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				 spazi liberati 
                  
                Autogestione in potenza  e potenza dell’autogestione 
                  
                di Gaia Raimondi 
                    
                Milano, quartiere Ticinese. Ripa dei 
                  Malfattori, un esperimento di azione diretta in evoluzione. 
                  Appunti e riflessioni di una militante alle prese con problemi 
                  pratici, scelte etiche, modalità organizzative. 
  E con tanto entusiasmo. 
                 
                  L’11 ottobre 2013, una 
                  sera piovosa e fresca, appena dopo il temporale, un gruppetto 
                  di individui accomunati da abiti neri, ideali affini, un passato 
                  condiviso e recentemente sofferto, una voglia incondizionata 
                  di organizzare, far vivere un luogo abbandonato in totale autogestione 
                  e in assenza di dominio, occupa parte di un meraviglioso palazzo 
                  in mezzo a un parco, a due passi dalla movida della Milano da 
                  bere e degli happy hour, delle tonnellate di cibo spazzatura, 
                  di cocktails e divertimento mercificato, di telecamere e divieti 
                  ma anche di un vissuto storico importante.  
                  Lo stabile di Ripa di Porta Ticinese 83 è un edificio 
                  popolare della prima metà del novecento affacciato sul 
                  Naviglio Grande, di proprietà del comune di Milano. Gli 
                  inquilini originari sono stati allontanati nel 2009 per decisione 
                  comunale, e gli occupanti che erano loro subentrati con progetti 
                  abitativi e sociali sono stati sgomberati nel giugno 2010 su 
                  mandato di un detestabile vicesindaco-sceriffo già conosciuto 
                  per le tendenze fasciste e le modalità repressive totalizzanti 
                  che, ironia della sorte, si riscontrarono anche il giorno stesso 
                  dello sgombero di Ripa, quando il camion previsto per lo sgombero 
                  portava addirittura il nome di De Corato, un’omonimia 
                  amara quanto la vista degli abitanti del luogo, costretti a 
                  portare fuori tutte le loro cose, sotto lo sguardo impietoso 
                  di forze del dis-ordine di ogni tipo e le facce tristi dei compagn* 
                  accorsi a supporto. Il primo esperimento dell’occupazione 
                  di Ripa che si stava brutalmente concludendo aveva però 
                  già fatto assaporare al luogo un germoglio di libertà, 
                  condivisione, abitazioni collettive, spazio sociale, orto e 
                  giardino.  
                  Da allora la casa è stata lasciata a marcire, divenendo 
                  un precario rifugio per senza casa e tossicodipendenti, nonché 
                  ghiotta occasione di imbosco per gli spacciatori.  
                  L’edificio è sottoposto a vincolo storico-artistico 
                  (in pratica il comune non può abbattere e ricostruire, 
                  come senz’altro preferirebbe fare), e quindi le istituzioni 
                  hanno tentato di trovargli una destinazione nell’avvilente 
                  farsa di Expo 2015; nel caso specifico, sarebbe dovuto diventare 
                  un albergo low-cost per il turismo giovanile. Nell’attesa 
                  di trovare investitori, invitati da un bando improbabile reperibile 
                  su web a cui pare nessuno abbia ancora risposto, per contrastare 
                  eventuali nuove occupazioni l’amministrazione comunale 
                  si è impegnata a distruggere le scale interne, tagliare 
