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                 Dante collocò Dolcino allinferno nel 
                  girone riservato agli eresiarchi, i fondatori di eresie, ma 
                  ben chiaro è il rispetto che egli mostra per luomo che aveva 
                  osato ribellarsi alla Chiesa di Roma non solo sul piano dottrinale 
                  ma divenendo altresì punto di riferimento per una rivolta armata 
                  dei contadini del vercellese durata 7 anni. Assai chiaro è altresì 
                  il disprezzo di Dante per i suoi persecutori i papi Bonifacio 
                  VIII e Clemente V, per quali il poeta trova un posto nello stesso 
                  inferno. Ricordare oggi Dolcino nellanniversario del rogo in 
                  cui terminò la sua rivolta non è mera operazione di rievocazione 
                  storica ma tentativo di riannodare i fili di una memoria attraverso 
                  la quale la storia della ribellione dolciniana diviene mito 
                  potente capace di giungere sino ai giorni nostri come riferimento 
                  ideale delle lotte degli oppressi contro la gerarchia e lo sfruttamento. 
                   
                  Leresia dolciniana si colloca nel grande filone che va da Gioacchino 
                  da Fiore ai Catari, Patari, Gazzeri, Bogomili, Valdesi, fraticelli, 
                  il cui caposaldo è nel rifiuto del principio di autorità e quindi 
                  della Chiesa alla quale non si debbono pagare le decime. Dolcino 
                  predicava la povertà come distacco dal potere e dalla gerarchia, 
                  la comunione dei beni materiali, lassenza di vincoli formali 
                  di obbedienza. La sua era una dottrina radicale che incontrandosi 
                  con le esigenze emergenti dalla disperata condizione dei servi 
                  della gleba e del popolo minuto delle città porta ad una rivolta 
                  che per le autorità religiose e civili del tempo rappresentò 
                  una terribile minaccia per lordinamento istituzionale e sociale. 
                  I dolciniani raccolsero consenso tra masse povere rurali ed 
                  urbane e, anziché farsi massacrare inermi, si armarono, espropriarono 
                  per sopravvivere i ricchi, inventarono la guerra di guerriglia, 
                  in pianura e in montagna1. 
                  Nel 1897 lo storico Antonio Labriola scrisse che nel moto dolciniano 
                  conversero gli elementi tutti di una rivoluzione sociale. 
                  Più tardi lo storico contemporaneo Eugenio Anagnine, chiedendosi 
                  le ragioni del persistente interesse suscitato da un episodio 
                  isolato, svoltosi nellalta montagna piemontese, lontano dai 
                  grandi centri scrive: vi fu quello strano connubio della religione 
                  e della politica, delle aspirazioni mistiche e delle rivendicazioni 
                  sociali a stampo anarchico, che spaventano nel contempo le gerarchie 
                  ecclesiastiche (...) e la borghesia comunale (...), la vampata 
                  di rivolta sociale e religiosa (...) minacciava tutti in una 
                  volta gli interessi spirituali della Chiesa, gli interessi politici 
                  dei grandi feudatari, gli interessi sociali della borghesia 
                  comunale.  
                   
                 
                 
