in direzione 
                  ostinata e contraria 9 
                  Non è la rosa, non è il tulipano 
                  
                Interviste a Giulio Marcon e Gianni Novelli 
                di Renzo Sabatini 
				
  
                  Dalla Guerra di Piero a Girotondo, dalla Ballata dell'eroe a Maria nella bottega d'un falegname: la critica alla guerra, con tutto ciò che comporta, è un tema che attraversa tutta l'opera di De André. Ce ne parlano due rappresentanti delle correnti laica e cattolica del pacifismo italiano. 
                 
                  
                Premessa 
                   
                  Da vecchio antimilitarista, quando ho avviato la serie radiofonica 
                  sui personaggi delle canzoni di De André ho pensato di 
                  cominciare proprio con La guerra di Piero.  
                  Poiché in Italia, a differenza di altri paesi, il 
                  movimento pacifista si distingue da sempre nelle due componenti 
                  “laica” e “cattolica”, mi è parso 
                  importante raccogliere la testimonianza di entrambe.  
                  È finita così che, in una stessa settimana 
                  dell'autunno australe, mi sono ritrovato a conversare piacevolmente 
                  con due attivisti di lunga data del movimento pacifista italiano, 
                  Giulio Marcon, portavoce della campagna Sbilanciamoci, e Gianni 
                  Novelli, francescano, fondatore del Centro Interconfessionale 
                  per la Pace. 
                  Mettere a confronto le due testimonianze mi sembra il modo 
                  migliore per offrire un quadro più rappresentativo della 
                  complessa galassia del pacifismo italiano, ma anche per vedere 
                  come Piero, il Pescatore e Bocca di Rosa siano stati punti di 
                  riferimento per percorsi di vita anche assai diversi fra loro 
                  eppure allo stesso tempo simili.
                  Intervista a Giulio Marcon
                  Nel 1999 eri sul palco, a Roma, accanto a Pietro Ingrao, 
                  nella prima manifestazione contro l'intervento Nato in Kosovo. 
                  In quella occasione ci fu chi distinse fra varie forme di pacifismo, 
                  dicendo che quello era un intervento giusto, necessario. Tu 
                  che tipo di pacifista sei?  
                  Sono sempre stato contrario alle guerre, per diversi motivi. 
                  Innanzitutto per una questione etica: la guerra è distruzione, 
                  produce sofferenza, è la principale violazione, a mio 
                  giudizio, dei diritti umani, riduce le persone a vittime. Ci 
                  sono anche motivi di natura politica: credo che la guerra, soprattutto 
                  negli ultimi vent'anni, sia stata utilizzata da molti paesi 
                  come strumento di politica estera, è stata uno strumento 
                  della geopolitica moderna, ma è uno strumento criminale 
                  perché produce distruzione e morte e non risolve i problemi. 
                  Tutte le guerre hanno sempre acuito i conflitti, non hanno mai 
                  portato ad una soluzione vera i problemi che sostenevano di 
                  voler risolvere. 
                   
                  Ti sei sempre dedicato alla pace e gli episodi da ricordare 
                  sarebbero tanti. Cito, ad esempio, la tua partecipazione alle 
                  catene umane a Gerusalemme e alla carovana della pace entrata 
                  nella Sarajevo assediata. Per concentrarci sulle tue esperienze 
                  più recenti, sei stato a lungo presidente dell'Ics, sei 
                  Presidente di Lunaria e coordinatore della campagna Sbilanciamoci. 
                  Puoi descriverci brevemente cosa sono queste tre realtà 
                  del tuo impegno pacifista? 
                  Ics1 è nata nel 1993, 
                  durante la crisi determinata dalla guerra nella ex Jugoslavia, 
                  come coordinamento dell'azione umanitaria di un centinaio di 
                  organizzazioni che hanno cercato così di darsi degli 
                  strumenti comuni per portare aiuti alle popolazioni colpite 
                  dalla guerra. L'Ics si è impegnato sia sul fronte umanitario, 
                  per portare aiuti, soccorrere i profughi, organizzare attività 
                  di volontariato, sia sul fronte politico, collaborando con chi, 
                  in ex Jugoslavia, si opponeva alla guerra e al nazionalismo 
                  e cercava di trovare soluzioni possibili di pace e riconciliazione, 
                  per porre fine al conflitto. Quindi l'Ics era un'organizzazione 
                  pacifista sia umanitaria che politica, nel senso di condurre 
                  un'azione non solo di aiuto materiale ma anche di affiancamento 
                  a chi, sul posto, si opponeva alla guerra. Attualmente Ics interviene 
                  in ex Jugoslavia, in Iraq, in Palestina, in vari paesi dell'ex 
                  Unione Sovietica e anche in Italia, come sostegno all'attività 
                  di accoglienza e tutela dei diritti dei rifugiati e richiedenti 
                  asilo. 
                  Lunaria,2 nata nel 1992, si occupa 
                  di educazione alla pace e alla solidarietà mediante il 
                  volontariato internazionale, muovendosi soprattutto attorno 
                  ai temi di quella che oggi viene definita “altreconomia”, 
                  cioè sulle esperienze di finanza etica, commercio equo 
                  e solidale, scambi non monetari, gruppi di acquisto solidale; 
                  insomma tutte quelle esperienze che cercano di costruire forme 
                  diverse di economia basate su valori che non siano quelli del 
                  profitto e del mercato, ma valori di solidarietà, giustizia, 
                  scambi equi. 
                  Sbilanciamoci3 è nata 
                  nel 2000 su iniziativa di un gruppo di organizzazioni della 
                  società civile, con l'obiettivo di costruire una critica 
                  comune alle politiche economico finanziarie dell'Italia, individuando 
                  e proponendo concretamente delle alternative, specialmente in 
                  occasione del varo delle leggi finanziarie. Ogni anno inoltre 
                  Sbilanciamoci organizza una sorta di “Controcernobbio”. 
                  A Cernobbio, dal 1975, si organizza un workshop che rappresenta 
                  una sorta di piccola Davos, in cui si incontrano manager, finanzieri, 
                  industriali, leader politici. Ogni anno Sbilanciamoci, nelle 
                  stesse date, organizza un evento che cerca di proporre un punto 
                  di vista diverso, critico ma anche propositivo rispetto alle 
                  discussioni che si fanno a Cernobbio, che sono tutte improntate 
                  ai temi del neoliberismo e a un'idea di economia che mette al 
                  centro il profitto, il mercato e il privato. 
                  Mi fa piacere però ricordare anche il mio lungo impegno 
                  con il Servizio Civile Internazionale4, 
                  il movimento di volontariato per la pace fondato nel 1920 dall'obiettore 
                  di coscienza svizzero Pierre Ceresole, con cui ho cominciato 
                  il mio percorso di pacifista. 
                   
