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                 La risposta di Massimo Ortalli su "A" 
                  n° 262 ad uno studente che gli chiedeva delucidazioni sul rapporto 
                  tra Malatesta (e più in generale lanarchismo) e il fascismo 
                  non mi ha del tutto convinto. Vorrei dunque aggiungere qualche 
                  cosa alla questione, sperando di contribuire ad un dibattito 
                  che ritengo utile non solo su un piano storiografico, ma anche, 
                  e soprattutto, su un piano di attualità politica. Ortalli 
                  scrive che Malatesta e gli anarchici italiani non misero sullo 
                  stesso piano la democrazia e il fascismo, e che essi ´seppero 
                  pienamente cogliere le differenze sostanziali fra i due sistemi 
                  di potere, e quindi anche gli strumenti con cui impostare la 
                  lotta contro la reazione1. Confesso che nutro più di 
                  un dubbio in merito, poiché credo invece che Malatesta 
                  e gli anarchici italiani, come tutto il movimento socialista 
                  in generale, non solo sottovalutarono inizialmente la pericolosità 
                  del movimento fascista ma anche non compresero per molti anni 
                  la vera natura totalitaria del regime mussoliniano, che ne faceva 
                  qualcosa di irriducibilmente diverso, sotto il profilo qualitativo 
                  e quantitativo, da qualunque tipo di governo autoritario "alla 
                  Crispi".  
                  Certo, per noi oggi fare certe distinzioni è relativamente 
                  semplice (scrivo relativamente perchè una buona parte 
                  dei compagni si ostina ancora a considerare la democrazia sullo 
                  stesso piano di ben peggiori regimi politici), mentr ottantanni 
                  fa, era più difficile, se non quasi impossibile (alcuni 
                  comunque, tra i quali Francesco Saverio Merlino, avevano già 
                  tratto determinate conclusioni ben prima dellavvento del fascismo). 
                  Malatesta, nel giudizio sulla democrazia, non seppe (o forse 
                  non volle) guardare così lontano come fece il suo compagno 
                  di tante battaglie, e rimase in questo, più di lui, un 
                  uomo del suo tempo, o, meglio, un rivoluzionario nel senso quasi 
                  bakuninano del termine, dopo esserlo stato, ba-kuninano più 
                  o meno integrale, per gran parte della sua vita. Non era facile 
                  comunque, ribadisco, capire allora certe differenze: la democrazia 
                  non era quale la conosciamo oggi, con tutti i suoi limiti, certo, 
                  ma anche con la relativa libertà che garantisce e con 
                  il benessere diffuso del capitalismo avanzato. 
                  
                  
                  Tutti sullo stesso piano? 
                 Lo Stato liberale italiano di fine 800 e di inizio 900 era 
                  uno Stato autoritario, infinitamente più di classe di 
                  quanto lo sia ora, nel senso che il potere politico era di fatto 
                  il custode di un ordine economico fondato sulla divisione tra 
                  una minoranza di proprietari e una grande maggioranza di proletari 
                  e contadini che vivevano in condizioni di povertà estrema 
                  quando non di miseria. Solo nel dopoguerra Giolitti tentò 
                  di trasformare lo Stato liberale in uno Stato liberaldemocratico 
                  ma non vi riuscì: anche negli anni precedenti il fascismo, 
                  dunque, lo Stato italiano assomigliava molto più ai regimi 
                  liberali precedenti che alle democrazie odierne. Lintroduzione 
                  del suffragio universale maschile e altre riforme varate dai 
                  governi toccarono quasi esclusivamente lassetto istituzionale 
                  e non contribuirono a migliorare significativamente le condizioni 
                  materiali delle classi oppresse.  
                  Da un lato, dunque, era molto difficile comprendere la differenza 
                  tra Stato autoritario e Stato liberale (perchè tale differenza 
                  spesso era nei fatti irrisoria), e tra Stato liberale e Stato 
                  democratico (perché le democrazie non erano ancora consolidate); 
                  dallaltro, soprattutto, lumanità non aveva ancora sperimentato 
                  le gioie del totalitarismo, per cui il giochetto propagandistico 
                  di mettere tutti i regimi politici più o meno sullo stesso 
                  piano non era poi così grave, né da un punto di 
                  vista etico né sul piano politico.  