                  i servizi, murare le finestre, saldare le porte; oltre a questo, 
                  bisogna aggiunge la quantità di schifo accumulato in 
                  un triennio di abbandono e il deterioramento delle strutture. 
                  E così come un seme sotto la neve, sepolto la scorsa 
                  primavera con la dolorosa decisione collettiva di lasciare lo 
                  storico circolo dei Malfattori di via Torricelli 19 a seguito 
                  di lunghe, intense, dibattute e talvolta estenuanti discussioni 
                  e infine la scelta comune di cercare nuovi luoghi da liberare, 
                  fa rinascere in autunno un nuovo esperimento di autogestione 
                  e azione diretta; ritenendo inutile spreco l’abbandono 
                  dello stabile, lo si occupa, lo si apre, lo si sistema, aborrendo 
                  qualunque scelta speculativa e senza aver alcuna fiducia in 
                  chi governa la città, questo gruppetto di Malfattori 
                  si riappropria dell’ala est dell’edificio, una volta 
                  sede di un gommista, cominciandone i lavori.  
                  “Associazione di malfattori” – così 
                  si intitolava l’articolo del codice penale con cui l’Italia 
                  umbertina, alla fine dell’ottocento, tentava di cancellare 
                  ogni attività sovversiva. La repressione ha causato – 
                  e causa ancora – tanti lutti e sofferenze, ma non ha potuto 
                  distruggere l’aspirazione dell’uomo all’uguaglianza 
                  e alla libertà. 
                  Ancora oggi – a 150 di distanza – i “malfattori” 
                  rendono vivo uno dei tanti luoghi annichiliti dalla crisi e 
                  dalla speculazione per costruire un futuro migliore e rendere 
                  il presente degno di essere vissuto. È per questo che 
                  sabato 12 ottobre abbiamo aperto alla città uno spazio 
                  vuoto, malmesso, all’interno dello stabile di Ripa di 
                  Porta Ticinese 83, applicando uno dei metodi che stanno alla 
                  base del nostro operare: l’azione diretta. Fino al giugno 
                  del 2013 ci siamo riuniti presso il Circolo dei Malfattori, 
                  in via Torricelli 19, e andandocene ci siamo voluti portare 
                  dietro il nome; per cui abbiamo “battezzato” la 
                  nuova occupazione: Circolo anarchico Ripa dei Malfattori. Circolo 
                  anarchico perché d’ora in poi la vita interna dello 
                  spazio sarà regolata da principi antiautoritari sintetizzabili 
                  nella vecchia formula, ma a noi ancora cara: “né 
                  servi né padroni”. Molti già ci conoscono, 
                  e di conseguenza conoscono le attività che intendiamo 
                  portare avanti: presentazioni di libri e dibattiti, corsi e 
                  autoformazione variamente declinata, musica e teatro, proiezioni, 
                  cene e aperitivi a prezzi popolari (e, alle volte, senza prezzi). 
                  Siamo aperti a chiunque, tramite l’autogestione, abbia 
                  voglia di sperimentare uno spazio politico basato sul consenso 
                  e la democrazia diretta. L’unica differenza rispetto al 
                  passato è che potremo permetterci di stiracchiare di 
                  più gli orari e i decibel, visto che non abbiamo vicini 
                  a portata d’orecchio. (dal comunicato scritto in occasione 
                  della rioccupazione) 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Milano, lo stabile di Ripa di Porta Ticinese 83  | 
                   