                  Passando a De André, canzoni come La 
                  guerra di Piero e La ballata dell'eroe, 
                  scritte nei primi anni sessanta, sono state spesso bollate come 
                  espressioni di antimilitarismo romantico, ingenuo, non applicabile 
                  nella realtà. Tu pensi che fossero ingenue? Esistono 
                  il pacifismo ingenuo e quello realista? 
                  Quelle canzoni rispecchiavano un senso comune, una cultura, 
                  una sensibilità che stava nascendo fra i giovani. La 
                  guerra in Vietnam e le tante altre guerre che colpivano varie 
                  parti del mondo avevano effetto sulle giovani generazioni e 
                  De André si faceva interprete, poeticamente, del rifiuto 
                  della guerra, del militarismo e della violenza che è 
                  sorto in quegli anni. Sono gli stessi anni in cui in Italia 
                  si sviluppa, in modo visibile, il fenomeno dell'obiezione di 
                  coscienza (la prima legge che riconosce ai giovani italiani 
                  la possibilità di fare un servizio civile alternativo 
                  al militare è del 1972). Quindi credo che quel tipo di 
                  pacifismo, antimilitarista, che rifiutava la guerra sotto la 
                  spinta di una forte sensibilità personale, etica, ideale, 
                  entrava a pieno titolo nell'idea di un pacifismo che è 
                  andata poi sviluppandosi nel corso del tempo e che, a partire 
                  dagli anni ottanta, è divenuto di massa, in cui gli elementi 
                  del rifiuto della violenza, dell'uso delle armi, di una certa 
                  ideologia militarista diventavano tratto distintivo del pacifismo 
                  italiano. Non era quindi un pacifismo ingenuo, tanto è 
                  vero che l'obiezione di coscienza poi è diventata un 
                  fenomeno di massa e anche oggi, che non esiste più l'esercito 
                  di leva, abbiamo comunque un servizio civile nazionale che coinvolge 
                  migliaia di ragazzi e ragazze. 
                   
                  Ma quelle canzoni, secondo te, oltre ad essere interpreti 
                  di una generazione, sono anche servite a conquistare qualcuno 
                  alla causa della pace? Quelle riflessioni potrebbero aver fatto 
                  cambiare idea a qualcuno? 
                  Secondo me sì. Soprattutto per i giovani le canzoni sono 
                  un potente strumento di influenza, di contaminazione, rispetto 
                  al proprio vissuto personale, alle idee che si formano, ai convincimenti. 
                  Alcune canzoni aiutano a formare la sensibilità e la 
                  cultura di intere generazioni. E le generazioni che sono cresciute 
                  negli anni sessanta e settanta, che hanno sviluppato questa 
                  sensibilità pacifista, antimilitarista e comunque di 
                  impegno ideale lo hanno fatto anche grazie alle canzoni. Pensiamo 
                  anche agli Stati Uniti: Woodstock, la musica degli anni sessanta, 
                  Bob Dylan... In Italia, grazie ad alcuni cantautori e ad alcuni 
                  complessi musicali, la musica ha avuto un grandissimo ruolo 
                  e De André è stato sicuramente il più importante 
                  da questo punto di vista. Credo che quella generazione debba 
                  molto alla musica, alle canzoni di quel periodo: uno spessore 
                  etico e ideale che successivamente, a mio giudizio, non è 
                  stato eguagliato. In quegli anni c'era l'idea, che nei decenni 
                  successivi si è attenuata, che era possibile cambiare 
                  il mondo, la società. Ossia c'era un'idea forte di trasformazione. 
                  C'era anche un'attesa per un mondo diverso, c'erano speranza 
                  ed ottimismo rispetto alla possibilità che si potessero 
                  veramente cambiare le cose. Io credo che quei cantanti e quelle 
                  canzoni abbiano aiutato molto a far maturare questo tipo di 
                  sentimento. 
                   
                  Un sostenitore  schivo
                  Quindi per gli attivisti del movimento, quelli che sfilavano 
                  per le strade, quelle canzoni hanno avuto un significato forte? 
                  Sì, assolutamente. Io le ho ascoltate in tutti i momenti 
                  delle manifestazioni pacifiste di quegli anni: nei cortei, nelle 
                  manifestazioni di ogni tipo. Accade sempre che prima di iniziare 
                  una manifestazione si ascolti della musica e De André 
                  era uno di quelli che non potevano mancare e tutt'oggi viene 
                  utilizzato in questi eventi. Canzoni come La guerra di Piero 
                  rimangono nell'immaginario del movimento pacifista in modo permanente. 
                  Colpisce molto che ci siano ancora oggi, nei cortei, giovani 
                  di quindici o sedici anni che conoscono a memoria il testo di 
                  quella vecchia ballata, come se fosse una canzone di oggi, mai 
                  invecchiata. 
                   
