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                 Larrivo dellestate rimane lultimo 
                  baluardo delle buone intenzioni: non cè che dire, anche 
                  se appartenete a quella metà ditaliani che possono permettersi 
                  solo il lusso di una granita ai giardini sotto casa, listinto 
                  a vivere meglio prende il sopravvento. 
                  Tutte le cose rimandate durante lanno trovano la giusta collocazione 
                  quando il termometro inizia a salire: imbiancature, separazioni 
                  e naturalmente letture. Soprattutto letture. 
                  Personalmente passo undici mesi allanno ad accumulare mattoni 
                  di saggistica polverosa e di narrativa punitiva con il fermo 
                  proposito di rieducarmi ad agosto. Per fortuna il sopraddetto 
                  istinto a vivere meglio schiaccia queste velleità costrittive 
                  e placidamente la mia volontà si orienta verso Zagor 
                  - senza sensi di colpa. 
                  Eppure tra Zagor e  LUomo e la morte dal Medioevo a oggi 
                  di Philippe Ariès (Mondadori, pagg. 778, lire 25.000) 
                  esiste una nicchia di libri che mi sento di consigliare agli 
                  amici della rivista; libri che hanno passato il vaglio ferroviario 
                  della Milano Centrale - Follonica: sette ore di treno nelle 
                  quali un libro deve dare tutto. Deve passare il primo cambio 
                  a Genova Principe dove il senso del dovere è esaurito, 
                  deve resistere alle gallerie fino a La Spezia, deve trascinarti 
                  fino allultimo cambio di Livorno e dispiacerti che manca solo 
                  un ora allarrivo. 
                  Di questa sparuta schiera un posto lo merita Paolo Nori Bassotuba 
                  non cè (Einaudi, Torino, 2000, pagg. 149, lire 14.000), 
                  un piccolo caso letterario imposto alla critica ed allEinaudi 
                  dallinvincibile tam tam dei lettori. Un affresco feroce e smagato 
                  dellinossidabile provincia italiana - in questo caso Parma 
                  - abitata da magazzinieri che si chiamano tra loro con nomi 
                  americanizzati (Endi, Gièc, Nic), da ninfomani ex fidanzate 
                  del capo, da miss Italia di Salsomaggiore che fanno da contorno 
                  a Learco Ferrari trentacinquenne in cerca di un editore disponibile 
                  a pubblicare i suoi romanzi e della sua donna Bassotuba che 
                  lo ha lasciato per un sociologo seguace del filosofo Vattimo. 
                  Una vita da mezza bohème emiliana senza eroismo, divisa 
                  tra il lavoro di magazziniere, traduzioni di manuali tecnici 
                  e lassidua lettura di Umanità Nova  e dei classici 
                  anarchici anche se Learco Ferrari pensa che: mi piacerebbe 
                  essere anarchico. Però, non lo so, se sono anarchico 
                  o no. Voi siete anarchici. Be: io sono molto, ma molto, ma 
                  molto più incazzato di voi. Beato lui. 
                  Comunque il libro diverte e merita di essere letto, naturalmente 
                  se resistete allirritante modo di scrivere poetico-borgataro 
                  che flagella tutta la narrativa contemporanea italiana. 
                  Altra figura (questa volta reale) che ha molto frequentato gli 
                  anarchici è Cesare Lombroso cui Luigi Guarnieri dedica 
                  uninsuperabile biografia ( Latlante criminale. Vita scriteriata 
                  di Cesare Lombroso. Mondadori, Milano, 2000, pagg. 273, 
                  lire 29.000). 
                  Un lavoro appassionato a tal punto da uscire dalla paludata 
                  saggistica per entrare nel mondo dei romanzi a sfondo biografico. 
                  Perché la vita di Lombroso è di per sé 
                  romanzesca essendo luomo che più ha fatto per distruggere 
                  la sua fama scientifica. Lo studioso italiano più conosciuto 
                  al mondo a cavallo dei due secoli è riuscito a trasformare 
                  i suoi studi ultra positivisti sulluomo criminale (tra cui 
                  naturalmente lanarchico al quale dedica un apposito lavoro) 
                  basati sulla fisiognomica, sulla misurazione del cranio e sulla 
                  pseudo anatomia alla ricerca di una fantomatica fossetta occipitale 
                  mediana nel cervello, in uno dei casi letterari più interessanti 
                  dellottocento. 