                  Con la presa del potere dei comunisti in Russia però, 
                  le cose cambiarono, e la famosa lettera a Fabbri del 1919 dimostra 
                  che Malatesta, sfidando limpopolarità, seppe capire 
                  come pochi altri quanto stava avvenendo nellex impero zarista. 
                  Nella missiva in questione, e in altri successivi interventi, 
                  lanarchico italiano, applicando ed approfondendo le analisi 
                  di Bakunin che indicavano nel marxismo lideologia di una nuova 
                  classe burocratica in ascesa, la quale, una volta giunta al 
                  potere, avrebbe instaurato il peggiore dei dispotismi immaginabili, 
                  affermò che quello bolscevico era un regime molto più 
                  autoritario di quello liberale, poichè si trattava di 
                  un governo assoluto e senza limiti costituzionali, di una 
                  dittatura di un partito, o piuttosto dei capi di un partito, 
                  che avrebbe consolidato i nuovi interessi che si vanno costituendo 
                  e che avrebbe difeso contro la massa una nuova classe privilegiata2. 
                  Per Malatesta, i bolscevichi in Russia avevano instaurato un 
                  vero e proprio regime poliziesco, e la polizia del nuovo governo 
                  uguagliò e superò in ferocia e mania liberticida 
                  quella stessa del regime zarista3.  
                  Nellanalisi del fenomeno bolscevico lanarchico italiano dimostrò 
                  dunque di saper comprendere con grande anticipo sugli sviluppi 
                  futuri la natura totalitaria, liberticida e poliziesca del comunismo. 
                  Lo Stato comunista era un regime qualitativamente diverso da 
                  tutti gli altri precedenti: mai nella storia si era data una 
                  tale concentrazione di potere politico ed economico, mai il 
                  governo aveva avuto un tale dominio sugli individui. Quella 
                  dei bolscevichi era una dittatura che respingeva quelle libertà 
                  formali, quelle norme costituzionali e quelle divisioni del 
                  potere tipiche degli Stati liberali e tanto irrise e disprezzate 
                  dalla sinistra rivoluzionaria. I comunisti in Russia stavano 
                  dando vita ad una forma di dominio che rigettava quegli argini 
                  giuridici che si frapponevano al dispiegamento assoluto del 
                  potere statale che il liberalismo e la classe borghese avevano 
                  imposto alle monarchie europee tra il XVIII e il XIX secolo, 
                  cercando di proteggere, certo e in primo luogo, i loro interessi 
                  economici e politici, i loro interessi di classe, ma proteggendo 
                  o meglio ponendo le premesse perché lo Stato salvaguardasse 
                  le libertà fondamentali di ogni cittadino.  
                  Certo, gli Stati liberali perseguitavano, imprigionavano, in 
                  alcuni casi uccidevano gli anarchici e i rivoluzionari, servendosi 
                  spesso di leggi speciali per oltrepassare i limiti suddetti 
                  (cosa che talvolta accade, ma certo in forme non paragonabili 
                  al passato, anche oggi). In alcuni paesi, la forma liberale 
                  dello Stato era solo una maschera con la quale si copriva un 
                  autoritarismo che di liberale aveva ben poco, così come 
                  ora in alcuni paesi, ad esempio sudamericani, alla facciata 
                  democratica fa da contralto un contenuto militare o paramilitare, 
                  una tale divisione in classi della società, con pochi 
                  ad aver tutto, e la gran parte degli altri ad avere un bel niente, 
                  da rendere oggettivamente poco significativi per non dire mistificanti 
                  i paramenti democratici e liberali. 
                  
                  
                   Gli errori di Malatesta 
                 Tuttavia, il potere degli Stati liberali e spesso anche di 
                  quelli autocratici, come la Russia, non era quasi mai così 
                  capillare e pervasivo da impedire completamente una qualche 
                  forma di propaganda, anche clandestina, dei libertari e una 
                  qualche forma di autonomia della società civile e degli 
                  individui. Esistevano inoltre paesi nei quali le libertà 
                  fondamentali si andavano consolidando da secoli, e lo Stato 
                  liberale si stava trasformando rapidamente e senza grandi traumi 
                  in Stato democratico. LInghilterra era uno di questi, e proprio 
                  in quel paese, non a caso, trovarono rifugio molti rivoluzionari 
                  e anarchici, tra i quali Malatesta e Kropotkin. 