                  De André è sempre stato molto schivo, non 
                  lo si vedeva in piazza, però ultimamente è venuto 
                  fuori che finanziava anche delle iniziative. Negli ultimi anni 
                  della sua vita aveva preso molto a cuore Emergency. Pare che 
                  aiutò anche l'Ics durante la guerra in Jugoslavia. Ci 
                  puoi raccontare quell'aneddoto? 
                  Sì, nel 1993, grazie a Stefano Benni, organizzammo un'iniziativa 
                  di raccolta fondi per i nostri interventi in soccorso dei profughi 
                  in Bosnia. Stefano Benni si prese molto a cuore questo progetto 
                  e organizzò a Milano un'iniziativa che coinvolse tantissimi 
                  artisti: Dario Fo, Franca Rame, Beppe Grillo, Paolo Rossi, Luca 
                  Carboni, Enzo Jannacci, i Nomadi, alcuni comici come Bisio e 
                  tanti altri. Un'iniziativa a passerella, in cui ognuno faceva 
                  un pezzo e passava il testimone all'artista successivo. Fu una 
                  manifestazione di successo, con molti soldi raccolti. De André 
                  non poté partecipare ma accadde un episodio inaspettato: 
                  qualche giorno dopo ricevemmo una telefonata di De André, 
                  molto schivo, che mi disse: “ho saputo da Benni che avete 
                  fatto quest'iniziativa, io non sono potuto venire ma vorrei 
                  comunque darvi un aiuto, vorrei pagare il service dell'evento, 
                  se mi dici dove devo mandare l'assegno...” Ecco, in modo 
                  molto asciutto, ma anche molto sensibile da parte sua, per le 
                  cose che poi mi disse durante quella telefonata, De André 
                  ci mandò molti soldi (erano cinque milioni di lire) senza 
                  apparire, senza voler rivendicare un ruolo. Mi colpì 
                  molto perché c'erano stati tanti artisti che avevano 
                  fatto la loro parte sul palcoscenico, ma lui volle dare il suo 
                  contributo in modo privato. E io credo che nessuno poi lo abbia 
                  saputo al di fuori del nostro ufficio, questa è probabilmente 
                  la prima volta che lo riferisco in un'intervista. Gli altri, 
                  certo, si esibirono gratuitamente, ma lui mise concretamente 
                  mano al portafogli e forse non è giusto che, nella storia 
                  dell'intervento pacifista in ex Jugoslavia, non si sappia che 
                  De André ha dato un contributo, che per noi in quel momento 
                  è stato molto importante, e lo ha fatto in questo modo 
                  schivo. 
                   
                  De André negli anni novanta con La domenica 
                  delle salme ha parlato di una “pace terrificante”, 
                  una pace in cui gli uomini non hanno più voglia di protestare 
                  e non si accorgono dei grandi drammi che li circondano. In quella 
                  occasione aveva anche detto che contro questo tipo di pace preferiva 
                  combattere. Non si tratta forse di una contraddizione? Questa 
                  pace terrificante è come una guerra o è peggio 
                  di una guerra? 
                  No, lui aveva ragione. Io sono convinto che la pace non significa 
                  assenza di lotte, assenza di conflitto. Il conflitto fa parte 
                  della quotidianità, delle relazioni umane. Il conflitto 
                  è necessario. Potrei ricordare le parole di Ghandi o 
                  di Capitini da cui emerge che la nonviolenza non è passività, 
                  è comunque lotta, conflitto, impegno per la trasformazione 
                  delle cose. Di fronte a una pace terrificante, che possiamo 
                  definire “pax romana” quando si parla di relazioni 
                  internazionali o “status quo” quando ci si riferisce 
                  alle relazioni sociali – comunque una pace non accettabile 
                  – bisogna lottare. Ricordo le parole molto belle di Gunther 
                  Anders, filosofo che, per anni, dopo l'esplosione delle bombe 
                  atomiche in Giappone, si è impegnato per il disarmo. 
                  Parole durissime che rivendicano persino l'uso della violenza 
                  per trasformare le cose. Lo stesso Ghandi ammetteva la possibilità 
                  di ribellarsi anche con la violenza in casi estremi, pur di 
                  non accettare il sopruso e l'ingiustizia. La pace terrificante 
                  di cui parla De André credo che vada assolutamente combattuta. 
                  L'ingiustizia, la sopraffazione, la violazione dei diritti umani 
                  non possono essere tollerati sulla base di un uso sbagliato 
                  del termine nonviolenza, o del termine pace, perché questo 
                  significherebbe tollerare un'ingiustizia e una violenza più 
                  grandi e questo i pacifisti non possono sicuramente accettarlo. 
                  Lo sforzo che fanno i pacifisti, però, è quello 
                  di fare in modo che questa lotta, questo conflitto, questo impegno 
                  a cambiare le cose avvenga, per quanto possibile, attraverso 
                  strumenti che possono essere considerati pacifici, con la massima 
                  riduzione dell'uso della violenza, perché in ogni caso 
                  la violenza è un disvalore. Detto questo, è ovvio 
                  che in situazioni significative e importanti, come quelle dei 
                  popoli che lottano per la loro liberazione, si debba riconoscere 
                  a questi popoli il diritto di utilizzare gli strumenti a loro 
                  disposizione per liberarsi dalla tirannia e dall'oppressione. 
                   
                  La guerra di Piero da tanti anni ha trovato posto 
                  nelle antologie scolastiche. Secondo te c'è un motivo 
                  per cui questo testo viene scelto più spesso di altri? 
                  Conta più l'estetica del verso o i contenuti? 
                  Sono importanti entrambi. Ci sono tante canzoni con dei testi 
                  che potremmo definire politicamente corretti, che hanno una 
                  chiarezza espositiva e contenutistica. Canzoni che sono dei 
                  veri e propri proclami. Però sono dei testi che spesso 
                  non sono accompagnati da un altrettanto efficace valore estetico. 
                  Potrei citare molte canzoni politiche, molto cantate e utilizzate 
                  nel corso degli anni settanta e ottanta, canzoni che però 
                  non sono rimaste, perché erano dei testi politici efficaci, 
                  ma non erano delle belle canzoni. Il valore estetico è 
                  importante e la canzone di De André unisce questi due 
                  aspetti: ci dice qualcosa di importante dentro un involucro 
                  poetico e per questo vivrà nel tempo. 
                   