                  Egli infatti non va ricordato come scienziato ma come geniale 
                  maestro del racconto gotico italiano, oggi sicuramente ricercato 
                  ospite in tutti gli horror festival della penisola. Non ci credete? 
                  Cito dalla sua opera massima Trattato antropologico sperimentale 
                  dellUomo Delinquente (1876): N. danni 27, impiegato di 
                  commercio (...) incontra un giorno, passando per un corridoio 
                  oscuro, un povero vecchio malato e debole, al quale con un bastone 
                  di ferro spezza il cranio e lo stramazza al suolo; gli apre 
                  il cranio e ne estrae lencefalo, che parte mangia e parte avvolge 
                  in un fazzoletto, (...) un giorno trovandosi co i medici nella 
                  sala delle autopsie, cogliendo un momento in cui crede di non 
                  essere veduto, simpadronisce di un cervello e si mette a mangiarlo 
                  con avidità, chiuso nuovamente fra i pericolosi, fu sorpreso 
                  a divorare cervelli di uccelli che prende nella corte. Daltronde 
                  un delinquente nato di questa specie è per Lombroso riconoscibile 
                  a prima vista avendo come tutti gli omicidi abituali: sguardo 
                  vitreo, freddo, immobile, qualche volta sanguigno o iniettato; 
                  il naso spesso aquilino, adunco o meglio grifagno, sempre voluminoso, 
                  abbondanti capelli oscuri, canini sviluppati, quasi a sogghigno 
                  o minaccia. 
                  In questo mondo popolato da urlatori a squarciagola, imbecilli, 
                  beoni e donne che normalmente assomigliano a cinesi, negroidi 
                  ed affetti da cretinismo il grande Lombroso riesce a toccare 
                  le vette del genio puro, nellarticolo scientifico (ma sarebbe 
                  meglio dire pre-dadaista) Studi sui segni professionali dei 
                  facchini e sui lipomi delle Ottentotte, cammelli e zebù 
                  nel quale arriva a teorizzare che la caratteristica gobba 
                  presente sul collo dei facchini torinesi non è il frutto 
                  del bestiale lavoro bensì un tratto ereditario comune 
                  ai cammelli ed ai voluminosi deretani delle donne africane... 
                  non cè che dire un libro da non perdere. 
                  Se i criminali del professor Lombroso ci fanno ridere, i criminali 
                  guerrafondai ci lasciano sgomenti. Tanto più oggi quando 
                  anche le ipocrite e tenui convenzioni internazionali sul rispetto 
                  dei prigionieri e della popolazione civile sembrano ridicole 
                  barzellette, dato che gli ultimi conflitti cinsegnano che non 
                  si fanno prigionieri e la guerra la si fa contro la popolazione 
                  civile. 
                  Quello che a scuola ci raccontavano per edulcorare la cupa realtà: 
                  una sorta di onesto confronto tra gentlemen in divisa è 
                  definitivamente svanito lasciandoci sempre più intendere 
                  che la guerra contemporanea ha i suoi nuovi codici donore nello 
                  stupro etnico, negli squadroni della morte, nelle mine antiuomo. 
                   Crimini di guerra. Quello che tutti dovrebbero sapere 
                  (Internazionale, Contrasto, Roma, 2000, pagg. 399, lire 38.000) 
                  è un coraggioso dizionario dellorrore curato da Roy 
                  Gutman e David Rieff che affrontano il tema da una prospettiva 
                  originale: il diritto di guerra. 
                  Forse a qualche lettore sembrerà inopportuno che su una 
                  rivista anarchica si vada a rivendicare il diritto internazionale 
                  sottoscritto da stati ma io penso che su questo tema abbiamo 
                  il dovere morale di utilizzare tutti gli strumenti a nostra 
                  disposizione per inchiodare i signorotti della guerra alle loro 
                  responsabilità, compreso ritorcergli contro quello che 
                  hanno messo in campo in termini giuridici per dimostrare che 
                  si può fare una guerra pulita. Ebbene, concorderete con 
                  me che ammazzare la gente non può essere mai una cosa 
                  pulita ma non possiamo accettare limperante propaganda militarista 
                  che spinge lopinione pubblica verso un pericoloso relativismo 
                  dove i campi di sterminio ed il genocidio tutto sommato rientrano 
                  tra le opzioni ragionevoli di una guerra moderna. 
