoni del compianto Duilio Del Prete, 
                  già vibrante interprete di un omaggio all'amato Jacques 
                  Brel. 
                  Queste canzoni sono tutte molto belle e ci coinvolgono sia sul 
                  piano emotivo, sia sul piano utopico. Ci appartengono al di 
                  là del tempo. La sua voce lievemente e piacevolmente 
                  afona, sovente rabbiosa, dai toni ironici a lui consoni, possiede 
                  un timbro così particolare che si riconoscerebbe fra 
                  mille ed è il primo segno inequivocabile dell'originalità, 
                  ma soprattutto la bontà di scrittura è da sottolineare, 
                  così curata, precisa e limpida, dove le idee non vacillano 
                  mai ma si affermano impietose e lapidarie confermando trasversalmente 
                  anche le sue scelte di vita, quelle scelte obbligate che lo 
                  portarono all'emarginazione dopo un breve tentativo fallito 
                  di inserirsi nei meccanismi rituali e svilenti dell'ambiente 
                  musicale, a lui geneticamente incompatibili. E ne pagò 
                  un prezzo altissimo. 
                  Figlio della cultura beat, pacifista e libertaria, non si sottrasse 
                  al richiamo delle dottrine orientali soggiornando per lunghi 
                  periodi in India dove indubbiamente capì che anche il 
                  laico, l'agnostico, l'ateo può rivendicare una sua spiritualità 
                  senza dei, cercando in se stesso una zona protetta dove alla 
                  realtà più brutale è negato l'accesso. 
                  Fortificarsi per resistere, ma il ritorno in Occidente gli fu 
                  fatale. L'Occidente non perdona chi lo tradisce o chi vuole 
                  minarlo dall'interno e crea tutti i mezzi per detronizzare l'intruso 
                  sovversivo. Oggi su eBay quel disco è valutato 80 euro. 
                  Su Youtube si possono ascoltare due pezzi: L'isola e 
                  I nomadi della notte. Questo, per ora, è tutto. 
                  In quegli anni lontani Carlo finì per cantare nelle bettole 
                  cittadine dove raccoglieva il minimo indecente per sostenersi. 
                  Molti lo ricordano dalla “Betty”, un'osteria in 
                  via Bogino che ormai non esiste più. 
                  Lì lo incontrai una sera rimanendo incantato da così 
                  tanto talento sprecato e umiliato. A notte fonda lo accompagnai 
                  a casa, letteralmente affascinato dalla sua mitezza e da uno 
                  sguardo dolcissimo che raccontava di sé più di 
                  quanto lui non rivelasse a parole. Non so se ho risposto alla 
                  domanda che lo stesso autore si poneva come davanti a uno specchio: 
                  chi è Carlo Credi? 
                  Ma certo vorrei che quel punto interrogativo venisse finalmente 
                  cancellato. 
                  Dalle righe di questa rivista lancio senza pudore, anzi con 
                  sfrontato vigore, un appello agli operatori del settore, siano 
                  essi storici della canzone d'autore o etichette indipendenti: 
                  ripubblicate in cd l'album di Carlo Credi (magari con l'aggiunta 
                  degli inediti registrati che Betti afferma di avere), e che 
                  il Club Tenco, nella persona amica del direttore artistico Enrico 
                  De Angelis, gli offra una targa alla memoria. Barbara, sua figlia, 
                  ne andrebbe orgogliosa. E anche noi che l'abbiamo conosciuto, 
                  amato anche per una sola sera, e ascoltato in tutti questi anni. 
                  Tiratelo via da quel buio immeritato dove si trova e ridategli 
                  luce. Fategli fare questo salto dalla luminosa beat generation 
                  alla funesta digital degeneration. 
                  Se non altro perché palpita sempre nei nostri cuori. 
                
  Mauro Macario
                   
                   
                  SIGNORE GUARDI 
                  Signore, guardi 
                  le son cadute le braghe 
                  forse è il figlio che si droga 
                  o il valzer non è a tempo 
                  forse sta perdendo il tram 
                  forse arriverà in ritardo 
                  forse pioverà di nuovo 
                  forse è l'orologio matto 
                  con il suo tic tac sincronizzato 
                  su ogni gesto che si fa 
                   
                  Signore, guardi 
                  le è caduto l'amore 
                  un amore un po' veloce 
                  la scopata di un momento 
                  perché è scomodo inchinarsi 
                  a raccogliere da terra 
                  un passato e un istante 
                  e una dignità venduta 
                  a sembrar più grande 
                   
                  Signore, guardi 
                  le è caduta la vita 
                  data al Monte di Pietà 
                  per pagare l'estinzione 
                  di un'ultima parola di un dramma  
                  senza dramma fine  
                  della poesia 
                   
                  Non ci faccia caso 
                  son per caso scivolato 
                  scivolato da un pensiero 
                  e così l'ho per caso 
                  guardata in viso. 
                  (C. Credi) 
                   
                  L'ISOLA 
                  Si stava bene nell'isola, si viveva beati, 
                  si cacciava e si pescava, tutto quel che vi cresceva 
                  si prendeva e si mangiava, gnam gnam. 
                  Si stava bene nell'isola, si girava tutti nudi, 
                  se una coppia si piaceva, non appena s'incontrava 
                  dentro ai boschi si faceva, zuk zuk. 
                  E i bambini nascevano in gran quantità, 
                  ma non figli di nessuno, no, no, erano figli di comunità. 
                   