                  De André ha fatto anche un collegamento forte fra 
                  la figura di Gesù e un pacifismo di tipo radicale. Ne 
                  La Buona Novella si dice che la croce è 
                  destinata a: “chi guerra insegnò a disertare”. 
                  Pensi che questo possa essere servito ad aprire una breccia 
                  in certi ambienti cattolici sul tema della pace? 
                  Sì, anche se nel mondo cattolico ci sono diverse anime: 
                  c'è Pax Christi, ma c'è anche l'Azione Cattolica. 
                  Ci sono i Beati Costruttori di Pace ma c'è anche la Compagnia 
                  delle Opere, Comunione e Liberazione. Recentemente il direttore 
                  di un settimanale importante come “Famiglia Cristiana” 
                  ha affermato che l'obiezione alle spese militari è una 
                  cosa giusta, cui i cristiani dovrebbero aderire. Contro questa 
                  affermazione c'è stata una levata di scudi non solo da 
                  parte della forze politiche ma anche da parte di esponenti della 
                  gerarchia ecclesiastica: una rivista che va nella case, nelle 
                  famiglie, che fa l'elogio di un'azione illegale... insomma questo 
                  tipo di pacifismo radicale che tu ricordavi, che può 
                  essere associato all'opera di Gesù, in alcuni ambienti, 
                  che fino a qualche anno fa potevano essere considerati tradizionali 
                  e legati alle gerarchie ecclesiastiche, trova uno spazio. C'è 
                  però una parte consistente del mondo cattolico che questo 
                  messaggio non lo ha recepito e intende la pace come un valore 
                  un po' generico che non fa presa sulle coscienze e non ispira 
                  un'azione radicale. Io sono sempre più convinto che la 
                  vera differenza nel valutare come si intende questo valore è 
                  nei fatti e non nelle parole; nei gesti, nelle cose che si fanno 
                  nella quotidianità, nella coerenza dei propri comportamenti. 
                  Questo differenzia oggi un comportamento pacifista nonviolento 
                  serio e vero da uno che non fa presa sulle coscienze e non cambia 
                  la realtà. 
                   
                  Ma come sono oggi, in Italia, i rapporti fra laici e cristiani 
                  impegnati nella pace? 
                  Sono generalmente buoni, ma va detto che non c'è un unico 
                  pacifismo, ci sono diverse ispirazioni del movimento pacifista 
                  italiano. Il pacifismo cattolico è forse più legato 
                  a comportamenti che richiamano il valore della testimonianza, 
                  dell'impegno individuale, del valore educativo delle azioni. 
                  Quindi è forse un pacifismo vissuto maggiormente in prima 
                  persona e se ha un deficit è quello della politica, ovvero 
                  della capacità di avere una visione complessiva delle 
                  dinamiche che portano alle situazioni di guerra, della necessità 
                  non solo di un'azione per la pace ma anche di una politica per 
                  la pace, quindi di azioni che cercano di cambiare le condizioni 
                  che creano situazioni di conflitto, di guerra, di militarismo 
                  diffuso. Il pacifismo laico, che potrei anche definire di sinistra, 
                  ha invece la caratteristica di guardare ai processi, alle cause 
                  economiche, di analizzare il quadro generale di contesto, per 
                  poi affermare la necessità di un cambiamento radicale, 
                  nella politica, nell'economia, nelle relazioni internazionali, 
                  per costruire le premesse di una condizione di pace duratura. 
                  Va detto che ho illustrato due generalizzazioni, quindi ovviamente 
                  ci sono poi differenze ed eccezioni nei due campi. Però 
                  individuerei le diversità proprio in questi due approcci 
                  diversi. 
                   
                
  Se verrà  la guerra...
                  Prendiamo in esame un'altra delle canzoni storiche di 
                  De André: Girotondo, del 1967, nella 
                  quale si parla del rischio dell'annientamento totale a causa 
                  di una guerra nucleare. Pensi che sia un tema ancora attuale? 
                  Oggi abbiamo un rischio nucleare diverso da quello degli anni 
                  del dopoguerra. Oggi non sono solamente le superpotenze ad essere 
                  in possesso dell'arma nucleare. Ci sono altri paesi che ce l'hanno 
                  o la stanno costruendo. Questo rischio riguarda non solo i conflitti 
                  locali ma una dinamica che può portare a conflitti generalizzati 
                  che non è stata ancora superata. Ma c'è anche 
                  il tema dell'annientamento del mondo che invece deriva da processi 
                  che sono sotto i nostri occhi, che riguardano la devastazione 
                  ambientale, processi che stanno portando il mondo a diventare 
                  una sorta di bomba a orologeria rispetto alla sostenibilità 
                  dell'attuale sviluppo, dei consumi e delle relazioni internazionali 
                  rispetto alle dinamiche economiche tra le varie aree del mondo. 
                  Credo cioè che il rischio di annientamento oggi non sia 
                  solo legato alla possibilità di una guerra nucleare globale, 
                  che comunque potrebbe cominciare con un effetto di trascinamento, 
                  senza necessariamente avere uno scontro totale, dichiarato e 
                  da subito manifesto. Oltre a questo abbiamo un rischio di annientamento 
                  che deriva da una situazione più complessiva del nostro 
                  pianeta e che riguarda la sottovalutazione dei rischi ambientali, 
                  lo sviluppo dell'economia e le relazioni tra nord e sud del 
                  mondo.
                  Se avessi ancora la possibilità di parlare con 
                  De André, da vecchio pacifista a vecchio cantautore, 
                  cosa gli diresti? 
                  Lo esorterei a riprendere con forza quella vena pacifista che 
                  ha messo in tutta la sua opera poetica ma che nella prima parte 
                  della sua produzione artistica ha maggiormente evidenziata. 
                  Purtroppo la guerra, la violenza, il militarismo, sono dei mali 
                  che si estirpano con grande difficoltà e oggi sono presenti 
                  più che mai. Quindi è sempre importante, attraverso 
                  la musica, la poesia, l'impegno artistico, testimoniare la propria 
                  contrarietà alla guerra, cercando anche di fare un'opera 
                  di svelamento delle ipocrisie. Ecco, io forse lo avrei invitato 
                  a riflettere e scrivere sulle grandi contraddizioni di questi 
                  ultimi anni, in cui si usano definizioni come “guerra 
                  umanitaria” o “guerra giusta” quando si usano 
                  gli aiuti, gli interventi umanitari o i diritti umani per legittimare 
                  le guerre. Sarebbe stato interessante un suo approfondimento 
                  musicale e poetico su queste nuove ipocrisie che i governi e 
                  gli uomini potenti del pianeta utilizzano per giustificare le 
                  guerre. Un altro modo di intendere la pace terrificante di cui 
                  aveva parlato lui, riferendosi ad altro. 
                   