                  Tornando a Mala-testa, a me pare che nella disamina del fascismo 
                  egli fu assai più contraddittorio che nellatteggiamento 
                  assunto nei confronti del bolscevismo, cosicché occorre 
                  meditare profondamente ancor oggi sugli errori suoi e su quelli 
                  della sua generazione: quello che allepoca di Malatesta può 
                  essere stato storicamente comprensibile, oggi non lo é 
                  più, e il non portare alle conclusioni certi ragionamenti 
                  significa, sempre secondo la mia opinione, condannarsi ad una 
                  sterilità e ad una marginalità imperdonabili. 
                  È vero: Malatesta, prima di altri, capì già 
                  durante il biennio rosso che la sconfitta del movimento dei 
                  lavoratori avrebbe portato lItalia alla catastrofe, che Stato 
                  e padronato avrebbero scatenato sulle classi popolari una reazione 
                  senza precedenti. Quando montò la reazione fascista, 
                  fu tra i primi a denunciare la gravità della violenza 
                  squadrista, ad appoggiare la resistenza armata, a cercare alleanze 
                  di grande respiro per impedire il precipitare degli eventi. 
                  Èsortò i partiti della sinistra e le masse a reagire 
                  in maniera compatta. Quando i fascisti marciarono su Roma scese 
                  nelle strade, a settantanni, per combattere egli stesso sulle 
                  barricate. Malatesta fece insomma molto, moltissimo. Cosa gli 
                  si può imputare, dunque? Non certo la creazione di quel 
                  clima di violenza generalizzata che egli molto acutamente additò 
                  come una delle cause che avevano di fatto favorito laffermazione 
                  del fascismo: tanto fu radicale nelle idee e nei propositi, 
                  tanto era misurato negli atteggiamenti e non incitò mai 
                  alla violenza per la violenza. Le sue pur contraddittorie riflessioni 
                  degli ultimi anni proprio sul problema della violenza sono tra 
                  le pagine più belle e commoventi che ci ha lasciato, 
                  fonte, per quanto mi riguarda, di lunghe meditazioni.  
                  Tuttavia, è oggi necessario riconoscere che la delegittimazione 
                  dello Stato liberale alla quale anchegli contribuì ebbe 
                  la sua non piccolissima parte nel far sì che non vi fosse, 
                  da parte del popolo italiano, quella reazione in difesa delle 
                  libertà fondamentali che lo Stato liberale, bene o male, 
                  garantiva. Si può spiegare solo con la stanchezza derivata 
                  dal fallimento del moto rivoluzionario del biennio rosso 
                  e con la protezione e lappoggio governativo di cui godevano 
                  le squadre fasciste la scarsa e in alcuni casi nulla reazione 
                  popolare di fronte al dilagare della violenza fascista?  
                  Io penso sinceramente di no, e credo che una certa propaganda 
                  anarchica - anche dello stesso Malatesta - abbia avuto il suo 
                  non irrilevante peso nel tracollo delle istituzioni liberali. 
                  Non avevano forse ripetuto per decenni - Malatesta e gli anarchici 
                  - che le libertà democratiche erano libertà formali 
                  e borghesi, e che le libertà vere erano ben altre? 
                  Ortalli ritiene che Malatesta e gli anarchici del tempo ebbero 
                  ben chiaro il concetto di male minore. Leggendo certe pagine 
                  di Malatesta ne ricavo piuttosto limpressione contraria. In 
                  un articolo del 1922, scritto pochi mesi prima della marcia 
                  su Roma, così si espresse il nostro compagno: Nessuno 
                  vorrà mettere in dubbio il nostro vivo desiderio di veder 
                  debellato il fascismo e la nostra ferma volontà di concorrere, 
                  come possiamo, a debellarlo. Ma noi non vorremmo abbattere il 
                  fascismo per sostituirgli qualche cosa di peggio, e peggio del 
                  fascismo sarebbe il consolidamento dello Stato... I fascisti 
                  bastonano, incendiano, uccidono, violano ogni libertà, 
                  calpestano nel modo più oltraggioso la dignità 
                  dei lavoratori. Ma, francamente, tutto il male che il fascismo 
                  ha fatto in questi ultimi due anni e che farà in quel 
                  tempo che i lavoratori gli lasceranno la vita, è forse 
                  paragonabile al male che lo Stato ha fatto, tranquillamente, 
                  normalmente, per anni innumerevoli e che farà fino a 
                  che avrà esistenza?4.  
