14 domande a un uomo-ombra 
                 
                  Le domande sono state poste a Carmelo Musumeci dagli studenti 
                  del corso di diritto dell'esecuzione penale della professoressa 
                  Stefania Carnevale (Università degli Studi di Ferrara). 
                  Per ragioni di spazio ne abbiamo omesso alcune. 
                   
                  1) Il problema del sovraffollamento carcerario è 
                  di grande attualità e sono state avanzate numerose proposte 
                  per risolverlo, ma spesso si discute dell'argomento senza conoscere 
                  il punto di vista di chi, nel carcere, è costretto a 
                  vivere. Qual è il suo pensiero in proposito e quali sono 
                  le sue proposte? 
                  «Il carcere produce e fabbrica carcerati e criminali. 
                  Il sovraffollamento ne produce molti di più. Il carcere 
                  è molto peggiore di quello che ti dicono, di quello che 
                  pensi e di quello che immagini.» 
                   
                  2) Parte dell'opinione pubblica è a volte insensibile 
                  ai problemi che affliggono i detenuti, soprattutto quelli che 
                  sono stati condannati per reati gravi, ritenendo che la pena 
                  debba comunque conservare la sua funzione retributiva. Cosa 
                  risponderebbe a chi giudica con distacco e severità coloro 
                  che hanno subito una condanna? Anche in base alla sua esperienza 
                  personale crede che ognuno di noi, in determinate situazioni, 
                  potrebbe commettere gravi errori oppure pensa che quella di 
                  commettere reati sia una libera scelta? 
                  «In noi c'è il bene e il male e a volte sta anche 
                  alla società tirare fuori l'uno o l'altro. La cultura 
                  criminale viene appresa, non è innata nell'uomo. Non 
                  esiste alcuna forma di eredità culturale. Il libero arbitrio 
                  non può fare nulla quando sei già diventato culturalmente 
                  criminale. Poi è troppo tardi. E puoi decidere solo di 
                  diventare un criminale senza perdere la tua umanità.» 
                   
                  3) Lei scrive: “Oggi pensavo alla mia vita per tutte 
                  le cose che non sono accadute e che non accadranno mai, perché 
                  un uomo ombra può solo sopravvivere, nient'altro”. 
                  Quali sono i suoi obiettivi a breve e a lungo termine e cos'è 
                  che le consente di resistere a quella che definisce la “pena 
                  di morte viva”? 
                  «I miei obiettivi sono quelli di fare notte e poi di fare 
                  mattina. Gli uomini ombra dormono solo per svegliarsi e poi 
                  dormire di nuovo. Vivono distaccati ed estraniati nel loro mondo 
                  di solitudine e ombre. Non so perché resisto, probabilmente 
                  resisto per amore.» 
                   
                  4) Cosa passa per la testa a una persona che come lei 
                  trascorre così tanti anni in carcere? E quanto sono ricorrenti 
                  le persone offese nei suoi pensieri? 
                  «Siamo come cadaveri in attesa di essere sepolti. A differenza 
                  di loro abbiamo la vita, ma che vita? Ogni criminale ha la propria 
                  storia personale. E non penso alle persone “offese” 
                  perché gli atti processuali (e non io) dicono che questi 
                  prima mi hanno sparato sei colpi in corpo, poi hanno tentato 
                  di bruciarmi vivo; in seguito sono diventati collaboratori di 
                  giustizia e ora sono fuori.» 
                   
                  5) Lei prova rimorso per i reati che ha commesso? Se dovesse 
                  fare un resoconto della sua vita cosa direbbe? 
                  «Non provo rimorso per i reati che ho commesso se no non 
                  li avrei commessi. Provo rimorso per la sofferenza che ho creato 
                  per i miei reati, a partire dalla mia compagna che mi aspetta 
                  da 23 anni e dai miei figli. Credo che sia ancora troppo presto 
                  per fare i resoconti della mia vita. E poi quando si fanno i 
                  conti con se stessi i conti non tornano mai.» 
                   
                  6) Dopo 23 anni in carcere è maggiore il desiderio 
                  di uscire o la paura della vita che l'aspetta fuori? 
                  «Non ho nessun desiderio di uscire o paura della vita 
                  che mi aspetta fuori, perché gli uomini ombra non hanno 
                  più nessuna aspettativa, neppure quello di riposare in 
                  pace perché non sono ancora morti. Gli ergastolani ostativi 
                  non possono fare altro che stringere i denti e sopportare l'esistenza.» 
                   
                  7) Sorvolando sul dato oggettivo che riguarda il fenomeno 
                  della criminalità organizzata, secondo lei perché 
                  la maggior parte della popolazione detenuta che si trova a scontare 
                  la pena a seguito del cosiddetto ergastolo ostativo presenta 
                  una provenienza geografica completamente riconducibile al Sud 
                  dell'Italia? 
                  «Per lo stesso motivo per cui la grande maggioranza dei 
                  prigionieri nei bracci della morte sono di colore. Conta ancora 
                  molto in che famiglia e parte del mondo si nasce, per diventare 
                  buoni o cattivi. poi molti sono considerati cattivi perché 
                  lo stabiliscono i buoni.» 
                   