                     
                  Una marcia da leggenda 
                 Lepopea dolciniana si svolse nellarco di 7 anni che videro 
                  gli apostolici al centro di una rivolta che mise in seria difficoltà 
                  le armate cattoliche tra il 1300 e il 1307. Seguace dellapostolico 
                  Segalello, pacifico autore di Misteri Buffi, assiste a Parma 
                  al suo rogo nel luglio del 1300 e nellagosto assume la guida 
                  degli apostolici. Nel 1303 è rifugiato nelle Alpi Giulie da 
                  dove parte la sua lettera ai fedeli (che sono circa 4000 ed 
                  armati) in cui sono contenuti i fondamenti della sua dottrina. 
                  Nel 1904 Dolcino attraversa in armi la pianura padana e giunge 
                  a Gattinara, ove viene ben accolto dalla popolazione locale 
                  che aveva appena cacciato i conti Arborio, signori feudali della 
                  zona. Lesercito dolciniano conta 5000 uomini e raccoglie la 
                  adesioni di parte del clero di Gattinara e molti degli abitanti 
                  dei borghi della Val Sesia. I dolciniani si fortificano a Gattinara 
                  e fanno scorrerie nei territori circostanti; inoltre Dolcino 
                  impone tasse a ricchi e nobili. Nel marzo di quello stesso anno 
                  lesercito degli apostolici sconfigge una lega cattolica organizzata 
                  contro di lui dai nobili e dal clero. Nellestate la lega si 
                  riorganizza e Dolcino si ritira in Valsesia mentre Gattinara 
                  viene devastata e gli abitanti sterminati dallesercito cattolico. 
                  I dolciniani vengono progressivamente circondati e si barricano 
                  in montagna sulla parete Calva ove trascorrono un difficilissimo 
                  inverno.  
                  Una marcia da leggenda attraverso i valichi alpini porta poi 
                  gli apostolici nel biellese ove inizia una lotta senza quartiere, 
                  feroce e totale: il 23 marzo del 1307 i dolciniani vengono definitivamente 
                  sconfitti sul monte Rubello. Dolcino, Cattaneo Longino e Margherita 
                  leader teorici e militari degli eretici pauperisti vengono feriti 
                  e catturati. Condannati al rogo ed alla tortura verranno ferocemente 
                  tormentati con tenaglie roventi e bruciati vivi. Negli anni 
                  e secoli seguenti la persecuzione continua senza tregua. 
                   
                 
                  
                  
                  Poveri cristi e sovversivi 
                 Nonostante la sconfitta, nonostante la sorte atroce che toccò 
                  ai ribelli apostolici, i poveri cristi, la memoria popolare 
                  di Fra Dolcino non si spense mai in Valsesia e nel biellese 
                  e dopo la rivoluzione francese divenne un riferimento politico. 
                  Paradossalmente è la stessa Chiesa ad alimentare il mito di 
                  un Dolcino socialista. Nel 1866 a Crocemosso, dove tre anni 
                  prima era sorta la Società delle tessitrici e dei tessitori 
                  di Crocemosso, organizzazione operaia al centro di lotte e 
                  scioperi per oltre quarantanni, in una predica i dolciniani 
                  sono già presentati come anticipatori dei socialisti in quanto 
                  i primi e i secondi sono contro lautorità, la proprietà privata, 
                  il matrimonio istituzionale e a favore del comunismo. Nel 
                  tardo 800 il monte Rubello ove si svolse lultima battaglia 
                  degli apostolici diviene luogo prescelto per le riunioni di 
                  sovversivi biellesi di varie tendenze: mazziniani, radicali, 
                  anarchici, socialisti.  
                  Nel 1907, sesto anniversario della battaglia del Rubello, lo 
                  scontro tra le forze laiche e la chiesa diviene asprissimo: 
                  fiorisce da entrambe le parti la pubblicistica. Nellagosto 
                  del 1907 il comitato per il centenario formatosi per loccasione 
                  inaugura sul monte Mazzaro (vicinissimo al Rubello) un obelisco 
                  alto 10 metri, costruito grazie ad una grande campagna di sottoscrizione. 
                  Alla cerimonia di inaugurazione sono presenti 10.000 persone. 
                   