                 
                 
                Trasversalità, diversità, 
                  affinità 
                Chi ha vissuto in prima persona l’esperienza del collettivo 
                  malfattore ha potuto assaporare cosa voglia dire veramente vivere 
                  l’anarchia, non tanto come idea basata su congetture di 
                  una società futura, ma come descrizione e attuazione 
                  di un modo umano di organizzarsi radicato nell’esperienza 
                  della vita quotidiana, che funziona a fianco delle tendenze 
                  spiccatamente autoritarie della nostra società e nonostante 
                  quelle. Risuonano nella mente, ogni volta che si ripercorrono 
                  ricordi condivisi con le compagne e i compagni di quest’esperienza 
                  vissuta insieme, le parole di Landauer, che concepiva l’anarchismo 
                  non solo come la creazione di qualcosa di nuovo, ma appunto 
                  come “la realizzazione e la ricostruzione di qualcosa 
                  che c’è da sempre e che esiste parallelamente allo 
                  stato, benché sepolto e straziato. L’anarchismo 
                  dunque non è cosa del futuro ma del presente, un processo 
                  in corso, un modus vivendi, al cui centro porre l’individuo 
                  comunitario, ovvero l’individuo impensabile come singolarità 
                  in quanto frutto delle sue relazioni con gli altri.” 
                  “In una società in cui manca una struttura gerarchica 
                  specificatamente depositaria del potere politico i rapporti 
                  tra i vari gruppi sono visti come un equilibrio di potere che 
                  si mantiene grazie alla rivalità reciproca. Una federazione 
                  di gruppi può essere strutturata gerarchicamente a diversi 
                  livelli; l’importanza di ogni gruppo dipende dalle diverse 
                  circostanze ed è connessa alle diverse attività 
                  sociali, economiche, rituali o di governo. A un certo livello 
                  possono esservi relazioni di rivalità in una data situazione, 
                  mentre in un’altra quegli stessi gruppi si fondono in 
                  un’alleanza comune contro un gruppo esterno. A qualsiasi 
                  livello un gruppo ha relazioni di rivalità con altri 
                  per garantire il mantenimento della una identità e dei 
                  diritti che spettano in quanto gruppo, e può avere una 
                  struttura organizzativa interna che assicuri la coesioni tra 
                  i suoi elementi costitutivi. Ma gli aggregati che si presentano 
                  come unità in un contesto, in un altro si fondono in 
                  aggregati più grandi...” (1) 
                  La trasversalità, la diversità, l’affinità 
                  sono sicuramente principi che fanno da collante per questo insieme 
                  di persone che hanno voglia di lottare insieme per costruire 
                  momenti, situazioni, luoghi di incontro, scambio, condivisione 
                  sulla base della libertà degli uguali, che sebbene abbia 
                  scelto l’anarchismo come fonte ispiratrice non ne fa dogma 
                  né una peculiarità unica di scelte, ma piuttosto 
                  uno strumento di lavoro, una cassetta degli attrezzi da cui 
                  attingere quello che può servire per dialogare con l’universo 
                  mondo, interrogandosi sulle contraddizioni del proprio vivere 
                  quotidiano e metodologico al suo interno, con norme condivise, 
                  dialoghi, differenti energie, sfumature, pensieri. 
                  Altra assonanza che rende possibile l’autogestione tra 
                  i malfattori e le malfattrici è l’attitudine all’azione 
                  diretta, che porta a riconoscersi come individualità 
                  libere, disposte a vivere in modo responsabile in una micro 
                  società libera all’interno di un sistema non liberato. 
                  L’armonia creata nel nostro agire, sia essa finalizzata 
                  alla realizzazione di un’iniziativa, delle pulizie, dei 
                  lavori di ristrutturazione, dei dibattiti e delle relazioni 
                  personali che intercorrono fra noi, è un’armonia 
                  che nasce dalla complessità, poiché una struttura 
                  organica implica contraddizione, opposizione, indipendenza. 
                  È stata una sensazione forte, viscerale, per le/gli occupanti, 
                  riprendersi il vecchio LabZero, prendersene cura, dormire tutt* 
                  insieme per i primi giorni e vedere come anche solo una quindicina 
                  di persone possano creare nuovi mondi possibili, sicuramente 
                  limitati, ma funzionanti, agenti, rapidi ed efficienti. “Basandoci 
                  sulla testimonianza della storia umana, nessun tipo di società 
                  è impossibile” (2). La differenza 
                  sta nel fatto che mentre l’autorità si può 
                  imporre la libertà assolutamente no; noi siamo solo una 
                  delle forze che agiscono nella società ma proprio perché 
                  scegliamo la libertà realizziamo nel presente spazi di 
                  autogestione reale, tangibile, fresca di rinnovati entusiasmi 
                  e al contempo carica di vissuto personale di ognun* di noi. 
                  Una fratellanza davvero profonda si è rinsaldata con 
                  questa messa in campo di azione diretta nel nostro piccolo universo 
                  tra noi e le persone attorno se ne stanno accorgendo, i nostri 
                  sforzi e la nostra determinazione hanno destato anche il quartiere 
                  circostante,che reagisce alla nostra presenza con simpatia e 
                  solidarietà. 
                