                  In età avanzata De André aveva anche perso 
                  la speranza che il mondo potesse effettivamente cambiare. In 
                  una delle ultime interviste, citando La guerra di 
                  Piero e altre sue canzoni disse: “Della guerra 
                  ne ho parlato tanto ma mi sono reso conto che potrò forse 
                  essere riuscito a scuotere leggermente la coscienza di qualcuno, 
                  ma non è servito assolutamente a niente”. Tu cosa 
                  ne pensi: è servito a qualcosa oppure aveva ragione lui, 
                  non è servito assolutamente a niente cantare contro la 
                  guerra? 
                  Secondo me è servito. Devo dire che anche io mi interrogo 
                  sul pessimismo e l'ottimismo. Dopo la stagione degli anni settanta 
                  e parte degli anni ottanta, quando c'era grande speranza in 
                  una trasformazione, è seguito un periodo di pessimismo. 
                  Oggi viviamo un periodo cupo in cui è difficile vedere 
                  degli spiragli. Questa però è una caratteristica 
                  di noi europei, noi occidentali, perché io in questi 
                  anni, andando a Porto Alegre ai forum sociali, ho visto che 
                  gli attivisti latinoamericani sono invece pieni di entusiasmo, 
                  ottimismo, speranza di cambiare il mondo. Lo stesso vedo con 
                  gli attivisti di molti movimenti africani. Quindi su cosa significa 
                  oggi essere ottimisti o pessimisti sarebbe interessante fare 
                  una riflessione specifica. Io credo che le canzoni di De André 
                  siano servite a creare una consapevolezza, una maggiore coscienza 
                  nelle persone. Le cose sono anche cambiate in parte in positivo: 
                  molti paesi nel mondo si sono liberati da dittature, in molte 
                  situazioni i diritti umani sono oggi, per la prima volta, garantiti. 
                  Quindi anche in un contesto preoccupante e cupo ci sono però 
                  dei segnali che indicano che alcune cose sono effettivamente 
                  cambiate, grazie alla presa di coscienza di molte persone, grazie 
                  all'impegno, grazie all'opera di trasformazione che molti hanno 
                  intrapreso. Si tratta però di un'opera incessante, continua, 
                  infinita. Nel contesto di una trasformazione che pure in parte 
                  è avvenuta, rimangono delle fortissime preoccupazioni 
                  e un pessimismo che certe volte prevale in tutti noi rispetto 
                  a ciò che può accadere. Dall'11 settembre in poi 
                  questo pessimismo è aumentato. Però le canzoni 
                  di De André sono servite a inserire un granello in un 
                  meccanismo che deve essere ostacolato, fermato perché 
                  porta il mondo verso una deriva di morte, distruzione, ineguaglianza 
                  e ingiustizia per tante persone. Noi abbiamo sempre l'idea che 
                  possa arrivare una trasformazione globale, definitiva, in cui 
                  ci sia il segno conclusivo dell'opera avviata. Sono ormai rassegnato 
                  a pensare che non è così, che noi possiamo costruire 
                  una trasformazione continua, graduale, che deve essere radicale 
                  e che ci chiama all'opera fino alla fine dei nostri giorni. 
                  Forse De André era deluso dal fatto che la sua speranza 
                  non si era realizzata come auspicava. Però molte cose 
                  sono cambiate e per alcune persone quelle canzoni sono servite 
                  a far maturare una sensibilità nuova che è poi 
                  quella che il 15 febbraio 2003 ha portato più di cento 
                  milioni di persone nel mondo a manifestare per la pace, contro 
                  la guerra in Iraq e ha portato a manifestare più di tre 
                  milioni di persone in Italia, per gli stessi motivi. Molti fra 
                  quei tre milioni conoscono De André e sicuramente per 
                  tanto tempo ancora porteranno quella musica e quelle parole 
                  nel loro cuore e nella loro mente. Quelle canzoni sono servite 
                  a molti per maturare una sensibilità pacifista che speriamo 
                  possa servire a cambiare le cose. 
                  
                  
                  Intervista a Gianni Novelli 
                  
                Cristiano e pacifista da una vita, con una profonda connessione 
                  tra questi due aspetti. Come ti collochi nel panorama del pacifismo 
                  italiano?  
                  Il mio approdo al pacifismo è avvenuto grazie all'incontro, 
                  nel corso degli anni settanta, con tanti testimoni che venivano 
                  dall'ambito del francescanesimo e facevano della pace non un 
                  semplice slogan, come quelli scritti sopra i monasteri: erano 
                  suore e monaci impegnati in prima fila nell'opposizione, nella 
                  resistenza contro la guerra nel Vietnam; lanciavano l'allarme 
                  contro la corsa agli armamenti, che leggevano non solamente 
                  come un pericolo per la loro sopravvivenza personale ma come 
                  una sorta di sacrilegio, una distruzione dell'opera di Dio. 
                  Tutto questo l'ho scoperto soprattutto negli Stati Uniti, dove 
                  c'era maggiore informazione e sensibilità e dove proprio 
                  la guerra nel Vietnam aveva creato una fortissima opposizione 
                  a questo sistema strutturale che connette economia, industria 
                  degli armamenti e ricerca delle risorse petrolifere, come una 
                  sorta di garanzia della nostra vita a spese di quella dei poveri 
                  del mondo. Tutto questo, coniugato con il Vangelo, soprattutto 
                  il discorso della montagna dove Gesù dice: “beati 
                  i costruttori di pace”, diventa una sorta di investitura 
                  che deriva dall'essere cristiano e, per me, anche dalla condizione 
                  di sacerdote. 
                   