                  
                  
                  Il male minore 
                 Ripeto, è sempre facile giudicare a posteriori, col 
                  senno di poi, e soprattutto in questo caso occorre tenere conto 
                  di una serie innumerevole di fattori: in effetti, il fascismo 
                  si presentò inizialmente con un programma politico confuso 
                  ed eterogeneo, e il partito di Mussolini pareva essere nulla 
                  più che un movimento foraggiato dalla borghesia e dal 
                  capitale per ripristinare quellordine borghese che il movimento 
                  operaio aveva tentato di scardinare. Inoltre, il partito fascista 
                  dava limpressione di essere poco più di unaccozzaglia 
                  di delinquenti e cialtroni che sarebbe rientrata nei ranghi 
                  dopo aver seminato un po di scompiglio e di terrore. Leggiamo 
                  ad esempio cosa scrive Malatesta subito dopo la marcia su Roma: 
                  A parte le pose che vorrebbero parere napoleoniche, e non sono 
                  invece che pose da operetta, quando non sono atti da capobrigante, 
                  noi crediamo che in fondo non vi sarà nulla di cambiato, 
                  salvo per un certo tempo una maggiore pressione poliziesca contro 
                  i sovversivi e contro i lavoratori. Una nuova edizione di Crispi 
                  e di Pelloux5. Ancora dopo alcuni anni che Mussolini si era 
                  insediato al potere, molti ( tra cui lo stesso Malatesta ) ritenevano 
                  che il regime fascista non sarebbe durato a lungo.  
                  Malatesta perciò, a mio avviso, sottovalutò sia 
                  Mussolini che il fascismo, anche se comprese sin dallinizio 
                  che tra i fascisti e i comunisti cerano molte più similitudini 
                  che differenze, e che entrambi i movimenti miravano allinstaurazione 
                  di un tipo di regime molto simile6. Negli ultimissimi anni di 
                  vita, poi, a dimostrazione della sua intelligenza fuori dal 
                  comune e della sua elasticità mentale, egli intuì 
                  che fascismo e comunismo stavano dando vita ad un tipo di potere 
                  inedito e ad un tipo di regime assai simile: uno Stato caratterizzato 
                  dallaccentramento economico, con relativo assolutismo politico, 
                  divenuti a poco a poco, soprattutto dopo la guerra, una specie 
                  di credo universale7. Si tratta di quel tipo di Stato che è 
                  stato successivamente definito totalitario - linvenzione del 
                  termine è dello stesso Mussolini - e che non rientrava, 
                  proprio perché si trattava di una primizia, nelle tradizionali 
                  forme di classificazione del potere politico: categoria contestatissima, 
                  naturalmente, dalla storiografia marxista sino a tempi recenti, 
                  e ancor oggi negata da alcuni dinosauri dellera marxista leninista8. 
                  Per quanto riguarda poi il problema del male minore, non credo 
                  che i giudizi di Malatesta siano dovuti solo ad errori di valutazione 
                  (relativi alla forza del movimento fascista e alla sua durata), 
                  e dunque non penso che si tratti solo di errori tattici. Ritengo 
                  invece che essi siano stati causati da uneffettiva incapacità 
                  degli anarchici e dello stesso Malatesta di comprendere il valore 
                  delle libertà democratiche e liberali. Si leggano gli 
                  articoli che Malatesta scrisse sulla democrazia negli anni 20. 