                  Poi un giorno nell'isola è arrivato uno strano, 
                  dal colore un po' malsano, una pelle sulla pelle, 
                  lo sputafuoco in mano.  
                  Volle parlare al capo dell'isola, 
                  parlò di forme civili, ci guardò nei genitali 
                  e la vita da animali  
                  (la ragione di tutti i mali) condannò. 
                  Ci regalò le maglie, gli slip... ci fece lavorare, 
                  ci parlò del guadagno e così imparammo a rubar. 
                   
                  Lo zuk zuk di nascosto e imparare il catechismo, 
                  Gesù, e poi le parole nuove: ammazzare, fornicare, 
                  guerra, razza, re, colore, Zulù. 
                  “A ciascuno il suo posto” – a ciascuno 
                  che cosa? 
                  “Al nemico il perdono”– il nemico? 
                  Il cattivo, il medio, il buono, il padrone e il villano, 
                  il pagano ed il cristiano, la virtù. 
                  Gli altri negri ci chiamavano “la tribù dei 
                  culi molli” 
                  e qualcuno più inumano “la tribù del 
                  Vaticano”, no, no, no! 
                   
                  È una vita d'inferno, se ti muovi fai peccato; 
                  col cervello rovinato, finalmente abbiam capito 
                  che ci aveva abbindolato. Gesù disse:  
                  “Sarà salvo solo chi il mio corpo avrà 
                  mangiato”  
                  e noi gli abbiamo ubbidito: una sera, per divario,  
                  ci mangiammo il missionario. 
                  Se quel bianco elegante era buono così 
                  chissà quello ruspante che piattino da ricchi-cchì! 
                  (D. Del Prete) 
                   
                  DOVE CORRETE 
                  Dove correte  
                  ma dove correte 
                  sospinti dal demonio 
                  che ha ridotto la vita 
                  ad un gran premio 
                  Dove correte 
                  ma dove correte 
                  pazzi furiosi 
                  mentre vi massacrate 
                  cani rabbiosi 
                  Fate la corsa al palio 
                  del livello sociale 
                  della vettura nuova 
                  della nuova cambiale 
                  fate la corsa all'oro  
                  la corsa agli armamenti 
                  per questi quattro soldi 
                  per quattro delinquenti 
                  che stanno su in tribuna 
                  a blaterarvi il mito 
                  idiota e sorpassato 
                  chi si ferma è perduto 
                  Ma dove correte 
                  dove correte 
                  la fame è una morsa 
                  che più corre e più cresce 
                  cani da corsa 
                  Avete fatto il callo 
                  sui gomiti e sul cuore 
                  per non aver disturbi 
                  per poter avanzare 
                  ma siete fregati 
                  primi e ultimi arrivati 
                  perché alla fine della gara 
                  non sarete pagati 
                  a tutti stessa solfa 
                  perché a gara finita 
                  il filo che tagliate 
                  è quello della vostra vita 
                  non avrete più il tempo 
                  di costruire nulla 
                  ma dove correte... 
                  ma dove correte... 
                  ma dove correte... 
                  (D. Del Prete) 
                   
                  IL SERRAGLIO 
                  Nudi dentro ai serragli 
                  ci sono gli animali 
                  che passano la vita 
                  dietro l'inferriata 
                  e noi siamo i fratelli 
                  di quel povero bestiario 
                  non siamo da compiangere 
                  siamo da biasimare 
                  ci siamo lasciati prendere 
                  cosa avevamo fatto? 
                  figli dei corridoi e delle correnti d'aria 
                  il mondo ci ha sbattuti fuori 
                  la vita ci ha buttati all'aria 
                  La miseria è nostra madre 
                  e nostro fratello il bar 
                  venuti su in cassetti 
                  che ci hanno fatto da letti 
                  la gente ci ha buttato nudi  
                  sul selciato 
                  Fin dalla nostra infanzia 
                  viviamo nelle carceri 
                  e lì giriamo in tondo 
                  senza sentir canzoni 
                  senza vedere il mondo 
                  non siamo da compiangere 
                  siamo da biasimare 
                  ci siamo lasciati prendere 
                  cosa avevamo fatto? 
                  figli dei corridoi e delle correnti d'aria 
                  il mondo ci ha sbattuti fuori 
                  la vita ci ha buttati all'aria… 
                  (J. Prevért - C. Credi)
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