                  Nel 1982 hai fondato a Roma il Cipax5, 
                  Centro Interconfessionale per la Pace. Come nasce e cosa fa 
                  il Cipax? 
                  In quegli anni cominciava l'installazione di una nuova generazione 
                  di missili a testata nucleare che si aggiungevano alle altre 
                  migliaia di bombe sparse per il mondo e cambiavano la qualità 
                  perché erano incontrollabili, acceleravano la possibilità 
                  di guerre nucleari scoppiate anche per errore. Cominciai a sentire 
                  la difficoltà della diffidenza che c'era nel mondo cattolico, 
                  che accusava i pacifisti di essere strumentalizzati dai comunisti, 
                  di essere utili idioti, malati di antiamericanismo, e così 
                  via. Cominciai quindi a portare le informazioni, con l'intento 
                  di far crescere la partecipazione dei cristiani, dei cattolici, 
                  alle iniziative del movimento per la pace, che erano molto più 
                  forti negli Stati Uniti, in Germania, in Belgio e in altri paesi 
                  dove i cristiani, le suore (sono state loro le mie maestre), 
                  erano in prima fila in questa resistenza. Quindi si è 
                  trattato di un lavoro di informazione, di contatti, di traduzione 
                  di documenti che in Italia non erano conosciuti e diffusi. Basti 
                  pensare che i pochi che si erano impegnati su questa linea, 
                  don Milani, padre Balducci, mons. Bettazzi, erano notevolmente 
                  ostacolati, sia politicamente che religiosamente. 
                   
                  Passando a De André, canzoni come La 
                  guerra di Piero e La ballata dell'eroe, 
                  scritte nei primi anni Sessanta, sono state spesso bollate come 
                  espressioni di antimilitarismo romantico, ingenuo, non applicabile 
                  nella realtà. Tu pensi che fossero ingenue? Esistono 
                  il pacifismo ingenuo e quello realista? 
                  L'espressione “ingenuo” è una di quelle che 
                  mi sono sentito attribuire tante e tante volte e probabilmente 
                  è anche bello perché significa avere un occhio 
                  più pulito, non ideologizzato. Significa saper cogliere 
                  alcuni frammenti di realtà profonde che vengono molto 
                  nascoste. Io sono stato innamorato de La guerra di Piero 
                  e lo sono ancora. Ci trovo la profondità di cogliere 
                  l'uomo nel soldato, da una parte e dall'altra. Vedere gli occhi 
                  sotto la divisa. Vedere l'amore che è stato soffocato, 
                  quello di Ninetta nel caso di Piero, ma anche l'altro soldato 
                  avrà avuto una donna che l'aspettava. Insomma ci trovo 
                  la capacità di cogliere l'umanità che non viene 
                  divisa fra amici e nemici perché appartiene a tutta la 
                  famiglia umana. Chiaramente De André non è stato 
                  un analista di strategie militari, di economia militare, di 
                  schieramenti, di tecnologie. Ha colto invece la profonda umanità 
                  di queste persone, come di tanti altri suoi personaggi, umili, 
                  sofferenti, emarginati, ma che esprimono una ricchissima umanità. 
                  In questo senso si coglie proprio la vena anarchica di De André, 
                  quella passione anarchica che rifiuta le schematizzazioni che 
                  dall'alto dividono l'umanità. 
                   
                  Considerato il tuo particolare osservatorio pensi che 
                  quelle canzoni, capitate proprio a ridosso del Concilio, abbiano 
                  fatto breccia nell'ambiente cattolico di quegli anni? Hanno 
                  fatto avvicinare qualche cattolico al movimento pacifista? 
                  Credo di sì. Ti basti pensare che Il Pescatore 
                  la cantiamo ancora oggi qui, nella comunità di San Paolo6, 
                  durante la celebrazione dell'Eucaristia: è uno dei canti 
                  che utilizziamo durante la messa. Fabrizio una volta, rispondendo 
                  alle domande di un giornalista, aveva usato queste parole: “la 
                  canzone è un miracolo. Certo non è paragonabile 
                  alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ma, Cristo! Come 
                  si fa a spiegare un'emozione, soprattutto se riesci a comunicarla?”. 
                  Ebbene io penso che invece quelle canzoni si possano proprio 
                  paragonare alla moltiplicazione dei pani e dei pesci. Sono canzoni 
                  che continuano ancora a scuotere la coscienza, anche se forse 
                  appartengono a una specifica generazione, non tanto intesa in 
                  senso cronologico, ma in senso ideale, nel senso che richiedono 
                  una certa maturità. Ho scoperto infatti che, fra i giovani 
                  di diciassette, diciotto anni con cui lavoro, De André 
                  è quasi sconosciuto, se non fra quelli che hanno già 
                  sviluppato una certa sensibilità, che sono più 
                  consapevoli, già impegnati nel volontariato, nell'attività 
                  per la pace. 
                   