                  Chi invece continua la sua guerra da solo come un giapponese 
                  nella giungla è il papa, che a forza di chiedere scusa 
                  per le malefatte compiute dalla sua chiesa intollerante nei 
                  secoli passati, si è accorto tardi che a guastargli il 
                  giubileo ci vogliono provare i gay... daccordo Giordano Bruno 
                  ma adesso anche gli omosessuali gli deve essere sembrato troppo. 
                  Del resto il prete perde il pelo ma non il vizio. 
                  Così, giusto per infastidire i nostri amici clericali, 
                  consiglio la lettura de Il manuale dellinquisitore. 
                  (Nicolau Eymerich, Fanucci Editore, Roma, 2000, pagg. 266, lire 
                  20.000) una edizione curata da Luis Sala-Molins tratta dal  
                  Directorium inquisitorium  scritto dal terribile domenicano 
                  Nicolau Eym 
rich alla fine del XIV secolo e pubblicata 
                  in stampa nel 1503 con le chiose di Francisco Peña. Lopera 
                  che aveva il preciso intento di unificare le varie procedure 
                  adottate dai tribunali inquisitoriali rimane una testimonianza 
                  inequivocabile della ferocia ecclesiastica, ben superiore alla 
                  stessa brutalità normalmente accettata in quellepoca 
                  nei tribunali civili. Scrive infatti fra Nicolau: Se, per 
                  altri delitti e davanti ad altri tribunali, la regola è 
                  di non torturare mai certe categorie di persone (per esempio 
                  i dottori, i soldati, gli ufficiali e i loro figli, i bambini 
                  e i vecchi), per lorribile crimine di eresia non ci sono privilegi 
                  derogatori né eccezioni: tutti possono essere torturati. 
                  La ragione? Linteresse della fede, daltro canto almeno Francisco 
                  Peña ha il merito di parlar chiaro: La finalità del 
                  processo e della condanna a morte non è salvare lanima 
                  dellaccusato, ma mantenere il bene pubblico e terrorizzare 
                  il popolo. Una tesi che troverebbe sostenitori anche oggi. 
                  Ma i comunisti, i comunistoni di una volta, dove sono finiti? 
                  Rimpiango i bei tempi in cui ad ogni fine estate cera qualche 
                  estimatore vacanziero del modello cubano il quale, non potendo 
                  convincerti sulla liberalità del socialismo caraibico, 
                  ripiegava sullesaltazione del sistema sanitario, non rendendosi 
                  conto di sfiorare pericolosamente i nostalgici delle bonifiche 
                  pontine. Oggi lappeal socialista di Fidel ha lasciato il posto 
                  ai villaggi turistici ed allo squallido turismo sessuale, eppure 
                  vale la pena rammentare che il regime è ancora lì 
                  e che Cuba ha avuto un forte movimento anarchico spazzato via 
                  dal castrismo; ce lo ricorda Frank Fernández nellagile  
                  El Anarquismo en Cuba (Fundaciùn Anselmo Lorenzo, 
                  Madrid, 2000, pagg. 142)1. Storia di un movimento costellato 
                  di lotte anarcosindacaliste comuni a tutta lAmerica Latina 
                  tra ottocento e prima metà del novecento con un finale 
                  da manuale: una rivoluzione appoggiata e vinta che determina 
                  la liquidazione delle organizzazioni anarchiche, la prigionia 
                  e la lunga strada del fuoruscitismo non ancora terminato. Neanche 
                  la dittatura di Batista era riuscita a fare tanto.
                   
                   Dino Taddei 
                  
                  
                  
                 1- Per contatti: Fundaciùn Anselmo Lorenzo, Paseo Palacios 
                  2, 28021 Madrid. 
                  Email: mferna4@roble.pntic.mec.es 
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