                  8) Spesso nelle cronache si sente parlare di “suicidio 
                  in carcere”. La formula riportata sul certificato di detenzione 
                  – fine pena mai – cosa provoca nei pensieri di un 
                  detenuto? E potrebbe in qualche caso ricondurre al fenomeno 
                  del suicidio? 
                  «Quando non hai niente per vivere ma puoi avere tutto 
                  morendo, non hai scelta. E alcuni scelgono di morire.» 
                   
                  9) Essendo uno dei sostenitori dell'abolizione dell'ergastolo 
                  dal nostro ordinamento, quale sarebbe secondo lei la pena più 
                  adatta a sostituirlo, tenendo conto del disvalore sociale nonché 
                  della gravità dei reati puniti proprio con l'ergastolo? 
                  Mettendola più sul personale: che pena meriterebbe Carmelo 
                  Musumeci secondo l'opinione di Carmelo Musumeci? 
                  «La pena dovrebbe essere una medicina. La giusta pena 
                  è quella necessaria, né un giorno in più 
                  né uno in meno. Carmelo Musumeci a Carmelo Musumeci darebbe 
                  la pena di morte perché legge, scrive, pensa e sogna 
                  di sconfiggere in Italia, la “pena di morte viva”. 
                  E questo per i “buoni” è veramente troppo, 
                  che un criminale dia lezioni di moralità.» 
                   
                  10) Cosa provava durante il compimento delle sue condotte 
                  criminose? Ha mai pensato anche solo per un attimo alle conseguenze 
                  delle sue azioni? 
                  «Avevo paura e pensavo a salvarmi la vita ed essere più 
                  veloce dei miei avversari.» 
                   
                  11) Ha mai preso in considerazione l'idea che la collaborazione 
                  rappresenti l'unica possibilità di riscatto che ha? riscatto 
                  non solo per la sua vita, ma anche di quella delle persone a 
                  lei care e di tutte le vittime dei reati da lei commessi? 
                  «Sono contrario alla collaborazione perché bisognerebbe 
                  uscire dal carcere perché uno lo merita e non perché 
                  metti un altro al posto tuo. Inoltre nel mio caso la collaborazione 
                  salverebbe solo me, ma non potrei mai farlo. Posso capire la 
                  collaborazione solo se serve a salvare vite umane, ma dopo oltre 
                  vent'anni, con organizzazioni che non esistono più, che 
                  senso ha?» 
                   
                  12) Come lei sa, la nostra Costituzione è ispirata 
                  al finalismo rieducativo della pena. A suo parere, una pena 
                  come quella che le è stata inflitta può dirsi 
                  veramente tendente “alla rieducazione del condannato”? 
                  In caso di risposta negativa, come modificherebbe la disciplina 
                  sanzionatoria da applicare a coloro che si trovano nella sua 
                  identica situazione? 
                  «Come fa una pena che non finisce mai a rieducare qualcuno? 
                  E se anche lo fosse, mi rieducano per portarmi rieducato alla 
                  tomba? Io andrei a spazzare le strade della città dove 
                  ho commesso reati, nei pronto soccorso ad aiutare la gente, 
                  insomma vorrei fare qualcosa che dimostri ai ragazzi che l'illegalità 
                  non paga e qualcosa di socialmente utile che dia un senso alla 
                  pena e alla vita.» 
                   
                  13) Al di là del fatto che lei abbia sempre rifiutato 
                  qualsiasi tipo di collaborazione, scegliendo di vivere da “uomo-ombra”, 
                  nel suo caso vi è mai stata quella cosiddetta “revisione 
                  critica” interna e profonda del reo? Si è mai pentito 
                  di ciò che ha fatto? Da dove è scaturita la sua 
                  volontà di laurearsi proprio in giurisprudenza e quali 
                  sono i motivi che l'hanno spinta a operare tale scelta? 
                  «Non mi sono mai pentito di quello che ho fatto, ma mi 
                  sono pentito del dolore che ho causato. È molto difficile 
                  fare una “revisione critica” quando i tuoi educatori, 
                  guardiani e governanti sono più criminali di te. 
                  Ho studiato giurisprudenza per dare uno scopo alla mia pena, 
                  difendere i miei diritti e quelli dei miei compagni. L'altra 
                  parte della medaglia è costatare la grande differenza 
                  che c'è fra diritti dichiarati e quelli applicati.» 
                   
                  14) Capita più o meno frequentemente di sentire 
                  alla televisione racconti di violenza nei confronti dei detenuti 
                  da parte del personale penitenziario. Com'è il suo rapporto 
                  con queste persone? In tutti questi anni è mai stato 
                  vittima di aggressioni gratuite? 
                  «Le “mele marce” nei servitori dello stato 
                  sono molte di più di quello che si crede. E lo sono ancora 
                  di più dentro l'Assassino dei Sogni (come chiamo io il 
                  carcere) perché non c'è nessuno che controlla 
                  il controllore. 
                  Quand'ero sottoposto al regime di tortura del 41 bis nell'“isola 
                  del diavolo” (L'Asinara) non c'era giorno in cui non ero 
                  sottoposto ad aggressioni gratuite. E lì, per la prima 
                  volta, mi sono accorto che i “buoni” sono più 
                  cattivi dei criminali.»
                
  intervista a cura degli studenti del corso 
                  di diritto dell'esecuzione penale 
                  (Università degli Studi di Ferrara)  |