                  Nel 1970, con La Buona Novella, De 
                  André ha fatto un collegamento forte fra la figura di 
                  Gesù e un pacifismo di tipo radicale. Nel suo testo si 
                  dice che la croce è destinata: “a chi guerra insegnò 
                  a disertare”. Più avanti ha detto che: “Gesù 
                  è stato il più grande rivoluzionario dell'amore 
                  che donna abbia mai messo al mondo”. Come ti trovi in 
                  queste definizioni? 
                  Mi trovo molto bene, sono piene di una intuizione profonda, 
                  piene di spirito evangelico, anche se poco ecclesiastiche, ma 
                  c'è una grande differenza fra lo spirito evangelico e 
                  quella che è poi la pratica religiosa. Dico questo in 
                  particolare per la difficoltà che le istituzioni religiose 
                  hanno a cogliere e capire queste grida di rivolta, di insorgenza. 
                  Mi riallaccio qui a don Milani, che fu il primo a difendere 
                  gli obiettori di coscienza, che scrisse la sua lettera: L'obbedienza 
                  non è più una virtù e che per la sua 
                  difesa degli obiettori fu processato e condannato, dopo la morte, 
                  per apologia di reato. Io allora vedo la Bocca di Rosa di De 
                  André come un personaggio davvero dirompente, perché 
                  “metteva l'amore sopra ogni cosa”, e “portò 
                  l'amore nel paese”. Anche lei mi pare piena di spirito 
                  evangelico. So che questo parallelismo potrà fare arricciare 
                  il naso a qualcuno ma... lo trovo molto bello! In tutto questo 
                  ritrovo, ancora una volta, la grande vena anarchica di De André, 
                  figlio di un antifascista che dovette darsi alla macchia per 
                  sfuggire ai fascisti che lo braccavano e che poi ha avuto questo 
                  grande incontro con gli anarchici che sono stati determinanti 
                  per la sua vita, che lo hanno accompagnato e da cui ha certamente 
                  appreso il grande senso positivo della critica radicale alle 
                  istituzioni politiche, economiche, ecclesiastiche, quella capacità 
                  di svelarne le ipocrisie e anche di deriderle.
                   
                   
                  Segni di  “pace terrificante” 
                
  Oggi com'è il rapporto tra laici e cristiani 
                  impegnati nella pace? C'è una differenza di impostazione? 
                  Sì, direi che ci sono molte differenze di articolazione 
                  di pensiero, di obiettivi. Però c'è anche una 
                  forte consapevolezza comune della ineludibilità della 
                  necessità di costruire la pace, di salvaguardare l'ambiente, 
                  di cercare la giustizia sociale, di lavorare in solidarietà 
                  con i poveri del mondo, con le vittime delle guerre in atto. 
                  Ci sono anche molte manifestazioni che si fanno insieme, che 
                  per me sono motivo di gioia. All'inizio venivo fortemente ostacolato, 
                  adesso invece c'è una grande cooperazione, basti pensare 
                  alle marce Perugia-Assisi affollate di scout o alle grandi manifestazioni 
                  del 1993 contro la prima guerra del Golfo, che hanno visto sfilare 
                  anche tante suore e preti o ancora alla partecipazione dei francescani 
                  alle manifestazioni a Comiso, dove nel 1982 vennero installati 
                  i primi 115 missili “Cruise” d'Europa con la testata 
                  nucleare. Voglio ricordare in particolare don Tonino Bello7, 
                  che è stato il nostro più grande maestro e grande, 
                  indimenticabile esempio nel far sì che i cattolici in 
                  Italia diventassero membri attivi, partecipi, assieme a tante 
                  altre donne e uomini di buona volontà, di tutte le iniziative 
                  per la pace. 
                   
                  De André negli anni novanta con La domenica 
                  delle salme ha parlato anche di una “pace terrificante”, 
                  una pace dove la gente non ha più voglia di protestare 
                  e dove non si accorge dei grandi drammi che la circondano. In 
                  quella occasione aveva anche detto che contro questo tipo di 
                  pace preferiva combattere. Non si tratta forse di una contraddizione? 
                  Questa pace terrificante è come una guerra o è 
                  peggio di una guerra? 
                  Raccolgo questa intuizione perché in quegli anni, dopo 
                  la caduta del muro di Berlino, era venuto meno l'equilibrio 
                  del terrore, era diminuita la contrapposizione globale Est-Ovest 
                  e molti movimenti pacifisti si concentravano di più su 
                  altri fenomeni negativi legati a situazioni economiche e politiche. 
                  Davano l'impressione di essersi un po' seduti. Finita la minaccia 
                  nucleare, ci si poteva godere una pacifica tranquillità 
                  dimenticando tutte le guerre in atto: pensiamo a quelle in Africa, 
                  nell'America Latina, nei Balcani. Guerre lontane dai nostri 
                  confini e dai nostri teleschermi ma non per questo meno violente 
                  e distruttive. Avevamo raggiunto una certa tranquillità, 
                  ma non era certo la pace. Era il silenzio sulle decine di situazioni 
                  di guerra nel mondo. Non vedere i volti delle vittime faceva 
                  credere che non ce ne fossero e non ce ne sarebbero state più. 
                  La pace invece deve essere indivisibile e universale. Deve essere 
                  frutto della giustizia e la giustizia è frutto di lotte, 
                  a volte anche pagate a carissimo prezzo. Rimuovere i conflitti, 
                  lasciarli lontani, non farsi coinvolgere, non rimboccarsi le 
                  maniche e pagarne anche i costi, non è vera pace; è 
                  ipocrisia, è codardia, è porre le premesse per 
                  future violenze. Il pacifismo vero si impegna costantemente 
                  a costruire la pace. È impegno, è sacrificio, 
                  è cambiare la nostra vita perché tutti abbiano 
                  possibilità di vita vera. 
                   
                  Hai appena detto che la giustizia viene prima della pace 
                  e questo mi porta a ricollegarmi con l'opera di De André. 
                  Penso a canzoni come Fiume Sand Creek e 
                  Sidùn, dove si parla di massacri 
                  di interi popoli, di diritti negati. Pensi che questa necessità 
                  di coniugare pace e giustizia sia ormai un dato acquisito dal 
                  movimento pacifista? 
                  Sì, difatti l'impegno pacifista, in questo momento, in 
                  Italia, è molto più concentrato sul tema della 
                  costruzione di un tipo di giustizia, di economia diversa. Penso 
                  all'impegno per l'ambiente, a iniziative come il commercio equo, 
                  i bilanci di giustizia e tante altre. C'è molta sensibilità 
                  su questo terreno della giustizia, forse si potrebbe affermare 
                  che questo è prevalentemente il campo di impegno del 
                  movimento per la pace, in questo momento in Italia: la promozione 
                  di una economia di giustizia e di eguaglianza. Questo proprio 
                  perché il nostro privilegio è tutelato dalle armi 
                  ed è intrinsecamente origine di guerre. Pensiamo all'Iraq, 
                  dove siamo intervenuti per garantirci le nostre risorse petrolifere. 
                  In contrapposizione con questa economia di guerra i pacifisti 
                  propongono una economia di austerità e redistribuzione 
                  in modo che vi sia possibilità di sostentamento per tutti. 
                  Questi elementi sono collegati in una dimensione più 
                  profonda e globale del pacifismo. 
                   