                  Certo, sono più raffinati di quelli scritti precedentemente, 
                  e in più di unoccasione lanarchico italiano arrivò 
                  a sostenere che la peggiore delle democrazie è comunque 
                  preferibile alla migliore delle dittature, come in Pensiero 
                  e Volontà del 15 marzo 1924. Siamo però appunto 
                  nel 1924, e, come si suol dire, il latte era già stato 
                  versato. Non solo: il riconoscimento di Malatesta è 
                  sempre fatto a denti stretti, cè sempre la tendenza 
                  a mettere sullo stesso piano i due regimi, perché Malatesta 
                  considera democrazia e dittatura quasi esclusivamente sotto 
                  il profilo di varianti formali dellessenza statale: rapportate 
                  allanarchia, le differenze tra democrazia e dittatura appaiono 
                  poco significative, gli sembrano addirittura fuorvianti. Si 
                  legga a questo proposito larticolo scritto da Malatesta su 
                  Pensiero e volontà del 6 maggio 1926 e si mediti sul 
                  seguente passo: Potrei dilungarmi per dimostrare, col ragionamento 
                  appoggiato ai fatti contemporanei, come non sia nemmeno vero 
                  che quando vi e governo, cioe comando, possa davvero comandare 
                  la maggioranza, e come in realtà ogni democrazia sia 
                  stata, sia e debba esre nientaltro che una oligarchia, un 
                  governo di pochi, una dittatura9. La democrazia, per Malatesta, 
                  è dunque nella sostanza, ancora nel 1926, equiparabile 
                  alla dittatura. 
                  
                  
                   Bene assoluto e bene relativo 
                 Evitiamo di considerare il rifiuto di Malatesta e degli anarchici 
                  del suo tempo (e di gran parte degli anarchici anche oggi) del 
                  principio di maggioranza come criterio regolatore delle decisioni 
                  politiche, in nome di un principio, quello del libero accordo 
                  di ardua applicazione in una buona parte della vita pubblica 
                  anche di una società libertaria, come aveva già 
                  dimostrato Merlino a cavallo del secolo scorso nella famosa 
                  polemica che lo vide contrapposto proprio a Malatesta. 
                  Limitiamoci a prendere in esame lanalisi malatestiana del rapporto 
                  tra democrazia e dittatura. Come avrebbe potuto Malatesta sostenere 
                  che, aldilà del fatto indubbio che anche in regime democratico, 
                  a ben guardare, sono le minoranze a comandare, la democrazia 
                  è comunque migliore, da un punto di vista libertario, 
                  delle dittature?  
                  A mio avviso, egli avrebbe potuto considerare democrazia e dittatura 
                  non in rapporto al bene assoluto (lanarchia), bensì 
                  al bene relativo (la libertà sostanziale e reale resa 
                  possibile da quella istituzionale e formale): è sotto 
                  questo profilo, infatti, che democrazia e dittatura, che democrazia 
                  e totalitarismo sono radicalmente diversi.  
                  Democrazia e dittatura differiscono infatti non solo per i meccanismi 
                  con i quali vengono selezionate le èlites dirigenti, 
                  ma soprattutto per le libertà fondamentali di cui godono 
                  i cittadini, per la libertà che anima la società 
                  civile sottostante e che esiste ed è possibile proprio 
                  in quanto al potere dello Stato sono posti limiti e vincoli 
                  precisi. Paragoniamo infatti, da un punto di vista della libertà 
                  degli individui e della società, dittatura, Stato totalitario 
                  e democrazia. Nel caso della dittatura, la libertà sia 
                  della società che dellindividuo è minima; nel 
                  caso dello Stato totalitario luna e laltra sono inesistenti, 
                  perché il potere politico assorbe completamente la società 
                  e irregimenta gli individui, non solo imponendo il disciplinamento 
                  dei corpi, ma pure pretendendo ladesione delle coscienze; nel 
                  caso delle democrazie, invece, la libertà della società 
                  civile e degli individui che la compongono è generalmente 
                  grande, anche se non sempre e non per tutti. Bisogna dunque 
                  operare per rafforzarla ed estenderla, non combatterla come 
                  una mistificazione. Come scriveva Pier Carlo Masini nellintroduzione 
                  al libro di Luce Fabbri che abbiamo già citato: Una 
                  cosa è denunziare le illusioni della democrazia; altra 
                  cosa è condannare la democrazia come illusione10. 