                   
                      | 
                   
                   
                    |   Il degrado e l’abbandono del cortile interno dello stabile  | 
                   
                 
                 
                Allargare i nostri orizzonti 
                Una componente importante nell’impostazione anarchica dei problemi 
                  organizzativi è costituita da quella che potremmo definire 
                  la teoria dell’ordine spontaneo. Essa sostiene che, dato 
                  un comune bisogno, le persone sono in grado, tentando e sbagliando, 
                  con l’improvvisazione e l’esperienza, di sviluppare 
                  le condizioni per il suo ordinato soddisfacimento; e che l’ordine 
                  cui si approda per questa via è di gran lunga più 
                  duraturo, e funzionale a quel bisogno, di qualsiasi altro imposto 
                  da un’autorità esterna. 
                  È esattamente sulla base di quest’idea che il collettivo 
                  malfattore sta portando avanti le proprie attività; ma 
                  niente di nuovo, se ne parlava già a fine ottocento. 
                  Kropotkin derivò la sua versione di questa teoria dai 
                  suoi studi sulla storia della società umana e dalla riflessione 
                  dei fenomeni che caratterizzarono i primi passi della Rivoluzione 
                  Francese e della Comune parigina del 1871. Nella scientificità 
                  dell’analisi di Kropotkin si legge la dimostrazione del 
                  fatto che l’istinto “all’aiuto reciproco e 
                  alla cooperazione volontaria è altrettanto forte quanto 
                  quello dell’autorità e del desiderio di dominio.” 
                  È proprio quello che stiamo cercando di fare, rinegoziando 
                  di volta in volta, di proposta in proposta, di idea in azione, 
                  le nostre singole pulsioni, desideri, aspettative. Col dialogo, 
                  il confronto, la ricerca dell’unanimità pur nella 
                  diversità ci sta facendo crescere collettivamente ma 
                  anche individualmente. E il vedersi materializzata un’utopia 
                  possibile, quella di una sede nel cuore della storica Milano 
                  resistente è testimonianza reale che il metodo autogestionario 
                  funziona e dà soddisfazione. 
                  L’idea ora è quella di allargare il più 
                  possibile i nostri orizzonti, riempire di contenuti qualitativamente 
                  interessanti il nuovo circolo che nel suo primo mese di esistenza 
                  ha ospitato fiere di autoproduzioni, reading, presentazioni, 
                  aperitivi, cene e spettacoli teatrali, oltre che l’ordinaria 
                  assemblea aperta del martedì sera.  
                Gaia Raimondi 
                Note
 
  - John Middleton e David Tait (a cura di), Tribes without Rules: Studies in 
  African Segmentary Systems, Londra 1958.
                  
 - Colin Ward, Anarchia come organizzazione, Elèuthera, 
                    Milano. 
                
  
                
                   
                    Kropotkin/“Date mano libera al popolo...” 
                       I 
                        gruppi volontari, organizzatisi in ogni caseggiato, in 
                        ogni strada, in ogni quartiere, non avranno difficoltà 
                        a mantenersi in contatto e ad agire all’unisono... 
                        se i sedicenti teorici “scientifici” si asterranno 
                        dal ficcare il naso... Anzi, spieghino pure le loro teorie 
                        confusionarie, purché non venga concessa loro alcuna 
                        autorità, alcun potere!  
                        E le meravigliose capacità organizzative di cui 
                        dispone il popolo – che così raramente gli 
                        viene concesso di mettere in pratica – consentiranno 
                        di dar vita, anche in una grande città come Parigi, 
                        e nel bel mezzo di una rivoluzione, ad una gigantesca 
                        associazione di liberi lavoratori, pronti a fornire a 
                        se stessi e alla popolazione i generi di prima necessità. 
                         
                        Date mano libera al popolo, e in dieci giorni il rifornimento 
                        alimentare funzionerà con la precisione di un orologio. 
                        Solo coloro che non hanno mai visto la gente lavorar sodo, 
                        solo quelli che hanno passato la vita tra montagne di 
                        documenti, possono dubitarne. Parlate del genio organizzativo 
                        del “grande incompreso”, il popolo, a chi 
                        ha assistito, a Parigi, ai giorni delle barricate o a 
                        chi ha avuto modo di vederlo in azione durante il grande 
                        sciopero dei portuali londinesi, quando si trattò 
                        di dar da mangiare a mezzo milione di gente affamata: 
                        essi vi dimostreranno quanto sia più efficace dell’ufficiale 
                        inettitudine di Bumbledom. 
                      Pëtr 
                        Alekseevic Kropotkin 
                        La conquista del pane, 1892.  | 
                   
                 
                 