                  Con Girotondo, nel lontano 1967, 
                  De André ha affrontato il tema del rischio dell'annientamento 
                  totale a causa di una guerra nucleare. Pensi che sia un tema 
                  ancora attuale? 
                  Nei contenuti è senz'altro ancora attuale, anche se in 
                  quel momento c'era proprio la corsa all'armamento nucleare che, 
                  a causa della contrapposizione Est-Ovest, costituiva una minaccia 
                  enorme. Oggi il rischio di annientamento non è prevalentemente 
                  quello della catastrofe nucleare ma è di altra natura: 
                  ecologica, economica, per l'esaurimento delle risorse. Però 
                  rischi di catastrofe globale ce ne sono ancora. Quindi quel 
                  Girotondo, nel suo simbolo e nel suo messaggio, lo ritengo ancora 
                  attuale. 
                   
                  Se avessi avuto la possibilità di parlare con De 
                  André, da vecchio pacifista a vecchio artista, cosa gli 
                  avresti detto? 
                  Io gli avrei detto un “grazie” molto sentito, perché 
                  l'ho sentito molto amico, compagno di strada; con la sua ricchezza, 
                  con le sue doti, le sue intuizioni, la sua spiritualità. 
                  Grazie per aver gettato dei fasci di luce in notti che erano 
                  molto tenebrose ed aver così indicato delle strade che 
                  con lui, con altri, ho avuto la gioia di percorrere.
  
                  Da anziano De André sembrava aver perso la speranza 
                  che il mondo potesse effettivamente cambiare. In una delle ultime 
                  interviste, proprio parlando della Guerra di Piero 
                  e di altre sue canzoni a tema pacifista disse: “Della 
                  guerra ne ho parlato tanto ma mi sono reso conto che, potrò 
                  forse essere riuscito a scuotere leggermente la coscienza di 
                  qualcuno, ma non è servito assolutamente a niente”. 
                  Tu pensi che sia servito oppure aveva ragione lui, non è 
                  servito a niente cantare contro la guerra? 
                  Su giudizi di questo tipo pesano un po' tutte le esperienze 
                  dolorose di una vita. E devo dire che personalmente credo che 
                  in realtà il pacifista ben poco possa fare per fermare 
                  le guerre. Sono macchine talmente forti, mastodontiche, inarrestabili… 
                  il pacifista può agire però sul livello delle 
                  coscienze e in questo senso De André ha fatto moltissimo. 
                  Se avessi potuto gli avrei detto questo, nella speranza di dargli 
                  motivo di essere più ottimista: le guerre non le ferma 
                  nessuno, però le coscienze liberate possono diventare 
                  motore di cambiamento e in questo percorso sono importantissime 
                  queste iniezioni di energia spirituale che ci vengono dagli 
                  artisti, dai profeti, dai poeti, da questi grandi che abbiamo 
                  la fortuna di incontrare sul nostro cammino. 
                Renzo Sabatini 
                  
                Note
 
                  - Ics: Italian Consortium of Solidarity. Oggi è una ong 
                  idonea ai sensi della legge 49/87 sulla cooperazione allo sviluppo.
                  
 - www.lunaria.org 
                  
 - www.sbilanciamoci.org 
                  
 - www.sciint.org 
                    – www.sci-italia.it 
                  
 - http://www.cipax-roma.it 
                  
 - Storica comunità cristiana di base a Roma. Per approfondimenti 
                    vedi: www.cbditalia.it 
                    e www.cdbsanpaolo.it 
                  
 - Tonino Bello (1935-1993), vescovo di Molfetta, animatore 
                    di Pax Christi, protagonista di molte iniziative per la pace 
                    (www.dontonino.it) 
                
  
                  (interviste realizzate via telefono nel marzo 2005; registrate 
                  presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. Andate in 
                  onda nell'ambito della trasmissione radiofonica settimanale: 
                  “In direzione ostinata e contraria”, dedicata ai 
                  personaggi delle canzoni di Fabrizio De André)
                
  
                
                   
                    |   In 
                        direzione ostinata e contraria  
                       Con 
                        queste due interviste, prosegue la pubblicazione su “A” 
                        di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche 
                        realizzate da Renzo Sabatini e andate 
                        in onda in Australia nel programma “In direzione 
                        ostinata e contraria” sulle frequenze di Rete Italia 
                        fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si 
                        è trattato di sessanta puntate (ciascuna della 
                        durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 
                        40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state 
                        trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni 
                        di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più 
                        lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al 
                        cantautore genovese. 
                       Se proponiamo questi testi, 
                        è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio 
                        e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio 
                        e voce ne hanno poco o niente nella “cultura” 
                        ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del 
                        cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio 
                        e poste alla base di una riflessione critica sul mondo 
                        e sulla società, con quello sguardo profondo e 
                        illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con 
                        una profonda sensibilità libertaria e – scusate 
                        la rima – sempre in direzione ostinata e contraria. 
                       Precedenti interviste 
                        pubblicate: a Piero 
                        Milesi (“A” 370, aprile 2012), a Carla 
                        Corso (“A” 371, maggio 2012), Porpora 
                        Marcasciano (“A” 372, maggio 2012), Franco 
                        Grillini (“A” 373, estate 2012), Massimo 
                        (“A” 374, ottobre 2012), Santino 
                        “Alexian” Spinelli (“A” 375, 
                        novembre 2012)); Paolo 
                        Solari (“A” 376, dicembre-gennaio 2012-2013); Gianni Mungiello, 
                  Armando Xifai, Alfredo Franchini (“A” 377, febbraio 
                  2013). 
                       la redazione di “A”  | 
                   
                 
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