                  
                  
                  Un rivoluzionario ostile alla democrazia 
                 Io credo che Malatesta e più in generale lanarchismo 
                  di quel periodo storico, per tutta una serie di motivi che solo 
                  in parte ho sfiorato, abbia combattuto la democrazia come unillusione, 
                  e che questa propaganda abbia tra laltro favorito, insieme 
                  ad una serie di altri fattori sicuramente più importanti 
                  e decisivi, linstaurarsi del fascismo. Come ho già scritto 
                  da unaltra parte, Malatesta non seppe portare alle estreme 
                  conseguenze, per le chiare cadute antirivoluzionarie che lapplicazione 
                  di tale principio nel campo politico comportava, il criterio 
                  metodologico da lui stesso elaborato: la distinzione tra giudizi 
                  di fatto e di valore. Egli in verità lo aveva pure applicato 
                  al campo della politica, quella rivoluzionaria, concependo la 
                  rivoluzione come latto violento con il quale un ampio fronte 
                  progressista, del quale gli anarchici avrebbero dovuto costituire 
                  la punta più avanzata, avrebbe abbattuto lo Stato borghese 
                  e instaurato non già lanarchia, la quale non può 
                  essere imposta con la forza, bensì un regime più 
                  libero, nel quale fosse soppresso lo Stato e il sistema di produzione 
                  capitalistico: in questo terreno di libertà neutra ciascuno 
                  avrebbe potuto, secondo Malatesta, sperimentare le forme sociali 
                  ed economiche che avrebbe ritenuto più opportune, senza 
                  naturalmente limitare leguale libertà degli altri di 
                  fare altrettanto.  
                  Malatesta aveva insomma compreso che la libertà, storicamente 
                  e politicamente, viene prima dellanarchia, e che allassoluto 
                  si può tendere solo se è prima stato realizzato 
                  il relativo. Tuttavia, egli rimase fino in fondo un rivoluzionario 
                  ostile alla democrazia borghese, e ritenne sino alla fine 
                  che la democrazia non potesse costituire quel terreno neutro 
                  di libertà, quello spazio di libera sperimentazione che 
                  invece le masse avrebbero dovuto creare con linsurrezione. 
                   
                  Certo, alcune sue riflessioni possono far pensare che forse 
                  egli avrebbe fatto evolvere il suo pensiero nel senso di considerare 
                  la democrazia non solo il male minore ma anche il bene relativo, 
                  dal quale poter iniziare il lavoro di costruzione di una società 
                  libertaria11. Ma... fermiamoci qui. Non sarebbe infatti né 
                  utile né corretto interpretare il pensiero di Malatesta 
                  e cercare di capire cosa avrebbe detto e fatto. 
                  Malatesta visse cento anni fa, e io penso che, in fatto di democrazia, 
                  senza per questo diventare elettoralisti o abiurare lidea 
                  che la costruzione di una società libera debba avvenire 
                  principalmente fuori dalle istituzioni statali, si possa e si 
                  debba andare oltre le sue considerazioni. Del resto, alcuni 
                  nostri compagni, negli ultimi cinquantanni, lo hanno già 
                  fatto: non sto scrivendo dunque nulla di troppo nuovo o di troppo 
                  eterodosso12. 
                  
                   
                  Rafforzare le libertà 
                Credo che il miglior rispetto che possiamo portare alle idee 
                  di Malatesta - come alle idee dellanarchismo in generale - 
                  consista a mio avviso nello sviluppare le intuizioni migliori, 
                  rimanergli fedeli nello spirito applicando il suo metodo - che 
                  mi pare tuttora il migliore tra quelli esistenti - alla realtà 
                  di oggi. Essere malatestiani nel senso di ripetere quanto ha 
                  detto Malatesta in condizioni storiche molto diverse da quelle 
                  attuali può infatti portare alla morte del suo pensiero 
                  se non, e peggio, alla sua caricatura, mentre invece penso che 
                  quello che ci interessi è rendere vivo il suo insegnamento 
                  nella forma in cui oggi può prosperare. 
                  Credo, in definitiva, che, con tutti i suoi limiti e i suoi 
                  difetti - e ogni società, anche più libera e più 
                  uguale di questa, anche libertaria, ne avrebbe, di limiti e 
                  di difetti, perchè la libertà realizzata storicamente 
                  non potrà che essere sempre, come ogni cosa vivente, 
                  relativa, conflittuale, pluralista - la democrazia possa essere 
                  ritenuta vicina a quel terreno di libertà neutra che 
                  per Malatesta doveva essere il punto di partenza per lavanzamento 
                  stesso della società verso lanarchia. La democrazia, 
                  per un anarchico, non può costituire naturalmente un 
                  fine. Può costituire, laicamente, lo spazio per il confronto 
                  e lo scontro delle idee, per il mercato delle opzioni nel quale 
                  operare per far vincere - senza imposizioni, senza violenza 
                  - la propria.  