                  Lobelisco verrà fatto saltare dai fascisti, ma sullo stesso 
                  luogo quasi cinquantanni dopo, nel 1974 un gruppo di amici 
                  attivi nel movimento operaio biellese, fece erigere una croce 
                  catara, inaugurata con una grande festa popolare e la rappresentazione 
                  con Dario Fo e Franca Rame di Mistero Buffo. Il filo della 
                  memoria non si spezza, perché non si spezza mai, nonostante 
                  la repressione clericale e statuale il filo della rivolta tra 
                  gli operai e i contadini biellesi e vercellesi. Durante la resistenza 
                  numerosi partigiani delle valli biellesi adottano il nome di 
                  battaglia di Dolcino. La storia e il mito di Fra Dolcino sono 
                  ancor oggi capaci di suscitare passioni e di intimorire la chiesa. 
                  Del tutto emblematica è la recente vicenda della lapide a Dolcino, 
                  che nel 1907 il movimento operaio vercellese volle collocata 
                  nella propria casa del popolo. Gli operai valsesiani, biellesi 
                  e vercellesi riconoscevano in Dolcino il simbolo di una rivolta 
                  le cui ragioni erano idealmente anche le loro: oltre alla lapide 
                  in questione eressero sul Massaro un obelisco che, nel 1917, 
                  rappresentò punto di riferimento pacifista per una semiclandestina 
                  marcia socialista contro la guerra mondiale che mieteva a migliaia 
                  giovani vittime. 
                 
                 
                   
                    Le 
                  pressioni della Curia 
                 La lapide a Dolcino fu rimossa dai fascisti e 
                  finì in un solaio: ritrovata nel 1987 fu portata al Museo Civico 
                  Leone. Da allora iniziò una lunga battaglia perché la lapide 
                  venisse ricollocata in un luogo pubblico. Il momento pareva 
                  giunto il 3 marzo di questanno: gli operai del comune avevano 
                  già iniziato i lavori per sistemare la lapide lungo lo scalone 
                  di ingresso del Municipio di Vercelli, ma allimprovviso dal 
                  sindaco, Gabriele Bagnasco, giunge il contrordine ed in fretta 
                  e furia i lavori vengono sospesi e la lapide viene invece collocata 
                  nellatrio dellAuditorium di Santa Chiara in posizione decisamente 
                  più defilata rispetto alla precedente. La Curia nega di aver 
                  esercitato pressioni ma non nasconde la propria soddisfazione 
                  per linteressamento alla questione di alcuni consiglieri 
                  cattolici che sostengono la giunta comunale vercellese.  
                  Dolcino evidentemente fa ancora paura ad una Chiesa che proclama 
                  ufficialmente di pentirsi per le colpe del passato ma versa 
                  solo lacrime di coccodrillo mentre si accanisce contro i propri 
                  oppositori anche dopo quasi 7 secoli. Dolcino evidentemente 
                  fa ancora paura, fa paura perché la sua storia e il mito che 
                  ne è derivato appartengono ad una memoria collettiva che dopo 
                  quasi sette secoli continua a riemergere ispirando nuovi movimenti 
                  di emancipazione e di libertà. Roberto Prato scrisse descrivendo 
                  lerezione della croce catara sul Rubello nel 1974: Così i 
                  nipoti tornavano, con nuove pietre, alle pietre dei nonni. 
                  ...la storia è matrice del mito, e questultimo diviene motore 
                  e funzione di una nuova storia. 
                   
                  Maria Matteo 
                 
                  P.S. I miei ringraziamenti al professor Roberto 
                  Prato, storico ed anarchico, fine conoscitore dellavventura 
                  politica, religiosa ed umana di Dolcino, autore del saggio Fra 
                  Dolcino. Storia, dottrina, mito, da cui larticolo prende ampiamente 
                  spunto. 
                   
                   
                  1 Fra Dolcino. Storia, dottrina, mito saggio inedito del 25 
                  febbraio 1992 di Roberto Prato. 
                  
                
                  
                     
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                         A 
                          Fra Dolcino  
                          qui in Vercelli attanagliato ed arso  
                          il primo giugno 1307  
                          per aver predicato  
                          pace ed amore tra gli uomini  
                        Questo 
                          il testo della lapide a Dolcino collocata sulla facciata 
                          della Casa del Popolo di Vercelli nel 1907, seicentesimo 
                          anniversario del rogo. Dal marzo di questanno la lapide 
                          è stata collocata nellatrio dellAuditorium di Santa 
                          Chiara in posizione defilata rispetto a quella prevista 
                          (nello scalone del municipio) a causa delle pressioni 
                          del vescovo di Vercelli. 
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