                Toh, ritorna il giornale murale 
                Un'interessante progetto intrapreso già dalla scorsa primavera e che 
                  sta continuando è un giornale murale per comunicare in 
                  maniera rapida ed efficace col quartiere, alle fermate degli 
                  autobus, sui muri della città, in metro o dovunque ci 
                  sia spazio. Poche battute per letture veloci ma incisive e immagini 
                  autoprodotte che lasciano il segno. 
                  Dietro a ogni malfattore si nasconde una persona; dietro ogni 
                  muro si nasconde un malfattore, sopra ogni muro trovate il malfattore! 
                  In poche battute e riappropriandoci di qualche spazio qua e 
                  là tra muri silenti e pubblicità arroganti, temporaneamente 
                  forse, abbiamo l'ardita pretesa di lanciare spunti, immagini, 
                  flash, raccontare frammenti di attualità interessanti 
                  e di storie passate, che ci appassionano e ci aiutano ad avere 
                  un pensiero critico sul presente, al fine di un progettare futuro 
                  che possa rivoluzionare le nostre vite quotidiane, le nostre 
                  relazioni, il nostro tempo e i nostri spazi. 
                  “'E ci chiaman malfattori..', forse perché siamo 
                  una micro entità di individui che vorrebbe stimolare 
                  bande di sognatori a compiere misfatti atti al risveglio dalla 
                  aberrante quiete in cui siamo costretti, mercificati, assoldati 
                  (1); 'malfattori perché profondi 
                  amanti della libertà degli uguali, o perché sperimentatori 
                  di riflessioni e mutamenti all'interno delle nostre vite e delle 
                  nostre relazioni, animati dal desiderio di cambiare, almeno 
                  / se non altro per lo spazio di due A3, la grigia realtà 
                  metropolitana che ci azzittisce con mura di cemento, palazzi 
                  sempre più alti, che erge barriere comunicative sempre 
                  più sottili, ci costringe a vivere in città rese 
                  mostruosamente postmoderne, a misura di dominio e speculazione 
                  più che a misura d'uomo, connessi tra noi sempre più 
                  in rete virtuali e sempre meno faccia a faccia, inglobati nei 
                  social network ma meri atomi nella quotidianità anche 
                  solo di una strada, di un quartiere spazialmente attraversato 
                  da corpi e non da esseri pensanti'. 
                  Siamo carne solida che si fa città, la trasformazione 
                  dei sogni in possibilità... 
                  Tra indagini di creatività comunicativa e ricerca di 
                  nuove forme di espressione proveremo a portare il nostro punto 
                  di vista, mai unico e indiscusso, sicuramente parziale; cercheremo 
                  di partire da dove viviamo, animati dal desiderio di cambiare, 
                  almeno / se non altro per lo spazio di due A3, la grigia realtà 
                  metropolitana che ci azzittisce con mura di cemento, che erge 
                  barriere comunicative sempre più sottili, che ci costringe 
                  a vivere in città rese mostruosamente postmoderne, a 
                  misura di dominio e speculazione più che a misura d'uomo, 
                  che ci vede connessi tra noi sempre più in rete virtuali 
                  e sempre meno tangibili, abitanti di quartieri spazialmente 
                  attraversati da corpi e macchine e sempre meno da esseri pensanti. 
                  Appariremo atemporalmente per condividere idee e progetti, raccontarvi, 
                  invitarvi a 'belle storie' auto-organizzate e autogestite, e 
                  perché no, darvi anche i nostri 'consigli per I non acquisti!' 
                  Per tenervi compagnia e stimolarvi mentre vi godete la brezza 
                  primaverile che comunque spira con voglia di cambiamento anche 
                  qui, tra smog, vetrine e cemento, nella Milano che non vogliamo 
                  sia solo quello che appare.”
                  G. R.
                 
                   
                  - “265. Qualunque associazione di malfattori contro 
                    le persone o le proprietà è un misfatto contro 
                    la pubblica quiete. 266. Questo misfatto esiste col solo fatto 
                    della formazione di bande”. Francesco Gaetano Carrara, 
                    Bollettino delle leggi del Ducato lucchese, D. Marescandoli, 
                    Stampatore nazionale, Lucca,1810, p. 145. 
  
					
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