                  Anche alla luce delle esperienze totalitarie del secolo appena 
                  concluso, io credo che il miglior modo per avvicinarci ad una 
                  società senza Stato e senza classi - obiettivo che ritengo 
                  non possa comunque essere storicamente conseguibile nel senso 
                  letterale e assoluto del termine, perché lassoluto non 
                  potrà mai darsi nella storia umana - sia quello di rafforzare 
                  e di estendere le libertà democratiche, i diritti dellindividuo 
                  sia su un piano sociale e politico sia su quello economico, 
                  campo nel quale sono decisamente minacciati da un potere economico 
                  e finanziario oligarchico che vuole sempre più svincolarsi 
                  da ogni controllo politico (e questa è certo una forma 
                  di autoritarismo da non sottovalutare, come ha giustamente ricordato 
                  Massimo Ortalli e come lattualità politica ci ricorda 
                  di continuo). Rafforzare le libertà e le autonomie comunali, 
                  controllare ancor più e ancor meglio lesercizio del 
                  potere, lavorare per il suo decentramento e per costruire un 
                  po alla volta una democrazia il più diretta possibile 
                  che sostituisca lattuale forma di democrazia rappresentativa; 
                  battersi affinché vengano rispettati e ampliati i diritti 
                  dei lavoratori e dei consumatori in ogni parte del mondo e lavorare 
                  perché la democrazia cominci ad essere applicata anche 
                  nellambito economico, dal quale, per compiacere la classe imprenditrice, 
                  è stata sempre respinta; estendere i diritti di cittadinanza 
                  e i diritti politici alle fasce che non ne godono, come gli 
                  immigrati, difendere sempre e in ogni caso le libertà 
                  fondamentali degli individui, di tutti gli individui indipendentemente 
                  dal colore della pelle, dalla razza o dalla religione, dalle 
                  idee politiche.  
                  Queste e molte altre sono, a mio parere, le lotte che noi anarchici 
                  dovremmo svolgere oggi - e in parte, nei limiti delle nostre 
                  forze, le stiamo già svolgendo - per puntare allinstaurazione 
                  di una anarchia possibile, che non è altro a mio parere 
                  che una forma libertaria di democrazia. Far avanzare la democrazia 
                  verso lanarchia, non lavorare per abbattere la democrazia. 
                  Come ha affermato Martin Buber e prima di lui Gustav Landauer, 
                  lo Stato si distrugge nel momento in cui gli uomini instaurano 
                  tra di loro altri tipi di rapporti diversi da quelli statuali. 
                  È necessario dunque lavorare prima di tutto per far sì 
                  che gli uomini instaurino tra di loro rapporti libertari, e 
                  si liberino dello Stato nelle loro menti e nelle loro azioni: 
                  il superamento dello Stato, nel senso di un avanzamento della 
                  società verso lanarchia, sarà possibile solo 
                  quando la società civile sarà così forte, 
                  così comunitariamente strutturata, così democraticamente 
                  matura da poter fare a meno di un potere politico centralizzato 
                  e gerarchico. Altrimenti la rivoluzione non potrà che 
                  essere un pericoloso salto nel vuoto, che rischierebbe di portare 
                  indietro la società, aldiquà della democrazia, 
                  invece che aldilà, come ha scritto Amedeo Bertolo e come 
                  vorremmo tutti noi13. 
                  
                   Francesco Berti 
                  
                  
                  Armando Borghi e Luciano Farinelli 
                1 - Scrivo quasi perchè la concezione 
                  gradualistica del mutamento sociale così come concepita 
                  da Malatesta negli ultimi anni di vita, se pure strutturata 
                  ancora intorno al momento centrale dellinsurrezione, rappresenta 
                  certo un passo in avanti verso una visione strategica più 
                  aderente alla realtà del suo e anche del nostro tempo. 
                  Un passo in avanti che però oggi non può essere 
                  considerato un punto di arrivo. Cfr. il capitolo Riformismo, 
                  gradualismo e rivoluzione in Malatesta E., Il buon senso della 
                  rivoluzione, Elèuthera, Milano 1999, pp. 83-115. 
                  2 - Id., Lettera a Luigi Fabbri sulla dittatura del proletariato, 
                  Londra, 30 luglio 1919, ora in Id., Il buon senso della rivoluzione, 
                  cit. pp. 200-1. 
                  3 - Id., Bolscevismo e anarchismo, Libero Accordo, 7 novembre 
                  1923, ora in ivi, p. 202. 
                  4 - Id., Umanità Nova, 14 marzo 1922, ora in ivi, p. 
                  230. Corsivo mio. 
                  5 - Id., Il fascismo e la legalità, Umanità Nova 
                  25 novembre 1922, ora in ivi, p. 234. 
                  6 - Cfr. ad esempio Id., Comunisti e fascisti, Pensiero e volontà, 
                  1 maggio 1924, ora in ivi, pp. 237-8. 
                  7- Id., Francesco Saverio Merlino, Il Risveglio, 26 luglio 
                  1930, ora in Id., Pensiero e volontà, Movimento anarchico 
                  italiano, Carrara 1975, pp. 356-7. 
                  8 - Ha scritto giustamente e con una buona dose dironia Pier 
                  Carlo Masini, a proposito del rifiuto dei marxisti di riconoscere 
                  le similitudini esistenti tra Stati comunisti e Stati nazifascisti: 
                  I marxisti si guardavano bene dallaffrontarlo [il tema del 
                  totalitarismo], anzi respingevano come insultante una tesi che, 
                  fondata sulla categoria politica del totalitarismo, coinvolgeva 
                  nella condanna tanto i regimi di Hitler, Mussolini, Franco, 
                  ecc. quanto quelli di Stalin, Mao, Tito, ecc.. I marxisti ragionavano 
                  come il manzoniano don Ferrante che negava lesistenza della 
                  peste perché sul piano dottrinale, non essendo né 
                  sostanza né accidente, non rientrava nei suoi schemi 
                  logici (e poveretto morì di peste). I marxisti di osservanza 
                  staliniana similmente argomentavano che il totalitarismo non 
                  essendo né struttura né sovrastruttura non poteva 
                  esistere come categoria della politica tanto meno come morfologia 
                  unificante dei regimi fascisti e comunisti. (Masini P. C., Introduzione 
                  a Luce Fabbri, Luigi Fabbri. Storia di un uomo libero, BFS, 
                  Pisa 1996, p. 9). 
                  9- Malatesta, Nè democratici, nè dittatoriali: 
                  anarchici, Pensiero e volontà, 6 maggio 1926, ora Id., 
                  Il buon senso, cit., p. 218. 
                  10 - Masini, Introduzione, cit., p. 11. 
                  11 - Si legga a questo riguardo una lettera scritta da Malatesta 
                  a Luigi Fabbri pochi mesi prima della morte e pubblicata dallo 
                  stesso Fabbri in Studi Sociali del 30 settembre 1932, ora 
                  in Malatesta, Il buon senso, cit.,pp.224-26. 
                  12 - Penso agli interventi critici e revisionisti di Luce 
                  Fabbri, di Rudolf Rocker, di Paul Goodman, di Colin Ward, di 
                  Joao Freire, di Murray Bookchin, e, qui in Italia, tanto per 
                  citarne alcuni, di Amedeo Bertolo, di mio padre, di Giampiero 
                  Landi, di Furio Biagini, di Andrea Papi, di Franco Melandri, 
                  di Pietro Adamo. Penso allencomiabile lavoro culturale di Elèuthera, 
                  di Volontà, di Libertaria e della stessa Rivista 
                  Anarchica e dei suoi redattori.  
                  13 - Bertolo A., Al di là della democrazia. Lanarchia, 
                  in Volontà, Democrazia e oltre, Milano n° 4 1994, pp. 
                  9-31. Spero vivamente che lautore di questo importante saggio 
                  ci allieti presto con altri stimolanti interventi: nel frattempo 
                  mi permetto di consigliare la lettura e unampia divulgazione 
                  di questo scritto. 
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